Il presidenzialismo è un tema carsico che attraversa l'intera storia della Repubblica e riemerge al verificarsi di particolari congiunture o passaggi politici. Avendo trovato sostenitori a destra come a sinistra, non è patrimonio esclusivo di un'ideologia o di una parte politica.
La proposta presidenzialista, unita al federalismo, ispirati al modello americano, fu avanzata nell'Assemblea Costituente dal Partito d'Azione. Piero Calamandrei riteneva questa soluzione una garanzia per la tenuta democratica dell'Italia, che nella sua visione era scivolata nella dittatura a causa non di governi forti ma deboli. In sede di elaborazione della Costituzione a tale proposta fu preferito il sistema parlamentare, dal forte impianto garantista e pluralista, ritenuto più idoneo per un Paese segnato da tensioni e fratture sociali, rispecchiate nella disomogeneità e frammentazione dei partiti. Il presidenzialismo scomparve dalla discussione politica fino alla fine degli anni '70, quando tornò in auge con il disegno della grande riforma costituzionale del PSI di Bettino Craxi, il cui obiettivo era garantire la governabilità e rafforzare l'esecutivo, superandone instabilità e inefficienza. Il dibattito porterà all'adozione nel 1993, dopo un referendum, di una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, tesa a favorire il bipolarismo e l'alternanza al governo.
Negli anni la discussione è proseguita e sono state anche istituite delle commissioni parlamentari bicamerali, incaricate di predisporre proposte di riforma della Costituzione. Sul presidenzialismo il progetto più organico è stato elaborato dalla Commissione presieduta da Massimo D'Alema, che cercava di coniugare il semipresidenzialismo di stampo francese con la tradizione parlamentare italiana. I vari tentativi non sono giunti ad un approdo concreto perché è mancata una visione condivisa e perché viziati dall'errore di fondo di voler rimediare al malfunzionamento e all'inadeguatezza della classe governante modificando la Costituzione. Il difetto non sta nella macchina costituzionale, ma nella cattiva qualità del carburante politico.
Dopo anni di silenzio, la proposta presidenzialista è stata ripresa con il disegno di legge costituzionale presentato in Parlamento nel 2018 da Fratelli d'Italia e respinta dalla Camera dei Deputati nel maggio del 2022. Il progetto è tornato oggi al centro dell'attenzione politica ( in questi giorni si parla invero di elezione diretta del Premier, un unicum italico sotto il profilo costituzionale) e, rappresenta poiché uno degli obiettivi fondamentali del governo di Giorgia Meloni, ha considerato la maggioranza parlamentare di cui gode, l'approvazione in teoria potrebbe essere possibile .
Concretamente il disegno di legge costituzionale depositato in Parlamento dal partito della Meloni è composto da tredici articoli che toccano diverse norme della seconda parte della Costituzione, riguardanti il Presidente della Repubblica, il Governo e il Consiglio Superiore della Magistratura. Prevede che il Capo dello Stato venga eletto a suffragio universale e diretto, resti in carica cinque anni, possa essere rieletto una sola volta, presieda il Consiglio dei Ministri, diriga la politica generale del Governo, abbia poteri ampi e rilevanti che in parte ricalcano gli attuali poteri presidenziali e ne acquisti di nuovi. L'unico potere vigente sottrattogli è la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, affidata al Presidente della Corte di Cassazione. sfiducia costruttiva , con l'obbligo per il Parlamento di indicare al Capo dello Stato il nuovo Presidente del Consiglio. Il progetto di riforma presenta numerosi difetti tecnici, combina elementi inconciliabili, come per esempio l'elezione diretta del Capo dello Stato, avente compiti di governo, con la sfiducia costruttiva, che consente al Parlamento di vincolare la scelta del Primo Ministro ed ha suscitato molte critiche sia nel mondo della politica che della scienza costituzionale.
Al di là di limiti e difetti sempre emendabili, la domanda fondamentale è se il presidenzialismo, nella forma di tale progetto o di altri aventi contenuto analogo, risponde alle condizioni attuali del nostro sistema politico.
La finalità che emergono, al di là dell'obiettivo dichiarato di voler rafforzare la stabilità dei governi, è recidere, con l'elezione diretta del Capo dello Stato, le radici stesse dell'impianto repubblicano, nato su una larga e comune piattaforma antiautoritaria, e di innestarne altre di segno opposto, in grado di oscurare in nome della democrazia decidente, la vocazione personalista, pluralista e garantista della Costituzione. Con l'elezione diretta, viene cancellata la funzione di garante dell'unità nazionale del Presidente della Repubblica, le minoranze perdono una delle loro maggiori linee di difesa, si concentra nelle mani di una sola persona un potere esteso e penetrante, si demolisce uno dei due pilastri basilari chiamati a svolgere la funzione di controllo costituzionale, contrapposta a quella di indirizzo politico di Parlamento e Governo, affidati dalla Costituzione al Presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale, a fronte di un Parlamento, fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma.
Il nostro modello parlamentare presenta difetti che vanno riformando la legge elettorale ei regolamenti parlamentari, superando il bicameralismo paritario, disciplinando i partiti e il loro finanziamento, promuovendo tecniche di selezione e formazione della classe governante. La fragilità della politica, un bipolarismo fondato su coalizioni eterogenee, buone per vincere ma non per governare, e la volatilità del voto rendono assai rischioso passare al modello presidenziale, per sua natura più divisivo e meno aperto alle intese di quello parlamentare. Il presidenzialismo, nel quale chi vince prende tutto, avrebbe un effetto dirompente, come dimostrano la conflittualità e la radicalizzazione verificatesi negli USA, in Francia ed in Brasile. Abbiamo una Costituzione forte, ben radicata socialmente, e dobbiamo evitare di trasformare la fragilità della politica in uno strumento di rottura del tessuto istituzionale e sociale, disfacendo il quadro delle garanzie in essa contenute. Meglio perciò la forma di governo parlamentare, certo da affinare ma non da abbandonare.