La presunzione di innocenza è un principio irrinunciabile di civiltà giuridica, ma va distinto dalle ragioni di opportunità politica e dalla tutela della credibilità delle istituzioni. Le inchieste giudiziarie, le eventuali responsabilità penali si pongono su un piano diverso rispetto al precetto costituzionale rivolto a quanti ricoprono ruoli pubblici e svolgono funzioni nelle istituzioni democratiche “di adempierle con disciplina ed onore”. Costoro devono sentire l’onere ed avere la consapevolezza che il loro modo di essere ed agire è destinato a riflettersi sulla fiducia e sul rispetto dei cittadini verso le istituzioni che incarnano. Pertanto devono improntare il proprio operato pubblico e privato al massimo della correttezza e della trasparenza per non lederne l’immagine.
L’attesa informativa di Daniela Santanchè al Senato, resasi necessaria dopo le inchieste giornalistiche di Report e di diversi quotidiani, non ha sciolto i nodi e non ha fatto chiarezza in merito alla vicenda riguardante la società Visibilia Editore S.p.A. e le altre del gruppo alla stessa riconducibili, soprattutto non ha fugato dubbi e ombre sul suo operato imprenditoriale passato e presente. Peraltro in concomitanza dell’informativa la Procura della Repubblica di Milano ha confermato l’iscrizione della ministra nel registro degli indagati. L’indagine aperta nei confronti suoi e di altre persone per bancarotta e falso in bilancio riguarda in particolare la Visibilia Editore S.p.A., gruppo fondato da Daniela Santanchè e nel quale ha avuto ruoli operativi fino al 2022. Colpisce molto l’approssimazione delle dichiarazioni rese in Senato dalla ministra, la quale si è scagliata in modo veemente contro i giornali per le notizie riportate. “È normale che un ministro legga che secondo un giornale sarebbe indagata? È un Paese normale quello in cui un giornalista può scrivere di sapere cose secretate dalla magistratura e ignote all’interessato?Voi lascerete che tutto questo accada impunemente?”. Affermazioni perfino condivisibili, se non fosse che la ricostruzione proposta è stata smentita dalla Procura di Milano, che ha spiegato come l’indagine è rimasta segreta per tre mesi, da novembre a gennaio, nel rispetto della legge, ragione per cui l’istanza presentata a inizio anno dai suoi avvocati aveva dato esito negativo. Decorso il termine gli atti sono stati desecretati e i legali della Santanchè, con cui ha preparato il discorso tenuto al Senato, non si sono premurati di controllare di nuovo la posizione della loro assistita. Se l’avessero fatto già a febbraio sarebbero venuti a conoscenza dell’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati.
Daniela Santanchè ha sostenuto che il suo obiettivo era “difendere il suo onore” e quello di suo figlio, trascinato anch’egli nella polemica politica. Tuttavia la ricostruzione da lei proposta si è rivelata palesemente debole e poco credibile. Per comprendere meglio occorre partire da alcuni punti fermi. La Visibilia Editore S.p.A. è stata fondata nel 1999 con il nome PMS SpA ed ha sempre operato nei settori della consulenza strategica e della rassegna stampa. Editrice da luglio 2013, dopo l’acquisto da Mondadori, dei magazine VilleGiardini, Pc Professionale, Ciak, Visto e Novella ha avuto dal 2014 in poi come presidente Daniela Santanchè, socia fondatrice con il 75,9% delle quote. La vendita della società risale a novembre del 2022, quando anche la ministra ha ceduto tutte le sue quote. L’inchiesta su Visibilia Editore S.p.A. è scattata proprio in quella data e i reati per cui si procede sono falso in bilancio e bancarotta, che sarebbero stati commessi proprio nel periodo in cui Daniela Santanchè ne era azionista di controllo e amministratrice. Secondo la Procura dal 2014 Visibilia Editore S.p.A. ha iniziato ad accumulare debiti e i bilanci sono apparsi inattendibili per via di rilevanti irregolarità e di un deficit occultato. Durante la pandemia nel 2020 la società ha goduto degli aiuti della Cassa integrazione Covid ma alcuni dipendenti, ufficialmente in cassa integrazione a zero ore, avrebbero continuato a lavorare ad orario pieno. Questa circostanza è stata ammessa dagli stessi legali del gruppo nel giudizio dinanzi al Giudice del Lavoro di Roma, i quali hanno così cercato di motivare l’opposizione alle richieste di danni di un ex funzionario. Riguardo i compensi milionari percepiti dal gruppo che controlla le sue società, la ministra ha sostenuto che la Ki Group S.r.l. le avrebbe corrisposto non più di 100mila euro lordi l’anno e solo nei periodi in cui il bilancio era in utile. Peccato che a fronte di tali ingenti compensi corrisposti i vertici della Ki Group S.r.l. non si siano premurati di pagare i lavoratori che ad oggi ancora devono ricevere gli stipendi e il TFR. Poco attendibili appaiono le affermazioni della Santanchè secondo cui il gruppo del settore biologico è gestito dal padre di suo figlio, con il quale non ha più alcun legame, e di aver messo in atto una complessa operazione di risanamento della Visibilia Editore S.p.A., attingendo anche al proprio patrimonio personale. Nessuna spiegazione convincente ha fornito sulla questione della Maserati da 77mila euro e dell’appartamento-ufficio che avrebbe dovuto essere la redazione di Ciak, in cui gli unici due giornalisti assunti non hanno mai messo piede e i cui costi sono stati caricati per intero sui bilanci della Visibilia Editore S.p.A.. Infine riguardo le multe non pagate, Daniela Santanchè ha sostenuto che sarebbero erroneamente riferite a lei, poiché in realtà sarebbero a carico dell’Arma dei Carabinieri, che ha utilizzato in comodato gratuito una sua auto per non gravare su quelle di scorta di proprietà statale.
Per i toni rabbiosi, sarcastici e a tratti violenti e il contenuto inconsistente dell’informativa resa in Senato è di tutta evidenza che l’arroganza al potere oggi ha il volto e il nome di Daniela Santanchè, la quale non ha chiarito e non ha fornito risposte ai fatti emersi dalle inchieste, alle denunce di lavoratori e lavoratrici, alle contestazioni circa il mancato pagamento dei fornitori e al fatto che i dipendenti in cassa integrazione a zero ore lavorassero nelle sue aziende in violazione della legge, senza dimenticare il debito accumulato con lo Stato pari a 2,7 milioni di euro.
Le dimissioni della ministra sarebbero un atto dovuto ma non arriveranno, così come non passerà la mozione di sfiducia presentata contro di lei in Parlamento. In un paese normale succederebbe, ma non in Italia. D’altra parte Daniela Santanchè non è stata nominata ministra “nonostante” i dubbi sulla sua trasparenza esistenti fin dall’inizio, ma proprio in forza di questi dubbi. È lì e lì resterà in quanto funzionale ad attirare su sé attenzione e critiche, consentendo al governo di proseguire indisturbato nella demolizione dei diritti, nel premiare la piccola e la grande evasione, nell’occupazione sistematica degli spazi di comunicazione e di discussione critica.