Una mano tesa e una parola semplice e disarmante, in grado però di abbattere barriere in apparenza insormontabili, di smascherare la logica perversa della violenza, della vendetta e della guerra e di aprire sentieri stretti e faticosi di speranza, accoglienza e reciproca comprensione.
Shalom !
L'ostaggio, alla fine di giorni terribili, di una prigionia insensata e disumana, porge la mano al suo carnefice, il quale impugna un'arma, uno strumento di morte ripugnante ed ha il viso totalmente coperto. Gli occhi di Yocheved Lifshitz, 85 anni, incorniciati in un volto magro e rugoso, segnato dall'età e dalla sofferenza, abbattono in un attimo non solo la barriera del travisamento del terrorista, ma anche e soprattutto la cortina d'odio che divide i loro popoli. L'anziana donna cerca la mano del terrorista, la trova e la stringa. Quell'uomo, che potrebbe essere suo figlio o suo nipote, ricambia il gesto, stringe a sua volta la mano della donna, anche se non sappiamo se in quel suo atto ci sia sincerità o inganno, ancor più che il video è stato diffuso da Hamas potrebbe essere uno strumento di propaganda.
È difficile scorgere un volto umano in un terrorista, in chi ha compiuto atti di assoluta abiezione e disumanità, che ha trucidato a sangue freddo e per puro odio uomini e donne, anziani e bambini, persone inermi ed indifese, ma Yocheved Lifshitz non si è arresa all'orrore e ha ricercato, nonostante tutto, il fondo dell'umanità perduta anche in lui.
La sensazione che si avverte, guardando quelle immagini, è che sia stato un gesto spontaneo, forse un moto del cuore, compiuto all'ultimo momento anche se a ben vedere meditato e voluto, di cui si stava quasi dimenticando, insperabilmente recuperato nella comprensibile concitazione di quella situazione, quando consegnata dai suoi aguzzini agli operatori della Croce Rossa Internazionale ritrova la libertà e si affranca da paure e privazioni patite nei lunghi giorni della prigionia.
È incredibile che nel silenzio e nel buio sconosciuto di una notte mediorientale, che tutto sembra avvolgere in una cortina impenetrabile, a cominciare dal cuore delle persone, Yocheved Lifshitz, con le sue movenze lente conseguenza dell'età avanzata ma anche dell'orrore di cui è stata vittima e da cui è rimasta segnata in modo indelebile, pur avendo avuto risparmiata la vita, del peso che si porta dentro perché suo marito è ancora prigioniero nelle mani dei terroristi, è capace di un gesto di pace umile, avente i tratti dell 'incredibile e dello straordinario.
Yocheved Lifshitz ha visto l'inferno, ha attraversato in prima persona l'orrore, ma con quella parola e quella stretta di mano, ricercata e voluta, ha dimostrato il grande coraggio del perdono, della pietà, della ricerca del dialogo, dell'abbattimento. delle barriere e della costruzione di ponti tra nemici. Solo attraverso l'accoglienza e l'ascolto reciproco è possibile costruire la pace, trovare le ragioni del vivere fianco a fianco in nome della comune appartenenza all'umanità.
Shalom , il saluto rivolto dalla donna all'aguzzino, non è una parola come tante, è usata nell'ebraico moderno e risuona ben 237 volte nell'Antico Testamento, soprattutto non possiede semplicemente il significato di pace. Il concetto di Shalom è poliedrico e il vocabolo, nella sua radice profonda, suppone invero compiutezza e perfezione. La pace biblica è auspicio di benessere, prosperità, giustizia, gioia e vita, è vigore del corpo e bellezza dell'animo, è armonia psicofisica dell'uomo nella relazione con i suoi simili e nel suo rapporto con Dio, è augurio di godere della pienezza dei beni messianici. Baruch Spinoza (1632-1677) affermava giustamente che “ la pace non è assenza di guerra soltanto, è una virtù, uno stato d'animo che dispone alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia ”.
Shalom è una parola bellissima soprattutto sulle labbra di questa donna ebrea di 85 anni, anzi ha un valore doppio perché non c'è odio nei suoi occhi, seppur spauriti, non c'è sentimento di vendetta nella sua voce, ma non c'è nemmeno arrendevolezza o debolezza verso gli assassini di Hamas.
Se vogliamo comprendere quanto sta accadendo oggi in questo lembo di terra bellissima, carica di storia e trasudante sofferenza, dobbiamo calarci nella prospettiva di Israele, cogliere le sue paure di distruzione esistenziale che l'atto terroristico del 7 ottobre ha riacceso. L'enormità dell'Olocausto lo rende una realtà incomparabile con ogni altra tragedia umana del passato e del presente, ma aver paragonato ad esso il massacro di oltre 1400 israeliani da parte di Hamas ci racconta qualcosa il cui significato non è possibile ignorare. Il tentato genocidio del popolo eletto per mano nazifascista e il pericolo costante che possa ripetersi anima ogni dimensione della vita ebraica. Non possiamo ignorarlo, voltarci dall'altra parte, non sentirci partecipi della loro paura e pronti a combattere ogni recrudescenza antisemita.
Shalom è fare in modo che gli orrori commessi nel deserto e nei kibbutz non siano tollerati, giustificati, dimenticati, distorti. Shalom è ricomporre i resti e restituire identità, integrità e dignità ai 1400 israeliani trucidati il giorno dell'orrore e dello spargimento del sangue innocente, è rimettere in libertà i prigionieri catturati, ma anche riconoscere i diritti del popolo palestinese, non cadere nella perversione della vendetta che nulla a che vedere con il diritto di difendersi, è risparmiare la vita di bambini, donne e uomini palestinesi, ostaggi in stragrande maggioranza dei terroristi di Hamas, è consentire agli aiuti umanitari di entrare a Gaza per dare la possibilità di sopravvivere alla popolazione stremata, è permettere al personale sanitario di portare soccorso ai feriti non correndo tra le macerie per schivare le bombe, di eseguire gli interventi chirurgici in condizioni quantomeno accettabili e non estreme per salvare le vite umane.
Shalom sarà negata fino a quando nei palazzi dei governi di alcune nazioni si parteggerà faziosamente per gli assassini, nelle strade e nelle piazze di tante città ci saranno cortei che inneggiano ai forni crematori, ad Hamas o alla Jhihad, nei consessi internazionali non si faranno gli sforzi necessari per superare i contrasti, per creare le condizioni di una pacifica convivenza tra israeliani e palestinesi nel rispetto della diversità delle sensibilità, delle culture, delle religioni e prima di tutto dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni persona senza distinzioni.
Dobbiamo comprendere che l'unica alternativa alle bombe è farci Shalom l'uno per l'altro.