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Dalla parte di chi dissente

Set 01, 2024 Scritto da 

 

 

La politica, fin troppo spesso, dimentica di essere “servizio”, la “forma più alta di carità”, secondo la definizione che, quasi un secolo fa, ne diede Pio XI, in un discorso ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica il 18 dicembre 1927 (L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, n. 296, 3, coll. 1- 4). Una definizione questa citata sovente ma di cui si sbaglia sempre l’autore, venendo attribuita a pontefici e personalità della cultura cattolica che nei decenni successivi l’hanno semplicemente fatta propria e rilanciata.
 
Il declino valoriale ed ideale della politica si è reso evidente soprattutto negli ultimi anni e la crisi di rappresentatività dei partiti, la loro incapacità di raccogliere e farsi portatori delle istanze dei cittadini ne hanno minato la credibilità e hanno prodotto una progressiva disaffezione verso le istituzioni pubbliche e quanti operano in esse ad ogni livello. A ciò è da aggiungere che la selezione della classe dirigente segue per lo più logiche poco o per niente attinenti con le capacità di elaborazione e innovazione politica e programmatica e si fonda sulla fedeltà al leader di turno, sulla disponibilità a sostenerne le ambizioni personali e sulla rinuncia ad esercitare qualsivoglia autonomia di giudizio e di critica. L’effetto è a dir poco devastante.     
 
Nella nostra città gruppi ristretti di politici hanno pensato bene di richiudersi in un ridotto personale ed autoreferenziale e non hanno compreso che senza pluralismo e apertura alla diversità non si costruiscono progetti validi e solidi. Puro autolesionismo, frutto di ripicche personali verso chi è stato escluso, allontanato e messo alla porta senza tanti fronzoli. La credibilità già traballante si è sgretolata, lasciando spazio a quanti, strumentalizzando il proprio ruolo istituzionale, usano i social come una clava contro chi osa criticare o dissentire. E tutto questo con buona pace della possibilità di costruire alternative politiche e amministrative serie, al netto di talune cortine fumogene alzate su temi incomprensibili, inconsistenti e neutri rispetto alle criticità che i cittadini vivono e subiscono ogni giorno sulla propria pelle.       
 
Le moderne tecnologie comunicative hanno prodotto poi un radicale mutamento sociale e culturale anche a Sezze e l’idea della partecipazione politica ha assunto connotazioni nuove e diverse con cui è imprescindibile misurarsi. I social sono divenuti uno strumento di relazione e interconnessione personale fondamentale e irrinunciabile, ma palesano limiti evidenti e ci pongono di fronte alla necessità di valutarne i potenziali rischi per la tenuta della democrazia, conseguenti ad un loro uso distorto. In particolare la politica rischia di ridursi a comunicazione unidirezionale, venendo meno il confronto e il dialogo, lo scambio di idee e la ricerca di soluzioni condivise. Il sempre più frequente ricorso ad un linguaggio violento, offensivo, intimidatorio e volgarmente irridente, una sorta di manganello mediatico usato per colpire l’avversario, metterlo alla berlina, scoraggiare e reprimere il dissenso e l’invito a recedere dalle opinioni espresse da parte di chi ricopre ruoli politici e amministrativi anche importanti, raccontano un clima inaccettabile e un’idea distorta della politica e del rapporto con i cittadini e gli altri partiti e movimenti politici, i quali hanno il sacrosanto diritto di criticare, anche aspramente, chi gestisce pro tempore la cosa pubblica semplicemente perché questa è la democrazia. Soltanto nei regimi autoritari sono ammesse unicamente le folle plaudenti.
 
Non si tratta di tratteggiare a tinte fosche la realtà o di avere una visione pessimista, ma di cogliere gli indizi preoccupanti di quanto accade e di attrezzarci con le opportune contromisure di fronte ad un evidente deficit di cultura democratica e di spessore politico di troppi protagonisti della scena pubblica. In discussione è il pluralismo e la libera circolazione delle idee, la possibilità di dissentire rispetto ad una narrazione che si vorrebbe imporre. Senza contare poi che tali comportamenti configurano una violazione dei principi e dei valori della Costituzione della Repubblica, andrebbero condannati senza appello da ogni autentico democratico e i responsabili isolati politicamente e istituzionalmente. Restare in silenzio e indifferenti significa assecondare simili fenomeni e rendersene complici.  
 
Il malcontento emerso in queste ultime settimane a livello locale sui social riguarda criticità che toccano la nostra quotidianità, problemi veri, nulla di inventato o strumentale: rubinetti a secco in interi quartieri, rifiuti abbandonati, la questione del cimitero irrisolta e comunque non pienamente convincente nelle soluzioni adottate, la sicurezza, il degrado generale, l’assenza di politiche per l’integrazione dei migranti sono questioni serie che richiedono risposte. Molti cittadini le sollevano sui social nella convinzione che politici e amministratori locali, sempre attenti a tali strumenti, più facilmente ascoltino ed intervengano. Invero una simile scelta dovrebbe farci riflettere sul fatto che ciò accade perché mancano i luoghi della partecipazione democratica, certamente da costruire nelle forme e nella concreta funzionalità tenendo conto degli intervenuti mutamenti tecnologici e sociali, e lo strumento dei social rappresenta un ripiego, non una soluzione politicamente seria ed efficace.
 
Dal canto loro quanti sono stati investiti del compito di amministrare Sezze, a prescindere dal ruolo di maggioranza o di opposizione, dovrebbero avere l’umiltà e la pazienza di ascoltare le critiche e di cercare risposte strutturali, non rincorrendo soluzioni tampone, utili a strappare consensi immediati ma inadeguate a dare soluzioni definitive ai problemi, evitando la solita litania che “è colpa di quelli di prima”, una scusante che ormai non scusa più, e altre amenità simili.
 
Servirebbe un cambio di passo da parte di tutti. Servirebbe appunto…
Pubblicato in Riflessioni

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