Pensieri e ricordi si affollano nella mia mente.
Il subbuglio emotivo, la sofferenza per la perdita e l’intenso legame affettivo possono rappresentare un limite, un ostacolo all’obiettività del giudizio, ma possono offrire anche un angolo visuale particolare e originale per raccontare una persona.
Ero un bambino quando ho incontrato don Anselmo per la prima volta. È entrato nella mia storia personale in punta di piedi, è diventato una presenza fondamentale e mi ha accompagnato fino a qualche giorno fa, quando all'improvviso ha lasciato il contingente e il provvisorio ed è entrato nella dimensione dell’Eterno.
Lo smarrimento di fronte alla sua morte, il distacco sono solo in parte alleviati dalla certezza che la vita è un cammino impegnativo, un intreccio di relazioni e a renderla unica sono proprio le persone che incontriamo e i legami che intessiamo, che la morte non riesce a spezzare e a cancellare, ancor più poi se poggiano sulle solide basi della comune fede nel Risorto. Se siamo in Cristo, se la nostra vita è in Lui la morte non è una sconfitta, la fine di tutto, ma un passaggio che ci conduce alla pienezza del vivere, a saziare la nostra sete d’infinito e ci immette nella comunione con Dio e con la persona amata.
Tuttavia emotivamente non è facile.
È stato un privilegio incontrare don Anselmo, sacerdote, pastore, padre e guida spirituale, uomo di Dio dalla fede essenziale, libera da orpelli e enfatizzazioni, vissuta e testimoniata senza mezze misure e compromessi per compiacere e ricevere applausi, fuori moda e fuori luogo rispetto al sentire comune.
La sequela del Maestro di Nazareth non è stata per lui una strada di realizzazione personale, la scorciatoia per acquisire posizioni di privilegio e imbastire possibili carriere, un ripiego di fronte all’assenza di prospettive e all’incapacità di costruirsi un futuro, ma una scelta consapevole e radicale, fino allo sfinimento, alla donazione totale e senza riserve a Dio, alla Chiesa e ai fratelli.
È stato un prete, non un mestierante della religione, uno spacciatore di riti vuoti.
Possedeva una personalità complessa e un carattere forte e schivo, ma era tutt’altro che una persona difficile e distante, come qualcuno sostiene sulla base di una valutazione superficiale, con un giudicare “epidermico” come amava ripetere lui, di chi si ferma all’apparente ingannevole e non riesce a cogliere l’ulteriore.
Don Anselmo viveva seriamente il suo essere pastore del popolo di Dio, chiamato alla missione di condurre a Cristo quanti gli erano stati affidati, di guidarli a sperimentare la bellezza di un incontro che cambia la vita, che infonde la gioia indicibile di scoprirsi pensiero d’amore di Dio fin dall’eternità, intessuti in ogni cellula della Grazia trasfigurante, rigenerati nel lavacro della Croce, dove l’Amore Trinitario si fa oblazione totale per la salvezza dell’umanità.
Era impastato di umana debolezza come tutti, non era perfetto, ma ha tenuto sempre lo sguardo fisso su Cristo, centro di gravità della sua esistenza, si è lasciato modellare come la creta nelle mani del vasaio e purificare incessantemente dalla Parola di Dio.
Uomo delle parole scomode, mai si è arreso di fronte alle difficoltà, alle prove, agli ostacoli che la vita gli ha riservato e tantomeno ha fatto sconti o è stato accomodante sul piano della fede, dell’adesione a Cristo e nelle relazioni personali. È stato rigoroso ed esigente prima di tutto con se stesso e poi con gli altri, specialmente poi con quanti erano a lui legati da sentimenti di sincera e profonda amicizia.
Prima che con le parole, con il suo esempio e la sua vita ha insegnato a quanti hanno avuto il privilegio di incontrarlo la necessità di non adeguarsi alle logiche del mondo, nell’assoluta certezza che solo chi è capace di andare controcorrente, di interrogarsi sui significati ultimi e di mettersi in ricerca, di guardare oltre il futile apparente e di pensarsi nel volere di Dio potrà trovare la piena realizzazione esistenziale e la felicità che non tramonta e non svanisce.
Dietro la scorza un po’ ruvida nascondeva una grande umanità e un’incredibile tenerezza. Attento e premuroso, non era un uomo da cui aspettarsi smancerie, gesti eclatanti o abbracci, estranei al suo modo di essere, ma attraverso le sue parole e i suoi gesti semplici e concreti comunicava il suo affetto puro, sincero e trasparente e imbastiva legami solidi e duraturi, insegnando il valore inestimabile dell’amicizia. Non è un caso che quanti sono cresciuti con i suoi insegnamenti hanno conservato nel tempo e continuano a coltivare solidi rapporti personali improntati all’autenticità.
Uomo del Concilio, ha incarnato pienamente la primavera della Chiesa, facendosi costruttore instancabile della comunità cristiana, combattendo con determinazione le spinte individualiste del nostro tempo, le logiche utilitaristiche che spesso inquinano la stessa fede, ma anche un certo clericalismo di ritorno deleterio e il devozionismo senz’anima. Ha profuso tutte le sue energie per educare alla fede, al senso di appartenenza ecclesiale e per far crescere un laicato consapevole, riservando una attenzione particolare ai giovani.
È stato criticato aspramente, tanti lo trovavano antipatico e addirittura lo detestavano, dentro e fuori la Chiesa, ma non è mai sceso a compromessi. Non doveva piacere a tutti, doveva camminare sulla strada indicata da Cristo, coerente con la sua fede e i suoi valori.
Ho parlato con lui per l’ultima volta quel giovedì che non dimenticherò mai, il giorno del suo ricovero in ospedale. Dopo poche ore è sceso il silenzio e don Anselmo ha imboccato l’ultimo tratto del sentiero della sua vita, ha percorso gli ultimi passi che lo hanno condotto all’incontro con Dio.
Ad Deum, don Anselmo!