I virtuosi non fanno scalpore, vivono per lo più nell’ombra, nascosti in una normalità che non attira l’attenzione, raramente occupano le prime pagine dei giornali, aprono i notiziari delle emittenti televisive, spopolano sui social e quando accade è sempre perché compiono gesti reputati eroici, eclatanti ed inaspettati da quanti hanno l’abitudine alla mediocrità e non considerano la virtù normalità. In ogni caso la loro fama è effimera, dura lo spazio di un mattino, presto cedono il passo ad altri più seducenti ed accattivanti.
L’eroe negativo, il mostro o più semplicemente il furbo, che usa astuzia e perspicacia per aggirare e raggirare, eludere e scansare impegni, obblighi e fatiche attira molto più l’attenzione, suggestiona e catalizza simpatie, accondiscendenza e comprensione, rappresenta per tanti, più o meno consciamente, un modello, quanto si vorrebbe essere e non si è per codardia o per mancanza dell’occasione favorevole.
La virtù è una strada faticosa da percorrere ricercando la saggezza, postula la coscienza del nostro limite, della nostra parzialità e insufficienza. A lungo è stata concepita come un ideale di perfezione e di fatto rimossa dal quotidiano in quanto irraggiungibile e utopistica e non un obiettivo indispensabile del nostro vivere, per realizzarci autenticamente come persone e realizzare ogni giusto desiderio.
La virtù non si genera da se stessa, non passa per l’affermazione dell’”Io”, non è frutto della volontà, come erroneamente si potrebbe credere. La volontà può divenire anzi la sua nemica più acerrima, perché cristallizza i pregiudizi ed esalta l’orgoglio, non aiuta a vedere, ascoltare e capire fatti e persone e finisce per ridurla ad una sovrastruttura moralistica, dispensatrice di meriti e debiti. Essa nasce invece dalla relazione vera e libera con la realtà, si concretizza negli innumerevoli contesti con le proprie diversità e specificità, non è una qualità, ma un abito, una buona abitudine, in vista del compimento del bene, è esperienza del nostro essere “tu”, dell’essere il “tu” di un altro, che ci consente di comprendere qualità e valore di quanti ci sono accanto, di sostenere la tensione della diversità, di comporre le conflittualità, di meravigliarci della bellezza e di gustarla da qualunque parte essa provenga, di tollerare ed accettare gli errori, di cogliere il richiamo al bene che alberga nell’altro.
Il ribaltamento di mentalità, il salto sostanziale che siamo chiamati a compiere sono evidenti: per essere virtuosi non dobbiamo possedere la virtù ma esserne posseduti, abitati e nutriti.
La complessità del ragionamento non deve spaventarci.
Parlare di virtù non è un discorso astratto, lontano dalla concretezza della vita. Al contrario è coraggio di riflettere, di riconsiderare noi stessi, i nostri atteggiamenti, le nostre convinzioni e scelte, soprattutto quelle apparentemente meno rilevanti e più ripetitive, sotto una prospettiva altra.
Fare ciò che è giusto, considerare le regole del vivere sociale non come un peso da aggirare, eludere, trasgredire, brigando e dissimulando per farla franca e non subire conseguenze e ripercussioni, avvertire il senso della responsabilità che ci unisce gli uni agli altri, svolgere il proprio lavoro con coscienza e senso del dovere, pensare al bene comune e non solo ai propri interessi personali ed egoistici, accogliere con riguardo la diversità, il pensiero, la cultura e la fede religiosa di chi ci vive accanto, rispettare l’ambiente, non violentare la natura è questa la virtù.
Il terribile ordinario è il terreno della nostra vita da fecondare pazientemente e costantemente con la virtù. Dobbiamo partire dal piccolo e dal quotidiano.
Le strade della nostra città soffocano per il traffico impazzito, male odorano per i nostri rifiuti abbandonati. Parcheggiare sui marciapiedi, al posto dei diversamente abili o davanti l’ambulanza, intralciandone o impedendone di fatto la possibilità di soccorrere quanti dovessero averne bisogno, è per alcuni una assurda normalità. Lamentarsi per quello che non va è un ritornello stonato ed irritante se ripetuto da chi non si preoccupa dell’incoerenza tra quanto denuncia con le parole e i propri comportamenti personali, se il dovere di agire nella legalità sembra debba riguardare sempre gli altri e mai se stessi.
Tanti, la stragrande maggioranza scelgono la strada opposta, la strada della virtù e certamente non fanno notizia: pagano regolarmente le tasse, non schizzano in mezzo al traffico in barba a tutte le regole e infischiandosene della sicurezza altrui, amano il bello e la cultura, pensano al bene collettivo e si rimboccano le maniche per aiutare i meno fortunati in silenzio e senza fanfare.
Raccontare di costoro non fa scalpore, ma quanti fanno informazione ne dovrebbero avvertire la responsabilità.
È giusto parlare di ciò che non funziona, denunciare ingiustizie e cattive pratiche, ma non bisogna dimenticarsi del bello e del buono, delle storie di tanti virtuosi che possono nutrire cuori e menti, ispirare e regalare fiducia nel futuro.
Aristotele diceva che “la virtù è più contagiosa del vizio, a condizione che venga raccontata”.