Ospite inatteso e destabilizzante, il tempo ha fatto irruzione nel turbinio delle nostre giornate, nell’incalzare degli eventi che ci impegnano, spesso subiti passivamente e non vissuti consapevolmente. Dopo averne a lungo denunciato l’insufficienza per giustificare mancanze piccole e grandi, assenze nelle esistenze di quanti ci sono accanto, lasciati orfani di uno sguardo, una carezza, una parola pronunciata con piena adesione al suo significato e non con la leggerezza della casualità e di un sentire svagato, per motivare il disinteresse per quanto accade nella nostra città, nel nostro Paese e nel mondo, per scusarci della scelta di non misurarci con l’interiorità, la morale, la fede e Dio nel timore di dover mettere in discussione troppo di noi e in modo radicale, il tempo ora sovrabbonda e quasi ci intimorisce. Facciamo i conti con la realtà di un tempo che non ci governa affatto dispotico ed inesorabile, soggiogando cieco e insensibile la nostra umanità e dettando ritmi e indirizzi delle nostre scelte. Il tempo è nostro e lo è da sempre, nella nostra disponibilità, lo controlliamo, possiamo farne impiego come desideriamo, nessuno invero ce lo ha sottratto, ristretto o cancellato. È una verità disturbante, imbarazzante, che ci smaschera e mette a nudo i nostri ipocriti espedienti, le nostre diserzioni precipitose e scioccamente astute.
In questo tempo di sospensione e di respiro trattenuto, ci siamo scoperti fragili, canne sbattute da un vento impetuoso, immobilizzati e al contempo naufraghi in balia delle onde, di un divenire che ci appare incontrollabile a dispetto del nostro consolidato sapere, della nostra progredita scienza e delle nostre tecnologie avveniristiche, protagonisti dell’impensato e dell’impensabile, del creduto possibile soltanto negli immaginifici racconti di fecondi scrittori e creativi registi cinematografici.
In un isolamento in cui soffriamo la mancanza di affetti ed incontri, defraudati di quotidianità e certezze da un virus maligno, infettante e stravolgente, rapace soprattutto della saggezza dei nostri anziani e latore di sofferenze, a partire dalla dimensione personale ci è concesso il tempo di misurarci con una rinnovata organizzazione delle nostre esistenze, di rimediare agli errori, di scoprire il valore mai pienamente considerato di persone, storie ed affetti a causa della nostra superficialità, di attivare la solidarietà, di risvegliare la speranza capace di dare solidità, sostegno e senso a quanto sta accadendo. Possiamo strapparci al sortilegio del grande inganno, liberarci dai ceppi dell’insensata illusione, dalle catene del voluto fraintendimento: una vita traboccante cose importanti e futilità è altro rispetto alla pienezza del vivere.
E allora carpe diem, cogliamo l’attimo, inteso non banalmente come inseguimento dell’inconsistente, ma come approfittare del positivo di questo frangente difficile e negativo per ricominciare e ripartire, eliminando il superfluo, gli ingombri, l’impotenza, le illusioni e coltivando l’essenziale. Sulle prime i momenti difficili possono sembrarci insostenibili, duri, senza senso, ma come sempre accade attraversandoli emergono gli aspetti della nostra personalità rimasti soffocati, le passioni dimenticate, i valori e i principi che abbiamo segregato in qualche caverna dimenticata della nostra coscienza, giudicandoli orpelli superflui e intralci al conseguimento dei nostri fini, ci danno la forza di affrontare con coraggio quanto a lungo abbiamo cercato di fuggire. La stabilità, se è figlia della pigrizia e della paura, diviene impedimento a trasformare le sfide che la realtà ci propone in incredibili opportunità per migliorare.
Nella vita un ostacolo, un fermo, un disagio non sono mai un caso, un imprevisto, una sfortuna e tantomeno una fortuna. C’è la storia con i suoi antefatti, i suoi presupposti e le sue conseguenze, in cui possiamo rintracciare nessi e cause, anche se a volte non lineari, nascoste e difficili da scoprire, ma sempre evidenti con il loro prima e il loro dopo. E così anche il virus non è un accidente imprevedibile che ha investito la nostra civiltà, ma il prodotto della nostra storia, del nostro operare irrispettoso degli equilibri naturali, del creato. Dobbiamo metterlo a fuoco quanto prima per convertire l’insensato e l’impensabile che viviamo in una opportunità di cambiamento che parta dal personale e si estenda all’intera collettività, abbandonando egoismi, violenze e meschinità e investendo in amore, solidarietà e condivisione.
Il virus, un frammento mutante di RNA, mosso dal solo fine di impiantarsi in un organismo ospitante, segnatamente il nostro, e replicarsi quanto più possibile ci manda un messaggio chiaro: è necessaria una revisione profonda del nostro modo di stare al mondo. Il domani non sappiamo ora immaginarlo, non è dato sapere dove ci porterà questa esperienza, quali difficoltà dovremo fronteggiare quando l’epidemia sarà finita. Sicuramente quanto abbiamo fin qui conosciuto sarà sorpassato, dovremo rammendare le lacerazioni apertesi nella vita civile ed economica, ripensare il modello di società, le direttrici da imboccare e le priorità da perseguire. Possediamo la necessaria audacia e intraprendenza e insieme possiamo raccogliere la sfida e vincerla.