Terrasini, provincia di Palermo. 8 maggio 1978.
Sono circa le 21:00. Giuseppe Impastato, 30 anni, lascia Radio Aut, emittente radiofonica che ha fondato con un gruppo di amici, accumunati dalla militanza politica e dall’impegno contro la mafia, e va via in macchina. Due persone a bordo di un’auto lo stanno aspettando e lo seguono. E’ l’ultima volta che viene visto. Quella sera non rientra a casa. Immediatamente i compagni iniziano a cercarlo, perlustrano i dintorni della città tutta la notte. Viene ritrovato solo il giorno dopo, la mattina del 9 maggio. Dopo essere stato a lungo torturato, ancora vivo è stato posizionato sui binari della linea ferroviaria Trapani / Palermo e fatto saltare in aria con una carica di tritolo nel tentativo di inscenare un suicidio e distruggere la sua immagine pubblica. Le forze dell’ordine, giunte sul posto, non si preoccupano di preservare la scena del delitto, di cercare gli indizi utili a ricostruire l’accaduto e sono gli amici a recuperare i resti di Peppino sparsi su 300 metri di macerie, un misto di ferraglie, brandelli di carne, pietre e terra. Si deve a loro anche il rinvenimento delle tracce di sangue su alcune pietre all’interno del casolare adiacente la ferrovia, dove è stato torturato. L’unico interesse dei politici locali è far ripristinare rapidamente la circolazione dei treni. Molte prove vanno così perse, altre nel prosieguo delle indagini vengono occultate. Gli inquirenti accreditano subito l’ipotesi che Peppino Impastato stesse preparando un attentato terroristico e fosse morto per l’inesperienza nel maneggiare l’esplosivo, mentre altri lasciano intendere che si è trattato di suicidio. Radio Aut viene perquisita, documenti e prove dell’attività di Peppino Impastato sono sequestrati. L’obiettivo è impedire la ricostruzione del delitto, screditarlo facendolo passare per un terrorista suicida e cancellarne la memoria.
Seguono processi, inchieste e accuse. Per 23 anni i carnefici di Peppino Impastato, grazie a complicità e appoggi di cui godono nell’apparato dello Stato, riescono a nascondere la verità, lo seppelliscono sotto una montagna di falsità con prove inventate e depistaggi, uccidendolo una seconda volta. Grazie alla tenacia di sua madre, Felicia Bartolotta, sostenuta dagli amici di Peppino, Umberto Santino e Salvo Vitale, nel 2001 e 2002 finalmente emerge la verità: Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo vengono condannati con sentenza definitiva in qualità rispettivamente di mandante e di esecutore dell’omicidio. Si è trattato di una esecuzione mafiosa.
Peppino Impastato era un personaggio scomodo, un giovane uomo con gli occhiali e la barba incolta, un intellettuale di profonda sensibilità, che faceva politica dal basso, si nutriva di idealità ed era animato dal desiderio di contribuire al riscatto sociale, culturale e politico della sua terra, schiacciata sotto il tallone della mafia grazie alla complicità di politici collusi e corrotti. Apparteneva ad una famiglia di mafia. La sorella di suo padre, aveva spostato Cesare Manzella, capo della famiglia mafiosa di Cinisi, suo padre Luigi era legato alle cosche ed amico di Gaetano Badalamenti, al vertice di Cosa Nostra prima dei Corleonesi. Sua madre, Felicia Bartolotta, apparteneva invece ad una famiglia borghese, estranea agli ambienti mafiosi. L’unico suo torto era aver sposato per amore Luigi Impastato. Peppino a 15 anni, rifiuta l’ambiente e la cultura mafiosa, rompe con il padre che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1968 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. È in prima linea nelle battaglie dei disoccupati, contro il traffico di droga, gli affari del cemento che vedono a braccetto imprenditori mafiosi e politici, è al fianco dei contadini espropriati delle terre per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo. Costituisce con gli amici il Circolo Musica e cultura e con loro organizza dibattiti, cineforum e concerti. Nel 1977 fonda Radio Aut, emittente radiofonica libera e ne fa un veicolo forte e molto seguito di denuncia, in maniera spesso irriverente e satirica, degli affari illeciti della mafia locale, particolarmente del boss Gaetano Badalamenti, da lui ribattezzato Tano Seduto, chiama Cinisi Mafiopoli e il Municipio Maficipio. Il programma più seguito è Onda pazza a Mafiopoli, trasmissione satirica in cui sbeffeggia mafiosi e politici. Nel 1978 si candida alle elezioni locali nelle liste di Democrazia Proletaria. Viene assassinato qualche giorno prima delle votazioni, ma i cittadini di Cinisi lo eleggono, sia pur simbolicamente, consigliere comunale.
Raccontare la storia di Peppino Impastato è un dovere morale e civile nella nostra Italia così spesso dimentica dei suoi figli che hanno dato la vita per l’affermazione di principi, valori, diritti e libertà sanciti nella Costituzione, lottando per il riscatto degli ultimi, per la giustizia sociale e contro il sistema mafioso. Egli conosceva bene la mafia, non quella delle coppole e delle lupare, ma quella del sistema capillare di controllo del territorio e della vita dei cittadini, della prepotenza che assoggetta e divora le attività economiche pulite e sane, del sostituirsi allo Stato nell’offrire lavoro e opportunità in cambio di una fedeltà incondizionata, della collusione e del connubio con la politica a livello sia locale che nazionale, della prevaricazione dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Peppino Impastato, con la sua personalità sensibile e riflessiva di uomo impegnato nel sociale e nella politica e soprattutto nel contrasto alla mafia, è un faro e un esempio a cui tutti noi dovremmo guardare per ispirare il nostro impegno nella costruzione di una società giusta e libera da bisogni, condizionamenti e corruzione.