Un sabato pomeriggio grigio e uggioso. Un giorno in apparenza come tanti, scanditi da questa pandemia che ci ha sottratto la bellezza del contatto fisico, il piacere di una stretta di mano, il calore di un abbraccio, la gioia della condivisione di una tavolata imbandita di buon cibo e di risate tra amici. Una inquietudine sottile e pervasiva ritma ormai gesti e comportamenti, un timore malcelato nei confronti di un nemico subdolo e infido, capace di colpire quanto meno te lo aspetti e di provocare ferite laceranti negli affetti. Sentimenti e sensazioni che accomunano la gran parte di noi e di cui invece un ridotto rumoroso e ostinato di contestatori si dichiara incredulo e indifferente, negando incomprensibilmente l’evidenza, gli effetti devastanti del virus sulle vite di tanti, facendo proprie e propagandando teorie bislacche e gridando al complotto, ordito non si sa bene da chi e per quale recondita e inverosimile ragione, alla dittatura sanitaria o semplicemente minimizzando portata e rilevanza di quanto accade. D’un tratto il telefono squilla lacerando il silenzio ovattato che avvolge la stanza. Lo afferro un po’ contrariato. Considerando orario e giorno si tratterà della solita chiamata promozionale per convincermi a cambiare gestore delle utenze di casa o di un seccatore inopportuno. Il numero e il nome che compaiono sul display è quello di un amico. – Meno male – mi dico. Ho piacere di scambiare quattro chiacchiere con lui e perciò gli rispondo cordiale e rilassato. Mi accorgo immediatamente che qualcosa però non va. Ha una voce strana, affannata. – Sono positivo al Covid e sto male. Non riesco a respirare – mi dice tutto di un fiato. Sapevo che aveva fatto il tampone ed aveva avuto sintomi leggeri nei giorni precedenti, ma non pensavo stesse così male. Farfuglio qualche frase, cercando di tranquillizzarlo. – Fra un po’ c’è la partita….– cerco di sviare il discorso. È un tifoso accanito, viscerale e guardarla con lui è un divertimento. – Sto male – si limita a dirmi. – Tempo qualche giorno e ti sarai negativizzato. La prossima volta che giochiamo vieni qua da me e la vediamo insieme – insisto. Dopo qualche momento di silenzio torna a dirmi: – Ci sono dei momenti che proprio mi manca il respiro –. Avverto chiaramente che ha paura di non farcela. – Ma cosa ti sta dicendo la testa? Che stai pensando?- lo rimbrotto – Vedrai che la cura che ti hanno dato farà effetto rapidamente –. – Va bene – mi concede senza troppa convinzione. – Ti chiamo domani – gli prometto. La mattina dopo purtroppo viene ricoverato in ospedale e ora è in terapia intensiva. Ne uscirà presto, sono sicuro e, eternamente insoddisfatti, torneremo ad arrabbiarci e ad imprecare contro arbitri, giocatori ed allenatore della nostra squadra del cuore, a fare le nostre analisi calcistiche e ad immaginarne possibili traguardi. Il virus non l’avrà vinta, ne sono certo!
E così il virus ha toccato un mio amico, una persona cui sono legato ed è doloroso. Probabilmente la mia è una delle tante storie di questi giorni funestati da contagi in crescita esponenziale, ricoveri d’urgenza e centinaia di morti. Storie di persone, amicizie e sentimenti e non soltanto fredda contabilizzazione di aridi numeri. Penso al mio amico lì da solo nel reparto di rianimazione, alle persone che lo amano che non hanno notizie dirette di lui da giorni, che trascorrono il proprio tempo nell’ansia e nella trepidazione e ad ogni squillo del telefono smettono di respirare. Sento crescere in me la rabbia per le tante parole insensate pronunciate da sedicenti scienziati, internettologi negazionisti, complottisti e contrari all’uso delle mascherine, per i tanti comportamenti irresponsabili, per quanti sono interessati unicamente a lucrare spazi di notorietà sui social e possibili consensi elettorali in un gioco barbaro e cinico.
Trovo insopportabile e riprovevole il sentenziare di tanti leoni da tastiera dall’alto della loro esperienza e competenza forgiata davanti allo schermo di un computer, laureati all’università di internet in medicina con specialistica in virologia ed infettivologia, circa l’irrilevanza dell’infezione da Covid-19 se la paragoniamo alla mortalità per l’influenza stagionale, ai tumori, agli infarti e persino alla fame nel mondo. Quello che non riescono a comprendere è che il problema non è soltanto la mortalità in conseguenza del virus, ma il tasso di ospedalizzazione dei malati sintomatici rapportata al breve lasso di tempo in cui questo avviene. Nessuna malattia cronica è capace, come il Covid-19, di mandare all’aria da sola e in brevissimo tempo, un mese e poco più, la tenuta del sistema sanitario. L’influenza stagionale causa il ricovero e la morte di molte più persone, ma questo avviene in un arco temporale di sette mesi e non di qualche settimana. Analogo ragionamento va fatto per l’incidenza dei ricoveri per le altre patologie gravi: non si concentrano in pochi giorni e il sistema sanitario riesce a farvi fronte. Il tasso di mortalità esclusivamente per Covid-19 sarà anche basso e a non farcela saranno pure maggiormente persone anziane o fragili, affette da altre patologie, ma al di là che il loro ricovero satura il sistema, occupando posti letto in terapia intensiva e semintensiva, posti che non potranno essere utilizzati per altri pazienti che dovessero arrivare nelle strutture sanitarie in condizioni gravi, dobbiamo considerarli sacrificabili, materiale di scarto, la loro morte non costituisce un fatto inaccettabile, o forse perché si tratta per la gran parte di persone non utili e funzionali allo sforzo produttivo del paese, come ha sentenziato il Presidente della Regione Liguria, ci deve lasciare indifferenti?
A sentire poi certi “autorevoli” esperti sproloquiare sul virus, snocciolando dati senza il minimo riscontro scientifico, non solo sui social ma perfino nelle reti televisive nazionali, la totalità di scienziati, medici e personale sanitario sono una massa di pecoroni belanti, di venduti al grande complotto delle BigPharma, che amano mascherarsi con camici e mascherine per andare in corsia in una sorta di gran ballo dell’idiozia e dell’inutilità, in tenuta da combattimento contro un nemico inesistente.
Sarebbe il caso che la finissero una buona volta di raccontare stupidaggini e portassero rispetto per le sofferenze di quanti sono stati colpiti dal virus, per le migliaia di persone che non ce l’hanno fatta e il dolore dei loro familiari.