LE OPERE
Benché a scuola avesse imparato a leggere e a scrivere malamente, C. fu autore straordinariamente fecondo. Del primo periodo della sua produzione letteraria, rimangono inedite diverse opere minori nei due mss. J. 5.25 eJ. 5.14 di 5. Francesco a Ripa; ma, alcune di esse sono raccolte desunte da altri autori: per es.: l'opuscolo Delli stati dell'anima per arrivare alla pe~ttione è desunto quasi completamente alla lettera dal Paradiso dei contemplativi di Bartolomeo da Saluùo. Tra le altre opere inedite ricordiamo: Il piccolo giardi no di rose (novena del Natale); La vita e conforto dell'anima (meditazioni sulla Passione); Inganni che possono causare all'anima alcune occulte tentationi; Il mesto horticello delle meditationi della Passione, Breve compendio dell'oratione, Modo di recitare loffitio, cioè li Pater noster; ecc. Solo qualche breve scritto vide la luce recentemente in pubblicazioni periodiche: Lettera sopra la contemplatione e i suoi effetti, in Vita cri-stiana, VIII (1936), pp. 522-534; Quello che deve fare l'anima devota e desiderosa di ricevere il SS. Sacramento, in Santa Chiara, il (1960), pp. 14-27; ecc.
Le opere del secondo periodo, scritte per obbedienza, sono, in complesso, originali e di grande interesse; elenchiamo le edite e le principali inedite: Trattato delle tre vie della meditazione e stati della santa contemplatione, Roma 1654 (1664, 1742); Canti spù~tuali, Roma 1654 (1664, Torino 1959; Camino interno dell'anima ~osa dell'bumanato Verbo Christo Giesù, Roma 1664; Devoti discorsi della Passione di Giesù Christo, pubblicati da G. Cerafogli (5. Carlo da Sezze, La passione di Gesù Cristo, Roma 1960); Settenari sacr4 ovvero meditationipie per sollevare l'anima all'unione con Dio per li sette giorni della settimana, Roma 1666 (in appendice, le Novene del Signore e della Vergine); Le grandezze delle misericordie di Dio in un anima aiutata dalla Gratia divina, cioè l'autobiografia, pubblicata testualmente, nelle parti più essenziali, a cura di 5. Gori, in occasione della canonizzazione (5. Carlo da Sezze, Autobiografra, Roma 1959); Esemplare del cristiano, cioè la vita del Signore, l'opera più voluminosa, tuttora inedita. Secondo quanto risulta da numerose e documentate segnalazioni, alcune opere e molte lettere di C. sono andate perdute, oltre a molti autografi delle opere a noi giunte (c£ 5. Gori, 5. Carlo da Sezze scrittore mistico, in Studi Francescani, LVIII [19611, p. 220).
LA DOTTRINA. P. Girolamo da Montefortino, censore dell'Esemplare del cristiano, si dichiarò sorpreso dei «pregi intrinseci» della dottrina contenuta in quell'opera e lo stesso giudizio può estendesi a tutta la dottrina spirituale di C., che è caratterizzata da tre doti: semplicità di eloqulo e di esposizione, l'autore rende accessibili a tutti anche i pensieri più elevati e sublimi. In virtù della sodezza, sintetizza e illustra efficacemente i principi fondamentali, e perciò immutabili dell'ascetica cattolica: la santità non consiste nell'abito esteriore o nell'atteggiamento devoto (Settenari, p. 36), non nel fervore sensibile (Esemplare, £ 46r), non nelle penitenze (Settenari, p.
128) e neppure nei doni mistici straordinari (Tre vie, p. 98), ma nell'amore di Dio, dimostrato con l'adempimento della sua volontà (Camino mt., p. 55) e col prendere dalle sue mani ogni tribolazione (Autobiografia, £ 295v), sicché «più perfetti e più santi sono quelli che più amano il Signore e più patiscono per amor suo» (Tre vie, p. 99), e «tanta è in noi la misura della perfettione, quanta la misura dell'amore, quanta è la misura del distacco dal mondo e santa povertà di spirito» (ibid., p. 46).
Con la seraficità, che rese la sua vita «impastata d'amor di Dio». C. seppe far convergere tutta la sua attività interna ed esterna all'aumento della carità; come maestro di orazione, infine, esortò a chiedere principalmente le tre virtù teologali (Esemplare, £ 375v).
Francescanamente cristocentrica fu la spiritualità di C., persuaso che «la vita di Christo,le sue attioni e parole, sono via che ci guida, verità che ci illumina e vita che ci pasce... E via nell'esempio, verità nelle promesse, è vita nel premio» (Settenari, p. 240). C. volle contemplare il suo Dio nei misteri dell'infanzia, donde la sua particolare devozione al Presepe (Autobiografia, f£ 38fr-382v, 389rv); lo volle contemplare nei misteri dolorosi che lo condussero all'eroismo della pazienza (Autobiografia, ff. 181v-182v); volle contemplarlo nell'Eucaristia, per cui, in pieno sec. XVII, divenne apostolo della Comunione quotidiana, confessando che le grazie da essa ricevute sono «imaccontabili» ibid., £ 264v). In particolare, C. deve all'Eucaristia, oltre che la ferita d'amore, le più alte forme della contemplazione infusa (Camino mt., p. 756).
Il santo insegna ad andare a Gesù per mezzo di Maria, non solo giovandosi della sua mediazione (Autobiografia, £ 334r) ed imitandone le virtù (Settenari, p. 358), ma anche perché per lei si ottiene la vittoria sui due principali ostacoli all'avanzamento nel bene, cioè la tiepidezza e la pusillanimità (ibid., p. 353). Inoltre, insegna a porre come condizioni irrinunciabili per l'ascesa dello spirito l'umiltà (ibid., pp. 307, 479)e l'obbedienza (ibid., pp. 230, 233; Autobiografia, f£ 127r, 176r), virtù indispensabili per l'efficacia della direzione spirituale (Autobiografia, f£ 418v-419r; Tre vie, p. 100). Infine, suggerisce di alimentare quotidianamente la divina carità nel nostro cuore:
con lo spirito di fede, che ci fa vedere Dio in tutte le cose e da tutte le cose risalire a lui, prima causa e primo amore (Settenari, pp. 54 sg., 520; Camino mt., p. 533); con una triplice purità, cioè purezza di anima, o delicatezza di coscienza (Autobiografia, f. 387v), di mente, o retta intenzione nell'opera (ibid., f£ 95rv, 284rv; Esemplare, £ 171v) e di cuore, o distacco perfetto (Tre vie, p. 46; Settenari, p. 180); con l'accettazione della croce giornaliera, «scuola divina della croce santa» (Cammino mt., p. 76); col pane quotidiano della grazia, del quale l'anima ha bisogno in «ogni stato, in ogni ora e momento» (Settenari, p. 438); e ancora, con l'esercizio della confidenza in Dio, o infanzia dello spirito (Autobiografia, f£ 128v-129v), espresso nel motto programmatico: «Lasciarsi portare da Dio» (ibid., f£ 176r, 219v, 355rv).
D'importanza veramente eccezionale è la dottrina mistica di C., da lui esposta in maniera dettagliata specialmente nell'Autobiografia, nel Trattato delle tre vie e nel Camino interno opere che recano un valido contributo a questa nobilissima scienza sacra, poiché, fra l'altro, l'autore scrive di cose che egli stesso ha già sperimentato (Autobiografia, £ 305v). Ben a ragione C. fu paragonato a 5. Giovanni della Croce e a 5. Teresa d'Avila, che fu considerata dal mistico francescano nello scrivere sull'orazione quale la maestra datagli da Dio (ibid., f. 305r).
È da notare che questo «scrittore senza lettere» distingue accuratamente: le operazioni attive dalle mistiche o passive (Camino mt., p. 400), la contemplazione infusa da quella acquisita (ibid., pp. 453, 468), le vere visioni dalle false (ibid., p. 464), e premonnisce contro l'illusione che le grazie mistiche straordinarie abbiano a durare sempre (ibid., p. 54; Tre vie, p. 155) o che le tentazioni abbiano a cessare (Settenari, p. 62). Nel trattare dei gradi della contemplazione, non segue il criterio dei moderni teologi, ma usa generalmente le parole gradi e stati nel senso di elementi; fisi o effetti: egli è quindi molto originale nella classificazione, nella nomenclatura e nella descrizione dei fenomeni mistici, sebbene il suo schema si possa facilmente ricondurre a quello di s. Teresa (c£ 5. Gori, art. ct., pp. 229 sgg., 235; I. Rotoli, op. cit. in bibli., pp. 31, 84, 120). C., per parte sua, ci fa conoscere alcune forme, o stati di orazione passiva non descritti, almeno esplicitamente, da 5. Teresa e da 5. Giovanni della Croce, cioè quelli della «lotta spirituale delle potenze», della «presenza di Dio», della «allegrezza del cuore» e altri; inoltre, presenta nuovi elementi sulla natura stessa del matrimonio spirituale (cf. I. Rotoli, p. 138; 5. Gori, art. cit., p. 257). Sotto l'aspetto mistico, è anche interessante il fenomeno, più unico che raro, dello stigma prodigiosamente comparso sul costato di C. dopo la sua morte.SEVERINO GORI dall'Enciclopedia Bibliòtheca Sanctorum 48.
Carlo si distingue da tutti gli altri santi stigmatizzati perché è il solo tra essi ad essere stato trafitto direttamente dall’Ostia Consacrata ( La Santa Eucarestia ) durante lo svolgimento della Santa Messa. Per celebrare degnamente tale ricorrenza la parrocchia della Cattedrale di S. Maria di Sezze ha richiesto le spoglie mortali di S. Carlo al Convento di S. Francesco a Ripa di Roma per esporre l’urna del santo alla venerazione dei fedeli nel periodo di tempo che và dal 27 settembre al 1° novembre del 1998. La “trasverberazione” o “stigmatizzazione” del cuore di S.Carlo è stato l’evento più prodigioso e soprannaturale avvenuto nella vita di S. Carlo da Sezze che così racconta l’episodio nella sua autobiografia ( “Le Grandezze della Misericordia di Dio “, Libro VII, 6° cap.” ): “…Et quando andava per Roma accattanno elimosina, che m’incontrava a passare avanti a qualche chiesa…m’inginocchiava avanti alla porta, e , rivolto al Santissimo Sacramento, pregava nostro Signore che mi dasse il suo amore…Un dì, frà gli altri, si cercava in quelle bande in Cape le Case, et, gionto alla chiesa del glorioso S. Giuseppe...mi posi in ginocchio nel scalino della porta a far orazione, essendo uscita la santa messa nell’altare maggiore…Et, nell’alzare il sacerdote l’ostia consegrata, viddi da quella, con gli occhi dell’anima, uscire come un raggio di luce, e venire a ferirme nel cuore; et fu con tanta prestezza, che non gli saprei assegniar tempo. L’affetto poi che mi fece nel cuore fu come una cosa sensibile fatta da un ferro materiale, et fece quel moto appunto che si vede fare ad un ferro quando che, postosi nella fucina, che si è convertito tutto in foco, et che così arrosito si pone in un vaso d’acqua et fa quella sorte di mormurio…Et quando nostro Signore si degniò, per sua liberalità, di farme questo favore de così spiritovalmente ferirmi nel cuore, penso…che fusse per il mese di ottobre nel 1648…”. Secondo le testimonianze di alcune religiose del monastero di S. Giuseppe, fra Carlo rimase privo di sensi per vario tempo, tanto che dovettero mandar “fuori aceti e cose confortative per farlo rinvenire”, sebbene alcune dicessero che non si trattava di “svenimento naturale ma di cosa soprannaturale”. Secondo altre testimonianze fra Carlo, per timore di peccare di vanagloria, pregò il Signore perché si chiudesse la medesima ferita, che “fece per qualche tempo sangue”. Si testimonia anche che il santo, nonostante che la ferita fosse chiusa, ne sentì il dolore fino alla morte. Il 6 gennaio 1670 infine, cioè alla morte di S. Carlo, comparve definitivamente sul suo petto un singolare “stigma” che venne riconosciuto di origine soprannaturale da un’apposita commissione medica e fu adottato come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione.