“Se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli questi benedetti elettori”.
Corrado Guzzanti
Centristi d’Italia, il centro s’è desto!
Al centro, al centro è il grido degli autonominatisi interpreti dello spazio politico più ambito nel Belpaese i quali, erranti in ogni schieramento senza mai trovar pace, inseguono questo sogno e, non troppo moderatamente, sgomitano per assicurarsi un posticino al sole.
Nel frastuono inconcludente della politica odierna, i redivivi alfieri del moderatismo nostrano fantasticano alchimie e improbabili mescolanze, speranzosi che, dopo i molti tentativi andati a vuoto a causa di un elettorato indifferente ai loro richiami, questa finalmente sia la volta buona. Sventolano bandiere a lungo dismesse, si propongono come il punto gravitazionale dell’intera politica futura, proclamano la bellezza dell’equidistanza, rifiutano gli estremismi e rivendicano orgogliosi di rappresentare l’unica via di fuga da battibecchi e bellicosità. Si elevano al di sopra delle meschine definizioni partigiane, dei programmi che impegnano così tanto gli oltranzisti d’ogni stampo e colore, si ammantano dell’invidiabile dote dell’attenta considerazione e della lenta attuazione e giurano che solo loro possono garantire una politica sensata. Una idea suggestiva quella del centro, della via mediana come soluzione a tutti i mali, assai prossima al senso comune. Peccato che nei tempi che viviamo, tra pandemia e crisi economica, simili doti hanno scarso fascino, è più facile considerare le loro proposte di modifiche pragmatiche come il tentativo di non cambiare nulla, di difendere lo status quo, la loro insistenza sull’equivalenza politica e morale di tutti gli schieramenti l’effetto dell’incapacità di uscire dal ristretto recinto delle loro posizioni privilegiate, accessibili solo a quanti sono lontani dalle estremità taglienti delle diseguaglianze, del disagio sociale e delle povertà innescate dalla crisi climatica. Dinanzi al venir meno di garanzie e protezioni, i cittadini esigono cambiamenti netti e risultati immediati, preferiscono affidarsi a quanti fanno promesse trasformative dell’esistente, commisurate all’urgente gravità degli eventi. Riguardo le grandi problematiche che ci angustiano, come l’indebitamento generazionale, la crisi degli alloggi, le disparità crescenti, l’insicurezza del lavoro, che mettono in discussione le opportunità, minacciano i mezzi di sostentamento e persino le vite, le risposte centriste suonano inadeguate, la moderazione e la lenta attuazione un affronto. Se pensiamo ai cambiamenti climatici l’unica soluzione è l’immediata e radicale azione all’interno di una strategia a lungo termine. Affidarsi ad una politica tradizionale, impregnata di cultura del compromesso e della mediazione ad ogni costo è avvertito come una scelta avventata e incongrua.
Il nostro futuro è dunque inevitabilmente ipotecato da radicalismi ed estremismi? No, tutt’altro. Infatti l’ubriacatura populista sembra in fase calante. Il depotenziamento elettorale dei partiti e movimenti che l’hanno incarnata, racconta uno scenario in evoluzione, effetto della presa di coscienza dei cittadini dell’assenza di progettualità realistiche che ha sostanziato negli anni simili esperienze politiche, dell’impossibilità di governare la complessità con le loro proposte semplicistiche, utili ad accaparrarsi i consensi ma totalmente inadeguate e inapplicabili. Sebbene gli esiti non siano affatto scontati e potrebbero esserci ondate di riflusso, molti segnali lasciano intendere che possa aprirsi una fase nuova. L’alternativa a populismi e radicalismi va costruita pazientemente e non può consistere nell’annullamento delle differenze politiche e programmatiche, tantomeno può ridursi ad un moderatismo di maniera, ad un pragmatismo senza spinta ideale che mescola tutto in un indistinto, ad una ricerca della mediazione fine a se stessa invece di puntare un contemperamento alto delle differenze. Soltanto la buona politica, improntata a idealità e lungimiranza, affrancata dalla rincorsa permanente al consenso immediato e incarnata da una classe dirigente qualificata, rappresentativa, eticamente irreprensibile e orientata al bene comune può permettere al paese di uscire dalle secche. Volgersi all’indietro, avere nostalgia dei bei tempi andati (ammesso che belli lo siano stati realmente) non serve a nulla, è anzi deleterio. Il consenso va conquistato non per la collocazione geografica sullo scacchiere politico, ma per la qualità delle proposte e la credibilità delle persone che le incarnano. L’obiettivo deve essere la realizzazione di una democrazia matura, nella quale si confrontino progettualità alternative e i partiti siano uno spazio effettivo di partecipazione attraverso una presenza capillare sul territorio, luoghi di incontro e confronto finalizzati a intermediare nelle istituzioni le domande che salgono dalla concretezza del vivere quotidiano. Occorre tessere una rete per assicurare la presenza attiva e il protagonismo democratico dei cittadini, utilizzando certo gli strumenti che la moderna tecnologia ci offre, ma evitando l’errore fatale di relegare il rapporto con le persone alla virtualità dei social, strumenti formidabili di conoscenza e comunicazione ma anche fatalmente spersonalizzanti.
Rimediare ai danni prodotti dal caravanserraglio populista, che ha messo seriamente in discussione la tenuta delle istituzioni e la qualità della nostra democrazia, la quale si fonda su principi e valori condivisi, sul rispetto formale e sostanziale delle regole e richiede di essere salvaguardata dalle ricorrenti tentazioni autocratiche e autoritarie che si annidano tra le sue pieghe e dalle posizioni estremiste finalizzate a intaccare la sfera dei diritti e delle libertà, non sarà impresa facile e richiederà un lavoro lungo. Il primo passo è mettere fine alla radicalizzazione dello scontro politico, considerare l’avversario un interlocutore con cui confrontarsi, portatore di posizioni diverse e arricchenti, non un nemico da abbattere personalmente e politicamente. In questi ultimi anni dal vaffa day al linguaggio ingiurioso, passando per la criminalizzazione aprioristica delle forze politica che hanno avuto in passato ruoli di governo, sono state scritte pagine né nobili, né costruttive e né qualificanti per la democrazia.
Bisogna ritornare alla Costituzione, ai suoi valori e alle sue idealità.
Pensare che le cose cambino restando alla finestra, disinteressarsi della cosa pubblica, richiudersi nel proprio piccolo mondo non contribuiranno a restituire al nostro paese una classe dirigente credibile e all’altezza delle sfide da affrontare.
È il tempo dell’impegno.