La politica setina ha sempre avuto tratti di spiccata originalità. Nel tempo ha espresso personalità di indiscutibile valore che, fatte salve le inevitabili eccezioni, hanno avuto come orizzonte del proprio impegno il bene comune e la promozione sociale e culturale della nostra comunità. Come in tutte le attività umane gli errori sono stati inevitabili e lo saranno anche in futuro, nessuno ne è esente.
La progressiva perdita di spessore politico e culturale che ha riguardato i protagonisti della scena pubblica ai vari livelli, conseguente alla fine delle grandi contrapposizioni ideologiche e all’affermarsi di un pragmatismo spesso poco interessato all’aspetto valoriale, non ha risparmiato la nostra città. Invero gran parte di coloro che hanno amministrato Sezze in questi anni lo ha fatto con disciplina, onore e rigore etico, ma ci sono stati anche episodi preoccupanti. La smania di protagonismo e la ricerca del potere personale in alcuni hanno prevalso e si sono unite a un tatticismo esasperante, finalizzato ad accaparrarsi consensi, posti, posizioni e privilegi, soppiantando per molti versi la ricerca del bene comune, che è il fine ultimo dell’impegno politico.
Il governo di una comunità richiede una visione politica generale, un pensiero lungo in grado di immaginare le direttrici fondamentali dello sviluppo sociale, culturale ed economico, il rispetto dei tempi di crescita e di maturazione di tutti e di ciascuno e il non lasciare indietro o escludere nessuno. Pertanto non è sufficiente la mera gestione dell’ordinario, il vivacchiare e il galleggiare senza prospettive.
La nostra città ha necessità di una politica salda nei riferimenti valoriali, ancorata a radici culturali forti e definite, ma purtroppo il quadro attuale è sconfortante. La politica cittadina espressa da alcuni suoi protagonisti è solo la parvenza di se stessa, un’illusione mediatica, un pragmatismo che subisce gli eventi anziché governarli, è incarnata in contenitori indistinti ed eterogenei, tenuti insieme dal mero collante numerico, utile a battere gli avversari ma privo di una progettualità condivisa. Spesso poi alla base dell’impegno non c’è lo spirito di servizio a favore della comunità, ma solo il puro appagamento del proprio ego.
L’individualismo si esplicita all’interno dei partiti (quelli che ancora resistono alla ventata nuovista che predilige strutture leggere utili nei passaggi elettorali e da tenere quiescenti per il resto del tempo) in un correntismo funzionale alle rivendicazioni di spazi e posti di governo e sottogoverno di cacicchi e collezionisti di tessere, per lo più incapaci di elaborazione progettuale e sintesi politiche alte, risultato di un confronto aperto e libero tra le varie sensibilità culturali e programmatiche dei cittadini.
La punta estrema di questa autoreferenzialità è costituita dal civismo senza apparente collocazione politica, la cui funzione è catalizzare i consensi e canalizzarli al perseguimento di obiettivi nella migliore delle ipotesi esplicitati in modo sommario e confuso e più spesso totalmente altri da quelli dichiarati formalmente. In tal modo un’esperienza seria e rilevante è stata svilita, resa solo funzionale alla conquista di scranni nelle assemblee elettive e ruoli gestionali negli organismi esecutivi per gruppi ristretti di persone.
Il civismo sano e autentico non è mai un miscuglio indigeribile e ingestibile di posizioni inconciliabili idealmente e culturalmente, ma vive di valori ed è uno strumento finalizzato a consentire una partecipazione più ampia rispetto al recinto ristretto dell’appartenenza partitica. Il civismo politicamente indefinito e indistinto è preoccupante, in quanto racconta l’affermarsi di logiche svilenti il senso stesso della alternatività democratica, produce paralisi nell’agire amministrativo, un galleggiare in balia dei marosi in ragione della contraddittorietà e conflittualità delle posizioni costrette ad una convivenza forzata.
Una simile fenomenologia di civismo a Sezze è stata in parte favorita da partiti e movimenti riconducibili ai diversi schieramenti, nella convinzione che si sarebbe accontentato di un ruolo ancillare e complementare, in cambio di traspuntini e posti di potere. Un calcolo rivelatosi fallace e che ha aperto le porte del palazzo comunale a quanti, riproducendone i meccanismi di raccolta del consenso, si sono fatti essi stessi protagonisti di una nuova stagione amministrativa, proponendosi come alternativa a progetti politici lungamente dominanti, avvertiti dai cittadini come usurati e non più convincenti. Occorre sgomberare però il campo da possibili equivoci. Se nel voto amministrativo ha prevalso una coalizione civica è accaduto per ragioni che esulano dalla semplice costruzione delle liste elettorali, dal ruolo certo importante di mezzi di comunicazione e social e anche dalle inchieste della magistratura. Piuttosto il dato inoppugnabile è che il civismo ha avuto la capacità di intercettare la voglia di cambiamento dei cittadini e l’ha tradotta in consensi.
Tuttavia dopo oltre un anno e mezzo la delusione e il disincanto per questa esperienza amministrativa comincia a farsi strada. Improvvisarsi amministratori e in più non avere un progetto politico definito, una idea generale verso cui guidare la comunità non paga. L’incapacità o l’impossibilità di trovare una sintesi efficace tra le diverse anime interne, la navigazione a vista e il destreggiarsi in un ordinario spesso fuori controllo sta impedendo alla nostra comunità di usufruire di opportunità inedite e irripetibili come il PNRR, a differenza di tanti comuni limitrofi. E tutto questo mentre si destreggia tra giustificazioni inconsistenti, il querulo ripetere che è colpa di quanti hanno amministrato prima, la rivendicazione di una presunta superiorità morale che impedirebbe agli altri persino di criticare e l’uso becero dei social per denigrare gratuitamente gli avversari politici. Probabilmente non hanno ben chiaro che amministrare una città è cosa diversa dalla campagna elettorale, che una volta assunti incarichi e funzioni bisogna onorare il proprio mandato e non dilettarsi sui social con post di dubbia opportunità per toni e contenuti, produrre atti amministrativi e portare risultati concreti a favore di tutti i cittadini, che la critica politica è il sale della democrazia e mettere in campo di progetti politici alternativi è sacrosanto. Soltanto nei regimi autoritari simili possibilità sono escluse e quanti osano contrapporsi vengono silenziati e impediti di agire.