“Ormai il PD è un partito schizofrenico...” .
Parole buttate lì con distaccata indifferenza, disinvolta noncuranza, ostentato disinteresse nell’ambito di una polemica tutta locale e in apparenza non così rilevante. Eppure le parole ci rappresentano, raccontano di noi, della nostra sensibilità, cultura e carattere, sono un veicolo per esprimere i nostri pensieri e hanno conseguenze allo stesso modo delle azioni. Tutti dovremmo fare attenzione alle parole, soprattutto coloro che hanno responsabilità sociali, politiche e amministrative, un ruolo di educazione, guida e rappresentanza dei cittadini. L’esempio personale vale più di migliaia di discorsi, circolari, atti amministrativi e deliberazioni.
Il confronto politico può essere aspro, duro, senza esclusione di colpi, ma utilizzare un linguaggio corretto e rispettoso è fondamentale in ogni contesto e occasione, in particolare quando si fa riferimento alle condizioni dei più fragili, di quanti vivono una situazione di disabilità o malattia. Non è una questione linguistica, è sostanza, è cultura, è mentalità radicata e che si radica.
La lotta contro le discriminazioni e lo stigma sociale portata avanti da quanti vivono il disagio di una malattia invalidante o di una disabilità e dalle loro famiglie, per cambiare il mondo che le circonda e farsi spazio nella società, è lungi dall’approdare a risultati solidi e incontrastati e il rischio della regressione è forte.
In questi anni tanto è cambiato, la società si è evoluta e con lei la cultura. Nel mondo del lavoro, per esempio, si sta imparando che una persona disabile può portare un valore aggiunto nell’azienda e assumerla non è solo un atto di generosità nei confronti di una categoria fragile. Sicuramente c’è un’accoglienza diversa di queste persone ed è un segnale importantissimo culturale ancor prima che sociale.
Il linguaggio è l’alfabeto di questa cultura in evoluzione e per questo sdoganare determinati termini e farne uso in maniera sconsiderata non è affatto indifferente, significa rischiare di fare un passo indietro di decenni.
Usare le parole della disabilità e della malattia per offendere è una inaccettabile abitudine, ma quel che è peggio è che da alcuni è considerato un modo di dire e ne viene sminuita la gravità. Per quanto l’abitudine faccia dimenticare il significato originario di alcune parole o si cerchi di giustificarne l’uso facendo riferimento al contesto del discorso all’interno del quale sono pronunciate, si tratta di termini offensivi e discriminatori nei confronti della categoria di persone cui si riferiscono e usarli alimenta la cultura del pregiudizio e della discriminazione. Probabilmente per alcuni quest’ultimo aspetto è la parte più difficile da comprendere, ma la questione è importante perché inquina la nostra società senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Se sanzionare gli episodi di razzismo, sessismo e blasfemia è fuori discussione, lo è altrettanto non considerare sciocchezze o errori di poco conto i veri e propri insulti che offendono le persone attraverso l’uso dei termini della disabilità e della malattia. Schizofrenico, mongoloide, autistico, handicappato, cerebroleso sono termini discriminatori e offensivi tanto quanto negro, ebreo o zingaro.
Non è questione di politically correct, di formalismi, ma di sostanza.
Le parole sono rilevanti, per questo è fondamentale non usare espressioni linguistiche discriminanti, consapevoli che il linguaggio ha un potere trasformativo. Ricorrere alla disabilità e alla malattia mentale come metafora negativa per colpire gli altri perpetua l’idea che le persone che ne sono affette siano inferiori, contribuisce a costruirne un’immagine stereotipata e distorta e soprattutto le riduce alla propria situazione, che diviene così uno status totalizzante, essenzialistico, che annulla tutto il resto.
Il primo passo da compiere è prendere consapevolezza che non tutte le persone sono abili, ma ne esistono con disabilità, una condizione né negativa né positiva in sé e che con il nostro linguaggio possiamo contribuire ad accrescere la loro marginalizzazione o a farle uscire da quella percezione di inferiorità e discriminazione.
In generale impiegare certe espressioni certo ormai fa parte di automatismi linguistici ad uso comune, ma la consapevolezza di cosa rappresentano realmente deve farci comprendere che è necessario dismetterle completamente, spingersi ad impegnarci affinché anche gli altri le cancellino dal proprio vocabolario, specialmente quanti si intestardiscono ad usarle per ignoranza nei confronti di determinate condizioni o per ingiustificabile e imperdonabile leggerezza.
Nessuno vuole censurare il linguaggio e certamente conta il contesto, la confidenza che si ha con la persona cui ci si rivolge, la pubblicità o meno della discussione, la conoscenza che si ha dell’altro e dei suoi traumi, ma questo non elimina la sconvenienza, l’offensività e l’inopportunità di alcune parole.
Quanti ricoprono incarichi istituzionali e funzioni pubbliche dovrebbero avere sempre piena contezza del proprio ruolo, mantenere un profilo alto, non abbandonarsi alle offese anche quando si ritiene di essere stati attaccati duramente sul piano personale e soprattutto determinati termini non dovrebbero essere usati strumentalmente per rafforzare le proprie posizioni, per rappresentarsi come i migliori, per cercare di convincere della bontà delle proprie opinioni a costo di far sentire gli altri inferiori.
Quando parliamo di violenza all’interno delle relazioni e nella società il pensiero automaticamente si orienta verso l’aggressione fisica o sessuale. Eppure la violenza si presenta in molte forme, alcune non visibili come le offese, le accuse immotivate, la denigrazione, la mancanza di rispetto, la svalutazione, la menzogna, i ricatti, il tentativo di limitare la libertà personale e impedire di esprimere il proprio pensiero in nome di una presunta superiorità etica, culturale e politica.
Le idee si possono discutere, le persone si devono rispettare e quanti sostengono opinioni diverse non sono un nemico da offendere o eliminare.
È una questione di umanità e di buon senso, prima ancora che di democrazia.
P.S.: Sono attese reazioni scomposte da parte dei soliti leoni da tastiera...