“Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia. Fu condannato a undici anni, (nove in realtà) per un reato mai tirato in ballo fino ad allora. Il plagio. Per giunta ai danni di un maggiorenne… Tutto è plagio, che scoperta! Qualunque soggetto pensante e parlante è quotidianamente sottoposto a plagio. In seguito, sempre troppo tardi, questo reato fu cancellato dal codice penale. Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale, la vendetta delle masse. Era l’intellettuale migliore che avesse l’Italia all’epoca. Aveva interessi pittorici, letterari, musicali. Profeta in anticipo di trent’anni. Fu uno dei primi a condannare il consumismo. I “diversi” allora in Italia si contavano. Lui, Pasolini, pochi altri” (Carmelo Bene).
Parole trancianti quelle di Carmelo Bene, attore, regista, drammaturgo, filosofo, scrittore e poeta, protagonista della neoavanguardia teatrale italiana e tra i fondatori del nuovo teatro italiano, con le quali ha provato a lasciare traccia di quanto accaduto a Roma ad Aldo Braibanti, la cui vicenda alla fine degli anni sessanta fece scalpore, ma su cui si cercò di spegnere rapidamente i riflettori in quanto così conveniva alla buona creanza ed ora abbiamo l’opportunità di riscoprire grazie al film Il signore delle formiche di Gianni Amelio.
Laureatosi in filosofia teoretica, partigiano e attivista antifascista, poeta, autore e regista teatrale ed anche mirmecologo, cioè studioso delle formiche, Aldo Braibanti, impersonato nel film da Luigi Lo Cascio, venne accusato di plagio e condannato a nove anni di carcere per aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, Ettore Sanfratello, interpretato da Leonardo Maltese, il quale ci regala una bellissima prova d’attore per la potenza espressiva con cui attraversa l’obiettivo della macchina da presa e per la forte empatia che instaura con gli spettatori, particolarmente nei momenti più duri e dolorosi come quando viene fatto rinchiudere in un ospedale psichiatrico e sottoposto a una serie di devastanti elettroshock perché guarisse da quell’influsso diabolico.
Il film prende spunto da fatti realmente accaduti e racconta una storia a più voci. Accanto alla figura dell’imputato prendono corpo famigliari e amici, accusatori e sostenitori e soprattutto emerge l’atteggiamento distratto e indifferente dell’opinione pubblica. Soltanto il giornalista Ennio, interpretato da Elio Germano, stoico, pugnace ed estremamente misurato in un ruolo che gli sembra cucito addosso, a cui il direttore dell’Unità affida il compito di seguire il processo, si impegna a ricostruire la verità, affrontando sospetti e censure. Un personaggio inventato, che ha il pregio di rendere l’intero racconto più coinvolgente anche sotto il profilo umano.
La narrazione scorre fluida e riesce nell’impresa di ripercorrere una delle pagine più importanti e nascoste della storia recente dell’Italia. Il film inizia con Aldo Braibanti ed Ettore Sanfratello che dialogano sulla riva del Tevere utilizzando la poesia. È una sera apparentemente come tante, durante il Festival dell’Unità, al termine della quale ritornano nella pensione dove vivono da qualche tempo. La mattina presto però Ettore viene portato via con la forza e ricoverato in un ospedale psichiatrico per volere della famiglia. Partendo da qui Gianni Amelio ci porta indietro nel tempo, ci conduce in Emilia nella primavera del 1959, ci fa conoscere Braibanti, il suo modo di vivere, la sua idea di arte e soprattutto ci racconta l’incontro con Ettore. Il professore in una teca di vetro custodisce le formiche che osserva e studia. Ettore viene condotto nel laboratorio artistico del Torrione Farnese di Castell’Arquato dal fratello maggiore. Il giovane porta in regalo a Braibanti una regina madre e gli si rivolge con l’ingenuità di chi l’ha trovata per caso. Sarà proprio questa la scintilla che farà esplodere un legame intenso tra loro, tra maestro e allievo, una relazione intellettuale e sentimentale.
Gianni Amelio riesce nell’impresa delicata e difficile di bilanciare le scene legate a ciò che il professore comunica a quanti lo seguono nel suo cenacolo artistico con quelle dell’amore nascente per Ettore e con il processo, che costituisce un punto di cesura e segna la dissoluzione di un mondo. L’obiettivo del processo è annientare Braibanti, quanto rappresenta sotto il profilo umano e intellettuale, mediante la distruzione della sua dignità, la gogna pubblica e l’annichilimento morale. Il processo, un vergognoso unicum nella storia italiana, fondato su una norma fascista che anni dopo sarà dichiarata incostituzionale, doveva servire da monito a quanti in futuro avessero osato pensare di distaccarsi dall’ordine tradizionalista dominante.
Nel film colpiscono situazioni e immagini, come il volto della madre di Ettore, ora duro, incapace finanche di pronunciare il nome di Braibanti, tanto che lo chiama “quello lì”, ora amorevole come quando va a trovare il figlio in manicomio e come quello della madre del professore che trasuda una dolente tenerezza, così spingendoci ad interrogarci sul concetto di amore, rispetto al quale il film non esprime giudizi ma si limita a mostrarlo nella sua oggettività.
Il signore delle formiche è un film sulla violenza e sulla discriminazione, sull’amore assoggettato al conformismo e all’ipocrisia, ci fa immergere nello spaccato della provincia italiana degli anni sessanta, quando al benessere economico non seguì una apertura culturale, sociale e dei sentimenti. Nonostante i forti contrasti tra generazioni che caratterizzarono quegli anni, la famiglia continuò ad essere un luogo chiuso, refrattaria ai cambiamenti, ancorata ad una visione arcaica e persino violenta. In questa vicenda non è il plagio ma l’omosessualità mai nascosta di Braibanti ad essere messa sotto accusa. È indubbiamente angosciante e incredibile che, poco prima del 1968, le persone potessero essere processate, condannate e finire in prigione per l’omosessualità, considerata, e forse per molti è ancora così, alla stregua della follia da curare con l’elettrochoc.
A distanza di oltre cinquant’anni, anche se in apparenza non ci si scandalizza più di nulla, l’odissea di Braibanti e il processo che subì in seguito alla denuncia partita dalla famiglia retrograda del suo giovane compagno non si distaccano molto dal tritacarne mediatico cui continuano ad essere sottoposti tanti irregolari e diversi. Infatti dietro la facciata permissiva i pregiudizi esistono e resistono, generano odio e disprezzo.