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Mercoledì, 27 Gennaio 2021 08:53

ORIGINE E STORIA DELL'ABBAZIA DI VALVISCIOLO

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L'Abbazia di Valvisciolo, dedicata ai santi Pietro e Stefano, situata ai piedi del monte Corvino, ha una storia molto complessa ed alquanto controversa. Nella storia di questo luogo abbaziale infatti si intrecciano le intricate vicende di ordini religiosi, quali i Basiliani, i Cistercensi ed i Templari, che si succedettero nei vari luoghi religiosi pontini.Tale successione di eventi possiamo riscontrarla anche nella nascita e nello sviluppo dell'abbazia sermonetana.Mancando notizie sicure circa l'inizio della sua esistenza, si è diversamente congetturato tra gli studiosi di arte medievale, sulla genesi sia dell'appellativo con cui è stata denominata e sia sulla costruzione. L'abbazia fu probabilmente costruita, nel secolo XI, dai monaci greci basiliani, portati nella campagna romana da S. Nilo nel X secolo. In origine essa fu detta la chiesa di S. Pietro presso Sermoneta. Nel XII secolo i monaci basiliani scomparvero dalla zona, lasciando i loro siti religiosi ai Cistercensi ed ai Cavalieri Templari ( ordine soppresso nel 1312 da papa Clemente V ), che adattarono le modeste strutture edilizie basiliane alle loro diverse esigenze, ricostruendo e riadattando i primitivi edifici di culto.Quasi subito dopo il loro arrivo in Italia, cioè subito dopo il 1116, i Templari si insediarono presso Sermoneta dove ebbero in concessione la "Commenda nel territorio di Sermoneta, per entrate della quale furono concessi molti terreni e vigne e altri,né in quel tempo era Abbadia dei Santi Pietro e Stefano come al presente", così come descrive un anonimo.Detti Cavalieri si dovettero limitare a costruire, accanto alle celle dei Basiliani, degli ambienti per loro abitazione, adatti alla regola ed al tenore di vita che osservavano. Il nome "Valvisciolo" per alcuni studiosi sarebbe stato derivante da "Valle dell'usignolo", nome non appartenente originariamente al luogo attuale, ma ad un altro, situato presso Carpineto, precisamente a Malvisciolo, presso la Valle Roscina, esisteva un'altra abbazia ugualmente dedicata a S. Stefano. In realtà tali studiosi sono caduti in errore perché il nuovo toponimo sarebbe sempre derivante dall'abbazia sermonetana ma risulterebbe un misto tra Malvisciolo e Valle, cioè "Valvisciolo", quale poi è rimasto. L'abbazia invero sorge allo sbocco di una valle, alle pendici del monte Corvino, e la seconda parte del nome deriva presumibilmente dai viscioli selvatici che dovevano crescere presso Malvisciolo carpinetano. Dunque non saranno stati certo gli usignoli a dare l'appellativo al complesso abbaziale.L'attuale Valvisciolo ebbe anche l'appellativo di Marmosolio, che era quello di Doganella dove era esistita un'altra abbazia dedicata allo 2 stesso santo, distrutta da Federico Barbarossa nel 1165, in odio al pontefice Alessandro III. I Cistercensi di Marmosolio si videro quindi costretti a rifugiarsi presso Valvisciolo sermonetano, in quel tempo governata dai Templari. Tale presenza gerosolimitana era giustificata anche proprio dall'esistenza delle zone paludose che sia i Templari sia i loro "cugini" Cistercensi erano soliti bonificare con tanta cura.Dopo la distruzione di Marmosolio quindi i Templari abbandonarono ben presto Valvisciolo per consegnarla definitivamente ai Cistercensi provenienti da questa abbazia distrutta. A questi ultimi monaci dunque toccò il compito di costruire, con la loro particolare arte, la solida ed attuale abbazia. Si può così datare la costruzione dell'odierna chiesa fra il 1165 ed il 1170.Il complesso edilizio quindi ricevette anche l'appellativo di Marmosolio,per rievocazione nostalgica dell'altra, e l'annessa chiesa fu dedicata ai santi Pietro e Stefano.Essa rappresenta il più antico edificio religioso di stile goticocistercense esistente nell'area dei Monti Lepini. Si chiarisce quindi la successione cronologica dei tre monasteri: agli inizi del X secolo esistette Valvisciolo carpinetano,la cui denominazione fu ripresa da quello sermonetano dei Templari. Tale abbazia rilevò anche l'appellativo di Marmosolio di Doganella nell'XI secolo e, passato in mano dei Cistercensi, venne definitivamente ricostruita nel XII secolo e sistemata nello stato in cui ancora ci appare; essa è la sola di quelle altre abbazie che resiste ancora alla rovina ed alla distruzione dovuta al trascorrere del tempo.

SANT’ANGELO SUL MONTE MIRTETO

LA GROTTA-SANTUARIO DEDICATA A SAN MICHELE PROTETTORE DELLE ANIME DEI PELLEGRINI Lasciata Ninfa, si prende un, viottolo bianco sulla destra e ci si arrampica per l’ultima tappa lungo i fianchi del monte sotto Norma, scoprendo un’altra delle costanti del cammino di Santiago. Frequentemente le alture sono dedicate al pesatore delle anime, al giustiziere del drago che insidia il pellegrino scoraggiandone l’andare con le difficoltà e le tentazioni della via. E così da Sant’Angelo del Gargano a Compostella, passando per Castel Sant’Angelo (Roma), la Sagra di San Michele nella Vai di Susa, St. Michel d’Aiguille a Le Puy nell’Alvernia francese, San Miguel in Excelsis a Estella nella Navarra spagnola. E relativamente al tratto d’Appia Pedemontana: 3 per San’Angeletto di Terracina (Monte Giove), Sant’Angelo del Mirteto e Porta San Sebastiano dove l’Appia incontra le mura di Roma. Mentre si sale la vista si allarga ad abbracciare la pianura e il mare. La grotta è circondata da un casolare e dalla chiesa di Santa Maria resti del monastero dell’ordine florense animato dalla presenza dei discepoli diretti di Gioacchino da Fiore, venuti sui Lepini all’inizio del ‘200. Oggi il santuario rupestre è completamente disadorno e lontano dalla descrizione del Pantanelli: «Vicinissimo a detto convento si vede il devoto antro di SantAngelo sopra Ninfa o della Stramma, che ha alcuni altari, pitture e stalli intagliati nei vivi massi di pietra che muovono a devozione» (P.Pantanelli "Notizie storiche della terra di Sermoneta ", Bardi ed. Roma 1972, vol. I pg. 26). Lo spazio fino agli anni venti-trenta presentava leggibili gli affreschi, tra i quali quello di Michele che uccide il drago (fortunatamente riportati su cartoncino dall'archeologa Maria Barosso). Ma la nudità permette l'ascolto del silenzio, cogliendo l'eco del vociare dei pellegrini che accorrevano numerosi in cerca di protezione, e riprendevano il cammino pronti a sfidare il caldo della palude e le imboscate dei banditi: traduzione materiale delle insidie tese dal maligno alle loro anime. Dopo un lungo periodo d'abbandono il sito è preso in custodia dal movimento delle "Domus Cultae", che intendono trasformare l'ambiente in luogo di riflessione culturale e formazione umana. Affacciandosi sulla pianura si nota come il luogo sia una vedetta naturale per il controllo della sottostante Pedemontana che, terminata la sua funzione, va a ricongiungersi con l’Appia nel territorio di Cisterna. Conclusione. Senza mezzi termini l’Associazione Italia - Francia per l’Europa di Bassiano ribadisce la denuncia contro i danni ambientali subiti e i rischi di degrado che la Pedemontana corre: altrimenti l’averne risvegliato la memoria si risolverebbe in un lavoro sterile e inutile. In termini di bilancio finale, i siti illustrati per presentare la seconda parte della ricerca risultano ugualmente funzionali alle strade di pellegrinaggio. Materialmente: sorgenti terapeutiche e osterie in Piedimonte, ospedale a Valvisciolo. Spiritualmente: venerazione delle reliquie di San Lidano nel territorio di Sezze, lucro di indulgenze a Ninfa. Inoltre: l’assistenza ai viandanti degli Ospitalieri Antoniani è potenziata da quella dei Cavalieri Templari (passo di Acquapuzza e Valvisciolo), ordine cui è legato pure l’itinerario alchemico per San Giacomo (iniziazione evocata da cerchio magico graffito, salamandra e conchiglia scolpite nell’abbazia). La memoria campostellana si rivela nei documenti (cronache del capitolo di Santa Maria 4 in Sermoneta), sul piano iconografico (Giacomo Leonardo, Giorgio, Francesco a Selvascura e Michele arcangelo al Mirteto); deriva dalla dedicazione di chiese rurali ai protettori: Antonio abate e Giacomo nonchè Madonna della Stella con evidente allusione alla Via Lattea nella quale si riflettono anche le tracce lepine del cammino di San Giacomo. Finalmente la consapevolezza carolingia è ribadita dalla toponomastica (Fossato di Orlando), mentre si delineano i profili di altri pellegrini per Santiago (Luca e Gualtiero da Sermoneta), per Roma (confraternita di Lecce) e Gerusalemme (Oddone da Sermoneta e Vincenzo da Bassiano). I dati, sommandosi agli elementi forniti con la prima serie di tappe, sanzionano il ruolo della Pedemontana nei movimento dei pellegrinaggi. La via pone così la sua candidatura all’ingresso nel reticolo europeo delle strade per Campostella. Se la verifica dello studio attualmente in corso presso il Centro di Studi Campostellani dell'Università di Perugia darà esito positivo, l'Associazione titolare della ricerca chiederà al Consiglio d'Europa di poter installare nella microregione lepina il cartello "Cammino di Santiago - Itinerario Culturale Europeo" (con la stilizzazione della conchiglia jacopea e la bandiera dalle dodici stelle in campo blu). Chissà che non serva a diffondere tra i cittadini della XIII Comunità Montana e della Provincia pontina la coscienza del valore di un patrimonio culturale e ambientale che va difeso dai vandali di turno, dall'abbandono, dall'oblìo e che va adeguatamente valorizzato: perché appartiene alle regioni d'Europa nel senso delle comuni radici.

IL TEMPIO RUPESTRE DI SAN MICHELE ARCANGELO

 È questo un monastero medievale sorto nelle immediate adiacenze di una grotta la quale, a partire dall'Alto Medioevo, venne usata come tempio rupestre dedicato a San Michele Arcangelo. E posto a mezzacosta tra le rovine di Norba e Ninfa. Seppur con qualche fatica, dato lo stato di conservazione non ottimale delle strutture, è possibile riconoscere gli spazi e gli ambienti nei quali i monaci trascorrevano la loro vita quotidiana. La chiesa non è eccessivamente grande, a navata unica e presenta segni di rifacimenti nel corso della sua vita millenaria. 5 La foresteria è situata a distanza rispetto al resto del complesso monastico; un giardino la divide dagli altri edifici. Nel corso dei secoli, in questo luogo, venne costruito un frantoio che è rimasto in funzione fino al secolo scorso. lì monastero fu sicuramente abitato dai monaci florensi finchè Martino V Papa decise di unirlo a quello benedettino di Santa Scolastica di Subiaco. Diversi saccheggi accelerarono la rovina di Sant'Angelo sul Monte Mirteto e vi fu bisogno di due restauri (1770 e 1832) per prevenire il crollo. Oggi il monastero non è più abitato ed è oggetto di una lodevole iniziativa di recupero ad opera dell'Associazione Culturale "Opera di San'Angelo sul Monte Mirteto" che , originatasi dall'ex Domus culta pontina, raggruppa innanzitutto le attività di varie Domusculte pontine ( Sessana, Normense, Setina ) ed è diventata la guida di gruppi scouts provinciali ( vedasi Agesci zona pontina e relativo gruppo giovanile "Sentiero Luminoso" ). L'Opera intende essere punto di riferimento culturale per tutti i gruppi culturali che operano nel territorio adiacente. L'Associazione, infine, che opera già in contatto con i Centri Coscienza di Milano e di Bergamo, intende restaurare il complesso arcaico e religioso per fondare in esso un Centro socio-culturale di grande respiro ed apertura. Per tale eccellente finalità sono stati organizzati molti momenti di volontariato.

IL MIRTO (Myrthus communis) Il colle che si estende tra Ninfa, Norba e Norma è chiamato Monte Mirteto, fin dall'epoca medievale, proprio per la presenza del Mirto. Infatti questa pianta, nell'ambiente mediterraneo, subentra alla vegetazione originaria distrutta da incendi o coltivazioni. E questa una pianta farmaceutica appartenente alla famiglia delle "Mirtacee" che molta parte ha avuto nella storia e nelle leggende di tutti i popoli mediterranei: fu pianta sacra per i Persiani mentre per gli Ebrei è considerato simbolo di pace e di verginità. La bellezza di questo arbusto sempreverde (alto normalmente da i a 3 metri), che profuma l'aria con il suo delicato aroma sembra giustificare tanta fama. Le foglie possono essere sia ovali che di forma allungata assottigliate alla 6 punta e hanno un colore verde assai brillante. lì Mirto fiorisce in estate. I fiori sono di colore bianco latte ed hanno moltissimi stami sporgenti. il frutto, dal colore nero - ceruleo, è una bacca di forma sferica; si distingue nettamente dal resto della pianta per il suo riflesso metallico. il Mirto vive comunemente nell'ambiente della macchia mediterranea in unione con altri vegetali caratteristici. È presente in quasi tutto il bacino mediterraneo ed anche in Asia Minore, in Persia e perfino in Afghanistan. Tutte le parti della pianta possono essere distillate per ricavarne un olio chiamato "acqua di mirto", il quale viene usato sia in profumeria, che come medicinale. Molte specie di uccelli mangiano questo frutto per il suo sapore aromatico.

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Carlo Luigi Abbenda

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