Il test INVALSI (Istituto Nazionale Valutazione Sistema scolastico) ha recentemente tracciato un bilancio impietoso e drammatico. In Italia un bambino su due fa fatica a comprendere un testo di italiano. A 18 anni uno studente su tre presenta livelli insufficienti in italiano e matematica, nonostante agli esami di maturità la stragrande maggioranza di essi (96%) consegua il diploma. Leggono ma non capiscono. Una parabola involutiva dell'istruzione pubblica progressivamente svuotata di contenuti, quasi come agli inizi del secolo scorso. Come mai? Di chi la colpa? Quali le cause? Certo, molto dipende dal contesto e dalla situazione economica e familiare, se è vero che il bollino rosso spetta alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia e alla Sardegna. Ma c'è dell'altro. Spesso, a partire dal 1970, in nome di una giusta democratizzazione dell’istruzione e della lotta al nozionismo, si è avuto progressivamente un rifiuto della complessità del sapere, alimentato da demagogia che ha prodotto un nuovo genere di analfabetismo. Le continue riforme non hanno fatto altro che svuotare di compiti e di significato il ruolo dell'istruzione scolastica, Io sono nato in un periodo nel quale gli insegnanti correggevano con la matita rossa e blu, ci stimolavano ad apprendere per aver successo nella vita, ci spronavano a coltivare idee, a rispettare le regole, ad essere disciplinati ed educati, a fare tanti esercizi di analisi grammaticale e logica. Lo studio è fatica, ripeteva il maestro Fanelli Giuseppe, citando orgogliosamente Antonio Gramsci. Da allora le cose sono cambiate. Si è insinuata nella Scuola una pedagogia facilitatrice e alquanto permissiva che ha assecondato sempre gli alunni e i loro genitori. Stiamo vivendo una rivoluzione informatica che spinge i ragazzi a leggere sugli schermi in modo diverso rispetto al passato. I professori hanno perso il prestigio di cui godevano e sono indifesi, sottopagati, privati del rispetto dovuto, Il diritto sacrosanto all'istruzione rischia così di trasformarsi in un processo di diseducazione. La scuola pubblica è diventata man mano una pennellata di vernice su un muro che sta cadendo. Eppure i ragazzi non sono né stupidi né superficiali. Mi domando, allora: è in ritardo la scuola o i ragazzi? La risposta non è semplice né univoca. Non è semplice per la scuola adeguarsi al cambiamento epocale e diventa troppo facile criticare i suoi ritardi. Si continua ad utilizzare la vecchia impostazione del secolo scorso, la lezione frontale, il contenuto da trasmettere, il voto da assegnare con il rischio di trasformare la lettura creativa in un esercizio di quiz o di settimana enigmistica. Mi taccio sulla mancanza di sussidi didattici e sulle gravi carenze degli edifici. Dall'altra parte c'è da capire la demotivazione dei ragazzi rispetto alla sottovalutazione del merito nei confronti di un sistema pieno di scorciatoie, di furbizie, di raccomandazioni. È auspicabile che il test INVALSI produca una seria riflessione sulla Scuola, perno fondamentale della democrazia.