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Nessuna più!

Nov 28, 2021 Scritto da 

 

 

 

L’afferra per un braccio, la trascina nella sua stanza e la scaraventa sul letto. Nel buio echeggia perentorio un ordine: “Dormi!”. Suo padre esce e chiude la porta a chiave. Il cuore le batte all’impazzata, sembra esploderle nel petto. Resta lì immobile, il viso affondato nel cuscino, inzuppato di lacrime e singhiozzi. L’atterrisce anche solo il pensiero che quella porta si apra di nuovo e suo padre possa scaricare anche su di lei la rabbia oscura che cova dentro e gli avvelena l’anima.
 
Le aggressioni contro sua madre sono ormai quotidiane. Basta un banale pretesto, una camicia stirata male, un’incomprensione e suo padre si trasforma in una belva assetata di violenza.
 
Notti infinite, terrore che sale a ondate, dolore che gela il sangue. La violenza con gli occhi di una figlia ha il colore della notte, il rimbombo di una serratura che scatta, l’eco dei colpi inferti con violenza, il suono delle grida soffocate di sua madre.
 
Ha dieci anni quando la prima volta suo padre aggredisce sua madre in sua presenza. Le scaglia contro un oggetto pesante che la ferisce al volto. Cade a terra, si rannicchia su se stessa. Sangue, lacrime e urla e poi un silenzio irreale. Dopodiché suo padre va a sedersi sul divano e accende il televisore. Sua madre si rialza, in bagno si pulisce la ferita e copre l’ematoma con il trucco. Poi si veste con cura e tutti insieme vanno al ristorante, come una famiglia normale, come se nulla fosse accaduto. Racconta che l’occhio nero se l’è procurato cadendo per le scale e si sforza di sorridere. La mano di sua madre nella sua è calda e rassicurante. Suo padre invece rifugge il suo sguardo.
 
Bambina, fin lì ignara della vita, quel giorno scopre il supplizio silenzioso di sua madre. Svanisce in lei l’illusione di una normalità inesistente, prende coscienza di come la sua infanzia sia diversa da quella delle amiche, trabocchi sorrisi assenti, carezze mancate, parole d’amore mai pronunciate, sguardi di suo padre colmi di disprezzo. Si sforza di amarlo ed è solo un mostro.
 
Cresce aggrappata a sua madre che non riesce a reagire, a liberarsi da quel giogo. Trascorre il tempo ad asciugarle le lacrime, a consolarla con i suoi abbracci e a medicarle le ferite. Conduce un’esistenza doppia: fuori casa fatta di scuola, uscite con le amiche e allegria e dentro costellata di umiliazioni, botte e sangue. A casa non invita mai nessuno, ha paura che possano scoprire la verità sulla sua famiglia.
 
Divenuta adolescente suo padre inizia a prendersela anche con lei. La fa bersaglio di ogni sorta di offesa, la umilia, le urla in faccia che non vale nulla. È un irrefrenabile crescendo. Trascorre notti insonni nel terrore che suo padre possa ucciderla con sua madre. Le violenze psicologiche la sgretolano dentro, cannibalizzano le sue energie, la spingono alla depressione. Vivere per lei è un peso e guarda alla morte come una liberazione.
 
Sua madre subisce in silenzio, prigioniera del suo carnefice, anzi lo giustifica, ripete di amarlo e si rifiuta di capire che quell’inferno non è la normalità. Solo quando suo padre le mette le mani addosso, spaccandole la faccia, sua madre trova il coraggio di ribellarsi, di chiedere aiuto. Lo denuncia. Viene arrestato, ma la loro vita è devastata.         
 
Celebrare la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne non serve a nulla se negli obitori delle nostre città giacciono i corpi di tante vittime. L’Italia possiede una legislazione in materia tra le più avanzate in Europa, ma evidentemente non bastano le leggi, le denunce, la repressione, la minaccia di sanzioni. La mala pianta della violenza di genere e della sopraffazione ha radici profonde nella cultura diffusa e nell’educazione familiare che finiscono per armare le mani dei carnefici.
 
Nella nostra società, ancora troppo declinata al maschile, si moltiplicano le condotte violente, è abituale ricorrere ad un linguaggio crudo, che toglie dignità e proietta immediatamente rabbia e frustrazioni contro colui che è identificato come il nemico. La violenza va di moda e serve coraggio per dire basta, per parlare senza paura contro di essa, per provare a fermarla. Promuovere la cultura della diversità e della tutela dei diritti deve essere un impegno costante e nessuna negoziazione, nessun compromesso è ammissibile: i diritti o sono di tutti o diverranno di nessuno.
 
Le campagne antiviolenza con le donne piene di lividi sono una rappresentazione semplicistica, che rischia di far passare un messaggio sbagliato. La violenza esiste non solo quando c’è una faccia sfregiata, un corpo massacrato e un referto medico, ma anche nel persistere delle diseguaglianze di genere, nelle discriminazioni nel mondo del lavoro, negli stereotipi sessisti, nelle tante forme di microviolenza accettate e tollerate, che costituiscono il substrato culturale che protegge e impedisce alle violenze più grandi di essere affrontate e debellate. Se il corpo delle donne è concepito come merce da usare e da vendere, se gli spazi di aiuto, consultori, centri di ascolto e antiviolenza, continuano ad essere chiusi, se soprusi e stupri sono ritenuti effetto del loro comportamento, del modo in cui si vestono, delle loro rivendicazioni, se non ci sarà un adeguato supporto economico e sociale per il doppio ruolo che svolgono tra famiglia e lavoro, nulla mai cambierà concretamente.     
 
Le parole della nostra quotidianità poi soffrono spesso dell’incapacità di narrare correttamente le vicende di cui le donne sono vittime. Quante volte abbiamo sentito raccontare del marito che ha ucciso la moglie perché era disperato e non accettava la fine della relazione? Perché non dire che il marito non accettava la scelta libera della donna o semplicemente che lui era un violento? Non si tratta di dettagli irrilevanti. Nel modo di informare e usare le parole si esplicita il retroterra culturale, la concezione delle relazioni e si misura il rispetto delle persone da parte dei singoli e dell’intera comunità.
 
Dobbiamo ripartire da noi stessi, educarci al sentimento, al rispetto della parità di genere e della diversità per educare le nuove generazioni, facendo attenzione alle parole che usiamo e all’esempio che diamo: un bambino maschio che vede maltrattare la madre introietta quella violenza come un comportamento naturale e lo ripeterà.
 
La catena della violenza invece va spezzata. Solo rinnovando le nostre idee e il nostro agire quotidiano, possiamo costruire una società più giusta, nella quale la libertà e i diritti siano garantiti e vengano a cessare discriminazioni e violenze contro le donne.
Pubblicato in Riflessioni

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