“Se vi è un elemento caratterizzante delle dottrine e dei movimenti che si sono chiamati e sono stati riconosciuti universalmente come sinistra, questo è l'egualitarismo, inteso, ancora una volta, non come l’utopia di una società in cui tutti gli individui sono uguali in tutto, ma come tendenza a rendere eguali i diseguali”.
Norberto Bobbio
Nel centrosinistra da mesi ormai si dibatte del campo largo, della necessità cioè di costruire una coalizione ampia, democratica e riformista, inclusiva e plurale, in cui il Partito Democratico svolga il ruolo di baricentro politico e di federatore.
Il progetto, se realizzato, può determinare cambiamenti politici rilevanti, ma fino ad oggi siano solo agli annunci. Occorre rivestire le parole di concretezza, elaborare un progetto politico innovativo, in grado non solo di mobilitare quanti già si riconoscono nel centrosinistra, ma di allargare la base dei consensi, di parlare alla maggioranza dei cittadini.
È evidente che a guidare il PD e il suo segretario Enrico Letta è un’ispirazione neo-ulivista e sembra essere stata messa da parte la cosiddetta vocazione maggioritaria, la pretesa cioè del partito di includere in sé il complesso delle forze del centrosinistra. Il ritorno alla vocazione unitaria e alla concezione larga delle alleanze è certamente effetto della presa d’atto da parte del PD della propria insufficienza a rappresentare da solo l’alternativa al centrodestra, oggi a trazione sovranista, e della difficoltà a riacquistare una base elettorale ampia dopo il crollo del 2018, quando ha toccato il minimo storico. In vista delle prossime elezioni politiche, che ci saranno al più nel 2023, sia se andremo a votare con l’attuale Rosatellum che prevede la formazione di alleanze pre-elettorali, sia con un’altra legge elettorale, la scelta di puntare a costruire un’alleanza ampia, comprensiva delle varie forze di centrosinistra e del M5S, appare necessaria per renderle aperte e competitive, o comunque per evitare di consegnare il paese ad una supermaggioranza di centrodestra. Una vittoria tutt’altro che scontata invero, soprattutto alla luce dei risultati delle recenti amministrative.
Il più grande limite della sinistra emerso in questi anni, che le ha impedito di compiere il passo decisivo, è proprio l’incapacità di elaborare un progetto politico a lungo termine in grado di andare oltre la mera costruzione di un cartello elettorale, funzionale solo a prevalere numericamente sullo schieramento avversario, e di garantire una guida stabile e il perseguimento di obiettivi chiari nell’azione di governo. In altri termini le coalizioni finora sperimentate sono state sempre minate da una debolezza intrinseca, dalla mancata condivisione di un sistema definito e unitario di valori e prospettive in grado di ispirarne e indirizzarne l’azione politica quotidiana. A questo va poi aggiunto il tentativo di importare all’interno del centrosinistra un modello di leadership politica, sicuramente efficace e funzionante nel centrodestra, ma difficilmente riproducibile in un campo piuttosto refrattario all’idea di una guida personalistica, se non addirittura solitaria e autoreferenziale. Inoltre lo stesso riconoscimento del ruolo-guida del PD è tutt’altro che pacificamente accettato dai diversi gruppi e movimenti che si riconoscono nel campo progressista.
L’errore di metodo e di merito, che si corre il rischio di ripetere, è di anteporre l’unità alle idee e ai programmi. Se alla base non c’è un modello di paese condiviso da costruire, le forze del centrosinistra saranno destinate a scontrarsi e dividersi, deludendo le aspettative dei cittadini che credono in una prospettiva progressista e al contempo bruciando il futuro politico di tante personalità, come accaduto in questi anni. Il collante insomma non può essere soltanto l’opposizione al centrodestra, tanto più che tale motivazione rischia di produrre l’effetto opposto, di compattare gli avversari e mettere in discussione la credibilità del centrosinistra, incapace di incarnare un’idea alternativa di governo. Giustapporre sigle, partitini e movimenti, che nulla hanno in comune, è una soluzione di piccolo cabotaggio e prima o poi i nodi e le differenze programmatiche arriveranno al pettine.
Ripartire dai valori del centrosinistra è l’unica soluzione possibile per fondare su basi solide il partito, l’intero polo politico e il programma di governo. Il PD deve tornare a fare la sinistra e l’unico modo è essere di sinistra, riconnettersi politicamente e sentimentalmente sia ai ceti popolari, alla parte più povera e debole della società, sia ai settori più dinamici e moderni del mondo intellettuale e produttivo. Alla base di questa crisi di rappresentanza da parte del PD del mondo del lavoro c’è la scelta sciagurata di fondare un partito post-ideologico. Sul punto bisogna capirsi bene. Se per ideologia si intende un sistema compatto e chiuso di convinzioni dottrinarie, che schermano e impediscono la comprensione dei processi reali, allora è valida la scelta operata. Tuttavia nella ricerca teorica e filosofica odierna il concetto di ideologia ha un significato diverso, individua un sistema di idee e valori, di conoscenze e convinzioni che guidano la comprensione dei processi reali e che definiscono il profilo di una forza politica. L’errore è stato di ritenere non necessaria la definizione di tale sistema ideale e che il PD potesse e dovesse reggersi sulla mera convergenza programmatica, sulle cose da fare. I fatti hanno dimostrato che questo è impossibile. Le cose da fare sono conseguenza dei riferimenti ideali, dell’ispirazione, di una lettura critica delle dinamiche sociali, di una analisi seria del sistema capitalistico contemporaneo, dei suoi limiti, delle sue distorsioni e delle possibili correzioni da apportare. Non basta un’accorta strategia delle alleanze, è indispensabile ricostruire il profilo politico e culturale del PD, rilanciare il tema ormai sbiadito dell’incontro e della convergenza tra le grandi tradizioni progressiste del nostro paese, un profondo ripensamento della logica e della struttura del suo funzionamento interno, mettendo fine al correntismo deleterio dei cacicchi e dei gruppi di potere, dal livello locale fino ai piani più alti.