Tra i paradossi più noti del pensiero contemporaneo vi è certamente quello proposto dal filosofo austriaco Karl Popper nella sua celebre opera, La società aperta e i suoi nemici, quando afferma che una società aperta, tollerante, deve imporre un limite alla sua stessa tolleranza, pena la sua autodistruzione. La tolleranza infatti deve terminare laddove inizia la minaccia dell’intolleranza. Si tratta di un paradosso teoricamente inestricabile, che Popper però supera ricorrendo alla più pratica delle applicazioni democratiche. La soluzione che propone è nel bilanciamento tra i poteri dello Stato, nel suo sistema di pesi e contrappesi, nel ruolo della stampa, cane da guardia del potere, e nella società civile, libera di organizzarsi per contrastare le forze distruttive che provengono dal suo interno. Quando i contrappesi vengono messi in discussione dalle istanze degli intolleranti, la società aperta deve attivarsi per isolarli, ricorrendo non alla censura, ma sia a strumenti difensivi come gli istituti giudiziari, i reati di vilipendio, violenza o istigazione all’odio e alla discriminazione, sia a strumenti attivi quali l’educazione dei cittadini, la comprensione delle ragioni degli intolleranti e la loro riabilitazione ai principi del sistema democratico.
La cultura costituisce l’anima di una comunità, la identifica nella sua essenza, ispira con i suoi valori e dà sostanza alle regole giuridiche necessarie al vivere comune e alla tutela della specificità di ogni persona per impedire disparità, soprusi e emarginazioni e combattere l’intolleranza. L’Italia è il paese del diritto diluviante, delle norme a catinella, delle regolamentazioni fin nei dettagli. In Parlamento e nelle assemblee rappresentative gli eletti di ogni colore e schieramento si cimentano in leggi, leggine, commi e codicilli per raggiungere i fini più disparati, assai spesso particolaristici. Tuttavia quando si tratta di farsi carico di tutelare le minoranze, di fermare odi, fanatismi e discriminazioni e soprattutto di allargare l’area dei diritti e delle libertà, scatta quasi inesorabile nei valorosi rappresentanti dei cittadini una sorta di riflesso condizionato conformista, assistiamo a improvvide crisi di coscienza, si moltiplicano le pubbliche professioni di fede nei valori non negoziabili e in una morale invero spesso assai poco praticata, spuntano in ogni dove i paladini del diritto naturale e del presunto sentire comune, i quali non si fanno scrupolo di divenire così strumenti dell’intolleranza, negatori dei diritti altrui e con la loro ostilità, il loro cavillare da azzeccagarbugli e il loro ostruzionismo sfregiano i principi stessi della democrazia di cui a parole si dichiarano fedeli custodi. Ogni volta che una parte, fosse anche la maggioranza, si arroga la possibilità di limitare i diritti di gruppi, di singoli o della minoranza, non ci sarà libertà per nessuno. Una società non può definirsi liberale fintanto che non tutela i diritti di tutti e per dirla con Bakunin, spostandoci sul piano individuale: “Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi”.
Il dibattito di queste settimane intorno alla proposta di legge del deputato Alessandro Zan per combattere l’omotransfobia e la discriminazione delle persone con disabilità, riproduce esattamente quanto descritto. In nome della libertà di parola e di opinione, alcuni eletti in Parlamento vanno legittimando l’intolleranza, negano il diritto delle persone di poter vivere liberamente il proprio essere e il proprio orientamento sessuale, qualificano la diversità come “deviante” e riducono l’identità di genere semplicemente all’atto sessuale. Poco importa che le persone hanno valore in sé, a prescindere da un bastone, da una protesi o da una carrozzina e che l’orientamento sessuale è qualcosa di molto più profondo, si lega a valori alti, non afferisce soltanto alla fisicità ma all’affettività nella sua complessità, al desiderio di compagnia nella propria vita, all’amare e all’essere amati, riguarda la persona da cui ci si sente attratti, assorbiti, alla quale si è portati a star vicino. Il momento in cui si avverte questo precede la riflessione o l’esperienza dell’atto sessuale e costituisce innanzitutto la presa di coscienza del proprio essere.
Pur con tutti i limiti derivanti dalla necessità di mediare tra diverse posizioni, la proposta di legge di Alessandro Zan è una soluzione equilibrata pur se perfettibile, marca un discrimine fondamentale tra la libera manifestazione del pensiero e l’affermazione invece di idee antidemocratiche, ignobili e brutali, che rivelano sentimenti di disprezzo e giungono all’istigazione all’odio, all’intolleranza, alla discriminazione e alla violenza. L’espressione delle proprie opinioni, come ad esempio la convinzione dell’esclusività del matrimonio eterosessuale, non viene affatto sanzionata in quanto discriminatoria verso altre forme di sessualità, idee di coppia o di famiglia. Nessun limite è posto al libero confronto. Tuttavia quando le parole e le opinioni diventano pietre per colpire l’altro, incitamento a compiere gesti violenti, a provocare conseguenze materiali tali da ledere i diritti e le libertà degli altri, vanno duramente represse e punite. Tale scelta è un atto di legittima difesa della società, le cui istituzioni devono garantire la più ampia possibilità di manifestare i propri convincimenti e al contempo tutelare da atti discriminatori le minoranze.
Le aggressioni fisiche e verbali, in questi ultimi anni moltiplicatesi soprattutto sui social, di cui sono vittime uomini e donne, ragazzi e ragazze in ragione della loro disabilità, del loro genere e del loro orientamento sessuale palesano l’assoluta necessità di prevedere specifiche fattispecie di reato. Le norme che oggi puniscono l’aggressione, la violenza e le lesioni sono troppo generiche e manifestamente insufficienti a perseguire in modo proporzionato i responsabili e a tutelare le vittime. Il ricorso semplicemente alle aggravanti previste dalla normativa vigente non è la soluzione. Se due ragazzi o due ragazze si baciano alla fermata della metropolitana non compiono alcun atto riprovevole o di cui vergognarsi. Scambiarsi un gesto di affetto non solo nulla toglie agli altri, ma arricchisce chi ha lo sguardo libero da pregiudizi. Essere derisi perché disabili è intollerabile, soprattutto è inammissibile fingere di non vedere che perfino dire “sei bellissima, nonostante la tua disabilità” rappresenta una microaggressione che offende e umilia la persona.
L’approvazione di questa proposta di legge è perciò un atto di civiltà, un passo importante per promuovere il principio costituzionalmente garantito dell’uguaglianza e della pari dignità delle persone (art. 3 Cost.), per riaffermare l’importanza del rispetto dell’individuo e dell’inclusione sociale, per combattere pregiudizi, discriminazioni e violenze motivati dalla disabilità, dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.