Negli ultimi anni l’elettorato del nostro paese si è dimostrato estremamente mobile. Abbiamo assistito alla rapida ascesa di partiti, movimenti e leader, cui è seguita una loro altrettanto repentina caduta nei consensi. La mobilità elettorale è effetto non solo della fine delle ideologie, ma anche e soprattutto della mancanza di spessore culturale e progettualità solide della politica, in grado di appassionare i cittadini e coinvolgerli nella costruzione di una prospettiva comune a medio e lungo termine.
Il 25 settembre, stando alle previsioni e fatti salvi risultati imprevedibili sempre possibili quando si parla di elezioni, gli italiani premieranno la coalizione delle destre, che potrebbe conquistare una solida maggioranza in Parlamento. All’interno dello schieramento vincente a raccogliere il maggior numero di consensi sarà Fratelli d’Italia, la cui leader potrebbe così essere la prima donna a guidare il governo.
Proprio perché Giorgia Meloni sarà quasi certamente la prossima Presidente del Consiglio, raccogliendo l’eredità di Mario Draghi, fare le pulci al programma con sui si presenta agli elettori è operazione non solo lecita ma auspicabile.
Il programma politico delle destre possiede un profilo di originalità e al suo interno possiamo distinguere una sezione dedicata alle promesse rivolte ai cittadini ed una sezione dedicata invece alle “minacce” rivolte ai non cittadini. Il tema specifico è quello dell’immigrazione e della pressione alle nostre frontiere di profughi e rifugiati che cercano di sbarcare in Italia. L’idea di bloccare con la forza il flusso di immigrati, provenienti in gran parte dalla Libia, è da sempre nel programma delle destre e questa politica muscolare è stata più volte sbandierata all’elettorato, sebbene i capi politici di questo schieramento siano consapevoli che si tratta di una proposta inattuabile. Peraltro i tentativi di impedire gli sbarchi con atti di forza unilaterali hanno portato all’apertura di procedimenti penali, come quelli a carico di Matteo Salvini per sequestro di persona. Governare è ben più complesso che fare propaganda…...
Al di là delle parole d’ordine sull’immigrazione, funzionali a raccogliere consensi, il programma di Fratelli d’Italia non contiene alcun riferimento esplicito al blocco navale e la strategia per contrastare il fenomeno dell’immigrazione viene così definita: “Difesa dei confini nazionali ed europei come previsto dal Trattato di Schengen e richiesto dall'Ue, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del Nord Africa, la tratta degli esseri umani; creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall'Ue, per valutare le richieste d'asilo e distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 Paesi membri”. In verità non siamo in presenza di un riposizionamento politico dell’ultimo momento, dato che in altre occasioni Giorgia Meloni aveva chiarito che per blocco navale intendeva una missione europea in accordo con la Libia, e quindi non un atto di guerra, per aprire hotspot in Africa e valutare chi ha diritto ad essere considerato rifugiato e chi no. Questa proposta, lanciata dal Presidente francese Macron nel 2017, venne ripresa dal primo governo Conte, nel quale il M5s e la Lega di Salvini governavano insieme, e si è già dimostrata assolutamente inefficace.
Il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI, ha ammesso che l’espressione blocco navale, utile in campagna elettorale, "è una scorciatoia semantica" e che il suo partito "vuole ripartire dalla missione Sofia", lanciata dall'Ue nel 2015, nel mezzo della crisi migratoria, per fronteggiare i continui naufragi nel Mediterraneo e contrastare l'immigrazione clandestina, bloccata dai governi Ue. Per inciso nel 2018 Giorgia Meloni schierò il suo partito contro questa proposta avanzata dal governo italiano all’Europa e propose come soluzione proprio il blocco navale. Successivamente appoggiò l’idea di un’azione militare nel Mediterraneo centrale coordinata dell’Ue proprio nell’ambito dell'operazione Sophia.
Giorgia Meloni è perfettamente consapevole che secondo il diritto internazionale il blocco dei porti o delle coste, se attuato al di fuori dell’art. 51 della Carta dell’ONU, è un atto di guerra. Se il blocco avviene contro una flottiglia di profughi non va considerato tale, ma siamo comunque in presenza di un atto illecito, di una violazione del principio antichissimo del diritto internazionale della libertà dell’alto mare, ribadito dall’art. 87 della Convenzione ONU sul diritto del mare. In acque internazionali una nave della Marina non sarebbe solo obbligata a compiere il salvataggio, ma dovrebbe portare il natante che ha forzato il blocco in un porto del Paese che ha imposto il blocco stesso, ovvero l'Italia. A tutto questo si aggiunge il fatto che il blocco navale sarebbe contrario anche al diritto dell’Unione Europea, che sancisce nei suoi Trattati fondanti il diritto di asilo e alla protezione internazionale: “L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento“ (Art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).
La verità è che arrestare la navigazione di natanti stracarichi ed in condizioni di sicurezza precarie è impossibile e il naufragio una conseguenza inevitabile. La cattura in alto mare dei profughi per ricondurli con la forza nei lager libici sarebbe illegale, oltre che atrocemente disumana.
Quello che colpisce è che questi temi vengano usati con tanta leggerezza. Promettere di violare il diritto interno e internazionale è inqualificabile e inaccettabile. I diritti fondamentali e il rispetto della legge dovrebbero prescindere da ideologie politiche e tornaconti elettorali e coloro che si propongono per il governo del nostro Paese dovrebbero avvertire il peso morale di dire parole di verità, di tutelare i diritti di ogni persona, a prescindere dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalle condizioni economiche e sociali, dal sesso e dalla fede religiosa e di avanzare proposte serie per regolamentare l’accoglienza e l’integrazione.