“Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge.
Che razza di uomini è questa?
O quale patria così barbara permette simile usanza?
Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina.
Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male”. (Virgilio, Eneide I 538 – 543)
L’Eneide di Publio Marone Virgilio, da cui sono tratti questi versi, composta tra il 29 e il 19 a.C., opera epica base della nostra cultura, racconta la nascita di Roma ma soprattutto la “lotta per la vita” attraverso la leggenda di Enea e i suoi compagni, dei profughi che fuggendo dalla guerra viaggiarono a lungo tra tempeste, morti e naufragi per il Mediterraneo fino a quando approdarono nel Lazio, divenendo i progenitori del popolo romano e quindi dell’Italia, quella stessa Italia che a distanza di duemila anni ancora oggi nega ad altri disperati l’approdo e la salvezza.
È di quasi cento persone tra morti e dispersi il bilancio del naufragio del 26 febbraio, avvenuto a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Una tragedia che ha fatto emergere tutte le contraddizioni e le ambiguità del sistema di soccorso in mare dei migranti, effetto di norme sbagliate e di scelte politiche che, tra ostilità verso le ONG e ostacoli agli interventi della Guardia Costiera, ha determinato una distorsione dei meccanismi di search and rescue facenti parte della millenaria cultura del mare e codificati dalle convenzioni internazionali. Non è casuale che il naufragio è avvenuto a pochi giorni dall’approvazione del decreto-legge Piantedosi, che impone regole ancora più restrittive e rende impossibile alle navi umanitarie di aiutare i naufraghi.
Sulla tragedia di Cutro ci sono state dichiarazioni abnormi di diversi esponenti del governo. Il ministro degli Interni Matteo Piantedesi ha dimostrato tutta la propria inadeguatezza umana, culturale e politica affermando: “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vita dei propri figli”. Si tratta di parole di condanna disumane nei confronti delle famiglie che migrano con i bambini, con cui tenta di scaricare la colpa del naufragio su quanti erano a bordo dell’imbarcazione. La colpevolizzazione delle vittime è fenomeno alquanto diffuso e conosciuto, è applicato alle migrazioni come anche alla violenza di genere. La logica del “se l’è cercata” è abominevole. L’obiettivo è deviare l’attenzione dai colpevoli, nascondere le responsabilità e anestetizzare la coscienza di un’opinione pubblica ormai abituata a pensare a morti e dispersi in mare solo come numeri. In questa prospettiva si comprende anche l’ossessione contro le ONG, a cui non si perdona non il salvare le vite in mare, ma palesare quanto invece si vorrebbe tenere nascosto.
È stato necessario attendere nove giorni prima che il Ministro dell’Interno si presentasse in Parlamento per rispondere dell’accaduto. Il suo discorso è stato evasivo. Ha cercato di scaricare su altri le responsabilità delle incongruenze e degli errori commessi e non ha dato nessuna risposta a domande fondamentali: chi ha deciso che la sera del 25 febbraio ad uscire in mare per controllare il barcone, segnalato da un aereo di Frontex, dovessero essere le motovedette della Guardia di Finanza e non i mezzi specializzati della Guardia Costiera? Come è possibile che il Centro di Coordinamento della Guardia Costiera di Roma, nonostante l’evidenza, ha sostenuto che quella fotografata e segnalata dall’aereo di Frontex non era una barca di migranti? Chi ha deciso che doveva essere avviata un’operazione di polizia e non di soccorso? Perché la catena di comando non ha attivato i soccorsi? Se una nave è in difficoltà si interviene per salvare le persone. Perché non è stato fatto?
La tragedia di Cutro si poteva evitare o quantomeno, una volta individuato il barcone, cosa avvenuta molte ore prima dell’affondamento, era obbligo morale, civile, cristiano e umano avvicinarsi, capire la situazione e soccorrere i naufraghi. Averli abbandonati al loro destino, viste anche le condizioni del mare, è inaccettabile, crudele, da miserabili. L’autodifesa del comandante della Guardia Costiera, che di fatto ammette che le persone sul barcone potevano essere salvate e sostiene di “essere provato umanamente ma professionalmente a posto”, è triste e imbarazzante. Giustificarsi affermando di aver rispettato “le regole d’ingaggio”, come se si trattasse di un’azione militare o di polizia, quando invece bisognava aiutare quelle persone a raggiungere la costa e fare il possibile per evitare la sciagura, è autentica barbarie.
La verità è che ormai da anni le missioni governative in mare non hanno obiettivi di ricerca e soccorso in acque internazionali, ma di semplice pattugliamento dei confini. Le frontiere sono state militarizzate e ne è stato esternalizzato il controllo, stringendo accordi con diversi paesi che si affacciano sul Mediterraneo che operano per lo più in totale spregio dei diritti umani.
Il Consiglio dei Ministri tenutosi a Cutro è stato solo lo spot propagandistico di un governo incapace di affrontare il fenomeno migratorio. Il Decreto Legge varato è un manifesto infarcito di reati-propaganda, ovvietà, contraddizioni e pericolose restrizioni. I decreti flussi sono importanti, ma applicabili solo ai migranti economici provenienti da stati dai governi legittimi, non a quanti fuggono da persecuzioni e guerre e hanno diritto alla protezione umanitaria. La nuova fattispecie di reato contro gli scafisti, così come formulata, è tecnicamente inapplicabile. Non basta estendere la giurisdizione italiana alle acque internazionali, occorre provare che i barconi alla deriva sono diretti verso il nostro paese per perseguirli.
La vita umana è sacra e la retorica dei porti chiusi e dei porti aperti, blocco navale o non blocco navale è senza senso. Bisogna ripensare radicalmente le politiche migratorie. Gli scafisti sono l’effetto di scelte politiche sbagliate. Si negano gli accessi, si sostengono i respingimenti, non vengono aperti corridoi umanitari per aiutare quanti fuggono da guerre, carestie, persecuzioni politiche e sfruttamento, si boicottano le missioni di soccorso e poi si spargono lacrime di coccodrillo, indignandosi e straziandosi dinanzi a queste tragedie.
Quanta ipocrisia!