Eccellenza Reverendissima, Mons. Mariano Crociata,
sono figlio della Chiesa Pontina, la comunità di fede, in cammino nel tempo e nella storia, che presiede nella carità come successore degli Apostoli, e questo mi consente di renderla partecipe del mio sentire con la libertà, la schiettezza e la familiarità di chi sa di trovare in lei un padre attento e premuroso, disponibile all’ascolto e alla comprensione.
Sezze, la città dove sono nato, vivo e lavoro, è una terra intessuta di valori cristiani. Tanti testimoni del Vangelo, laici e consacrati, qui sono nati e hanno speso le loro esistenze nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Una comunità che si compiace del proprio passato, che considera il cristianesimo una bella tradizione, un titolo di merito acquisito una volta per sempre, una medaglia da appuntarsi sul petto, l’attestazione di una appartenenza che non sostanzia la vita è destinata a smarrire se stessa, a non avere futuro. La fede è lasciarsi cambiare da Cristo, uniformare la propria esistenza ai suoi pensieri e al suo cuore, attraverso un cammino all’interno di una comunità, sostenendosi nelle difficoltà e condividendo la gioia per i traguardi raggiunti.
Purtroppo da tempo Sezze vive l’esperienza di un cristianesimo relegato ai margini, incapace di toccare il cuore delle persone e orientarne le scelte. I cambiamenti sociali e culturali hanno avuto certamente un peso notevole, ma faremo un grave torto alla verità se non riconoscessimo che la perdita di incisività e il declino di molte delle comunità cristiane, un tempo luoghi di condivisione dell’esperienza di fede e riferimenti sociali e culturali per l’intera città, sono effetto di scelte pastorali inadeguate, spesso di una concezione preconciliare e clericale della Chiesa, non solo dei consacrati ma anche di parte dello stesso laicato, di una considerazione dei diversi ministeri ecclesiali più come una posizione da occupare, un potere da esercitare e non come la messa a disposizione dei talenti ricevuti, un servizio disinteressato da offrire ai fratelli. La Chiesa non può essere uno spazio chiuso, rigido e impermeabile alle dinamiche esistenziali, un’istituzione autoreferenziale, centrata su se stessa e preoccupata del proprio benessere, una fortezza posta in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza, ma una comunità aperta che attira a Cristo testimoniando la gioia del Vangelo, il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della pace dentro la pasta del mondo, che non si separa dalla vita concreta ma la abita dentro, condivide, cammina insieme, accoglie le domande e le attese delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Spesso poi le nostre sono comunità rattrappite in un ritualismo moltiplicato in modo esponenziale. Le celebrazioni non trasmettono la gioia dell’incontro con il Signore Risorto, ma si riducono a atti formali, adempimenti di comandamenti, sono isole di religiosità svincolate da esistenze consumate lontane dal Vangelo. In alcuni sacerdoti traspare evidente la concezione di una identificazione esclusiva della Chiesa con i consacrati, nella quale i laici possono ricoprire ruoli di contorno, essere recettori passivi e non sono parti fondamentali di una comunità evangelizzante.
Non si tratta di mettere in discussione carismi, ruoli e vocazioni all’interno della Chiesa o pensare ad un’interscambiabilità nelle funzioni. Tuttavia la comunità cristiana vive e assolve alla missione affidatale da Cristo se non si limita a presidiare fisicamente il territorio e a garantire i sacramenti a richiesta e se è luogo di incontro, di dialogo e di proposta di prospettive altre e alte. Troppe volte è capitato di sentire ripetere da alcuni sacerdoti che la parrocchia è aperta a tutti, nessuno escluso, quanti vogliono partecipare, dare il proprio contributo sono benvenuti e attendono tutti a braccia aperte. Affermazioni che lasciano sbigottiti per superficialità, presunzione e contrarietà allo spirito evangelico. Basta guardare a Cristo per coglierne l’assurdità, il quale non è rimasto a Nazareth ad aspettare che i suoi conterranei si accorgessero della sua venuta, ma ha percorso in lungo e in largo l’intera Palestina, chiamando le persone alla sequela e le ultime parole rivolte ai discepoli sono state “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. Altro che attendismo…..
Le chiese desolatamente vuote, la mancanza di giovani e ragazzi, la crisi delle vocazioni dovrebbero indurre ad una seria riflessione. I sacerdoti scarseggiano, il loro numero si assottiglia, ma se non si semina come si può pensare di raccogliere? Il Signore continua a chiamare alla sua sequela ma le nostre comunità hanno smesso di educare all’ascolto, di accompagnare le persone nel cammino di discernimento spirituale e così è impossibile distinguere la sua voce tra le tante del mondo, per giunta assai più allettanti. Se la quasi totalità dei ragazzi che frequentano le nostre comunità negli anni del catechismo abbandonano rapidamente la fede, se le nostre parrocchie sono ridotte a supermarket dei sacramenti è evidente che qualcosa non funziona: non siamo capaci di trasmettere il Vangelo, di far innamorare di Cristo le persone e c’è necessità di un cambio radicale.
A Sezze il fenomeno ha raggiunto livelli allarmanti. È indiscutibile la necessità di un progetto pastorale adeguato, fondato sull’andare verso le periferie geografiche ed esistenziali, quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza, dell’assenza di fede e di pensiero, di ogni forma di miseria, sull’ascolto e sull’approfondimento della Parola, su una solida formazione umana e cristiana, che non si limiti a proporre un devozionismo fuori tempo e senza anima e un rigido precettismo che è mera elencazione di regole e divieti.
Più volte, soprattutto negli ultimi mesi, lei ha giustamente fatto sentire la sua voce per denunciare vicende riprovevoli che hanno ferito profondamente Sezze. E’ suo dovere di padre e di Pastore richiamarci. I suoi rimproveri sono salutari, ma è anche giusto domandarsi quale parte di responsabilità sia ascrivibile al venir meno o almeno al deterioramento della funzione educativa delle comunità cristiane, unitamente alle altre agenzie formative presenti sul territorio, le famiglie e la scuola in primo luogo.
A prescindere dalle convinzioni personali, dall’essere o meno credenti, Sezze ha bisogno di una presenza rinnovata della Chiesa, di pastori che si facciano prossimo con passione e coraggio alle tante persone turbate, in ricerca di se stesse, del senso del proprio andare e del futuro.
Il mio è un grido di dolore e sono convinto che troverà in lei orecchi attenti e soprattutto la capacità di discernimento che la guiderà a compiere le scelte più giuste per Sezze.