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Era di maggio. In memoria di Luigi Di Rosa

Mag 29, 2022 Scritto da 
Il giovane Luigi Di Rosa

 

 

 

28 maggio 1976.
La giornata è afosa.
In città da giorni il clima è carico d’attesa e di tensione.
Quella sera in piazza IV Novembre è in programma il comizio di Sandro Saccucci. Le elezioni politiche di giugno sono imminenti e lo scontro fra i partiti è forte.
Gran parte dei cittadini di Sezze, storica roccaforte della sinistra comunista, considera il comizio del deputato del MSI – Destra Nazionale, ex paracadutista e militante dell’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, coinvolto nelle indagini per il tentato golpe Borghese, una sgradevole provocazione, un insulto alla tradizione democratica e antifascista della città.
In tanti si preparano a contestare il deputato missino e c’è il sentore che possano scoppiare disordini. Basta una scintilla e la situazione può degenerare. Nei giorni precedenti si sono moltiplicati gli appelli alla calma, a non cedere alle provocazioni dei fascisti. Alcuni dirigenti missini di Latina hanno invitato Saccucci a recedere dal suo intento, ma le loro sollecitazioni restano inascoltate.
A parte il ristretto manipolo di fedelissimi che l’accompagna ovunque vada, nessuno conosce le reali intenzioni del deputato missino, il quale ha insistito per includere i paesi abbarbicati sui Monti Lepini nel suo tour elettorale. Apparentemente vuole affermare il pieno diritto dell’estrema destra a tenere iniziative anche in quei paesi da sempre politicamente ostili, in realtà il suo intento è mettere in atto una provocazione, non escludendo di causare disordini e di arrivare allo scontro fisico.
Congetture? Fantasie senza fondamento? Niente affatto.
Il tour elettorale nei paesi dei Monti Lepini viene pianificato da Saccucci e dai suoi sodali nei minimi dettagli durante una cena in un ristorante di Aprilia. I convitati non si limitano a discorsi revanscisti e a smargiassate da nostalgici del fascismo, ma evocano apertamente il ricorso alla violenza armata. Uno dei presenti tira fuori e mette sul tavolo una pistola, dicendosi pronto ad usarla qualora i cittadini dei paesi dei Monti Lepini si azzardassero a inscenare contestazioni o a reagire alle loro ingiurie. L’obiettivo è infliggere loro una violenta lezione per il solo fatto di essere da sempre fieramente democratici e antifascisti.    
Il centro più importante tra quelli ricompresi nel tour elettorale è Sezze, non solo perché è il più popoloso ma perché rappresenta il fronte politicamente più caldo per la forza elettorale e la capacità di mobilitazione della sinistra democratica.
La sera del 28 maggio 1976 lo schieramento di forze di polizia e carabinieri in Piazza IV novembre è consistente, sufficiente comunque ad impedire che le opposte fazioni vengano a contatto e a scongiurare possibili scontri. Nonostante le contestazioni dei militanti della sinistra presenti in piazza, rimaste nei limiti accettabili e leciti delle intemperanze verbali, il comizio di Saccucci si svolge regolarmente. Il suo discorso è un crescendo di provocazioni mirate a produrre la reazione della piazza. Terminato il comizio Saccucci e i suoi non sono soddisfatti, vogliono portare a casa qualcos’altro, uno scalpo da esibire come un trofeo agli altri camerati. All’improvviso tirarono fuori le armi e le puntano contro il gruppo dei contestatori presenti in piazza. Il deputato missino esplode alcuni colpi di pistola ad altezza d’uomo. È il panico. Dopo questo atto dimostrativo, schierandosi in perfetto assetto militare, con le automobili posizionate a testuggine e le pistole in pugno, Saccucci e i fascisti che l’accompagnano, si fanno strada tra i vicoli del centro storico per guadagnare l’uscita dalla città. Li guida un agente dei servizi segreti, originario di Sezze e presente al comizio. Lungo il percorso esplodono numerosi colpi di pistola, alcuni anche contro l’abitazione del sindaco comunista della città. Le forze dell’ordine presenti in piazza non intervengono per impedire un simile scempio. Lasciano fare. Probabilmente se fossero intervenuti e avessero sequestrato le armi in piazza, l’epilogo della vicenda sarebbe stato diverso.
Il corteo di macchine e uomini armati, giunto fuori dal centro storico, si ferma per riorganizzarsi. Saccucci e i suoi sodali salgono sulle macchine e riprendono la marcia per lasciare rapidamente Sezze, continuando a sparare all’impazzata dai finestrini aperti in un’orgia di violenza insensata.
E così accade l’irreparabile.
Alcuni colpi esplosi dalla pistola di Pietro Allatta, come stabiliranno le perizie balistiche, feriscono gravemente Luigi Di Rosa, che morirà poco dopo nell’ospedale cittadino, e in modo meno grave Antonio Spirito.
Luigi Di Rosa, giovane militante comunista e antifascista, non un violento, un estremista o un provocatore, nemmeno presente quella sera in piazza al comizio di Saccucci, estraneo alle contestazioni e agli scontri, è vittima casuale ma non per caso del manipolo violento e omicida di squadristi, viene sottratto all’affetto di familiari e amici quella sera di fine maggio, colpevole di essere un cittadino di Sezze, un democratico e antifascista, valori professati con mitezza e garbo, con passione mai sopra le righe e rispetto dell’altrui sentire e pensare.
La verità giudiziale sul barbaro omicidio di Luigi Di Rosa e sul ferimento di Antonio Spirito è stata sancita nei tre gradi di giudizio, ma non è stata fatta né chiarezza né giustizia su quanto accadde il 28 maggio 1976. Tuttavia accanto alla verità processuale esiste una verità storica incontrovertibile, che inchioda alle proprie responsabilità ideatori, autori materiali e complici di questo gravissimo fatto di sangue che ha ferito profondamente un’intera comunità.
Quella sera a far ricorso alla violenza e a usare le armi furono soltanto i fascisti. Ogni altra fantasiosa ricostruzione è una mistificazione indegna, un insulto intollerabile alla memoria di Luigi Di Rosa e ai suoi familiari che hanno trascinato e continuano a trascinare le loro esistenze oppressi da un dolore insopportabile.   
Pubblicato in Riflessioni

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