Anthony è un anziano signore che, a causa dell’età e dell’avanzare della demenza senile, sperimenta quotidianamente una sensazione di confusione e uno smarrimento debilitante e snervante. Sebbene la perdita della memoria comprometta la sua autosufficienza, rifiuta qualsiasi tentativo di aiuto da parte della figlia Anne, la quale sempre più preoccupata nel vedere il padre perdere lucidità e contatto con la realtà tenta di convincerlo a farsi assistere nelle attività quotidiane che per lui ormai sono divenute un problema. Dopo che Anthony ha messo in fuga l’ennesima badante, Anne va dal padre e gli fa presente che tale situazione non potrà più ripetersi in futuro. Infatti ha deciso di lasciare Londra, di trasferirsi a Parigi con l’uomo che ama e perciò non potrà più andare da lui ogni giorno, ma solo qualche fine settimana.
È sufficiente questo prologo per instradare il racconto del film The Father, diretto dal drammaturgo Florian Zeller, al suo esordio alla regia, e farci immergere in una sorta di allucinazione percettiva, in cui davvero nulla è come sembra. Il rapporto tra padre e figlia costituisce ovviamente il perno centrale intorno al quale ruota tutta la vicenda, ma assume contorni distanti dalle classiche categorie narrative, in quanto all’empatia totale, quasi fisica, che lega i protagonisti si accompagna la raffigurazione del progressivo sfaldamento dell’essenza personale di Anthony, il suo non rendersi conto della malattia e del suo progredire.
Il film si presenta allo spettatore come un vero caleidoscopio emotivo, in cui i ricordi, la realtà e i vuoti si mescolano, si soprappongono. I protagonisti, Anne ed Anthony, si avvicinano e si allontanano, trasformando poco a poco la stessa realtà circostante e le persone che la popolano.
Girato tutto in interni, la scenografia concorre a creare lo smarrimento e la confusione che è la cifra caratterizzante il film. La storia si muove ipoteticamente in diversi spazi ma in realtà ne vive solo uno, un’abitazione che fa da contenitore per le confusioni e i sentimenti dei suoi abitanti. L’appartamento di Londra si modifica davanti ai nostri occhi esattamente come cambia nei ricordi di Anthony. A chi appartiene la casa in cui si svolge quasi interamente il film? Anthony è a casa sua o è ospite della figlia? Da una scena all’altra muta l’arredamento, gli oggetti appaiono e scompaiono, come il quadro appeso sul camino o l’orologio che Anthony perde e ritrova continuamente. Chi sono realmente le persone che dicono di essere Anne e suo marito Paul? I loro volti mutano di continuo. La nuova ragazza che dovrà prendersi cura di Anthony, Laura, perché assomiglia così tanto all’altra sua figlia, la più piccola, “la pittrice”, che “sono mesi che non è più venuta a trovarmi”? La porta di un ripostiglio si apre in realtà su un corridoio di una casa di cura, la finestra prima si affaccia su una strada e subito dopo su un parco verdeggiante. Il prima e il presente esistono ancora e subito dopo sono un miscuglio di immagini, parole, ricordi che si soprappongono. In questo flusso incessante di memorie e non memorie Anthony cerca di aggrapparsi al suo passato per capire il suo presente e ritrovare la propria identità. C’è un puzzle da ricostruire attraverso le suggestioni di un luogo, di una casa dove si è vissuta una vita, in attesa di quei pochi ricordi che il cervello riesce ancora a tenere in vita. Le situazioni e i dialoghi si intersecano e si accavallano, la dimensione temporale si sfalda davanti agli occhi di quest’uomo anziano che non è più in grado di controllarla. “E io, chi sono realmente io?”. “Che cosa sta succedendo attorno a me?”. Interrogativi a cui non è in grado di dare risposta, ma che riassumono il senso di smarrimento che avvolge la sua vita. Le regole abituali, la routine diventano un labirinto e non combaciano più con la percezione che ha di sè. Tutto si sgretola, si frammenta in schegge incontrollabili e incomprensibili, tanto che siamo spinti anche noi a domandarci quale sia la realtà, un interrogativo essenziale che resta sottotraccia e insieme anima l’intero film.
Zeller non racconta solo l’esperienza devastante di un uomo afflitto da demenza e di una figlia che cerca il modo migliore per aiutarlo, ma ci fa incontrare Anthony, una persona ancora viva che subisce la peggiore delle ingiustizie: perdere la memoria significa perdere l’identità, esistere smettendo di essere. Parimenti dolorosa è l’esperienza di Anne, la quale non può che stare a guardare ed è costretta a piangere la perdita del padre anche se lui è ancora vivo.
Il ricordo di noi, l’ancoraggio agli affetti, alle cose di valore che ci appartengono (come l’orologio di Anthony), alla casa che non è solo un luogo in cui abitare ma lo scrigno che custodisce la nostra storia, il nostro percorso personale e relazionale sono il filo che ci tiene uniti, definiscono ciò che siamo, la nostra immagine, impediscono che il trascorrere inesorabile del tempo ci inghiotta nell’oblio. Tuttavia nella nostra esistenza è sempre in agguato l’accadere di qualcosa di spaventoso, il prodursi improvviso e senza possibilità di impedirlo di un attimo in cui tutto si sbriciola, comincia a disperdersi come foglie strappate dai rami degli alberi e trascinate dal vento in un altrove sconosciuto e senza senso.
The Father non è il primo film a trattare di Alzheimer o demenza senile, ma la sua peculiarità è farci cogliere la realtà come è vissuta dall’anziano, attraverso lo sguardo di chi ne è vittima, mostrando ciò che sente e vive, senza cercare di imbrogliare lo spettatore distorcendo i fatti. Non c’è un’analisi della malattia o dello svilimento per la perdita che questa comporta, ma il renderci partecipi di questa forma di verità che esiste e accade e della sua crudeltà intrinseca. Percepirlo o almeno avvicinarsi allo scopo è possibile grazie alla particolarità dell’arte cinematografica che, oltre a farci provare questa sensazione, spiega una funzione educativa, è efficace nel trasmettere memorie vicarie, produce un coinvolgimento sensoriale, sentimentale e mentale.
The Father è un film sobrio che mette in risalto una realtà quotidiana pregna di dolore, interpretato da due autentici fuoriclasse, Anthony Hopkins e Olivia Colman, un dramma senza storia e quasi un esperimento emozionale.
Assolutamente da vedere.