“Una società meritocratica ha bisogno di tutele minime - come reddito minimo garantito e salario minimo -, deve cercare il più possibile di garantire l'uguaglianza delle opportunità ed evitare l'arroganza di chi ha avuto successo perché il merito individuale è inseparabile da una forte dose di fortuna…. Ci sono tante cose da fare per avvicinarci il più possibile a condizioni di uguaglianza delle opportunità. Come prima cosa occorrono misure più efficaci di contrasto della povertà: bisogna lavorare su tutti minimi, sui trasferimenti come sui servizi reali, sui redditi minimi garantiti che devono essere associati a meccanismi di riduzione delle tasse per chi lavora anche poche ore per evitare le cosiddette 'trappole della povertà'. Questo, come ha documentato Oriana Bandiera, per una questione di equità ma anche di crescita ed efficienza, perché tra i poveri sono bloccati tantissimi talenti e dar loro la possibilità di uscirne significa dotare la società di capitale umano di alto livello”. (Tito Boeri – Economista ed ex Presidente dell’INPS).
L’accordo raggiunto tra Commissione Europea, Consiglio e Parlamento Europeo sull’istituzione del salario minimo nell’Unione rappresenta una tappa fondamentale per la costruzione dell’Europa sociale, assicurando una retribuzione minima adeguata e un sostegno alla contrattazione collettiva sindacale. La direttiva prevede l’ampliamento dell’applicabilità del salario minimo a un’ampia platea di lavoratori, procedure per assicurare salari minimi adeguati mediante l’aggiornamento progressivo almeno una volta ogni due anni nei paesi dove già esistono o 4 dove vigono meccanismi di indicizzazione e la promozione della contrattazione collettiva e la partecipazione delle parti sociali nella definizione dei salari.
In Italia il problema delle diseguaglianze ha raggiunto livelli preoccupanti. La Direttiva Europea, non vincolante giuridicamente ma certamente sul piano politico, contribuirà a sostenere le fasce più deboli e meno tutelate, a ridurre la povertà e ad allineare il nostro paese ai paesi dell’Unione socialmente più evoluti. A quanti si oppongono ideologicamente è opportuno ricordare che nel 1994 David Card, Premio Nobel per l’Economia, condusse uno studio con Alan Krueger riguardo gli effetti del salario minimo sull’occupazione. I risultati furono sorprendenti. L’aumento del salario minimo aveva prodotto nel New Jersey un incremento dell’occupazione. La spiegazione sta nel fatto che quando i datori di lavoro hanno un potere contrattuale troppo forte e impongono salari molto bassi, di fatto rendono poco conveniente lavorare. Insomma aumentare i salari produce un rilevante incremento dell’occupazione.
Se guardiamo alla situazione del nostro paese il mercato del lavoro consente la stipula di contratti che prevedono anche paghe di due euro l’ora, riconoscendo un forte potere contrattuale ai datori di lavoro soprattutto nei confronti di donne, giovani immigrati e lavoratori precari. In teoria il lavoratore potrebbe cambiare datore, quantomeno cercare soluzioni lavorative economicamente più favorevoli, ma di fatto è estremamente difficile se il nuovo lavoro è lontano da casa, si hanno figli a carico e le assunzioni sono appannaggio di un numero ristretto di imprese. Inoltre tanti contratti di lavoro prevedono clausole che impediscono al lavoratore di passare alla concorrenza. Il dato reale è che la povertà è assai estesa fra i lavoratori, di cui quasi un terzo ha un reddito, negli ultimi 12 mesi, sotto la linea di povertà fissata dall’Istat.
Introdurre un salario minimo nel nostro paese è necessario e fissandolo ad un livello ragionevole (tra il 40 e il 50% delle retribuzioni medie), fa aumentare salari e l’occupazione. I datori di lavoro comprensibilmente si oppongono perché verrebbe a porre un limite al loro potere contrattuale, ma è infondato che il salario minimo in Italia c’è già, come sostenuto dal Presidente di Confindustria Bonomi, visti il crollo delle adesione delle imprese alle associazioni di categoria e il fatto che almeno tre milioni di lavoratori sono pagati meno dei minimi tabellari fissati dalla contrattazione collettiva. Irragionevole invece appare l’opposizione del sindacato. Il rischio che le retribuzioni si allineino al salario minimo, come sostenuto da alcuni, è infondato. In sede di contrattazione collettiva si possono fissare salari più alti di quelli previsti per legge ed evidenze empiriche dimostrano che la retribuzione minima spinge verso l’alto i salari già superiori ad essa. Il salario minimo non svilisce la funzione della contrattazione sindacale, ma protegge tanti lavoratori che non ricadono nella contrattazione collettiva da emarginazione e sfruttamento. Il legislatore potrebbe introdurre una legge sulla rappresentanza sindacale che estenda la copertura dei contratti collettivi firmati dalle sigle maggiormente rappresentative. Utilizzare i minimi fissati dalla contrattazione nei vari settori come salari minimi avrebbe effetti deleteri sull’occupazione. Trattandosi di accordi prevalentemente negoziati con le grandi aziende operanti nelle regioni più ricche, applicarli alle aziende medio piccole automaticamente rischia di distruggere posti di lavoro. Infine il salario minimo porrebbe un freno al proliferare di contratti pirata e anomali, firmati da sigle sindacali di comodo, finalizzati soltanto ad aggirare gli accordi raggiunti dalla contrattazione di categoria. Il lavoro precario e malpagato non aiuta la produttività.
La disuguaglianza di salari ha poi conseguenze sul piano della salute psichica e fisica dei lavoratori e delle lavoratrici, provoca una competizione feroce tra individui e un incremento di malessere da valutazione sociale. Esiste un forte legame tra disparità di reddito e incidenza di disturbi psichici come ansia e depressione, comportamenti alimentari sbagliati e abuso di sostanze. I danni sociali e sanitari sulla salute dei lavoratori ricadono ovviamente in primis sulla collettività e in particolare sulle famiglie. Pertanto il salario minimo non è un regalo, una concessione o un privilegio, ma un diritto e un tassello fondamentale su cui costruire un nuovo patto sociale.