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La guerra in Ucraina vista da Lidano Grassucci

Lug 11, 2022 Scritto da 
Nella foto Lidano Grassucci

 

 

«E quelli che ci lasciano la vita, coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace» (don Primo Mazzolari).
 
Iniziare queste mie riflessioni sul libro dell’amico Lidano Grassucci, Ucraina. La guerra vista da lontano, con le parole di un sacerdote, per quanto figura scomoda e profetica, scrittore e partigiano, uomo insomma di forti idealità e di impegno concreto, che ha combattuto per liberare l’Italia dalla barbarie nazifascista ed ascriverla tra le nazioni libere e democratiche è un po’ una provocazione. Penna acuta, cronista militante, socialista mangiapreti, polemista intelligente e anomalo per questi nostri tempi scoloriti in cui prevalgono accondiscendenza e piacioneria, sono convinto apprezzerà la scelta.
 
Diversi per storie personali e percorsi culturali, socialista lui e cattolico io, ci ritroviamo compagni di viaggio, militanti nell’ANPI, partigiani per definizione. Fieri delle nostre radici, ci unisce la passione per gli ultimi, per quanti sono ai margini ed esclusi e non ce la fanno a tenere il passo dei più fortunati, la ferma convinzione che nessuno vada lasciato indietro e l’utopia di una società veramente democratica, di eguali pur nella diversità. Insieme soltanto possiamo costruire il futuro e nessuno è zavorra inutile da abbandonare lungo il cammino. Dichiararsi di parte è un valore e una scelta di verità. Detesto gli equilibristi, i neutrali e i super partes, quanti si mimetizzano nelle pieghe e preferiscono rimanere nell’ombra, rifuggono il prendere posizione e l’assumersi le responsabilità, non incarnando in ogni gesto e scelta la pienezza delle proprie convinzioni. Riguardo tale schiera mi sovviene una citazione biblica, che sono sicuro non farà venire l’orticaria al laicissimo Lidano: “Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Apocalisse 3, 16).  
 
Scrivere un libro sulla guerra in Ucraina, pur non avendo mai messo piede in quella terra martoriata, una guerra insomma vista da lontano, come recita lo stesso titolo, è scelta coraggiosa. È ragionevole pensare che sia impossibile raccontare ciò che non fa parte del proprio bagaglio esperienziale, spiegare quanto non si conosce direttamente, per quanto oggi le informazioni corrano veloci e siamo in grado di conoscere in tempo reale quanto accade in qualsiasi parte del mondo. Smentendo simili pregiudizi Lidano Grassucci ha messo a disposizione dei lettori un contributo apprezzabile per riflettere sulla guerra in Ucraina, partendo da una prospettiva poco praticata nei resoconti di cronaca, nelle discussioni tra esperti di geopolitica, ospiti abituali di trasmissioni televisive e seguitissimi sui social, quello dell’umanità dolente che di ogni guerra è vittima innocente.
 
Nel libro non troviamo argute analisi delle strategie militari, lasciate ben volentieri ai competenti. L’autore, com’è nelle sue corde e nella sua appartenenza ideale, guarda ad altro, prende posizione in modo netto e chiaro, si schiera dalla parte degli aggrediti, il popolo ucraino, contro l’aggressore Putin e i suoi scherani, e soprattutto ci guida in un viaggio nell’orrore della guerra e nella tragica insensatezza del dolore.
 
La verità incontrovertibile è che quella scatenata nel cuore dell’Europa non è una guerra di e tra popoli, ma tra un tiranno, Putin, la ristretta cerchia di oligarchi proni al suo folle disegno di potenza e il popolo ucraino. Dietro il rimando ai principi e ai valori si celano biechi interessi economici e geopolitici che superano di molto il ristretto campo delle relazioni tra Russia ed Ucraina, pedine di un gioco più grande nel quale è difficile distinguere con esattezza ragioni e torti, fatto salvo ovviamente il popolo inerme che di ogni guerra è vittima assoluta e per definizione. 
 
In queste settimane fiumi di parole e immagini hanno raccontato e raccontano il dramma di milioni di ucraini. Mai prima d’ora un conflitto ha avuto così ampia copertura mediatica, ma paradossalmente ne sappiamo poco o comunque non a sufficienza e le occasioni di riflessione sono scarse. Prevale un’inaccettabile retorica bellicistica, quanti si approcciano alla guerra con spirito critico sono guardati con sospetto e vanno manifestandosi con sempre maggiore insistenza nell’opinione pubblica segnali di assuefazione e indifferenza a crudeltà e disumanità.
 
Lidano Grassucci ci sollecita a non cadere in questa trappola, a non smettere di guardare i volti delle vittime, uno sguardo indispensabile per non dismettere la sincera compassione, per scongiurare il rischio di richiuderci in una logica egoistica in cui prevalgono gli interessi economici a scapito dei diritti e delle libertà dei popoli.
 
Le vittime sono sempre orrendamente vittime, anche quando siamo indotti a pensare che i carnefici “non sanno quello che fanno”, pur pretendendo di saperlo ed eseguirlo perfettamente. Le vittime, così numerose da non riuscire a contarle, a cominciare dai bambini, a chi decide e attua la guerra non interessano: sono solo numeri, un effetto collaterale. Conta aggredire, invadere, vincere. È poi rivoltante il mancato resoconto dei militari morti, quasi non fossero persone, uomini, figli, padri, mariti, fratelli, cugini, amici, ma carne da macello, sacrificabile sull’altare dei giochi dei potenti.
 
A differenza di Lidano Grassucci mi definisco e sono pacifista, ma non ho nulla a che fare con i sostenitori dell’arrendetevi subito rivolto agli ucraini per risparmiarsi i lutti della guerra, essendo destinati comunque a perdere la libertà, dello smettere la resistenza per evitare che il conflitto aumenti di intensità, si estenda e coinvolga Paesi mietendo altre vittime innocenti. È necessaria una iniziativa forte che costringa i contendenti a sedersi intorno ad un tavolo e trattare. Non ci sono alternative.
 
La pace è il progetto di una nuova società e di un nuovo mondo, è giustizia, uguaglianza, lavoro per tutti, diritti umani, custodia della casa comune, ma si costruisce soltanto rispettando il diritto all’autodeterminazione dei popoli e non restando equidistanti tra aggressori ed aggrediti.
 
Pubblicato in Riflessioni
Ultima modifica il Lunedì, 11 Luglio 2022 06:54 Letto 721 volte

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