Il Reddito di cittadinanza (RdC) è uno degli argomenti più dibattuti della campagna elettorale, talmente ideologizzato e divisivo da essere usato dalle forze politiche per dichiarare come si schierano, per lo più prescindendo da un’adeguata conoscenza dei dati empirici e dei meccanismi di funzionamento.
Il centrodestra nel suo programma ricorre ad una frase liquidatoria: “Sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”. La parte destruens è chiara, quella construens è lasciata all’immaginazione.
Il M5s, sotto il titolo Rafforzamento del Reddito di cittadinanza, si limita a scrivere: “Misure per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive. Monitoraggio delle misure antifrode”. Vengono ribadite la prevalente definizione del RdC come politica attiva del lavoro più che di contrasto alla povertà, ignorando che non sempre avere un lavoro significa uscire dall’indigenza, e l’idea che il problema nella sua attuazione, oltre alla mancanza di politiche attive, sia la tendenza all’imbroglio dei beneficiari.
La coalizione Italia Viva - Azione, abbandonato il vecchio progetto di Renzi di referendum abrogativo, intende proseguire nell’azione restrittiva già messa in atto dal governo Draghi e prevedere la sospensione del RdC in seguito al primo (non più al secondo) rifiuto di una proposta di lavoro, l’introduzione di una soglia massima di due anni per trovare un’occupazione, dopo di che applicare delle decurtazioni, a prescindere se sia stata o meno ricevuta una proposta di lavoro e se i beneficiari siano stati affidati ai servizi sociali comunali.
Il Pd e il centrosinistra propongono di eliminare la penalizzazione dei minori e delle famiglie con minori, di ridurre la durata del requisito di residenza per gli stranieri e, seguendo l’indicazione della Commissione sul lavoro povero, di introdurre, accanto al salario minimo, un’integrazione per lavoratori e lavoratrici a basso reddito, trasformando in questo senso anche il RdC, per non scoraggiare l’accettazione di una occupazione anche a tempo parziale.
Idee precostituite, generalizzazioni, informazioni parziali e infondate dominano il dibattito politico. L’obiettivo è orientare il voto dei cittadini con messaggi semplificati e accattivanti al di là del merito, dei contenuti e della fattibilità delle proposte.
Pur essendo politicamente distante dal M5s ritengo l’introduzione del Reddito di Cittadinanza, una misura invero analoga ad altre già esistenti da tempo in Europa, un passo importante per la tutela dei diritti dei cittadini. Negli anni della pandemia si è rivelato fondamentale per evitare la caduta in povertà assoluta di oltre un milione di persone e sicuramente continuerà ad esserlo nella situazione attuale di incertezza economica per la crisi energetica, la rapida crescita dell’inflazione e il perdurare della guerra tra Russia ed Ucraina. Questo non significa che non sono necessari interventi migliorativi per renderlo più equo ed efficace e chiarirne compito e funzione.
Nelle intenzioni del legislatore il RdC doveva essere sia una misura di contrasto alla povertà che una politica attiva del lavoro. Tuttavia, dato che come politica attiva del lavoro si rivolge solo agli indigenti, è nei fatti una misura di contrasto alla povertà. Le politiche attive del lavoro, rivolte a quanti sono considerati occupabili e vincolati a firmare un patto per il lavoro, svolgono principalmente l’attività di lotta alla povertà, tenendo conto delle specificità e creando le condizioni affinché i Centri per l’Impiego assolvano concretamente e non sporadicamente una funzione attiva per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Questione assai dibattuta è se il RdC scoraggi dall’accettare un lavoro regolare e/o incentivi il lavoro nero. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), meno della metà dei fruitori, tenuti al patto per il lavoro, è definibile vicino al mercato del lavoro e spesso si tratta di persone con qualifiche molto basse. La stragrande maggioranza ha avuto esperienze lavorative in costanza di recezione del RdC, anche se non sempre come esito del patto per il lavoro sottoscritto e della presa in carico da parte di un Centro per l’Impiego. Parte rilevante dei beneficiari erano occupati al momento del riconoscimento del beneficio, ma non percepivano salari sufficienti per uscire dalla povertà, ancor più poi perché in possesso di basse qualifiche e prevalendo i contratti a termine, spesso brevissimi: quasi il 69% non superava i 3 mesi e più di 1/3 1 mese. Gli elementi acquisiti dimostrano che il RdC non disincentiva dal cercare e accettare un’occupazione, anche molto temporanea, ancor più poi che l’importo medio di cui beneficia una famiglia (non una persona sola) è di € 570,00 al mese, abbastanza poco da rendere allettante un lavoro a tempo pieno remunerato con salario legale, che garantisca un’autosufficienza accettabile sia sul piano remunerativo che su quello dell’orizzonte temporale.
Sui giornali, sui social e in televisione assistiamo quotidianamente al coro unanime di tanti imprenditori che lamentano la difficoltà di reperire personale per colpa del RdC, in particolare per i lavori stagionali. Hanno facile gioco ad aizzare populisticamente le folle contro gli sfaccendati che rifiutano un lavoro sicuro, ancorché stagionale, a fronte del divano di casa propria. Tuttavia sarebbe opportuno e meno demagogico sostituire all’indignazione la riflessione su cosa sia diventato o stia diventando il lavoro, con i diritti acquisiti in decenni di battaglie e oggi riportati al livello di due secoli fa, non solo per i lavoratori temporanei ingaggiati per 2 o 3 euro all’ora, ma anche per quanti sono regolarmente contrattualizzati.
A difendere il RdC sono oggi soprattutto la società civile organizzata, dalla Caritas ad Alleanza contro la povertà, insomma quanti si occupano concretamente di temi come indigenza e disuguaglianze. Un segnale inequivocabile ed ulteriormente preoccupante del distacco della politica, soprattutto quella che dovrebbe stare dalla parte dei più deboli.