La scomparsa il 31 dicembre scorso del Papa emerito Benedetto XVI ha dato la stura a una sfilza di dichiarazioni assurde e di accuse velenose contro Papa Francesco. L'ex segretario di Ratzinger, mons. Georg Gänswein, esponente dei circoli tradizionalisti e ultraconservatori, e il cardinale Gerhard Ludwig Müller, 75enne porporato tedesco, chiamato da Benedetto XVI alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede e “ messo a riposo ” nel 2017 da Francesco, hanno dato voce ai malumori dell'ala conservatrice della Chiesa da sempre ostile al pontefice argentino.
Molteplici sono state le avanzate critiche, sulla cui fondatezza teologica e pastorale è lecito nutrire forti dubbi, anche se dalle loro parole emergono un'acrimonia e una ostilità conseguenti soprattutto al ridimensionamento personale subito per volontà di Papa Francesco. Coltivare ambizioni, puntare alla carriera, ai riconoscimenti personali, agli incarichi e al potere, aspirare alla realizzazione è umanamente lecito e comprensibile, ma assai poco confacente allo spirito evangelico per quanti sono chiamati a servire Cristo con radicalità e pienezza di vita come pastori del popolo di Dio e non dovrebbe aspirare ad altro.
Ad ogni buon conto tra le domande su cui i due autorevoli monsignori si sono cimentati con dichiarazioni discutibili e inopportune c'è quella della revoca pontificia delle concessioni fatte al tradizionalismo cattolico in ambito liturgico fatte da Benedetto XVI. Giustamente Papa Francesco, con il “ motu proprio ” “ Traditionis custodes ” ha limitato drasticamente l'uso del rito antico della messa e ribadito la necessità di adeguarsi alla riforma liturgica conciliare. Il nuovo rito promulgato dal Concilio Vaticano II prevede l'uso anche del latino, ove sacerdote e fedeli lo possono capire, accanto alle versioni in tutte le lingue del mondo. È una scelta dettata dall'esigenza di tradurre e inculturare il cristianesimo, una vera e propria forma di incarnazione del Vangelo. La “Parola si fece carne ” (Gv 1,14): il mistero accolto in pienezza nell'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, è trasformato nuovamente in parola, una parola umana proclamata in tutte le lingue degli uomini, riuniti intorno all' unica mensa.
Quanti mostrano l'incomprensibile nostalgia per i canti latini e gli arcani misteri sussurrati dall'officiante durante le celebrazioni, alle quali i fedeli non sono chiamati minimamente a partecipare, restando totalmente estranei e in paziente attesa solo del momento della comunione, hanno una concezione clericale della Chiesa, nella quale lo Spirito Santo non ha nulla da dire all'uomo di oggi. I tradizionalisti, che si atteggiano ad eroi della resistenza contro la presunta deriva secolarista della Chiesa, alla desacralizzazione e demisticizzazione della fede, al presunto depauperamento del patrimonio della tradizione sedimentato nei secoli, attraverso la pretesa restaurazione del passato liturgico (peraltro è un falso grossolano affermare che il rito di Pio V sia il rito da sempre nella Chiesa Cattolica) mirano a rinnegare il fondamento ecclesiologico promosso dal Concilio Vaticano II. La messa celebrata secondo il rito antico non è una questione meramente linguistica, ma rivela una concezione della Chiesa, in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è distintivo riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui. in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui. in cui è netta la separazione tra clero e fedeli laici, ai quali ultimi non è riconosciuto alcun ruolo e alcuna funzione se non quella di semplici spettatori. La Chiesa coincide e si identifica con il clero e la gerarchia e tutti gli altri sono di fatto superflui.
Assistere a qualche celebrazione eucaristica secondo il vecchio rito tridentino significa fare un tuffo nel passato preconciliare. I fedeli restano silenti per tutto il tempo. Il sacerdote recita parole incomprensibili e per di più sottovoce, con le spalle rigorosamente rivolte al popolo, l'assemblea appare come una semplice fruitrice di un bene celeste che scende dall'alto attraverso la mediazione del sacerdote. La partecipazione all'eucarestia è completamente assente e comunque ridotta a una dimensione individualistica ed intimistica. I fedeli vivono la fede cristiana più come adepti ad una religione esoterica che come esperienza di partecipazione al corpo mistico di Cristo (Rm 12, 4 – 5).
Parimenti assurdo ed incomprensibile è che alla scristianizzazione del nostro tempo, al progressivo allontanamento dalla fede e dai principi cristiani e alla crisi delle vocazioni i tradizionalisti si illudono di poter rispondere non restando nel mondo, intessendo dialoghi e relazioni, discutendo e anche scontrandosi ove necessario, ma scegliendo la strada della separazione e dell'autoreferenzialità, ritagliandosi delle isole felici dove prevale conformismo e formalismo, rifugio rassicurante per tanti sacerdoti in crisi di identità e vocazionale, i quali vivono la propria missione non come un servizio apostolico al popolo di Dio ma come strumento di realizzazione personale, un lavoro come tanti dal quale ricavare da vivere, ai quali l'affermazione di Paolo: “ Mi sono fatto tutto a tutti pur di salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22) probabilmente non dice nulla e per i fedeli laici che rinnegano così il proprio ruolo provvidenziale di evangelizzazione nella complessa società contemporanea.
Gli arcigni difensori della tradizione e paladini della vera fede, soltanto a parole obbedienti al Papa, rifiutando di fatto il Concilio Vaticano II, si oppongono all'azione rinnovatrice dello Spirito Santo e minacciano l'unità della Chiesa, la quale per essere fedele alla missione affidatale dal suo fondatore, Gesù Cristo, deve necessariamente essere inserito nel mondo con i propri valori e la propria specificità.
Papa Francesco non ha nulla contro la messa in latino, il suo è un no non ad un rito ma allo scisma di quanti rifiutarono il Concilio Vaticano II e di quanti ancora oggi, da dentro la Chiesa, mal sopportano le scelte conciliari, il ritorno all 'essenza del Vangelo, il rinnovamento e l'apertura a tutti gli uomini e tentano di depotenziarlo, fino a cancellarlo, probabilmente la fede alla stregua di un'ideologia immodificabile, sempre uguale a se stessa al di là del tempo e della storia, una mera precettistica morale e non l'incontro, personale e comunitario, con Cristo morto e risorto che ama ogni persona, l'accoglie con misericordia e la invita alla continua e radicale conversione.