“Quando io considero questo misterioso e miracoloso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica, ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come certe piante subacquee che in tutti i laghi di una regione alpina affiorano nello stesso giorno alla superficie per guardare il cielo primaverile, come le rondini di un continente che lo stesso giorno s’accorgono che è giunta l’ora di mettersi in viaggio. Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”. (Piero Calamandrei)
Celebrare il 25 aprile, 75 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, non significa volgere lo sguardo indietro a quanto è stato, coltivare un ricordo, rifugiarci nell’idealizzazione di eventi superati e consumati dal tempo o nell’esercizio sterile di una rievocazione, ma compiere il dovere di altissimo valore civico e morale della memoria. La lotta di liberazione è patrimonio insuperabile e insostituibile delle nostre radici, da incarnare ed attuare nel presente fondando la nostra identità di popolo sugli ideali e i valori che guidarono quanti combatterono nella Resistenza con coraggio e abnegazione e sacrificarono la vita per la libertà, la democrazia e la giustizia, principi sostanziali e inviolabili che intessono la nostra Carta Costituzionale.
La Resistenza fu rivolta di popolo contro la dittatura e conseguentemente contro l’invasore nazista. Il fascismo non rappresentò un ventennio d’ordine e grandezza nazionale, ma di illegalismo, corruzione, asservimento dei cittadini ad un potere dispotico e violento che cancellò diritti e libertà, si macchiò di orrendi crimini, culminati nelle leggi razziali del 1938, aberrazione indicibile, macchia indelebile, macigno insopportabile e abisso di disumanità. Il movimento antifascista si sviluppò immediatamente e ne fecero parte donne e uomini perseguitati, assassinati, arrestati, mandati al confino, costretti all’esilio, Matteotti, Amendola, i fratelli Rosselli, Gramsci, don Sturzo, don Minzoni, Trentin, Pertini, Spinelli, Anselmi, Venturini, Zanotti, Cremoni, Tonelli, Benetti e tanti altri, gran parte dei quali rimasti anonimi o sconosciuti ai più i quali, non potendo manifestare nelle piazze dove gli squadristi impedivano ogni esercizio di libertà, si fecero artefici di una resistenza quotidiana, rifiutarono di piegarsi al regime, lottarono per un’Italia diversa coltivando e alimentando l’ideale “di creare una società retta sulla volontaria collaborazione degli uomini liberi ed uguali, sul senso di autoresponsabilità e di autodisciplina che necessariamente si stabilisce quando tutti gli uomini si sentono ugualmente artefici e partecipi del destino comune, e non divisi tra padroni e servi“ (Piero Calameandrei). Il destino della dittatura fascista era scritto già dalla sua nascita, non poteva essere che una parentesi, tragica e dolorosa, nella storia dell’Italia, destinata a crollare di fronte all’inevitabile rivolta, in nome dell’affermazione dei diritti irrinunciabili e inalienabili dell’uomo, senza i quali una società non solo non può definirsi umana ma neppure esistere. Il regime fascista non cadde solo a causa della guerra e dell’intervento degli Alleati, ma anche per la spinta che venne da una sollevazione di popolo, da un moto profondo di ribellione che partì dalle coscienze e si fece insurrezione e lotta armata di liberazione sulle montagne, per le strade delle città, nei reparti dell’esercito che voltarono le spalle alla dittatura e agli invasori suoi alleati e combatterono dalla parte dei cittadini, onorando il giuramento di fedeltà all’Italia. La liberazione fu possibile grazie a uomini e donne appartenenti a un ampio schieramento politico, cattolici, socialisti, azionisti, monarchici, liberali, comunisti, che si chiamavano tutti con un solo nome: Partigiani. La Resistenza non fu un derby tra comunisti e fascisti, ma una lotta tra democratici di ogni orientamento e fascisti.
Coltivare la memoria è indispensabile per smascherare le falsità di certo revisionismo storico e fermare il tentativo mistificante di parificare i valori di chi combatté dalla parte giusta per la libertà e l’indipendenza nazionale, a quelli di quanti invece si schierarono dalla parte sbagliata al servizio dei nazisti e della dittatura. Bellissime e inequivocabili sono le parole di Italo Calvino: “Lo spirito dei nostri e quello della brigata nera non sono la stessa cosa, ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini nel Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo nella parte del riscatto, loro dall’altra.”(I. Calvino – Sul sentiero dei nidi di ragno).
La memoria è risposta alla domanda su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.
Buon 25 aprile, festa della Resistenza e dell’Italia liberata!