2 agosto 1980. Stazione Centrale di Bologna. È mattina e la sala d’aspetto di seconda classe è affollata di turisti, famiglie, lavoratori che tornano alle città d’origine. È cominciato l’esodo estivo. Bologna è uno snodo ferroviario centrale. I tabelloni di partenze e arrivi segnalano ritardi, come capita spesso in questo periodo e in quegli anni. Vicino la porta d’ingresso della sala d’aspetto, su un tavolo, c’è una valigia abbandonata. Nell’andirivieni dei viaggiatori nessuno la nota. Alle 10:25 una bomba contenuta nella valigia esplode. L’intera ala della stazione con gli uffici al secondo piano, il bar e il ristorante viene sollevata in aria e poi ricade su se stessa. L’onda d’urto investe i treni in attesa sui binari, si infila nel sottopassaggio ed esce dall’altra parte sulla piazza, spazzando via i taxi in attesa di clienti. Il boato è avvertito in tutta la città. Nell’immediatezza comincia a girare la voce che è stata una disgrazia, è scoppiata una caldaia. Basta poco però a capire come è andata veramente. La caldaia non si trova sotto la sala d’aspetto e peraltro funziona perfettamente. Si è trattato di una bomba. L’odore di polvere da sparo è fortissimo. Alla stazione ferroviaria convergono vigili del fuoco, forze dell’ordine, vigili urbani, moltissimi cittadini. Si scava a mani nude tra le macerie per tentare di salvare più vite possibili. Nell’esplosione muoiono 85 persone, 200 restano ferite. È l’attentato più grave nella storia della Repubblica. L’anno dopo Bologna, medaglia d’oro al valor militare per la lotta di liberazione contro i nazifascisti, viene insignita della medaglia d’oro al valor civile per l’opera di soccorso prestata dai suoi cittadini. A testimonianza e memoria di quel giorno, l’orologio della facciata ovest della stazione è fermo alle 10:25.
La Procura apre un fascicolo per strage. I periti accerteranno che la valigia conteneva 23 kg di esplosivo, 18 kg di nitroglicerina e 5 kg di un composto chiamato Compound B, formato da tritolo e T4, che si ricava dalle ogive dei proiettili usati dai militari. La bomba è stata lasciata sotto il muro portante di quell’ala della stazione con l’intento di fare una strage, di provocare il maggior numero possibile di morti. Fin da subito le indagini si orientano verso i terroristi neofascisti, manovalanza al soldo del piano eversivo, la cosiddetta strategia della tensione, architettato e messo in atto da gruppi reazionari, Servizi Segreti, apparati dello Stato, militari e forze dell’ordine che, tradendo il giuramento di fedeltà alla Repubblica e attraverso trame, depistaggi, attentati e stragi che hanno insanguinato l’Italia soprattutto ma non solo negli anni settanta del ‘900, definiti per questo gli anni di piombo, miravano a destabilizzare le istituzioni, a favorire l’avvento di un regime autoritario guidato dai militari, a coartare i diritti e le libertà politiche, annullando le garanzie democratiche sancite nella Costituzione.
Diversamente dalle altre stragi fasciste, gli autori dello spaventoso attentato di Bologna vengono identificati. Gli esponenti dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), gruppo eversivo neofascista responsabile di 33 omicidi, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro e il loro complice, allora 17 enne, Luigi Ciavardini vengono riconosciuti esecutori materiali della strage e condannati all’ergastolo con sentenze definitive. L’ultimo processo si chiude in primo grado nel gennaio del 2019 con la condanna all’ergastolo di un altro neofascista, Gilberto Cavallini. Nel 1995 per la strage alla Stazione di Bologna viene inoltre condannato a dieci anni con sentenza definitiva della Corte di Cassazione, Licio Gelli, Gran Maestro della Loggia Massonica P2, riconosciuto colpevole di una lunga serie di trame dirette a inquinare e sviare le indagini mediante piste investigative false e a coprire i veri responsabili. Insieme a lui sono dichiarati colpevoli di calunnia aggravata finalizzata ad assicurare l’impunità degli autori della strage il colonnello Giuseppe Belmonte, il generale Pietro Musumeci e Francesco Pazienza, tutti ex agenti del Sismi. Nella sentenza si afferma che, a partire dal settembre 1980 Licio Gelli ideò un depistaggio di tipo terroristico, attuato nel gennaio 1981, quando una cordata di dirigenti del Servizio Segreto Militare, guidata dal generale Giuseppe Santovito e dal colonnello Pietro Musumeci, tutti iscritti alla P2, fecero ritrovare sul treno Taranto – Bologna un carico di armi e esplosivo identico a quello usato alla stazione di Bologna, insieme a documenti falsi di presunti terroristi stranieri. Le indagini erano fino a quel momento coperte da segreto istruttorio e nessuno conosceva il tipo di esplosivo usato per l’attentato alla stazione. A parte chi lo aveva ideato e commissionato….
È di queste settimane la notizia che la magistratura ha inviato la comunicazione di conclusione delle indagini per un nuovo filone investigativo. Grazie all’instancabile azione dell’associazione dei familiari delle vittime, sono stati acquisiti nuovi elementi e soprattutto documenti in passato fatti sparire o tenuti nascosti ai giudici, appartenenti a Licio Gelli e a Federico Umberto D’Amato, ex prefetto ed ex capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, da cui emergerebbero le responsabilità di quest’ultimo, di Mario Tedeschi, ex senatore del MSI e appartenente alla X MAS, e del Gran Maestro di Arezzo nell’ideazione e finanziamento della strage, avvenuto con il versamento ad opera di Umberto Ortolani, cervello finanziario della P2, di 9 milioni e 600 mila dollari, sottratti al Banco Ambrosiano, a favore degli autori materiali e dei successivi depistaggi, oltre al concorso di Paolo Bellini, ex aderente ad Avanguardia Nazionale, con i NAR nell’esecuzione dell’attentato. Spetterà ai giudici accertare tali ulteriori fatti, squarciare il velo oscuro che ancora oggi avvolge le responsabilità dei mandanti di questo orrendo crimine.
Sono trascorsi 40 anni. Le vittime della strage e i loro familiari attendono ancora che venga fatta definitivamente e pienamente luce sugli ideatori, i mandanti e i complici, su quanti anche e soprattutto all’interno degli apparati dello Stato hanno le mani sporche di sangue innocente, versato in nome di un folle disegno criminoso e fascista.
A noi tutti spetta il dovere della memoria, di unirci alla richiesta di verità e giustizia per tutte le stragi di Stato, nella consapevolezza che il sacrificio di tanti esponenti delle istituzioni e di semplici cittadini ha consolidato la nostra democrazia, i diritti e le libertà di cui godiamo e non ha consentito il prevalere delle forze reazionarie.