La Giunta comunale di Sezze, presieduta dal sindaco Sergio Di Raimo, ha approvato ieri una delibera per venire incontro alle attività commerciali di Sezze. La Giunta infatti ha ritenuto opportuno, in questa fase di emergenza sanitaria e crisi economica, non far applicare alle imprese di pubblico esercizio (che presenteranno domanda) il pagamento della tariffa istruttoria di 80 euro al fine di non gravare ulteriormente sui carichi economici viste le già critiche condizioni in cui versano i commerciati a causa del Covid19. Le domande dovranno essere presentate fino al 31 ottobre. Sul sito del Comune di Sezze sono già disponibili gli allegati richiesti. Fino al 31 ottobre, come decreto regionale, gli esercizi commerciali sono anche esonerati dal pagamento della tassa di suolo pubblico, sempre con il fine di promuovere la ripresa. Un provvedimento questo utile soprattutto per evitare assembramenti all’interno dei locali.
La Marducata
Passeggiando zitta zitta
Incontri lei che ha la stizza
E’ Sezzese e assai superba
Che non le entra un filo d’erba.
Alza il naso, è impettita
Vuole vincer la partita.
Ha un pensiero controverso
Che ti guarda di traverso,
non vuol porgerti il saluto
perché a lei tutto è dovuto!
Quando, allora, lei ormai crede
Che il mondo cade al suo piede
Tira dritto da insolente
Perché nulla è per lei la gente.
Ma spiazzante è il tuo saluto
Che ridà parola ad un muto!
La Burla Setina, partecipa anche tu inviandoci vignette o poesie
Scritto da redazione
Nasce la nuova rubrica satirica "La Burla Setina", un contenitore che ospiterà vignette e poesie e/o detti in dialetto o in lingua italiana di attualità e politica locale. La satira se non è offensiva e denigratoria è sempre stato il condimento della democrazia. In questa sezione pubblicheremo vignette e/o caricature su temi di attualità della nostra città. La redazione pubblicherà anche il materiale non ritenuto offensivo né volgare inivato dai nostri lettori all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Giovanni Falcone, la Mafia e il silenzio complice
Scritto da Luigi De Angelis
“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”. (Giovanni Falcone)
Ci sono silenzi che sono macigni insopportabili.
Ci sono silenzi che rivelano disinteresse, disimpegno, calcolo e complicità.
Ci sono silenzi che anestetizzano e desertificano le coscienze.
Ci sono silenzi che sovvertono principi e valori, travisano il giusto con l’ingiusto, presentano il male come bene, la disonestà e l’abuso come rettitudine e moralità.
Ci sono silenzi che delegittimano più di accuse, calunnie e maldicenze.
Ci sono silenzi che uccidono e lo fanno lentamente, non con la violenza brutale delle armi ma con l’isolamento, l’emarginazione, il costringere a combattere in solitudine battaglie che dovrebbero appartenere a tutti.
Ci sono parole taciute che generano silenzi assordanti e smarrimento.
Mafia è una parola pronunciata raramente in questi nostri tempi difficili. È una assenza non meramente terminologica ma troppo spesso di responsabilità e impegno, racconta inettitudini, insensibilità, abdicazioni, capitolazioni, palesa in alcuni casi mescolanze, contiguità e complicità intollerabili. Tanti, troppi che occupano scranni e posizioni di comando nell’economia, nella politica e nelle istituzioni tralasciano di pronunciarla, tacciono e la mafia, pervasiva e implacabile, divora indisturbata vite e futuro, assoggetta territori e persone, distrugge risorse e benessere.
La mafia prolifera nel silenzio e grazie al silenzio, fa affidamento su adepti, protettori, infiltrati e pedine, giovandosi di riconoscenti e debitori per favori concessi e opportunità elargite, su politici conniventi e collusi cui garantisce consensi, carriere e potere o indifferenti per codardia e quieto vivere, rapidi a voltarsi dall’altra parte, a far finta di non vedere, a evitare di prendere posizione pur di non mettere in discussione se stessi e i ruoli occupati, su imprenditori pronti a scendere a patti, ad accettare di condividere con essa affari e progetti pur di assicurarsi tranquilli guadagni, su quanti vivono ai margini e nella disperazione, impossibilitati a costruirsi un domani libero dai bisogni e abbandonati da uno Stato incapace di offrire risposte adeguate, su quanti si lasciano allettare dal vivere comodo, ossequiati e temuti.
Il silenzio è dunque l’alleato primario della mafia, la quale si serve per prevalere della prepotenza, dell’ingiustizia e della corruzione esercitati su comunità impaurite e asservite, con un senso di appartenenza sgretolato e dalla dignità oltraggiata, lasciate in balia di un potere abusante, fondato su regole di casta e clientelismo che creano una società divisa in oppressori ed oppressi, dove tutti sono tra loro irriducibili nemici al di là dell’apparenza, domina l’illegalità e prevale la legge del più forte.
La parola è il più grande nemico della mafia se impiegata per svelarne intrighi e misfatti, se è strumento di conoscenza e condivisione capaci di aprire orizzonti, sconvolgere equilibri e abbattere consuetudini incancrenite, se si fa veicolo della cultura della legalità per combattere i comportamenti illeciti, da quelli in apparenza più piccoli e marginali come non mettere il casco in moto o buttare la carta per terra, a quelli più importanti come l’estorsione, la corruzione, il traffico di droga, per ricostruire il senso dell’essere comunità fondata sulla giustizia e sulla consapevolezza di ognuno di essere titolare di diritti e doveri. La mafia prospera dove l’illegalità è considerata normale, una abitudine consolidata, può contare sull’indifferenza e sulla complicità diffusa. Una collettività dominata dall’illegalità non sarà mai libera di progredire ma finirà sempre soverchiata dalla prepotenza di chi gestisce il potere.
“Non mi fanno paura le parole dei disonesti, ma il silenzio dei giusti” diceva Martin Luther King e dalla verità di queste parole dobbiamo ripartire se vogliamo insieme combattere la mafia e bonificare il substrato culturale e sociale in cui prospera. Per sconfiggerla occorrono l’onestà, la competenza e la tenacia di tutti, specialmente di quanti ricoprono ruoli e funzioni all’interno delle istituzioni, la capacità di ognuno, come diceva Giovanni Falcone, semplicemente di compiere il proprio dovere.
Giovanni Falcone non ha mai taciuto, né si è mai mostrato condiscendente di fronte all’illegalità, ma ha esercitato pienamente il proprio ruolo di cittadino e magistrato, lottando contro mafia senza indietreggiare, senza lasciarsi intimorire nonostante i gravi rischi cui esponeva se stesso e i propri familiari, animato da uno straordinario spirito di servizio verso le istituzioni democratiche. È stato tra i primi ad identificare Cosa Nostra come un’organizzazione parallela allo Stato, unitaria e verticistica, in anni in cui ne veniva persino negata l’esistenza e i crimini commessi erano ritenuti conseguenza dei conflitti tra bande criminali comuni contrapposte. La sua intelligenza, il suo rigore investigativo, i suoi innovativi metodi di indagine, divenuti un modello a livello internazionale, la sua capacità di guidare il pool antimafia hanno permesso d’infliggere per la prima volta un colpo durissimo alla mafia, con condanne confermate fino in Cassazione e aprire una fase nuova nella lotta contro la criminalità organizzata. Nella strage di Capaci ha pagato con la vita il suo impegno e il suo coraggio, insieme a sua moglie Francesca Morvillo e agli agenti della sua scorta.
Giovanni Falcone ci ha lasciato l’esempio di un uomo dello Stato che per lo Stato si è battuto fino alla fine, non senza dolore, amarezze, accuse, rinunce ma certamente senza clamore, con grandissima dignità e, lui sì, con onore.
Mancano due anni alle comunali e, come spesso è accaduto in passato, la politica locale inizia molto prima ad oliare gli ingranaggi politico-elettorali. Se non si hanno certezze sulla ricandidatura del sindaco Sergio Di Raimo nella compagine del centrosinistra di Sezze, sempre più frequenti e insistenti sono però i rumors sulla nascita di una grande coalizione civica per riprendere in mano il progetto interrotto bruscamente a causa della sfiducia all’ex sindaco Lidano Zarra. Sulla falsariga del progetto civico del 2003, pare che ci siano dei movimenti in atto per riorganizzare una idea di città diversa rispetto a quella che si sta evidenziando oggi. Ex, ma soprattutto nuovi volti della politica e della società civile intendono proporsi come alternativa al governo locale. In cantiere ci sarebbe un progetto civico rivoluzionario, a favore di una città a misura d'uomo e bambino, libera da velleità e imposizioni, e soprattutto svincolata da accordi pre-elettorali ciechi e dannosi per la città. La base del nuovo progetto civico sembrerebbe essere stato già fondato ma in sordina e senza clamorosi tributi al mondo social. I fondatori starebbero iniziando capillarmente a raggiungere simpatizzati e quello che considerano il nuovo elettorato. Vedremo se si tratta di un progetto che a breve si concretizzerà o se resterà solo nella fantasia dei fondatori. Per il momento top secret!
Il sindaco di Sezze con decreto n° 15 del 20 maggio scorso ha nominato vice-segretario generale comunale il dott. Lidano Caldarozzi, capo della Polizia locale e responsabile della Protezione Civile, nonché dirigente dei servizi sociali. Caldarozzi dovrà coadiuvare il Segretario Generale e sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento. Il comandante Caldarozzi subentra a questo incarico a Piero Formicuccia, collocato a riposo dal 1 febbraio scorso. Nelle premesse il primo cittadino intende assicurare così “una maggiore efficacia ed efficienza all’azione amministrativa legata alle funzioni del Segretario Generale Clorinda Storelli".
Alcune decisioni sono di difficile comprensione, sembra che ci sia la volontà di disorientare il cittadino. Un nota del funzionario responsabile PO del Comune di Sezze avvisa i cittadini che riaprirà anche il mercato settimanale di Sezze. L'avviso è stato pubblicato sul sito del Comune di Sezze. Il mercato settimanale del sabato, sospeso a causa dell’emergenza Coronavirus, riprenderà infatti il normale funzionamento con le diverse tipologie merceologiche dal giorno 23 maggio 2020. "Gli operatori e i cittadini - fanno sapere dal Comune di Sezze - sono tenuti al rispetto delle disposizioni del DPCM 17/05/2020 e dell’Ordinanza Regionale numero Z00041 del 16/05/2020, contenente le linee guida per la riapertura delle attività produttive, approvate e condivise dalla Conferenza Stato Regioni". A Sezze quindi riapre il mercato settimanale dove sono quasi inevitabili gli assembramenti ma resta chiuso il cimitero, o meglio per andare a fare visita ai cari defunti bisogna ancora prenotarsi. Unica estensione alle misure anti-contagio quella dell'apertura domenicale dalle ore 10 alle ore 12,30. Strano ma vero. Al mercato dove i clienti si affollano e dove sarà impossibile mantenere le distanze è stata decisa una riapertura totale, mentre al cimitero dove ognuno, singolarmente o a coppia, andrà a visitare la tomba del proprio caro, no. La riapertura completa è prevista tra dieci giorni, il 1 giugno, giorno in cui non servirà più prenotarsi. Decisioni veramente incomprensibili, senza una logica apparente. Chissà perché...
E’ passato un anno esatto dalla nascita ufficiale del Comitato “murodellatèra”. Il 20 maggio del 2019 gli aderenti al comitato spontaneo inviavano una lettera aperta al sindaco e alle massime cariche istituzionali della città per chiedere la sospensione dei lavori avviati per la realizzazione del monumento di San Lidano. Da pochi giorni infatti nel Belvedere di Santa Marisa di Sezze era stato realizzato uno scavo molto profondo e da lì a poche ore, lavorando anche sotto la pioggia, gli operai della ditta incaricata realizzeranno il primo basamento in cemento armato e l’armatura di tutta l’opera voluta da Don Massimiliano Di Pastina. A distanza di un anno ripubblichiamo integralmente il testo della lettera che venne spedita il 20 maggio di un anno fa, una lettera dove il Comitato aveva già delineato quelli che sarebbero stati poi i successivi passaggi, i timori, le richieste e l'assenza di partecipazione e condivisione fatta notare da autorevoli esponenti del mondo politico e culturale. Tutti appelli, ad oggi, caduti nel vuoto.
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Ecco il testo integrale della lettera
Gentile Sig. Sindaco, siamo un neonato Comitato spontaneo di cittadini che ha a cuore la tutela del paesaggio e dei beni pubblici del paese in cui sono nati e vivono. Le chiediamo fin da subito di fare in modo di ritirare, attraverso gli uffici competenti e gli organi di Polizia municipale, in autotutela, il permesso concesso per la realizzazione del monumento riferito in oggetto.
Del tutto recentemente, non appena siamo venuti a conoscenza dell’inizio lavori per aver visto il cantiere presso il Belvedere di Santa Maria, ci siamo costituiti informalmente per provare a non consentire l’ennesimo deturpamento del patrimonio urbanistico e paesaggistico che si sta perpetrando da anni a Sezze.
Leggendo la cartellonistica esposta sul cantiere già avviato, e vedendo l’enorme buca appena scavata, abbiamo scoperto inoltre che non si tratta di un lavoro pubblico con committente il Comune di Sezze, bensì a cura di un concittadino, Don Massimiliano Di Pastina.
Approfondendo la questione nei giorni successivi attraverso la consultazione degli atti di Giunta sul portale internet del Comune di Sezze, sezione albo pretorio, siamo venuti a conoscenza che in data 1.6.2018 (Reg. n. 92), la Giunta, riunita presso la residenza municipale, ha deliberato, con voto unanime di tutti gli assessori, alla presenza del Segretario comunale dr.ssa Falso Daniela, di “prendere atto della proposta di donazione (riportato in premessa della deliberazione, su cui torneremo), di accettare la donazione stessa con l’acquisizione del bene al patrimonio dell’Ente, di demandare ogni atto conseguenziale ai responsabili competenti, di dichiarare la presente deliberazione immediatamente esecutiva ai sensi dell’art. 134, comma 4, del T.U. n. 267/2000”.
Con successivo passaggio di giunta dell’8.6.2018, è stato precisato che “Don Massimilano Di Pastina rimarrà l’unico proprietario della scultura di San Lidano”. Anche questo è un aspetto che ci lascia a dir poco basiti.
Da giugno 2018 a maggio 2019 il Comune di Sezze non ha mai ritenuto doveroso rendere pubblico il progetto, né con avvisi di stampa né con auspicabili passaggi in Consiglio Comunale, le cui sedute sono riprese e trasmesse su canali internet, per cui qualcuno tra i cittadini sarebbe venuto a conoscenza ben prima dell’inizio lavori dell’operazione, avviati il 9 maggio 2019.
Sembrerebbe trattarsi quindi di una “donazione” di un privato cittadino, ancorché sacerdote e direttore dell’Archivio Capitolare della Cattedrale di Sezze e del Museo diocesano d’Arte Sacra di Sezze, che in una lettera del 12 Aprile 2018 ha chiesto “l’autorizzazione a realizzare un monumento con scultura bronzea di San Lidano (non ci è stato possibile vederla in bozza, né conoscerne lo stile o il nome dell’autore ma alta 1,8 m. da collocare su un basamento di 1 m. di altezza - per un impatto totale di circa 2,8 m in altezza) in Piazza Duomo, su area pubblica, sulla base di un progetto a firma dell’Architetto Ferruccio Pantalfini depositato presso il settore tecnico”.
Di seguito, nel primo atto di giunta del 1.6.2018 sono riportati una serie di passaggi istituzionali per acquisizione dei pareri, tra cui ci preme segnalare per solerzia quello rilasciato, e favorevole, dalla Soprintendenza di Latina in data 24 aprile 2018, a fronte di una richiesta trasmessa ufficialmente dall’Ente comunale in data 23 Aprile 2018, cioè il giorno prima.
Orbene, non sta a noi valutare la compiutezza dell’approfondimento tecnico del progetto a cura della Soprintendenza competente chiamata ad esprimere il parere di Legge, per documentazione che risulta acquisita, esaminata e rilasciato il parere in un solo giorno. Facciamo notare che non essendoci nel caso in questione nessuna urgenza di realizzazione del progetto trattandosi di un’opera ex-novo, non di lavori di consolidamento di un’opera preesistente, la subitanea risposta della Soprintendenza ci appare anomala.
Inoltre, ci preme sottolineare un aspetto, non sufficientemente chiarito nella richiesta formalizzata dal committente, ma inserita nella relazione tecnica allegata al progetto.
Infatti, solo leggendo la sopra citata relazione, emerge violentemente (suffragata dalla prova ex-visu dell’area cantiere ora operativa) che l’area in cui sarebbe stata posta la statua è sì in Piazza Duomo, ma non accanto all’entrata della Cattedrale di S. Maria o nei pressi dell’ingresso verso l’area interna della Canonica e del locale Museo Diocesano, come sarebbe stato forse più consono e con minor impatto urbanistico e paesaggistico.
Ebbene no! Il progetto prevede che la statua del co-Patrono della nostra città sarà collocata proprio al centro dell’area prospiciente il più bel “belvedere” tra i paesi dei Monti Lepini (ci sia consentito un po’ di sano campanilismo) che affaccia direttamente sulla Pianura Pontina. Un’opera ad alto impatto spaziale, alta in totale 2,8 m dal livello della pavimentazione, che renderebbe quel luogo non più lo stesso. Inoltre è previsto, con un secondo lotto di lavori (non ancora definito nella tempistica) che al momento non risulta finanziato dal committente della statua né da altri fondi all’uopo accantonati da codesto Ente o da altri: un restiling dell’intera area pedonabile con un progetto di lavori già definito ed allegato alla prima richiesta.
Non si tratta quindi semplicemente di una statua da collocare in Piazza Duomo, ma di un vero e proprio obnubilamento della libera visuale del “Muro della tèra” (così chiamiamo quel luogo noi sezzesi), lo spazio libero ed infinito verso l’orizzonte, fino al mare e alle isole Pontine, che sorprende ed affascina tutti i visitatori della piazza. Sarà capitato anche a Lei, Signor Sindaco, di accompagnare qualche amico forestiero in quella piazza, che attratto inizialmente dalla bianca ed antica facciata del Duomo (ahimé deturpata anch’essa da una colata di cemento messa a ricoprirne il tetto) si sarà accorto all’improvviso, voltando lo sguardo verso destra, dell’infinito libero spazio che dona la visuale verso l’orizzonte e che nelle giornate serene rallegra il cuore.
Per noi sezzesi quello spazio è molto di più di un largo calpestabile, di un marciapiede; ognuno ha ricordi legati a quell’affaccio ogni volta sempre più sorprendente. Ci sono storie, aneddoti, poesie dialettali e memorie intime che hanno visto quello stesso spazio occasione di riflessione e contemplazione, magari dopo matrimoni e funerali dei propri cari, come luogo ideale che nel cuore è rimasto a molti sezzesi. Forse (lo diciamo con dolore) quello è l’ultimo luogo incontaminato e non deturpato da orpelli e suppellettili architettoniche che è rimasto a Sezze, di un valore naturalistico e paesaggistico inestimabile. Peraltro, proprio nello spazio sottostante a quell’area, oggi difficilmente raggiungibile e in stato di abbandono, ci sono delle grotte ad alta volta che contenevano ossari della cattedrale ed altre strutture antiche. stato tenuto in debito conto anche questo aspetto, di valore storico, archeologico e statico, nei pareri tecnici emessi per il lavoro in questione?
Questo è il valore che vogliamo proteggere, non di una semplice polemica si tratta. Quel bene è di tutti e di nessuno in particolare, nessuno dovrebbe pensare di posizionarci una statua propria, seppur dedicata ad un Santo. Sì, uno spazio vuoto, uno slargo con affaccio mozzafiato che a nessuno dovrebbe essere consentito poter deturpare, riducendo di fatto l’impatto del punto di vista unico. Non si tratta tanto di non voler concedere uno spazio alla statua del Santo protettore Lidano (che peraltro è rappresentato e onorato da un’antica statua lignea e da un busto d’argento con reliquie nell’adiacente Cattedrale, sotto il cui altare maggiore riposano – forse dimenticate – i resti del Santo). Né si tratta di una posizione pregiudizialmente antireligiosa o contraria alla tradizione e devozione cittadina. Avremmo avuto lo stesso da ridire se nello stesso posto fosse stata intenzione di qualche mecenate collocare una statua di un eroe della Patria o di altro concittadino illustre del passato, anche laico.
Non vogliamo neanche sospettare alcunché sul perché si sia accettata una tal donazione “all-inclusive”, pensata altrove, blindata e basata non su iniziativa popolare ma sull’idea di un unico cittadino, forse in cuor suo benefattore, che non possiamo condividere e accettare acriticamente (come sembra aver fatto la Giunta, non prevedendo neanche un passaggio in Consiglio Comunale, pur essendo prevista la concessione di uno spazio pubblico) perché ad alto e negativo impatto sull’urbanistica della piazza e sul luogo chiamato belvedere. Ci sentiamo di batterci per quel belvedere, spazio unico e da tutelare strenuamente, nel rispetto del valore incommensurabile del bene e della pace interna che lo sguardo regala all’osservatore, chiunque esso sia.
A voi amministratori di oggi, noi cittadini di oggi chiediamo di tutelare quel luogo, quello spazio (magari trovando invece donazioni e/o fondi per manutenerlo e renderlo fruibile in sicurezza), quello sguardo verso la pianura che non ha prezzo e che abbiamo il dovere di lasciare ai cittadini che verranno, ai sezzesi del III millennio, ed ai potenziali turisti del futuro.
Sarebbe un vero peccato continuare nel percorso già avviato e completare i lavori.
Non si può disperdere un patrimonio di così alto valore e memoria solo per il capriccio o la santa idea (dipende dai punti di vista) di un privato committente, che peraltro pare rimanere comunque proprietario della statua seppur insistente e stabilizzata su luogo pubblico. In quello stesso spazio, forse anche San Carlo si sarà affacciato a contemplare l’orizzonte, a trovare risposte all’inquietudine umana che lo portò alle scelte radicali e alla vocazione religiosa.
Lo chiediamo a Lei signor Sindaco, lo chiediamo a tutte le Autorità in indirizzo.
Prima che sia troppo tardi e che quella statua possa diventare oggetto contrastato di devozione e/o denigrazione, con indubitabile deturpamento del “Muro della tèra”, recando disonore a voi amministratori pro-tempore - eletti a tutela dei valori di questa comunità-, e a noi cittadini che non abbiamo fatto sentire alto e forte il grido del popolo impoverito di un bene pubblico unico: fate in modo di ritirare, in autotutela, le disposizioni che hanno consentito l’avvio di quei lavori e lasciate l’intera area così com’è da tempo immemore.
In caso contrario, comunichiamo fin d’ora l’intenzione di intraprendere ogni azione di coinvolgimento e partecipazione popolare, di comunicazione pubblica e di percorso legale (tra cui il ricorso al Referendum previsto dall’Art. 37 dello Statuto Comunale), che possa interrompere l’iter già avviato e/o restituire in seguito la fruizione dello spazio a tutti coloro che vorranno continuare a farsi sorprendersi da quella visuale mozzafiato e stazionare lì per qualche minuto.
Sezze, 20 maggio 2019
Il Comitato spontaneo “Muro della tèra”
Altro...
“Sul Belvedere, essendo segretario di circolo, in questo momento preferirei non rilasciare dichiarazioni…”. Il giovane e neo segretario del Pd di Sezze, Daniele Marchetti, fresco di nomina, risponde così ad una richiesta di intervista sulla vicenda del Belvedere. Detto diversamente se ne vuole lavare le mani come Pilato, sperando che la patata bollente passi nelle mani di altri dem, divisi e in difficoltà sull’unico argomento vivo dell’amministrazione comunale targata Di Raimo. Giovedì 21 maggio sarà un anno esatto dalla sospensione dei lavori al Belvedere da parte dell’Ufficio Tecnico comunale. Un anno in cui sono successe molte cose importanti e meno importanti, un anno però durante il quale l’affaccio al belvedere è rimasto comunque ostruito da un cantiere privato per realizzare un monumento a San Lidano voluto da Don Massimiliano Di Pastina e da suo fratello Ernesto Di Pastina, consigliere comunale di Sezze. In questo anno, quella che inizialmente è stata fatta passare come un’opera che non si doveva far sapere, se non a lavori iniziati, ha prodotto autorevoli interventi e acceso una discussione e un dibattito senza precedenti negli ultimi decenni a Sezze. Il Comitato, liberi cittadini, autorevoli esponenti politici ed istituzionali, professori e uomini di cultura hanno espresso la loro opinione nel merito, sottolineando sempre la mancata partecipazione e condivisione da parte del sindaco su scelte importanti come quello dello stravolgimento del Belvedere di Santa Maria. Nessuno è mai stato contrario alla Statua ma solo al posizionamento della stessa al centro del Belvedere, un atto deciso a tavolino due anni fa. In questi mesi l’on. Sesa Amici, l’On. Lelio Grassucci, il prof. Giancarlo Loffarelli e altri cittadini hanno espresso liberamente il loro pensiero su quanto si vuole realizzare. Gli unici che tacciono da un anno esatto sono i diretti interessati e chi, probabilmente, ha delle remore per farlo. Tra i tanti, francamente, non pensavamo di annoverare un giovane intelligente e brillante qual è Daniele, sempre disponibile e gentile. Gli ricordiamo al neo segretario che ricoprire un ruolo politico qual è quello di segretario di circolo comporta però necessariamente delle responsabilità ed una autonomia che il ruolo stesso richiede e impone. Tacere e aspettare che passi la buriana per poi fare dichiarazioni successivamente è come ammainare le vele prima di partire, è come chiedere la parola quando la lezione è già terminata. Il Pd è partito di maggioranza a Sezze ed è anche il partito del sindaco Di Raimo. Una volta le segreterie politiche portavano all’ordine del giorno del direttivo argomenti e problemi che venivano discussi ed eventualmente approvati. Poi il capogruppo del partito relazionava in aula consigliare la linea del partito, una linea che rappresentava la maggioranza degli iscritti. Oggi non sappiamo se manca la linea o il partito stesso.
“Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere” (Alain Deneault)
L’esperienza imprevista del coronavirus ci consegna ad un futuro economicamente e socialmente incerto, ma ci offre anche l’opportunità di ripensarci a fondo, di rivedere certo nostro individualismo esasperato, l’illusorio differenziarci che ci ha precipitati nel conformismo, ci sfida a riconsiderare il come e il perché delle nostre comunità, a farci carico dell’esigenza di una loro rigenerazione profonda negli obiettivi e nei progetti, rimettendo al centro il bene comune inteso non come mera sommatoria di egoismi personali e di gruppo, ma come idea complessiva di progresso che non escluda o lasci indietro nessuno.
È finita un’epoca e nulla sarà come in passato, si sente ripetere da più parti, anche da alcuni attori della politica nostrana, con insistenza riflessiva e mesta, con nostalgica e rassegnata gravità e insieme con malcelata e fiduciosa aspettativa che si tratti di una prospettiva scansabile e, se proprio necessaria, almeno solo di facciata: tutto cambi ma in apparenza e tutto resti uguale nel perpetuarsi del comodo presente. Altri invece ricorrono al silenzio esorcizzante, indifferenti all’argomento perseverano nei loro comportamenti in tutto identici al passato recente, fingono di non vedere speranzosi di riprendere il discorso giusto nel punto in cui, qualche settimana fa, si è interrotto, di ricominciare come prima, di tornare a lucrare consensi a buon mercato, consolidare carriere e garantirsi rendite di posizione senza affanni e la necessità di reinventarsi un domani, magari fuori dalle stanze del potere.
Riaprire e ripartire, parole condivisibili e di buon senso, palesano però in molti una superficialità preoccupante, un velleitarismo pericoloso e incurante delle proporzioni della sfida sanitaria ed economica da affrontare, degli indispensabili e innovativi strumenti di cui dotarsi per riorganizzare lavoro e relazioni, una inadeguatezza ad analizzare la realtà e a pensare progettualità che prevedano un mutamento radicale di stili di vita e di comportamento e non siano solo un vezzeggiare gli egoismi personali e il rivendicazionismo corporativo. Dopo anni di martellante ideologia individualista, per cui la società non esiste, esistono solo gli individui, secondo la visione di Margaret Thatcher divenuta senso comune globale, nella convinzione di poter essere felicemente liberi perché senza regole se non quelle del mercato competitivo e auto-regolantesi, dove il noi non conta, o conta molto meno, o conta un noi liquido, come direbbe Bauman, puntiforme o usa e getta, lo sforzo più importante è ricostruire una visione di società e socialità, di polis fondata su regole etico-morali e civiche condivise e rispettate, che promuovano l’uomo, la sua dignità e la solidarietà e siano finalizzate a realizzare una convivenza tra uguali nelle opportunità, un vivere con e non una semplice giustapposizione di individui, dove il legittimo interesse di ognuno si contemperi e concili con l’interesse di tutti, le persone non siano un frammento efficiente del sistema produttivo pena l’espulsione e l’eliminazione, ma un valore in sé da tutelare attraverso una effettiva giustizia sociale, economica ed ambientale.
L’esaltazione del lavoro di medici e infermieri, le manifestazioni di solidarietà e vicinanza, il ripeterci continuamente ce la faremo non bastano se non ci sforzeremo di vivere diversamente, provando a immaginare, progettare e realizzare una società migliore. Ciò necessita un salto qualitativo della rappresentanza politica a tutti i livelli, un ricambio di persone. Governare i tempi inediti che abbiamo davanti richiede rigore morale, spessore culturale e credibilità. Abbondiamo di politici, ma di statisti in giro se ne vedono assai pochi e siffatto limite è drammatico. L’affermazione di Alain Deneault si attaglia appieno al nostro Paese. La mediocrità ha preso il sopravvento, figlia di una rivoluzione suggestionante, facente leva su buon senso e luoghi comuni, anestetizzante le coscienze critiche. Si è scagliata contro il professionismo politico, la casta e i privilegi, ma la sua carica innovativa è stata solo apparente, pura retorica volta a sviare l’attenzione, a stabilizzare, a non disturbare o contestare l’ordine economico e sociale, a massificare idee e comportamenti, a fornire opportunità di realizzazione a scappati di casa senza prospettive. La mediocrità è divenuta un modello cui conformarsi, caratterizzato da un linguaggio definito del popolo e in realtà solo maleducato, dalla cancellazione delle differenze tra destra e sinistra con conseguente affermazione di un’idea esclusiva del mondo con annessa intolleranza verso chi la contesta. Beninteso mediocrità non significa incompetenza. Il mediocre è un mediamente competente, a metà tra gli incompetenti, inutili perché inefficienti e non funzionali, e i supercompetenti, troppo incontrollabili e ingestibili per essere accettati, il cui spirito critico deve essere ristretto e limitato entro confini definiti e prevedibili: sta al gioco e gioca senza contestare le regole, piegandosi ossequioso ad esse e a quanti nel piccolo e nel grande esercitano un minimo di potere onde garantirsi il posizionamento sullo scacchiere sociale, accettando i compromessi favorevoli a raggiungere obiettivi immediati e così dimostrare di essere affidabile.
A nessuno sfugge che, per quanto impietoso, questo è la stato della politica italiana che guarda ai consensi e non ai cittadini, dal livello locale fin nei piani più alti, fatte salve le eccezioni. Possiamo cogliere l’occasione per dare un colpo d’ala, per riappropriarci del nostro destino e interrompere il circolo vizioso che porta a ricoprire ruoli e funzioni non i migliori ma chi garantisce il gruppo che li nomina ed è disponibile a mantenere attivo tale meccanismo autoriproducentesi. Diversamente stiamo pur certi che non andrà per nulla tutto bene e difficilmente ci risolleveremo. Non lasciamoci ancora ammaliare dai pifferai magici, dai narcisi del potere, dai cantori dell’impossibile e ladri del futuro. I tempi sono difficili e proprio per questo dobbiamo dimostrarci coraggiosi.
La storia della nostra amata Sezze, soprattutto quella del periodo storico in cui lo Stato Pontificio è stato l’Autorità civile e religiosa, scritta a caratteri scolpiti sui marmi delle nostre chiese, lascia tracce di episodi antichi a futura memoria, sconosciuti a studiosi e cittadini, che ci invitano a riconsiderare il presente sui valori comuni condivisi e a conservare queste testimonianze.
In questo tempo di quarantena da Covid19, la navigazione online ci ha aiutato a resistere alla clausura forzata e ad approfondire i nostri hobby, cercando risposte a curiosità personali.
Quanti Papi, nei due millenni di storia della Chiesa cattolica, sono stati personalmente in visita a Sezze?
Da questa domanda sono partito, la materia mi affascina e pur non essendo uno storico - e mi scuso in anticipo per eventuali imprecisioni, errori nel presente testo o incompletezza - le ricerche a partenza da Google, senza la necessità di frequentare fisicamente archivi e biblioteche, offrono adesso un mare magnum utilissimo a perder tempo ma anche a scovare mille informazioni vere, da inseguire, approfondire e ricollegare tra di loro (Ringrazio personalmente tutti i curatori dei siti internet e gli autori dei testi citati).
Nel sito internet della Compagnia dei Lepini, nella pagina Cenni storici di Sezze è così riportato “Diversi papi soggiornarono a Sezze e a volte per lungo tempo: Gregorio VII nel 1073, Pasquale II nel 1116, Lucio III per circa un anno nel 1182”. Do per buona la notizia pur non avendo trovato citata la fonte bibliografica e aggiungo che anche di Sisto V e Sisto VI si ricordano le rispettive visite a Sezze, dicono finalizzate a meglio controllare dall’alto della collina lo stato dei lavori di bonifica avviati nella olim palus pontina.
Trovo interessanti notizie su queste ultime visite papali nella rivista online Lepini Magazine e su www.setino.it di Ignazio Romano, in cui sono ancora consultabili articoli pubblicati tempo fa dai concittadini appassionati Roberto Vallecoccia e Vittorio Del Duca.
“È fama che dalla cima di un colle rimpetto alla città e presso il monte Trevi si mettesse a riguardare la palude, che resta tutta esposta alla vista; ed un sasso, sopra cui dicesi che il Papa (Sisto V) si ponesse a sedere, porta anche al presente il nome di Pietra di Sisto, dal volgo altresì detta Sedia del Papa” (De bonificamenti delle terre pontine - opera ottocentesca di Nicola Nicolai).
Anche il successore Papa Pio VI, anni dopo, si ritrovò più volte a Sezze su quella pietra improvvisata sedia papale, punto di osservazione privilegiato sulla bonifica ancora in corso. Si racconta che l’ultima visita di Papa Braschi ci fu nel 1798, poco prima della sua morte (quest’ultima dovrebbe essere l’ultima visita ufficiale a Sezze di un Romano Pontefice) allorché, una volta catturato dai francesi, chiese di vedere per l’ultima volta lo stato di avanzamento dei lavori di bonifica – apparentemente quasi conclusa - dei territori di Sezze, Priverno e Terracina. Questo momento è stato riprodotto nella stampa “Les Marais Pontains” di Raphael Morghen, la cui matrice è conservata presso il British Museum di Londra.
Proseguendo nel viaggio da internauta mi imbatto in una pagina di un sito internet dedicato alla Cattedrale di Sezze, forse non più attivo, in cui trovo un riferimento ad un altro Papa che ha visitato il nostro Paese e all’improvviso mi torna alla mente un lontano colloquio con il mio amico, artista ed appassionato di cimeli e stampe antiche, Franco Vitelli.
In questa pagina web http://web.tiscali.it/s.maria.sezze/s_filippo.html la fonte del testo riportato è precisata in calce e fa riferimento ad una pubblicazione “La cattedrale di Sezze” di Luigi Zaccheo, che a sua volta cita tra la bibliografia consultata, alcuni testi più antichi di Marocco e Cerroni.
Entrando nella Cattedrale di Santa Maria, e progredendo sulla navata di sinistra, sulla parete laterale del piano sopraelevato del transetto, troviamo ancora oggi un altare barocco dedicato a San Filippo Neri, con al centro una pala d’altare del sec. XVIII raffigurante il Santo raccolto in preghiera (non è citato l’autore), con un grande angelo che lo tocca in segno di protezione e due piccoli angeli seduti che hanno un giglio in mano.
San Filippo Neri era vissuto a Roma nella metà del 1500 e si era distinto per la sua incessante opera di carità da parroco soprattutto nell’assistenza di poveri e malati. Canonizzato nel 1622, è passato alla storia con il nome di Santo della gioia e anche per il linguaggio colorito con cui si lasciava andare nelle conversazioni con i tanti giovani che ospitava, rifocillando ed educandoli alla fede, nel suo Oratorio di S. Maria in Vallicella (“State buoni se potete…”). Davanti a quell'altare schiere di bambini di Sezze della mia generazione - e anche prima - si sono sempre soffermati non tanto per pregare o per ammirare il quadro, ma perché attratti dall’urna in cui erano conservate le spoglie di San Leonzio, con i suoi abiti in stile militare decorati finemente e la piccola spada antica, che risultano essere state donate dal Cardinale Pietro Marcellino Corradini alla sua città natale (chissà che fine ha fatto San Leonzio ora, non l’ho più ritrovato al solito posto qualche mese fa quando ho provato a incuriosire mia figlia Sofia).
Proprio accanto a questo altare vi è ancora una lapide in marmo bianco con una scritta in latino che ci ricorda la presenza di un Papa a Sezze, Benedetto XIII (al secolo Pietro Francesco Orsini, 245º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1724 al 1730), presente al rito solenne avvenuto proprio su quell’altare dedicato a S. Filippo - di cui il papa era devotissimo - il 26 Maggio 1727.
AETERNAE MEMORIAE BENEDICTI XIII ORD. PRAED. PONT. MAX QVOD SETINAM ECCLESIAM SVO SPLENDORI RESTITVERIT HOC TEMPLUM PONTIFICIA MAIESTATE ILLVSTRAVERIT REM DIVINAM IN EO SOLEMNI RITV DIE XXVI MAH A. D. MDCCXXVII PEREGERIT ET CONCIONEM E SVGGESTV INTER MISSARVM SOLEMNIA IN S. PHILIPPI NERI LAVDEM HABVERIT CAPITVLVM ET CANONICI OB INGENTIA ERGA SE BENEFICIA AC SINGVLAREM OPTIMI PONTIFICIS CLEMENTIAM POSVERE .
Cerco in rete altri dati su questo Papa e scopro che anni prima era stato Arcivescovo di Benevento (Enciclopedia Treccani) e che da Papa ebbe a tornare per due visite pastorali in quella città: la prima tra Marzo e Maggio del 1727 (l’altra nel marzo-giugno 1729) in cui ebbe anche l’onore di inaugurare la Chiesa dedicata a S. Filippo Neri, di cui aveva iniziato anni prima la costruzione (ndr: attualmente il pastore metropolita della Diocesi beneventana è S.E. Arcivescovo Felice Accrocca, nativo di Cori, sacerdote diocesano e parroco in varie parrocchie della Chiesa pontina, anch’egli presente più volte a celebrazioni liturgiche nella Cattedrale setina).
Evidentemente Benedetto XIII, proprio di ritorno dal faticoso viaggio sulla strada verso la Capitale, aveva già preventivato di fermarsi a Sezze, lo deduco da quanto avvenne in seguito. Nel sito dell’Archivio Capitolare di Sezze, in seguito scopro che “Con un decreto della Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986 la cattedrale di S. Maria - già decorata, da Benedetto XIII (1724-1730) del titolo di basilica, distinzione rinnovata nel 1808 dal Capitolo lateranense - ha assunto il titolo di concattedrale”. Un atto ufficiale di quel Pontefice che aveva insignito la nostra bellissima cattedrale del titolo di Basilica.
Scopro inoltre che le due bolle pontificie originali di Benedetto XIII, inizialmente conservate dai canonici della Cattedrale, risulterebbero ancora conservate presso l’Archivio di Stato di Latina, pervenute per regolare versamento dall’Archivio storico comunale di Sezze e mai reclamate dalla Chiesa dopo il 1870.
Ed ancora, seguendo altri link interessanti, mi imbatto in un’altra notizia su Benedetto XIII, che era dell’Ordine Domenicano, riportata sul sito di Avvenire nel 2017: “A Roma nella sede del palazzo del Laterano il 24 febbraio scorso si è chiusa alla presenza del cardinale vicario Agostino Vallini la fase diocesana della causa di beatificazione. A dichiararlo servo di Dio, su spinta dei suoi confratelli domenicani, è stato nel 1931 Pio XI”. Tra qualche anno, chissà, la Chiesa potrebbe innalzare agli onori degli altari questo Papa, pugliese di nascita e che fu sepolto dapprima nella Basilica Vaticana per poi essere traslato anni dopo nella chiesa romana di S. Maria in Minerva.
Sotto la stessa notizia, una nota biografica: “Aveva 81 anni Benedetto XIII quando il 21 febbraio 1730 morì a causa di una febbre: spirò santamente e per non disturbare il popolo romano impegnato a festeggiare l’ultimo giorno di Carnevale dispose che non venissero suonate le campane a morto. I suoi resti mortali dal 1733 riposano nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, affidata da secoli ai domenicani”. Un Papa particolare questo Venerabile Benedetto XIII, non c’è che dire.
Tornando alla Cattedrale di S. Maria (e al testo del Prof. Zaccheo), dall’altro lato dell’altare di S. Filippo Neri c’è un’altra lapide, scritta sempre in latino, che forse è ancor più interessante della prima e che ricorda l’episodio di cui avevo parlato con il Magister Vitelli.
CVM ORDO NOBILIVM SETINORVM IMPENSA MILLE NVMMVM ARGENTI BENEDICTO XIII ORD. PRAED. PONT MAX OB SETINAM ECCLESIAM DECRETIS AMPLISSIMIS ORNATAM STATVAM IN FORO PONERE CENSVISSET EIVS LOCO IVSSV EIVSDEM PONTIFICIS HVIVSMODI MONVMENTA MODESTE RECVSANTIS HOC SACELLVM IN HONOREM S. PHILIPPI NERII ELEGANTI OPERE EXTRVXIT CVIVS ALTARE IDEM PONTIFEX DIE XXV MAH A. D. MDCCXXVII CONSECRAVIT AC SINGVLIS DIEBVS FVTVRIS TEMPORIBVS PRIVILEGIO PERPETVO PRO DEFVNCTIS DONAVIT [foto n. 4].
Sintetizzando, i nobili di Sezze di quel tempo, per omaggiare la figura del Pontefice e per ricordare a futura memoria la Sua presenza nel nostro paese a Maggio del 1727, avevano pensato e prospettato di far costruire e posizionare proprio nel centro cittadino una statua dedicata allo stesso Benedetto XIII. Il Papa, che celebrò la S. Messa proprio su quell’altare “assistito da vari prelati, da generali di ordini, e da ben dieci tra arcivescovi e vescovi” e che dopo il Vangelo ebbe a declamare una magnifica orazione al Santo (S. Filippo Neri) concedendo speciale indulgenza, fe’ il gran rifiuto con un gesto forse non consueto, ma che è rimasto scolpito nella storia e nel marmo della Cattedrale. Aveva convinto i nobiles setini a devolvere la somma prevista per il posizionamento della statua (che non è mai esistita) destinandola ad abbellire con marmi proprio quell'altare in onore di San Filippo Neri, che egli stesso consacrò definitivamente con la Sua presenza in quei lontani giorni di Maggio, A.D. MDCCXXVII.
Ora, a distanza esattamente di 283 anni, sempre a Sezze e nel Maggio, un’altra statua – stavolta dedicata al co-Patrono S. Lidano e destinata ad occupare il centro della piazzetta del murodellatèra a qualche decina di metri dalla stessa Cattedrale – è tornata al centro dell’attenzione delle cronache locali.
La statua è di un donatore e vuole metterla proprio lì. Ma lo spazio in cui vorrebbe posizionarla è pubblico. Il cantiere è chiuso da un anno per irregolarità. Il Sindaco ha sostenuto il progetto e vorrebbe portarlo a termine. Alcuni cives setini difendono l’idea che il Belvedere sulla pianura Pontina rimanga così com’è sempre stato, libero, anche da statue.
Dovrà arrivare Papa Francesco a Sezze per dare a tutti un buon consiglio?
Altare di S. Filippo
“Les Marais Pontains” di Raphael Morghen
Si torna in aula per discutere ed approvare il Bilancio del Comune di Sezze. Dopo lo stop dei lavori causati dall’emergenza covid19, l’assise cittadina si riunirà di nuovo ma questa volta a porte chiuse. Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, dopo aver avuto il parere unanime dei capigruppo in commissione, ha convocato per il 27 maggio alle ore 16 una seduta consiliare che si terrà presso l’auditorium Mario Costa. All’ordine del giorno l’approvazione del bilancio di previsione 2020-22 e ratifica della delibera di Giunta comunale relativa alle risorse alimentari per covid19. La seduta verrà sera pubblica attraverso ordinarie vie telematiche indicate sul portale del Comune di Sezze. I consiglieri comunali dovranno munirsi di mascherine di protezione per partecipare all’assise cittadina.