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L’immagine del corpo di Aldo Moro, crivellato di colpi e riverso nel bagagliaio della Renault 4 rossa, fatta ritrovare dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 in via Caetani a Roma, ha segnato la storia dell’Italia. L’obiettivo dei terroristi era colpire il cuore dello Stato, destabilizzare le istituzioni eliminando uno dei suoi migliori uomini politici, un coraggioso riformista e un punto di riferimento della nostra democrazia per la sua capacità di guardare oltre l’immediato, di analizzare e interpretare i processi che attraversavano il tessuto sociale e culturale dell’Italia in quegli anni turbolenti, ricchi di potenzialità e animati da grandi speranze di cambiamento, con l’obiettivo di guidarli e indirizzare le scelte verso equilibri politici più avanzati.

L’assassinio di Aldo Moro ha rappresentato una lacerazione traumatica nella vita della Repubblica, ha interrotto il percorso che avrebbe dovuto portarci a divenire una democrazia compiuta, ha determinato la sclerotizzazione del sistema politico, creando i presupposti per il logoramento dei partiti e il decadimento culturale e morale della classe politica, che si è chiusa in una autoreferenzialità finalizzata alla perpetuazione di se stessa e degli spazi di potere acquisiti, incapace di cogliere i mutamenti e di governare la complessità, di cui scontiamo ancora oggi effetti e conseguenze.         

Il crollo della prima repubblica e le trasformazioni del sistema politico, frutti sia della fine dello scontro ideologico e tra blocchi internazionali contrapposti sia della questione morale, non hanno prodotto una democrazia più matura. Al contrario ci hanno introdotti in questo nostro tempo dominato dall’antipolitica, da leader abili catalizzatori di consensi ma refrattari alla riflessione, all’elaborazione di progettualità di ampio respiro, privi spesso di solidi riferimenti culturali e propugnatori di un pericoloso indifferentismo valoriale. Nasce da qui l’esigenza di non fermarci a una commemorazione puramente formale dell’assassinio di Aldo Moro e di cogliere l’occasione per avvicinarci al suo pensiero articolato, complesso e straordinariamente attuale, per raccoglierne il testimone ed ispirarci alla sua eredità umana, civile, culturale e politica, che i terroristi e quanti anche dall’interno delle istituzioni se ne sono fatti complici non sono riusciti né a cancellare né minimamente a scalfire, per comprendere il presente e costruire insieme il futuro dell’Italia.

Aldo Moro, personalità di vastissima cultura, formatosi nella FUCI sotto la guida spirituale di Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI°), sia come professore universitario sia come politico è stato uomo del dialogo e dell’ascolto, da lui ritenuti strumenti indispensabili per garantire il progresso e il consolidamento della democrazia, si è fatto promotore di un’idea di società che ponesse al centro la persona, perseguisse la concreta rimozione delle discriminazioni, garantisse libertà e dignità e realizzasse una effettiva eguaglianza tra tutti i cittadini.“In una società democratica, come quella che abbiamo contribuito a delineare nella Costituzione e che vogliamo costruire nella realtà vi è un problema fondamentale di valorizzazione generale e compiuta dell’intera società.(…) Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale.(…) La conciliazione delle masse con lo Stato, il superamento dell’opposizione tra il vertice e la base: non lo Stato di alcuni, ma lo Stato di tutti; non la fortuna dei pochi, ma la solidarietà sociale, resa possibile dal maturare della coscienza democratica e alimentata dalla consapevolezza del valore dell’uomo e delle ragioni preminenti della giustizia”(Dalla Relazione al VII Congresso Nazionale della DC – Firenze 24 ottobre 1959). Nella visione morotea il dialogo costituisce la base vitale e insostituibile della democrazia. “Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiamo il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e dialogo”(Aldo Moro – Il  Giorno 10/04/1977). Questa sua idea della politica presuppone un’autentica e radicale rivoluzione culturale, ben lungi ancora dal compiersi. Avendo a riferimento i valori umani, lo Stato deve assicurare lo sviluppo complessivo delle persone, il loro concorrere libero e democratico alla realizzazione degli interessi generali mediante lo strumento insostituibile dei partiti.“Ma le democrazie moderne con una vastissima base popolare, con il necessario raccordo tra potere di vertice e fonte del potere, con il significato sostanziale e non meramente formale che assumono, non possono fare a meno della iniziativa politica dei partiti e dell’opera di mediazione che essi svolgono, per dare efficace ispirazione ed effettiva base di consenso, in ogni momento, allo Stato democratico”(VIII Congresso Nazionale della DC – Napoli 27/01/1962).

La politica oggi mostra segni d’affanno. La perdita di incisività e inclusività dei partiti colpisce le istituzioni rappresentative e i processi elettorali. Le distorsioni e le degenerazioni hanno spinto tanti ad affidarsi a derive populiste, anche attraverso le reti informatiche, dimostratesi però ampiamente inidonee a sostituire i partiti, i quali devono tornare ad essere luoghi di partecipazione reale e continuativa alla formazione dei programmi e alla selezione, ad ogni livello, di una classe dirigente rispondente alle esigenze della società. La democrazia ridotta a semplice partecipazione al momento elettorale finalizzato al conferimento di una delega in bianco al leader, deperisce, diviene un simulacro vuoto in balia di gruppi di interessi in grado di condizionare e indirizzare il consenso, è preludio all’autoritarismo e alla fine dei diritti e delle libertà.

Sabato, 09 Maggio 2020 06:00

Gli anziani e il coronavirus

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Il coronavirus ha colpito mortalmente soprattutto le persone anziane, gli ultrasettantenni. Le statistiche dei deceduti durante la peste sono implacabili. Le vittime predestinate sono state loro. Un tragico destino. Nei momenti più difficili soccombono le persone più fragili. Si tratta, quella dei nostri vecchi, di una generazione che ha ricostruito l'Italia dalle macerie della II guerra mondiale e che, tuttora, costituisce la spina dorsale della memoria e della saggezza della Nazione: hanno trascorso una vita all'insegna del duro lavoro e della ricostruzione democratica della Nazione: una generazione  che meritava, certamente, di essere ripagata con una vecchiaia serena e tranquilla. E invece... In questi giorni di  coronavirus  mi è capitato di incontrarne parecchi di loro, quasi tutti smarriti e indifesi, con addosso un senso di colpa nei confronti dei loro figli e nipoti, preoccupati soltanto del futuro dei giovani,  della disoccupazione e della crisi economica. I vecchi sono fatti così!  A se stessi non ci pensano mai: il loro unico pensiero è la serenità dei figli e la spensieratezza dei nipoti. Essi non temono la morte, ma la solitudine. La morte, inevitabilmente, prima o dopo arriva. La solitudine non ti abbandona mai. In questi ultimi anni è invalsa l'abitudine di andare nelle Case d riposo o nelle RSA per trascorrere gli ultimi anni della vita, alla ricerca della compagnia e della tranquillità. Dove essi speravano e sperano di rivivere momenti spensierati della loro giovinezza, giocando a carte, a bocce, trascorrendo il tempo per una passeggiata, ammirando i fiori, le piante, godendosi un bel tramonto. Una volta, nella veccia società contadina, non era così! Nei vicoli del paese si respirava un'altra aria, una atmosfera di familiarità e di solidarietà. I vecchi non andavano via dalle loro abitazioni, non si sentivano ingombranti, erano le figure dominanti del  vicinato, sempre in compagnia degli amati nipoti. Oggi, purtroppo, quel modello di vita e di società si sta perdendo. Sono rimaste poche le famiglie dove vive un vecchio! La vecchia famiglia è stata sostituita da nuclei molto ridotti, da single, da coppie senza figli. Si è diffuso il sentimento della rimozione della vecchiaia e della morte. Il tratto finale della nostra esistenza diventa qualcosa da nascondere, da occultare in strutture per anziani, strutture più o meno dignitose (dipende da quanto si può pagare!). Il ricovero in queste strutture è diventata quasi una necessità. Il coronavirus, invece, ha drammaticamente  scoperto la fragilità e la debolezza di questa soluzione. Non si sa ancora esattamente quanti vecchi sono morti nelle  RSA  e nelle Case di Riposo durante la prima fase dell'epidemia:  ci sono indagini in corso. Ma sono tanti, troppi quelli che ci hanno lasciato la vita  senza neanche un saluto di commiato!  Indietro, purtroppo, non si può tornare. Ma si può e si deve introdurre un nuovo modello di assistenza per gli anziani, in piccole strutture accoglienti all'interno dei centri storici e dei centri abitati, in  piccoli appartamenti arredati con i loro mobili, con i loro ricordi, con l'assistenza continua del medico e con i pasti a domicilio. Appartamenti aperti ai parenti e agli amici,  attraverso la condivisione di  alcune abitudini di orari,  per ricostruire piccole comunità accoglienti e umane  e far nascere nuove amicizie. Ciò che è accaduto non deve accadere mai  più! Il vecchio non deve essere percepito come una merce né come un parcheggio a pagamento,  in attesa della morte. Speriamo che il coronavirus ci insegni qualcosa di buono!

 

 

 

 

Nonostante il condizionamento prodotto dai provvedimenti volti alla tutela della salute minacciata dal COVID 19, la vita scolastica dell’Istituto “Pacifici e De Magistris” di Sezze prosegue con l’obiettivo di ridurre al minimo gli inevitabili impedimenti e restrizioni. Accanto all’attività didattica, che sta proseguendo utilizzando gli strumenti digitali di comunicazione, sono ripresi i lavori per l’ampliamento delle cucine dell’Indirizzo Alberghiero, quelli relativi al restauro e alla messa in sicurezza della sede storica dell’Istituto, nella struttura dell’ex convento dei padri Cappuccini, nonché i lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento normativo della sede centrale. La dirigente scolastica prof.ssa Anna Giorgi per tali interventi ci tiene a ringraziare la Provincia di Latina. "Un sentito ringraziamento è da rivolgere all’amministrazione provinciale di Latina che - afferma Anna Giorgi - nonostante i disagi dell’attuale situazione, ha garantito puntualmente la prosecuzione dei lavori avviati. Il prossimo anno scolastico si annuncia particolarmente impegnativo, sia per le possibili emergenze sanitarie che potrebbero tornare a essere necessarie, quanto per l’incremento degli iscritti che porterà l’Istituto a raggiungere le 62 classi. Gli interventi in corso, però, costituiscono la maniera migliore per prepararsi, non soltanto alla chiusura di questo anno scolastico, ma anche alla riapertura a settembre".

 

 

 

Nei giorni scorsi, a sorpresa, come tirar fuori dal cilindro un coniglio, il funzionario responsabile dell’UTC di Sezze Vincenzo Borrelli ha caricato nel sistema comunale la proposta di delibera/donazione per riprendere e concludere la realizzazione del monumento di San Lidano donato da Don Massimiliano Di Pastina e voluto fortemente dal fratello consigliere comunale Ernesto Carlo Di Pastina. In pieno covid 19 gli studi e le ricerche per trovare una soluzione-toppa alla pecionata fatta lo scorso anno a maggio, a quanto pare, sono proseguiti con solerzia, su richiesta, immaginiamo, del primo cittadino di Sezze. Sergio Di Raimo, d’altro canto, non si è mai nascosto come altri e si è sempre mostrato innamorato del monumento al Belvedere, considerandolo bello (nessuno ha mai visto la statua) ed elemento che sicuramente andrà a riqualificare il sito (non ci risulta che la statua sia di un noto artista né che appartenga all’antichità). In verità questa statua nessuno ancora l’ha vista…forse non è stata ancora colata nell’apposito stampo. Al sindaco però quel progetto piace da morire, lo ha detto in mille modi e in tutte le salse e su tutti i canali possibili. Lo ha scritto ovunque pensando così di convincere cittadini contrari al progetto e soprattutto di allargare la sua base in aula consigliare. L’atto di donazione, infatti, dovrà essere approvato dal consiglio comunale di Sezze dopo che il presidente del consiglio avrà convocato una seduta ad hoc. Il sindaco sapeva di non avere dalla sua parte i numeri per approvare un bel nulla. Sapeva anche che molti dei suoi consiglieri si erano espressi contro un modus operandi non trasparente. Sapeva che il suo partito, il Pd, non aveva gradito e (fino a prova contraria) non gradisce l’iter che ha portato all’inizio dei lavori e sapeva che anche altri consiglieri di maggioranza e di opposizione erano contrari. Appellandosi alla coscienza personale di ognuno di loro però ha chiesto più volte di votarla liberamente in aula, contraddicendosi poi nel far capire a tutti che avrebbe potuto dimettersi nel caso di un voto contrario. Oggi la situazione non è poi così cambiata. Il Pd non sembra aver trovato una quadra, gli altri gruppi della maggioranza non voteranno alla cieca un progetto discutibile e nell'opposizione, tranne qualcuno che potrebbe fare il salto della quaglia, c’è chi voterà contro e chi non lo voterà proprio. Tirando le somme è passato un anno esatto, il belvedere è diventato un deposito di materiali edili e di immondizia e la statua è diventato motivo di crisi politica non essendoci altri argomenti e progetti su cui discutere. Mancano due anni alla fine della prima consiliatura Di Raimo. Capiamo anche che il sindaco vuole portare a casa un risultato, soprattutto dopo la deludente inaugurazione del mezzo depuratore a Sezze Scalo. Capiamo che per recuperare terreno mai guadagnato farà sconti al dettaglio. Capiamo tutti che Di Raimo sa bene che non bastano like su facebook per farlo stare elettoralmente tranquillo. L'unica cosa che non capiamo è perché mai quella statua deve essere messa lì...per forza di cose.

 

 

Sicurezza stradale questa sconosciuta. Sono molte le segnalazioni che denunciano lo stato di abbandono e totale incuria delle strade comunali, diventate ancora più pericolose per la scarsa visibilità dovuta all’erba alta. Arterie comunali di periferia a Sezze e a Sezze Scalo dove la viabilità pericolosa ed il degrado e la sporcizia avanzano di giorno in giorno. In molte strade ad alta percorribilità la presenza di erba alba rende pericolosi incroci e nodi stradali. Per non parlare del decoro, della cura del verde pubblico, delle strade e delle rotonde, uno dei primissimi punti e annunci del primo cittadino mai rispettati però davanti ai suoi cittadini. Oltre all’inesistente manutenzione ordinaria delle strade e la pulizia delle stesse, in quanto continuano a fiorire discariche pubbliche anche di materiali utilizzati per combattere il covid19 (guanti, mascherine etc) alcune strade di competenza comunale sono ridotte a mulattiere: in questi mesi sono aumentate buche e sgranamenti del manto stradale, criticità che le rendono ancora più insicure. Da via Diaz pare che siano stati inviati sms a follower e fedelissimi che annunciano risparmi di cassa per alcuni servizi non erogati durante il lookdown, somme di spesa corrente consistenti che, a questo punto,  potrebbero essere utilizzate anche per la manutenzione ordinaria e la messa in sicurezza delle strade. La sicurezza stradale è uno degli obiettivi principali degli Stati membri della UE e di tutti quei Comuni virtuosi che hanno l’obiettivo di dimezzare il numero degli incidenti stradali.

 

 

Oggi in tutta Italia parte la Fase2. Ripartono oltre 4,4 milioni di lavoratori. In  tutti i comuni le ordinanze di riapertura di attività e luoghi sono state pubblicate sull'albo pretorio ma ciò non vuol dire che da oggi è tutto come prima, anzi. Lo stesso sindaco di Sezze, Sergio Di Raimo, in una nota facebook invita alla prudenza e chiede ai cittadini responsabilità e rispetto delle misure anti Covid19. “Ripartiamo ma con gradualità, prudenza e consapevolezza.  La ripartenza delle attività e dei movimenti – afferma -  ci espone ad una ripresa dei contagi e quindi ci obbliga ad avere attenzione e senso di responsabilità. Il rischio è il dover tornare indietro vanificando tutti i sacrifici fatti, quindi, si raccomanda il rispetto di tutti i divieti e raccomandazioni. Confidando in un atteggiamento responsabile da parte di tutti, vi auguriamo buon lavoro e buona giornata”.

 

 

 

In piena pandemia da Coronavirus, Anno Domini 2020, a quasi dodici mesi esatti dall’apertura in sordina del cantiere al Belvedere di S. Maria per posizionare una statua di S. Lidano, poi richiuso da un provvedimento sospensivo dell’Ufficio Tecnico comunale, ecco che si torna a parlare del “murodellatèra”.

Stavolta però non è il Sindaco ad intervenire, né il dipendente comunale Responsabile del procedimento - ancora affaccendato in una quadratura del cerchio da azzeccacarbugli -, né il Comitato spontaneo nato a difesa del belvedere libero (non contro la statua in sé), che da subito si è opposto al deturpamento del luogo.

Ad entrare a gamba tesa sull’annosa irrisolta questione del monumento al Santo patrono è adesso il massimo esperto setino di archeologia e di storia antica, colui che per decenni è stato il custode e narratore di ogni luogo o personaggio setino del passato, ideatore del museo comunale e delle numerose lapidi a memoria disseminate nel paese.

Il Prof. Luigi Zaccheo, in un articolo su Nuova informazione Anno XXIV- n. 1 di Gennaio 2020, rivista diretta editorialmente da suo figlio ma da sempre megafono della poliedrica attività dell’ex-preside, ha fatto sapere di essere favorevole al progetto dell’installazione della statua di S. Lidano al Belvedere.

Il professore, quale insigne studioso da sempre attento ad ogni argomento riferito alla storia di tutta la regione, in particolare alla conservazione di beni artistici, archeologici e paesaggistici del nostro paese, ha tutto il diritto di esprimere il proprio parere sulla diatriba che negli ultimi mesi ha suscitato l’interesse di molti concittadini. Però da lui ci si sarebbe aspettato un commento più tecnico, circostanziato e completo, oltre che ricordare, da bambino santamariano, anche i molti giochi d’infanzia e il tempo passato in quel belvedere libero (chissà come avrebbe giocato in quello stesso spazio se altri antichi amministratori non lo avessero preservato da monumenti od orpelli…).

Mi permetto di annotare qualche elemento che emerge, tra gli altri, nell’articolo citato.

  1. Tra gli argomenti portati a giustificazione della sua posizione (utilizzando perifrasi e termini molto simili a quelli utilizzati ufficialmente dal proponente/donatore della statua), il professore si lascia andare ad un consiglio, riportandolo tra parentesi: “Il realizzando monumento a S. Lidano (mi auguro che il Consiglio Comunale si esprima in modo favorevole) col passare degli anni diventerà un valore artistico per tutta la città di Sezze”.
  2. Poi en passant una riflessione molto personale: “Avevo in animo, unitamente ad alcuni amici, di finanziare un monumento (modesto per dimensioni) in onore del grande poeta latino Caio Valerio Flacco nativo di Sezze e vissuto nel I sec. d.C. da sistemare in una piazza del centro storico. La non edificante vicenda del realizzando monumento in onore di S. Lidano (occorre ripeterlo finanziato interamente da un cittadino di Sezze, pertanto senza oneri per la pubblica amministrazione) mi ha fatto ricredere e purtroppo ha gelato il mio entusiasmo iniziale e anche quello dei miei amici”.
  3. Infine, chiosando scrive ancora “Ho l’impressione che l’Amministrazione comunale di Sezze abbia verso il munifico cittadino donatore un atteggiamento di rifiuto preconcetto, facendo proprio il bellissimo verso di Virgilio: <Timeo Danaos et dona ferentes> (Temo i Danai – setini – anche quando mi portano i doni”. A parte che, rimanendo nella storica e dotta citazione, il cavallo donato dai Greci (con Ulisse e gli altri greci nascosti dentro) fu la vera rovina di Troia, la causa della sconfitta definitiva, ma il professore non ricorda bene che il munifico concittadino, risulta dagli atti presentati e motivo di un secondo passaggio correttivo in giunta, ha aperto il cantiere autonomamente e rimarrà l’unico proprietario della statua, non si tratta di un dono.

Andreottianamente, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Sembrerebbe infatti più un articolo “sollecitato”, quasi un parere di parte a sostegno dello sblocco dei lavori, più che una libera riflessione fondata su argomenti storici e tecnico-urbanistici. Nessun cenno dell’esperto studioso sul valore paesaggistico del Belvedere libero così com’è sempre stato, fin dalla sua infanzia ed anche prima, né sul mancato rispetto del progetto nei confronti della Legge Regionale, il Piano Regolatore per il centro storico, lo stesso habitat storicamente preservato. Neanche un riferimento al fatto che il donatore aveva aperto un cantiere senza che fosse stato autorizzato ad occupare (e trasformare) un luogo pubblico così caro a tutti i sezzesi, proprio adiacente all’antico Duomo (deturpato anch’esso, in altri tempi). E poi, il prof. Zaccheo sa già che il Consiglio comunale sta per essere chiamato ad esprimersi su una prossima delibera risolutiva? E questa sarebbe già una notizia, visto il silenzio ufficiale dell’Amministrazione sulla presunta delibera in lavorazione più volte annunciata che arriverebbe proprio nel bel mezzo della tempesta pandemica.  

La legalità del percorso urbanistico amministrativo è taciuta, una dimenticanza sospetta sacrificata sull’altare della presunta bellezza che avvolgerebbe la piazzetta (il murodellatèra pare bello solo se ci sarà la statua) posizionando non una statua antica recuperata in qualche scavo archeologico, ma una statua moderna. Eppure il professore da ex consigliere comunale con ruolo attivo – oltre che da chairman e relatore protagonista nelle innumerevoli occasioni pubbliche ed editoriali dedicate ai Santi Patroni - chissà quante volte si sarà opposto in passato a progetti urbanistici farlocchi ed abusivismi vari durante la sua esperienza tra gli scranni di Palazzo Diaz.

E ancora, il prof. Zaccheo ci tiene a far sapere ai suoi lettori che aveva in animo di donare egli stesso (con amici) un altro monumento a Sezze, per abbellire/deturpare un’altra piazza del centro storico e ricordare un setinus illustre.

Come a dire “Se passa Lillo, passa puro Caio”. Sicuramente, per il dichiarato dono della statua a Caio Valerio Flacco (setinus ?), si sarebbe attivato un percorso più legale, più partecipato e con i doverosi preliminari passaggi nelle commissioni consiliari competenti e più coerenti col Piano Regolatore...

Adesso però l’imperativo è quello di trovare la soluzione al pastrocchio di progetto e del cantiere di ruggine e monnezza che da Maggio 2019 ha stravolto il murodellatèra negando ancora oggi l’affaccio verso la pianura Pontina di tutti noi sezzesi, ex-santamariani e non. Questa statua s’ha da mettere, Zaccheo dixit.

Così va il mondo, sempre più spesso in politica si decide nelle stanze segrete e si marcia compatti; poi, di fronte a disarmoniche scorrettezze amministrative acclarate dagli stessi uffici tecnici del Comune, si invoca l’aiuto dei senatores e si chiamano in battaglia opliti e companeros di prima linea, per votare compatti e salvare capra e cavoli. In nome del sempre potente connubio di potere tra politica e religiosità di facciata che ha sempre guidato il paese, si prova l’indicibile, il salto mortale triplo carpiato all’indietro, per provare a togliere le castagne dal fuoco all’Amministrazione, benedire il tutto con un voto in Consiglio (mai interessato ufficialmente della questione finora) e inaugurare l’ennesimo monumento, non richiesto vox populi ma “donato” perché ritenuto necessario a rinnovare la bellezza del luogo e alla maggior gloria di qualcuno, non certo di San Lidano che in gloria Dei ci dovrebbe esser già.

Domenica, 03 Maggio 2020 06:01

Peppino Impastato, eroe ironico e coraggioso

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Terrasini, provincia di Palermo. 8 maggio 1978.

Sono circa le 21:00. Giuseppe Impastato, 30 anni, lascia Radio Aut, emittente radiofonica che ha fondato con un gruppo di amici, accumunati dalla militanza politica e dall’impegno contro la mafia, e va via in macchina. Due persone a bordo di un’auto lo stanno aspettando e lo seguono. E’ l’ultima volta che viene visto. Quella sera non rientra a casa. Immediatamente i compagni iniziano a cercarlo, perlustrano i dintorni della città tutta la notte. Viene ritrovato solo il giorno dopo, la mattina del 9 maggio. Dopo essere stato a lungo torturato, ancora vivo è stato posizionato sui binari della linea ferroviaria Trapani / Palermo e fatto saltare in aria con una carica di tritolo nel tentativo di inscenare un suicidio e distruggere la sua immagine pubblica. Le forze dell’ordine, giunte sul posto, non si preoccupano di preservare la scena del delitto, di cercare gli indizi utili a ricostruire l’accaduto e sono gli amici a recuperare i resti di Peppino sparsi su 300 metri di macerie, un misto di ferraglie, brandelli di carne, pietre e terra. Si deve a loro anche il rinvenimento delle tracce di sangue su alcune pietre all’interno del casolare adiacente la ferrovia, dove è stato torturato. L’unico interesse dei politici locali è far ripristinare rapidamente la circolazione dei treni. Molte prove vanno così perse, altre nel prosieguo delle indagini vengono occultate. Gli inquirenti accreditano subito l’ipotesi che Peppino Impastato stesse preparando un attentato terroristico e fosse morto per l’inesperienza nel maneggiare l’esplosivo, mentre altri lasciano intendere che si è trattato di suicidio. Radio Aut viene perquisita, documenti e prove dell’attività di Peppino Impastato sono sequestrati. L’obiettivo è impedire la ricostruzione del delitto, screditarlo facendolo passare per un terrorista suicida e cancellarne la memoria.

Seguono processi, inchieste e accuse. Per 23 anni i carnefici di Peppino Impastato, grazie a complicità e appoggi di cui godono nell’apparato dello Stato, riescono a nascondere la verità, lo seppelliscono sotto una montagna di falsità con prove inventate e depistaggi, uccidendolo una seconda volta. Grazie alla tenacia di sua madre, Felicia Bartolotta, sostenuta dagli amici di Peppino, Umberto Santino e Salvo Vitale, nel 2001 e 2002 finalmente emerge la verità: Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo vengono condannati con sentenza definitiva in qualità rispettivamente di mandante e di esecutore dell’omicidio. Si è trattato di una esecuzione mafiosa.

Peppino Impastato era un personaggio scomodo, un giovane uomo con gli occhiali e la barba incolta, un intellettuale di profonda sensibilità, che faceva politica dal basso, si nutriva di idealità ed era animato dal desiderio di contribuire al riscatto sociale, culturale e politico della sua terra, schiacciata sotto il tallone della mafia grazie alla complicità di politici collusi e corrotti. Apparteneva ad una famiglia di mafia. La sorella di suo padre, aveva spostato Cesare Manzella, capo della famiglia mafiosa di Cinisi, suo padre Luigi era legato alle cosche ed amico di Gaetano Badalamenti, al vertice di Cosa Nostra prima dei Corleonesi. Sua madre, Felicia Bartolotta, apparteneva invece ad una famiglia borghese, estranea agli ambienti mafiosi. L’unico suo torto era aver sposato per amore Luigi Impastato. Peppino a 15 anni, rifiuta l’ambiente e la cultura mafiosa, rompe con il padre che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1968 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. È in prima linea nelle battaglie dei disoccupati, contro il traffico di droga, gli affari del cemento che vedono a braccetto imprenditori mafiosi e politici, è al fianco dei contadini espropriati delle terre per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo. Costituisce con gli amici il Circolo Musica e cultura e con loro organizza dibattiti, cineforum e concerti. Nel 1977 fonda Radio Aut, emittente radiofonica libera e ne fa un veicolo forte e molto seguito di denuncia, in maniera spesso irriverente e satirica, degli affari illeciti della mafia locale, particolarmente del boss Gaetano Badalamenti, da lui ribattezzato Tano Seduto, chiama Cinisi Mafiopoli e il Municipio Maficipio. Il programma più seguito è Onda pazza a Mafiopoli, trasmissione satirica in cui sbeffeggia mafiosi e politici. Nel 1978 si candida alle elezioni locali nelle liste di Democrazia Proletaria. Viene assassinato qualche giorno prima delle votazioni, ma i cittadini di Cinisi lo eleggono, sia pur simbolicamente, consigliere comunale.

Raccontare la storia di Peppino Impastato è un dovere morale e civile nella nostra Italia così spesso dimentica dei suoi figli che hanno dato la vita per l’affermazione di principi, valori, diritti e libertà sanciti nella Costituzione, lottando per il riscatto degli ultimi, per la giustizia sociale e contro il sistema mafioso. Egli conosceva bene la mafia, non quella delle coppole e delle lupare, ma quella del sistema capillare di controllo del territorio e della vita dei cittadini, della prepotenza che assoggetta e divora le attività economiche pulite e sane, del sostituirsi allo Stato nell’offrire lavoro e opportunità in cambio di una fedeltà incondizionata, della collusione e del connubio con la politica a livello sia locale che nazionale, della prevaricazione dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Peppino Impastato, con la sua personalità sensibile e riflessiva di uomo impegnato nel sociale e nella politica e soprattutto nel contrasto alla mafia, è un faro e un esempio a cui tutti noi dovremmo guardare per ispirare il nostro impegno nella costruzione di una società giusta e libera da bisogni, condizionamenti e corruzione.

 

 

Da lunedì 4 maggio Bar e Ristoranti aperti solo per consegne a domicilio e da asporto. Lo ricorda in una nota il capo della Protezione Civile di Sezze e Comandante della Polizia Locale  Lidano Caldarozzi, richiamando l'ordinanza Sindacale n. 23 pubblicata sull’albo on line del Comune di Sezze. L’ordinanza regolamenta e stabilisce le regole e gli orari da rispettare. “Il presupposto dell'ordinanza  - scrive Caldarozzi - è sempre quello del rispetto delle regole e della distanza. Da lunedì non si riapre come se nulla fosse accaduto, ma si potranno svolgere attività nell'interesse collettivo avendo chiara l'esigenza generale alla salute e salvaguardia di se stessi e gli altri. Si raccomanda di attenersi a quanto stabilito per non vanificare fin qui fatto. Contiamo sulla capacità e saggezza di tutti. Nell'ordinanza si legge: "Le attività commerciali e le attività di Servizi alla persona di cui all’allegato 1 e 2, del DPCM 26 aprile 2020, ad eccezione delle farmacie e delle parafarmacie, osservano il seguente orario di apertura al pubblico: dalle ore 7.30 alle ore 21.30, anche nelle domeniche e festivi; le attività dei servizi di ristorazione - fra cui pub, bar, gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie e pasticcerie- con la modalità di prenotazione telefonica ovvero on line, potranno svolgere attività di consegna a domicilio e/o con asporto;è fatto obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro rispetto all’esercente e/o luogo di consegna anche rispetto alla cassa per il pagamento. Sarà cura del titolare utilizzare tutti gli strumenti e mezzi per evitare il contatto fisico".

 

 

Nei giorni scorsi sono state rinnovate le cariche direttive della Federazione italiana degli organismi e delle rete educative (FIORE). I membri dell’assemblea, riuniti in video-conferenza da Roma, Perugia, Viterbo e Civitavecchia, al termine dell’incontro, con voto unanime, hanno indicato alla Presidenza dell’organismo Massimiliano Porcelli di Sezze. Questi invece i componenti del direttivo: Gianni Palumbo, presidente uscente,  Mauro Mancini, Lisa Gerratana, Amelia Argirò e Salvatore Regoli. Prima dello svolgimento della riunione e delle operazioni di voto, è stato ricordato Eugenio De Crescenzo, stimato e conosciuto esponente del Terzo Settore e della Cooperazione sociale, scomparso, quasi un mese fa,  per il Coronavirus. Era stato lo stesso De Crescenzo, nei mesi scorsi, a caldeggiare la candidatura di Porcelli alla presidenza.   FIORE riunisce  alcune tra le più importanti realtà Italiane che operano nel mondo educativo e, più in generale, nel mondo dell’Economia sociale. Durante i suoi vent’anni di attività, grazie anche la lavoro di Gianni Palumbo, ha partecipato a numerosi e rappresentativi tavoli di interlocuzione istituzionale riguardanti i servizi per l’infanzia e l’adolescenza e, a tutt’oggi, occupa un ruolo di primo piano all’interno del Forum del Terzo Settore. “È perfino superfluo - ha dichiarato il neo Presidente - sottolineare che i prossimi mesi di attività saranno senz’altro condizionati dallo scenario emergenziale che stiamo vivendo rispetto al quale non si immagina ancora l’evoluzione e non si conosce la data della fine. Una cosa è certa: il mondo del sociale si troverà di fronte a una fase costituente che provocherà la messa in discussione di tante certezze e imporrà definitivi ripensamenti. FIORE ha una serie di competenze, oltre ad un patrimonio di relazioni,  tali da poter proporre un importante contributo a tutte le riflessioni che a diversi livelli, si svolgeranno attorno ai temi che ci sono più cari. A tale proposito, già a partire dalle prossime settimane, ci faremo promotori dei primi tavoli interistituzionali e intersettoriali per cominciare a parlarne.  Un sentito ringraziamento - ha concluso il neo Presidente  - va a Gianni Palumbo, un vero maestro, il cui contributo sarà ancora prezioso, e un pensiero commosso all’indimenticabile Eugenio De Crescenzo, che avrebbe sicuramente svolto questo incarico meglio di me”. Molte le questioni poste in agenda dal neo Presidente e dal direttivo, alcune delle quali verranno affrontate alla riunione fissata per il 6 maggio.   Massimiliano Porcelli è il presidente della Cooperativa Utopia 2000 di Sezze, che gestisce la casa famiglia per minori di Roccagorga, le strutture per mamme con bambini di Ventotene e Gualdo Cattaneo (Perugia), l’asilo comunale di Cori, la residenza per anziani di Ventotene e l’Agriturismo etico “Le Grazie” di Bevagna (Perugia).