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Domenica, 02 Febbraio 2020 13:04

La stagione dei sogni rubati

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Un titolo sui giornali. Una manciata di secondi nei notiziari televisivi. Un post circolato sui social. E poi l’oblio. Le notizie si rincorrono e si consumano rapidamente, non ci lasciano il tempo di riflettere, di interrogarci, di capire quanto accade e ci accade. Ci accontentiamo della frammentarietà e della sommarietà, soggiogati dalla smania per le continue novità. C’è un ragazzo, Laurent, la cui storia ha attraversato le nostre storie come una meteora, si è consumata rapida come un falò di stoppie secche, ha guadagnato fugacemente la nostra attenzione, ma ben presto l’abbiamo riposta nell’archivio dell’indifferenza e della dimenticanza. Laurent aveva 14 anni, occhi scuri e profondi, lo sguardo timido e la testa piena di sogni. Era nato a Yopougong, un quartiere popolare vicinissimo all’aeroporto Félix- Houphouët-Boigny di Abidijan, capitale della Costa D’Avorio, da una famiglia modesta, persone comuni, con pochi mezzi ma di sani principi. I genitori gli avevano insegnato che per realizzarsi occorre studiare. Frequentava la scuola con profitto, non era né una testa calda né un adolescente difficile. Il cielo sotto cui viveva, bello e struggente come soltanto il cielo d’Africa sa essere, è stato testimone nel recente passato di una feroce guerra civile, che ha portato miseria e distruzione.

Ora regna una pace precaria ma i diritti umani sono lungi dall’essere pienamente rispettati. Sebbene la Costa d’avorio possegga ricchezze ingenti e la crescita economica raggiunga livelli record, le diseguaglianze sono grandi e negli anni tanti, anche adolescenti, sono scappati perché non vedono per loro prospettive concrete. Laurent amava la sua terra, ma i suoi pensieri e i suoi sogni lo conducevano altrove, verso l’Europa di cui aveva solo sentito parlare, dato che non possedeva nemmeno un cellulare, dove fantasticava un giorno di trasferirsi e vivere dignitosamente. Dopo la scuola lo immagino correre verso l’aeroporto e fermarsi a lungo a rimirare, aggrappato alla recinzione, l’andirivieni degli aerei, i passeggeri salire e scendere, gran parte dei quali parlavano come lui francese, le mercanzie scaricate, l’imbarco delle ricchezze della sua terra destinate al nord del mondo. E sognava, sognava di salire un giorno anche lui su uno di questi aerei, di provare l’ebbrezza di alzarsi in volo, superando la barriera delle nubi, e atterrare in Francia, nel cuore dell’Europa. La presenza di Laurent lungo quel tratto di recinzione è assidua. Conosce a memoria orari di arrivi e partenze degli aerei, ha studiato le manovre di decollo e atterraggio. L’intelligenza brillante unita all’ingenuità della sua adolescenza e al desiderio di inseguire i suoi sogni, lo spingono ad elaborare un piano temerario ed ingegnoso. Il primo giorno dopo le vacanze marina la scuola e va all’aeroporto, deciso a metterlo in atto. Abbandonata la sacca con i libri e la divisa scolastica in mezzo all’erba alta, scavalca la recinzione. Gli addetti all’aeroporto non si accorgono di nulla.

Corre con quanto più fiato ha nei polmoni verso l’aereo dell’Air France che in quel momento sta rullando sulla pista, si aggrappa al carrello, si infila nel vano delle ruote e si rannicchia da una parte. I portelloni si richiudono e l’aereo inizia la salita. Il suo sogno finalmente sta per realizzarsi. È un gesto incosciente, insensato, folle. Gli alloggiamenti dei carrelli d’atterraggio non sono né pressurizzati né riscaldati. Tra i 9.000 e i 10.000 metri, quota alla quale volano gli aerei di linea, le temperature scendono fino a – 50° e non si respira. La vita di Laurent si spegne per sempre nell’alloggiamento del carrello d’atterraggio del volo dell’Air France partito da Abidijan e diretto a Parigi, città che chissà quante volte ha sognato. I tecnici dell'aeroporto Charles de Gaulle, durante la consueta ricognizione sull’aereo, notano qualcosa di strano nell’alloggiamento del carrello. Si avvicinano e scoprono che c’è qualcuno immobile, un cadavere, un piccolo cadavere. La notizia rimbalza sui  media. La polizia francese parla di un immigrato clandestino, di una decina di anni, trovato morto nel carrello d’atterraggio di un aereo.

Le parole non sono neutre, possono sanare o ferire, raccontare la verità o nasconderla, essere usate con abilità per indirizzare le reazioni e controllare l’emotività, per edulcorare e rendere sopportabile la tragedia. Tuttavia a morire è un quattordicenne, il quale non fuggiva dalla fame ma inseguiva un sogno. Proviamo a pensare a lui, ad immaginarlo con il suo corpo gracile di adolescente e il suo sguardo terrorizzato, attanagliato nel buio e nel gelo estremo, mentre nel dolore e nella morte annegano il suo sogno di volare e la speranza di una vita diversa. Definirlo burocraticamente immigrato clandestino per i documenti mancanti è semplicemente stupido e insensato. Sirene incantatrici ci stanno rubando l’anima, la nostra umanità e ci stanno rendendo indifferenti e assuefatti alle sofferenze, al conteggio delle vittime, al punto che quando una giovane vita è spezzata, se si tratta di un figlio di altri e di terre lontane, ce ne sentiamo appena sfiorati, lo riteniamo una inevitabile fatalità e finanche pensiamo che in fondo se la sia cercata. Se milioni di persone fuggono da miseria e conflitti, inseguono la prospettiva di un domani diverso, mettendo a rischio la propria vita, è perché abbiamo sottratto e continuiamo a sottrarre loro non solo le ricchezze, ma anche i sogni e le speranze.

Il divario tra le nostre società ricche e sazie e la povertà estrema degli ultimi del mondo è intollerabile, insostenibile e inaccettabile. Accogliere o non accogliere tutti è allora un falso problema, è relegare il confronto sulle politiche migratorie all’interno di una gabbia interpretativa banale e ideologica, riducendo i discorsi a slogan meschini, è chiudere gli occhi su quanto accade in tante parti del mondo. Alzare muri, chiudere le frontiere, ricorrere alla forza per ricacciare l’invasore, costruire fortezze inespugnabili sono solo illusioni. Piuttosto dobbiamo restituire futuro e speranza ad interi popoli, fermare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, impedire la distruzione del creato, garantire a tutti diritti e libertà e perseguire una giustizia sostanziale mediante la ridistribuzione delle ricchezze. Solo così il sogno di Laurent potrà realizzarsi e non sarà morto invano.

 

 

Vuole andare avanti. Vuole realizzare il monumento dedicato a San Lidano proprio al Belvedere di Santa Maria. A lui il progetto piace molto, ed è convinto che migliori tutta la piazza ed il quartiere Santa Maria che conosce bene fin da bambino. D’altronde il sindaco di Sezze non si è mai nascosto e ha sempre detto e ribadito che quel progetto “voluto” da Don Massimiliano a lui piace tantissimo, ed è come se portasse a casa un primo risultato in due anni e mezzo di amministrazione comunale. Ed ecco allora che ieri, proprio il primo cittadino, ha firmato un decreto con il quale nomina Responsabile del Procedimento il funzionario Vincenzo Borrelli. Nel decreto, tra i vari passaggi si legge: “Atteso che all’esito dell’ulteriore sviluppo del procedimento, il settore V – Servizio Urbanistica ha assunto il provvedimento di sospensione dei lavori in relazione alle ivi indicate esigenze di approfondimento istruttorio. Ritenuto assumere il presente Decreto di nomina di un Responsabile del Procedimento a cui conferire i poteri per le successive fasi e gli adempimenti relativi all’atto di donazione e ai presupposti incombenti di verifica del progetto, in ordine alla sua ammissibilità tecnica e completezza degli elementi progettuali, che ne consentano la realizzazione in conformità alle disposizioni vigenti ed ai provvedimenti che saranno assunti dagli organi Comunali competenti. Decreta di nominare Responsabile del Procedimento, a cui conferire l’incarico di curare le fasi e gli adempimenti relativi alla realizzazione dell’opera, finalizzata alla donazione della statua di San Lidano,  il Geom. Vincenzo Borrelli, Responsabile del Settore V, Servizi Lavori Pubblici”. Nei prossimi giorni il presidente del consiglio comunale Enzo Eramo su richiesta del sindaco convocherà il consiglio per approvare le successive fasi di realizzazione dell’opera. Coerente e in linea con il suo desiderio di realizzare il Monumento, il sindaco, portando la statua in aula, vuole responsabilizzare tutti i consiglieri comunale della sua maggioranza, superando i limiti politici e ormai superati della deliberazione di Giunta. Vedremo chi voterà questo progetto e chi invece si opporrà ad una opera mai menzionata nei programmi elettorali e che nasce da una idea di un privato cittadino su suolo pubblico. Un'opera che dopo secoli e secoli cambierà definitivamente il Belvedere di Santa Maria. Sarà casualità ma il provvedimento arriva dopo l’ultima richiesta prodotta dal comitato a tutela del Belvedere di Sezze.  

 

i lavori sospesi al Belvedere

 

 

 

 

 

 

 

 

Per il Trasporto Pubblico Locale si andrà a procedura negoziata di urgenza. Così è stato deciso ieri nel corso di un consiglio comunale quasi ad hoc, dove la maggioranza consigliare che sostiene il sindaco Di Raimo ha deliberato questa procedura che, pur nelle modifiche apportate dopo il primo consiglio comunale, e nonostante un emendamento proposto in extremis, non vede la maggioranza unita.  I consiglieri comunali Mauro Calvano e Marzia Di Pastina, infatti, non sottoscriveranno l’atto ed il primo con coerenza voterà contro mentre la seconda uscirà dall’aula. Il problema oggi è anche politico, quindi. Si procederà ad una procedura negoziata per l’affidamento fino al dicembre del 2021 (quando subentrerà per legge la Regione Lazio). Per procedura negoziata si intende una gara di appalto in cui la Stazione Appaltante consulta un numero limitato di operatori economici selezionati con i quali "negozia" le condizioni dell'appalto. L'appalto viene affidato all'operatore che negozia le condizioni più vantaggiose. L’avvocato Mauro Calvano, consigliere comunale di Sezze Futura (ma ieri dichiaratosi ufficialmente indipendente rispetto al gruppo di Polidoro), nel suo lungo intervento ha ribadito la necessità di una vera e propria gara di appalto, parlando delle criticità della procedura negoziata. Ha semplicemente chiesto che si andasse per gara di appalto rispettando il voto del 30 dicembre scorso.  Ma niente le cose sono andate diversamente. “La procedura negoziata senza indizione di bando – ha detto Calvano - non è una vera gara di appalto. Pur rientrando nella categoria degli appalti, la procedura negoziata presuppone una urgenza e altri requisiti presenti nel codice degli appalti. Non sono stati rispettati gli indirizzi del consiglio comunale, nel rispetto della concorrenza e trasparenza. Secondo me con questa procedura - ha aggiunto - ci saranno ricorsi , spederemo soldi e andremo a rispondere davanti gli organi preposti”. Per Calvano, oggi, oltre agli errori tecnici burocratici, sono stati aggiunti errori politici perché “non è stato rispettato il voto del 30 dicembre scorso”. In effetti la maggioranza consigliare sembra essere arrivata al capolinea, con gruppi consigliari spaccati e consiglieri che sostengono il sindaco a seconda dei casi e in maniera disordinata e confusa. Quello del TPL è un altro caso di divergenze politiche esplose nell’ultimo anno. Il prossimo passaggio sarà il consiglio comunale sui lavori al Belvedere. Il sindaco si trova ormai a gestire l’ingestibile, dove il gruppo del PD è diviso, dove le liste civiche sgomitano e dove emerge con chiarezza chi in aula non vuole più seguire le truppe cammellate e turarsi il naso sempre e comunque solo perché espressione della maggioranza. Non basta alzare la mano e dire sempre e solo "presente" per essere considerato un eletto dal popolo. Bisogna applicarsi e studiare.

 

 

Migliaia di pini a rischio in tutta Italia per colpa di un parassita che li sta decimando. Se non si corre ai ripari, un giorno non lontano vedremo la via Appia senza più il paesaggio dei filari di pini. Si chiama Tumeyella parvicomies, nome volgare cocciniglia tartaruga, l’insetto che  sta aggredendo i pini di Roma. E’ una cocciniglia che punge e succhia la linfa ed induce una sofferenza che può provocare la morte della pianta. Dopo il punteruolo rosso che ha decimato le palme italiane, ora questo parassita che ha già sterminato i pini dei Caraibi è arrivato in Italia dalle Americhe, continuando a distruggere i pini domestici della Campania, in particolare di Napoli, della provincia di Salerno ed ora si sta allargando al Lazio. In alcuni dei quartieri più verdi di Roma, come Mostacciano, l’attacco della cocciniglia tartaruga  è evidente, la malattia inizia con rami secchi o con poche foglie, finisce con l’annerimento dei tronchi fino alla caduta degli alberi. Sono centinaia  gli esemplari attaccati nella zona sud della Capitale fino alla pineta di Castel Fusano. Occorrerebbero programmi di intervento come l’immissione di insetticidi nei tronchi, o di altri insetti antagonisti della Tumeyella, ma non esiste ancora un piano fitosanitario della Regione Lazio.

 

 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del Comitato Belvedere inviata al responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Sezze Vincenzo Borrelli, al Comandante della Polizia Locale Lidano Caldarozzi e al sindaco di Sezze Sergio Di Raimo.

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In data 21.05.2019 (Registro Generale n.36 – Ordinanza di sospensione dei lavori DPR 6 Giugno 2001, n. 380 e s.m.i., art. 14 della L.R. 15/08), il Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale Funzionario P.O. Vincenzo Borrelli (Responsabile del procedimento Geom. Paolo Sibilio) ha ordinato “[….] di SOSPENDERE immediatamente i lavori di installazione monumento dedicato a S. Lidano d’Antena e riqualificazione Piazza del Duomo”. Nella citata Ordinanza, tra i vari considerata, veniva inoltre precisato che “ritenuto quindi sussistere l’esigenza di un approfondimento in ordine agli aspetti che riguardano l’iter procedimentale e più in particolare l’iter di formazione del titolo sulla base dei quali sono in corso i lavori di realizzazione i lavori di cui trattasi” ed inoltre che “si rende necessario disporre l’immediata sospensione dei lavori per meglio verificare, ponderare  ed emettere, entro 45 giorni dalla data della presenza ordinanza, i provvedimenti definitivi”. Di giorni ne sono passati molti di più e il cantiere è ancora lì - peraltro mai sottoposto a sequestro ancorché comunicante ad altro cantiere attiguo per i lavori sulla canonica della Cattedrale -; dagli Uffici tecnici competenti del Comune di Sezze nessun atto, arriva solo l’eco di un silenzio assordante. Nessun atto ufficiale emanato per sanare le irregolarità o (come da noi da sempre auspicato) imporre la restituzione dei luoghi alla cittadinanza attraverso l’obbligo per i responsabili del cantiere di ripristinare i luoghi alla situazione quo ante. Nemmeno il Sindaco ha provveduto ad emettere documenti se non qualche comunicazione a voce in pubblico, peraltro senza aver mai coinvolto il Consiglio Comunale nella vicenda. Recentemente, sulla stampa online e sui social, è stato pubblicato un documento riassuntivo di tutte le nefandezze procedurali che hanno contraddistinto l’approccio dell’Amministrazione nella gestione dei lavori di un privato cittadino al Belvedere. Neanche una risposta!! Come cittadini auto-costituitosi nel Comitato Belvedere a difesa dell’integrità di quel bene pubblico paesaggistico e storico, Vi chiediamo, ad ognuno e a tutti, per quanto di rispettiva competenza, responsabilità, professionalità e dovere ai sensi delle normative vigenti, di intervenire urgentemente con i necessari e non più rimandabili provvedimenti, affinché l’area del Murodellatèra torni libera e fruibile nell’affaccio sulla Pianura Pontina. In caso contrario, comunichiamo fin d’ora l’intenzione - nostro malgrado, ma un obbligo di coerenza e di partecipazione civica ce lo impone - di intraprendere un’azione legale coinvolgendo le Autorità Giudiziarie al fine di far valutare ogni ipotesi di eventuali reati connessi nell’esercizio delle vostre funzioni, per inadempienza a precisi obblighi di legge, anche di possibile danno erariale.

 

Il cantiere sospeso da 240 giorni

 

“Ho scelto di aderire a Italia Viva perché ritengo che il mio percorso politico possa continuare solo in una sicura area progressista, riformista ed europeista.  Un’area che il PD locale non assicura, come dimostrano le “disinvolte giravolte” nelle alleanze amministrative.  In Provincia si sceglie Forza Italia e FDI anziché le liste civiche, a Sezze si rafforzano i sostenitori della Lega, a Latina si convoca un congresso straordinario per impedire l’alleanza con altre forze progressiste.  E così Comune per Comune serpeggiando secondo il ‘peso’ delle tessere e delle ‘preferenze’. E’ un PD locale che non appare riformabile neppure dalla ventilata riforma annunciata da Zingaretti“. Con queste parole il consigliere comunale di Sezze Giovanni Bernasconi ufficializza il suo ingresso in Italia Viva, partito politico il cui leader e fondatore è Matteo Renzi. "Avverto la necessità di guardare al futuro con fiducia nelle proprie idee abbandonando l’esasperante tattica e la paura dell’altro - aggiunge Bernasconi -  con la speranza che la politica possa veramente cambiare le cose risolvendo i problemi dei cittadini e migliorando la qualità della loro vita, tracciando dei percorsi di sviluppo economico e sociale. Da tempo il nostro territorio sente l'esigenza di una politica che vada oltre le consuetudini dei partiti che fino ad oggi hanno governato o si sono contrapposti, che parli un linguaggio diverso e incarni un nuovo percorso riformista frutto di una capacità di ascolto. La provincia di Latina ha bisogno senza dubbio di uscire dai “toni paludati” che spesso caratterizzano il dibattito politico e che sono parte integrante dei problemi anche interni ai partiti. Il tira e molla, lo scontro interno tra le varie correnti, non è più compreso viste le emergenze di questo territorio. La mia stessa scelta di intraprendere un percorso indipendente in questi ultimi mesi è stata animata da questo pensiero, che a seguito di una riflessione e un confronto con tanti amici e sostenitori è poi sfociata nella decisione di aderire ad Italia Viva". Bernasconi ha l'obiettivo di dare un contributo alla costruzione del nuovo soggetto politico che "sappia offrire un’alternativa politico-amministrativa, in netta contrapposizione al nazionalismo e al sovranismo e al clima di odio verso i diritti delle minoranze”.

 
 
 
 
Fertilità, abbondanza, prosperità. Sono questi i valori che incarna la cornucopia sorretta dal leone Nemeo nell’effige setina, la massima espressione di una città florida che si fa carico di difendere e valorizzare le sue ricchezze. È in nome di questi principi che nasce “Cornucopia” una manifestazione prevista per il primo weekend di giugno per celebrare la varietà enogastronomica del territorio setino in un clima conviviale, all’insegna dell’antica tradizione culinaria. L’iniziativa, frutto della sinergia tra le presidenti delle commissioni cultura e attività produttive, Federica Fiorini e Marzia Di Pastina, è stata discussa e approvata nella seduta congiunta delle rispettive commissioni, con l’accoglimento dell’unanimità dei presenti e dell’organo esecutivo. Teatro della manifestazione non poteva che essere il centro storico, dove gli show-cooking dei migliori chef locali si alterneranno alla degustazione dei prodotti tipici, con la possibilità per i visitatori di acquistare le materie prime direttamente dai produttori. “Nello specifico – spiegano le consigliere del partito democratico – la kermesse si articolerà in diverse fasi che avranno come denominatore comune la valorizzazione dell’enogastronomia locale. Il pane, le crostatine di visciole, i broccoletti, i carciofi e i tutti i prodotti caratteristici della nostra tradizione saranno i veri protagonisti, perché riteniamo che rappresentino la più grande ricchezza del nostro territorio e vadano per questo tutelati e promossi, soprattutto – concludono Di Pastina e Fiorini – se si vuole intercettare quella fascia di turisti alla ricerca di eccellenze enogastronomiche che qui potrebbero diventare il volano dell’economia”. Maggiori dettagli sul programma della manifestazione saranno resi noti nei prossimi giorni dai canali dell’amministrazione comunale di Sezze. Nel frattempo, l’impegno delle due consigliere procederà nell’ottica di dare giusto risalto a tutti i frutti della cornucopia setina.
 
Il pane di Sezze
Sabato, 25 Gennaio 2020 18:58

Shoah, il dovere della memoria

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Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Sachsenausen, Mittelbau Dora, Sobibòr, Chelmno, Belzec, Treblinka…... ma soprattutto Auschwitz – Birkenau, nomi che evocano in noi l’orrore della Shoah, fanno affiorare nella nostra mente le immagini terribili dell’inferno in terra, le violenze indicibili, le torture inenarrabili, la cattiveria umana che raggiunge vette impensabili, i tormenti inflitti per puro sadismo, gli sperimenti su uomini e donne e poi l’accanimento sui bambini……

Morti, milioni di morti.

Luoghi che non sono semplicemente spazi, custodie delle ceneri di ciò che è stato, ma ferite aperte nella carne viva della nostra umanità, che provocano dolore, sentimenti fortissimi, un misto di rabbia, raccapriccio, impotenza, moti di ribellione. 

Ci sono due luoghi legati alla Shoah, forse poco conosciuti ai più, che sono entrati nella mia esperienza di vita, l’hanno segnata, di cui custodisco e coltivo la memoria.

Budapest, un tempo capitale insieme a Vienna dell’Impero Austroungarico, è una città affascinante e bellissima con i suoi ponti sul Danubio, il bastione dei pescatori, il castello, le chiese, il parlamento dalla cupola dorata, i palazzi e i viali imponenti, i giardini, le terme. È uno scrigno di arte e cultura, di tesori inestimabili. Attraversare il Ponte delle Catene, camminare per le sue strade ci fa rivivere pagine fondamentali della storia della nostra Europa. Tuttavia se ci immergiamo nella lettura e ci lasciamo guidare dal “Diario” di Giorgio Perlasca, ecco che quelle pagine ci fanno scoprire una città altra. Sulla riva del Danubio, sul lato di Pest, ci imbattiamo in qualcosa di sorprendente e insieme scioccante, che toglie il fiato e lacera il cuore: il “Monumento delle scarpe”. Scarpe di ogni foggia e dimensione, scarpe eleganti e sformate, scarpe di adulti e di bambini abbandonate lungo la banchina del fiume che scorre ampio e tranquillo, testimoni mute di morte, disperazione e orrore. Il racconto di Perlasca prende corpo, si fa concreto, lo riviviamo in tutta la sua drammaticità sconvolgente. Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre 1944, centinaia di ebrei, in gran parte donne e bambini, dopo aver percorso a piedi nella neve, completamente nudi, circa 2 km vengono condotti sulla riva del fiume, tra le strade denominate Liszt Ferenc tér e Eötvös útca. Vengono legati per i polsi due a due, fatti inginocchiare nella neve e uccisi con un colpo alla nuca. I corpi poi vengono gettati nelle acque gelide del Danubio. Il mattino seguente lo spettacolo è terrificante. La neve è rossa di sangue e nello specchio d’acqua antistante centinaia di corpi nudi galleggiano trattenuti dai blocchi di ghiaccio. Il massacro è opera dei miliziani del Partito delle Croci Frecciate, che collaborano con i nazisti. Dopo averli imprigionati nelle loro stesse case nel ghetto di Budapest, decidono di sterminare gli ebrei in questo modo.           

Terezìn, 60 km da Praga. Costruita come città fortezza tra il 1780 e il 1790 all’interno delle fortificazioni antiprussiane, dopo l’annessione della Cecoslovacchia alla Germania nazista l’intera cittadina viene cinta da un muro dalle forze tedesche e trasformata, tra il 24 novembre 1941 e il 9 maggio 1945, in ghetto. Presentata dalla propaganda nazista come esemplare insediamento ebraico, in realtà funge da centro di raccolta e smistamento di prigionieri da indirizzare soprattutto ai campi di sterminio di Treblinka ed Auschwitz. Secondo i dati dell’Istituto Yad Vashen, su un totale di 155.000 ebrei passati per Terezìn fino alla sua liberazione avvenuta l’8 maggio 1945, 35.000 muoiono sul posto e 88.000 vengono deportati.

Il treno per Terezìn parte dalla stazione centrale di Praga e ben presto, sferragliando sull’unico binario, si immerge nelle campagne, un caleidoscopio di colori, testimoni di una sapiente laboriosità. Il paesaggio trasmette calma e serenità, ma il pensiero è fisso, non riesce a distogliersi, a distrarsi. Su questo binario hanno viaggiato carrozze affollate di donne, di uomini, di vecchi, di bambini, ebrei destinati a Terezìn e non hanno mai più fatto ritorno. Il viaggio è breve e la stazione ferroviaria d’arrivo è immersa tra i campi. La fortezza di Terezìn dista un paio di chilometri. A piedi, come fecero migliaia di ebrei, percorriamo la strada che conduce al campo. Il senso di angoscia cresce prepotente. Il tempo scorre lento, sembra infinito.

Terezìn non possiede nulla dei canoni classici dei campi di concentramento, almeno per come siamo abituati a pensarli. È una piccola città fortificata con costruzioni in muratura ben ordinate. Basta poco però per accorgersi che dietro l’apparenza si nasconde l’orrore. Le condizioni di vita erano terribili. Le case, prima della sua trasformazione in ghetto, erano abitate da 7000 persone, dopo si trovarono a condividerle 50.000 ebrei. Il cibo era scarso, un po’ di zuppa e di caffè d’orzo al giorno, le medicine inesistenti, la situazione dei dormitori disumana con letti a castello di tre o quattro piani. Si moriva di fame, di malattie o perché uccisi dai nazisti senza motivo. Nel campo, solo nel 1942, morirono 16.000 persone tra cui Esther Adolphine, una sorella di Sigmund Freud. Camminare per Terezìn significa immergersi in un girone infernale, dove orrori si sommano ad orrori.

Trovarsi nel locale dei forni crematori è semplicemente scioccante, sconvolgente.

E poi i bambini….. A Terezìn ne vengono internati quasi 15.000. Nonostante la fame, le privazioni, le violenze continue, sotto la guida di maestri prigionieri con loro nel campo ci hanno lasciato una testimonianza concreta della loro creatività e della loro voglia di vivere: disegni, racconti, poesie, musica. L’United States Holocaust Memorial Museum calcola che il 90% di loro è morto nei campi di sterminio di Treblinka e di Auschwitz.

Concludo facendo mie le parole di Primo Levi: “(…) perché dobbiamo ricordare e che cosa dobbiamo ricordare? Bisogna ricordare il male nelle sue estreme efferatezze e conoscerlo bene, anche quando si presenta in forme apparentemente innocue. Quando si pensa che uno straniero o uno diverso da noi è un nemico, si pongono le premesse di una catena, al cui termine c’è il lager, il campo di sterminio”.

Sabato, 25 Gennaio 2020 18:54

Auschwitz: 75 anni dopo!

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Il 27 Gennaio del 1945 le truppe sovietiche entrarono nel lager di sterminio di Auschwitz trovando 7 mila prigionieri ancora in vita: erano quelli abbandonati dai nazisti perché considerati gravemente malati. Fra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di ebrei vennero trucidati dai nazisti con l'obiettivo di creare un mondo purificato da tutto ciò che non fosse ariano. Auschwitz è la testimonianza più atroce dell'estrema miseria e crudeltà del nazismo e dell'uomo. Io ci sono stato con una delegazione di studenti e ho toccato con mano l'orrore di quel lager e di calpestare quel terreno marcato dalle ceneri di almeno 1milione e 100 mila uomini e donne uccisi nelle camere a gas e i cui cadaveri, dopo aver subìto l'esportazione dei vestiti, delle scarpe, dei denti, dei capelli, venivano bruciati in enormi forni crematori. Molti erano bambini. La maggior parte di loro non venne neanche registrata, nell'intento di bruciare ogni traccia. Dai vagoni venivano direttamente avviati alle camere a gas: gli uomini marciavano a sinistra, le donne a destra, i bambini erano con le donne, i neonati venivano crudelmente strappati dalle braccia delle mamme e assassinati dalle SS con le loro mani. Auschwitz: l'epifania del Male, la fabbrica del dolore. Papa Francesco ha visitato quel luogo nel 2016, e ha voluto restare in silenzio. "Dove era Dio?" si è domandato. Primo Levi sosteneva che " se c'è Auschwitz non c'è Dio." Sono domande e affermazioni inquietanti. I carnefici sono veramente esistiti! Non bisogna dimenticare! Mai!

Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta alla città scritta da Francesco Petrianni, presidente dell'associazione Le Decarcie.

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Cari cittadini,

nel 1594 Sancta Maria ad Ulmum, all’Olmo, è oggetto di interventi che, pur non incidendo sulla struttura, ne capovolgono l’assetto funzionale. Laddove si trovava l’abside viene realizzata l’entrata. Il nuovo accesso richiede la sistemazione dell’area prospiciente, dei sedia (le aree non edificate) confinanti. Lo spazio che dalla via, che oggi si chiama Corradini, fino ad murum Terrae Setiae (i Muro lla Tera di Sezze) viene trasformato in un ampio terrazzamento con una balconata che si apre su un suggestivo panorama. Questa soluzione restituisce imponenza al monumento costruito con la bianca pietra locale, che con l’espansione urbana era rimasto “incagliato” in un reticolo di abitazioni e viuzze. A nessuno venne in mente allora di adornare con “elementi emergenti” il nuovo spazio, la piazza, che dava centralità all’edificio e lo risollevava verso il cielo. Con le presenti osservazioni mi preme intervenire in merito alla “richiesta di autorizzazione per la realizzazione del monumento di san Lidano d’Antena” lì, in “Piazza del Duomo”, nel Centro storico. I lavori, qualche mese dopo l’inizio, sono stati fermati da un’ordinanza dell’Ufficio Tecnico con una immotivata esigenza di chiarire dubbi sopraggiunti.

Ho maturata la convinzione che i soggetti, sinora partecipi del procedimento, abbiano agito in fretta, con leggerezza, sottovalutando la portata di una donazione e mettendo in luce visioni approssimative, particolaristiche e parziali, sbrigative e sostanzialmente contraddittorie sull’argomento. Addirittura il tecnico di parte privata nella sua relazione sembra ridurre la questione ad un mero esame dei materiali, dicendo :”Ad eccezione della balaustra, il belvedere risulta di scarsa qualità nei materiali e negli arredi”. Il che sarà pur vero, ma i contrari non sono scesi a difesa del catrame o dei selci sconnessi. Pareri isolati e immotivati insieme ad atti amministrativi inappropriati, segnati anche da incompetenza, confondono il procedimento privato con quello pubblico e viceversa, arrivando a concepire un’opera pubblica alla maniera del privato e generando vuoti amministrativi e culturali. Nel momento in cui i valori che dovrebbero esaltare l’intervento, socializzandolo, vengono accantonati e sottaciuti ed il tutto viene affrontato come una sorta di trattativa tra privati per un ordinario lavoro di manutenzione, i risentimenti sono giusti ed inevitabili.

E’ necessario tirar fuori degli esempi per descrivere questa sorta di anomia degli attori protagonisti. Solo per cominciare, quell’artista, che dovrebbe lasciare ai posteri per secoli la sua opera, risulta un “innominato”. Nell’intento di nobilitare una iniziativa, la si descrive prima con espressioni urbanisticamente auliche ed altisonanti quali “Progetto di riqualificazione di Piazza Duomo”. Poi, forse nell’intento di ottenere i necessari nulla osta, si dice che l’iniziativa “da un punto di vista urbanistico rientra nella manutenzione e nell’adeguamento funzionale delle opere di urbanizzazione primaria esistenti”, alla stregua di un tratto di fogna o di una conduttura idrica, dimenticando che già un antico legislatore ha escluso le piazze dalle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e le Norme Tecniche di Attuazione del PRG setino del 1972 hanno fatto altrettanto, chissà perché!

La Soprintendenza si affretta a motivare il suo parere favorevole sostenendo che: “non essendosi rilevati elementi avversi la conformità e la compatibilità dei lavori di cui si tratta nel merito si esprime pertanto parere positivo”. Una domanda sorge spontanea :” Conformità e compatibilità con che cosa? La Soprintendenza non lo dice. Se il Piano Regolatore non conta, allora ha ragione. Ma non è così. In tutta sincerità mi sarei aspettata una motivazione più calzante, se non altro più articolata. Un altro ufficio della Soprintendenza invece, intervenuto in un secondo momento perché chiamato a riesaminare il parere, respinge la richiesta e conferma il precedente parere, dicendo: ”L’opera, in quanto afferente ad un santo strettamente legato al territorio della pianura Pontina ed in particolare, insieme a San Carlo, a Sezze, può essere considerata come recita il comma 7 dell’art. 29 delle NTA del PTPR, un intervento di ‘valorizzazione dell’identità culturale’ del luogo”. Ma questa affermazione è un vero e proprio ribaltamento di contenuti del comma richiamato; ne rovescia il significato. Infatti quel comma dice letteralmente :” La tutela è volta alla valorizzazione dell’identità culturale e alla tutela dell’integrità fisica attraverso la conservazione del patrimonio e dei tessuti storici nonché delle visuali da e verso i centri antichi anche mediante l’inibizione di trasformazioni pregiudizievoli alla salvaguardia”.

Dunque la norma citata è volta a tutelare, a conservare il patrimonio esistente e non a trasformarlo o sostituirlo o deturparlo con altri e nuovi interventi”. E che l’intervento proposto trasformi il paesaggio della piazza, lo riconosce la stessa Soprintendenza quando subito dopo dice :”E’ opinione della scrivente che il monumento, pur essendo alto 3 m. (per la verità più alto) ……omissis……, in quanto elemento puntuale non impedisca la visuale verso il paesaggio esterno ma al contrario, come tutti gli elementi emergenti negli spazi pubblici, costituisca un punto focale che porta il visitatore ad avvicinarsi, approssimandosi, conseguentemente all’affaccio restrostante”. Già il belvedere diventa “affaccio retrostante”. Ma nella storica piazza, non si sta facendo manutenzione, si sta al contrario introducendo un elemento emergente che ostacola una prospettiva, distoglie il visitatore da una visuale, quella attuale di ingresso nella Piazza e che interessa con ogni evidenza la storica e monumentale Cattedrale, uno dei pochi esempi di “gotico duro in Italia. Quell’elemento emergente arreca nocumento alla visuale verso il paesaggio interno, contrastando palesemente quel comma 7 dell’art. 29 delle norme del Piano Paesaggistico Regionale. Infatti viene anche compromessa la visuale che parte dall’ “affacccio restrostante”, dal belvedere del Muro della Terra e si protende verso la Cattedrale e via Corradini. La visuale della Cattedrale è dunque doppiamente compromessa. Ma, fatto più determinante, il PRG delimita come “Zona A” il Centro Storico, per la quale le norme tecniche di attuazione, all’art.31, Conservazione e risanamento, stabiliscono che “tutta la zona è sottoposta al vincolo di conservazione dello stato attuale in tutte le parti che la compongono (case, strade, piazze, edifici pubblici ecc.) per mantenere il carattere dell’ambiente architettonico ed urbanistico. Gli unici interventi ammessi sono quelli diretti ai miglioramenti delle condizioni di abitabilità del vecchio centro attraverso il risanamento delle costruzioni malsane”. Nella “Zona A” l’attuazione del PRG deve avvenire esclusivamente mediante piani particolareggiati da redigere con criteri rivolti essenzialmente alla conservazione ed al risanamento del tessuto urbano esistente”. Si attua per piani particolareggiati e non per donazione.

A chi lo avesse dimenticato, ricordiamo che le norme più restrittive sono quelle che prevalgono. Ma davvero qualcuno pensa che si possa aggirare il Piano Regolatore vigente nella “Terra di Sezze”? Piazza del Duomo tutta, lo spazio così com’è, è un paesaggio unico, un contesto raro, che evoca atmosfere e valori immateriali incredibili, ricordi di suoni, di grida, di dolori, di gioie e di apprensioni, quelle che provavano i nostri contadini quando, dopo le piogge, vi si recavano a riquete (a visionare, ad accertare) dall’alto gli effetti sulle loro terre nella piana. Solo chi non prova a volare, a sognare, a vedere l’invisibile, a “naufragare in questo mare” può pensare che si tratti solo di manutenzione di opere di urbanizzazione. Il "Paesaggio, dice la Convenzione europea del paesaggio (recepita dall’Italia), designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. “Il paesaggio, continua la Convenzione, deve diventare un tema politico di interesse generale, poiché contribuisce in modo molto rilevante al benessere dei cittadini europei che non possono più accettare di "subire i loro paesaggi", quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale” Purtroppo tutti, sebbene tenuti, si sono dimenticati del Paesaggio dei cittadini, de’ “i Muro lla Tera”, il “Murum Terrae Setiae”. I cittadini sono rimasti tagliati fuori dal ruolo di soggetti attivi, di portatori di interessi e detentori della memoria collettiva. I cittadini si sono sentiti esclusi, ma non rassegnati. Nessun documento approvato è stato pubblicato; nessun elaborato, nessuna relazione e nessun parere tecnico.

Anche qualche determina da ben oltre un anno aspetta la pubblicazione. Il Regolamento comunale sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi, all’art. 24, Trasparenza, asserisce che “La trasparenza è intesa come accessibilità totale, dei dati e documenti detenuti dalle P.A., allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche …….. omissis………. La pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente, deve essere costante e aggiornata e deve essere effettuata con modalità che ne garantiscano la piena accessibilità e visibilità ai cittadini”. E’ mancato tutto questo, ma sono sicuro che sono in tanti a non volere che nella Terra di Sezze si vada avanti così.

 

Francesco Petrianni