La Giunta comunale di Sezze ha approvato finalmente il progetto definitivo dei lavori di messa in sicurezza del plesso scolastico di via Bari, una struttura questa che ha fatto parlare di sé per il totale degrado e per la pericolosità dello stesso edificio. L’amministrazione comunale fa sapere che il quadro economico del progetto prevede una spesa complessiva di 519.000 euro, in parte già presenti nel bilancio comunale e in parte di provenienza Regione Lazio. L’ente regionale – stando alle parole del sindaco Di Raimo – si sarebbe “impegnato a contribuire” alla messa in sicurezza della struttura. Vedremo. L’edificio in questione è stato al centro di numerose polemiche a causa del suo totale abbandono nel corso degli anni, polemiche che hanno accesso un dibattito sia all’interno della maggioranza che nell’intero consiglio comunale, con i consiglieri di opposizione, in primis Serafino Di Palma, pronto a tutto pur di far garantire il sacrosanto diritto degli alunni e docenti di frequentare una scuola sicura, più possibilmente a norma e quantomeno decorosa. Importante è stato sicuramente anche il ruolo dell’associazione Impronta Setina e del comitato dei genitori.
Un cittadino di Sezze è stato denunciato perché questa mattina ha violato le restrizioni domiciliari per quarantena da Covid19. L’uomo di mezza età è stato fermato e denunciato dagli agenti della Polizia Locale di Sezze guidati dal Comandante Lidano Caldarozzi. Il setino, infatti, questa mattina era in macchina con due nipoti minori, ed è anche per questa ragione che è stata comminata un contravvenzione ai genitori dei bambini. I controlli a tappeto sul territorio da parte delle forze dell'ordine non si fermano. Molti sono i cittadini che ancora non capiscono la gravità della situazione e continuano a trasgredire le misure imposte dal governo come se nulla fosse.
Cosa avvenne la mattina di Pasqua?
Il racconto di una testimone, Maria di Magdala.
“I primi bagliori dell’alba iniziavano a rischiarare l’orizzonte, colorando di riverberi dorati i tetti di Gerusalemme. La città era ancora immersa nel sonno quando uscii dal Cenacolo, silenziosa come un’ombra. La porta si richiuse alle mie spalle con uno scatto secco che echeggiò nella strada deserta. Avvolta nel mantello e portando i vasi contenenti profumi e unguenti, con passo spedito mi avviai al sepolcro di Gesù. Quando Giuseppe d’Arimatea lo calò dalla croce era il tramonto ed iniziava la Parasceve, la solennità più importante del mio popolo. Perciò in tutta fretta lo deposero in una tomba nuova, vicina al luogo dove l’avevano crocefisso, scavata nella roccia e circondata da un giardino, situata appena fuori le mura della città, e con Maria, sua madre, e le altre donne non potemmo lavare il suo corpo, trattarlo con profumi e unguenti e dargli degna sepoltura. Erano trascorsi tre giorni da questi eventi, ma il tempo pareva essersi fermato..
Mentre solitaria e guardinga percorrevo quelle vie deserte e silenziose, un pensiero si affacciò in me improvviso. Il sepolcro era stato chiuso con una grossa pietra, da sola non avrei potuto rimuoverla o spostarla per entrarvi ed occuparmi del corpo di Gesù. Sentii mancarmi le forze, dovetti sedermi. Ero confusa, agitata. Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso. Risoluta però esclusi di tornare al Cenacolo. Desideravo stare con il Maestro e anche se non potevo rimuovere la pietra che lo chiudeva, poco importava, mi sarei seduta davanti al sepolcro e sarei rimasta lì, vicino a lui. Il mio cuore era oppresso da un dolore stordente e soffocante, lancinante e inesprimibile. Rassegnarmi alla sua perdita era impossibile. Era come se fossi morta anch’io sulla croce con lui. Senza Gesù, la sua voce, i suoi sguardi, le sue parole tutto mi appariva senza senso, inutile. Mi asciugai le lacrime, mi alzai e ripresi il cammino.
Parole e gesti appassionati, di una donna innamorata, che piange per il tragico destino che le ha strappato l’amato. È questo che state pensando. La cosa non mi stupisce. In tanti si sono cimentati con la mia vita, narrando di me storie che mi sono totalmente estranee. Hanno scritto che ero una prostituta, ricondotta dal Maestro sulla retta via, e perfino sua moglie. Vaneggiamenti di quanti inseguono scampoli di notorietà a buon mercato, di cui sorrido volentieri. Quando incontrai Gesù ero molto malata, ebbe compassione e mi guarì. I miei occhi si aprirono, riconobbi in lui il Messia, lasciai tutto e divenni sua discepola. Al suo seguito non c’erano solo uomini, ma anche donne. I tempi cambiano, ma i pregiudizi restano, soprattutto verso le donne. Si sa, se di mezzo c’è una donna…… Gesù non ne ha mai avuti.
Torniamo a quella mattina. I soldati di guardia alla porta della città si limitarono a lanciarmi un’occhiata assonnata e distratta. Giunta al giardino, mi avvicinai al sepolcro. Sorpresa e sgomento si impadronirono di me. La pietra che lo chiudeva era stata rimossa, fatta rotolare da una parte. Mi feci coraggio e mi avvicinai. Il sepolcro era vuoto, il corpo di Gesù era scomparso. Lasciati profumi e unguenti, corsi al Cenacolo ad avvertire Pietro e Giovanni, i quali senza chiedermi dettagli, spiegazioni o perdersi in congetture, uscirono dal Cenacolo, corsero al sepolcro ed io con loro. Giovanni giunse per primo, ma diede un’occhiata solo dall’esterno. Nella penombra vide i teli usati per avvolgere Gesù gettati per terra. Poco dopo con il fiato grosso arrivò anche Pietro, il quale entrò nel sepolcro e vide i teli e il sudario piegato da una parte. Giovanni si fece coraggio e lo seguì all’interno. Quindi uscirono e tornarono al Cenacolo, senza proferire parola. Mi lasciarono seduta davanti al sepolcro da sola e in pianto. Al dolore per la morte di Gesù, si aggiungeva ora l’angoscia per il suo corpo portato via. Rimasi così chiusa in me stessa, pietrificata, indifferente allo scorrere del tempo. Dopo un po’ alzai gli occhi e guardai all’interno del sepolcro. Dove era stato posto il corpo di Gesù, ora erano seduti due uomini in candide vesti. Tanto ero presa dal mio dolore, che nel vederli non provai sorpresa o spavento. Mi chiesero: - Donna, perché piangi?-. La domanda mi lasciò perplessa. Il motivo era evidente: come potevano non sapere e non capire? – Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto – mi limitai a replicare. Le mie parole non avevano senso, mancavo di lucidità. Se effettivamente qualcuno aveva trafugato il corpo di Gesù, perché avrebbe dovuto lasciare i teli che lo avvolgevano e il sudario piegato da una parte? Questi fatti avrebbero dovuto ingenerarmi il dubbio che fosse avvenuto altro. Mentre parlavo con loro, percepii una presenza alle mie spalle. Mi voltai prontamente e mi trovai davanti un uomo. Pensai che fosse il giardiniere. – Donna, perché piangi? Chi cerchi?- mi chiese. – Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo – replicai decisa e diretta, tornando a guardare il sepolcro perché capisse a cosa mi riferivo. - Maria!-. Il mio nome risuonò nel giardino. Quella voce, che mi aveva ridonato la vita, era troppo familiare per averla dimenticata. Tornai a voltarmi verso di lui e dissi in ebraico – Rabbonì!-, che significa Maestro. I miei occhi s’aprirono di nuovo e lo riconobbi: era Gesù. Mi gettai allora ai suoi piedi e lo abbracciai. I miei gesti erano ancora incrostati di umana debolezza e di egoismo. Il Maestro mi disse: - Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro -. Senza farmelo ripetere, raccolsi tutte le forze che possedevo e corsi a perdifiato. Tornai al Cenacolo, riferii ai discepoli di aver visto Gesù vivo, di averlo toccato e riferii quanto mi aveva detto. Il Maestro era risorto.
Ebbene potete non credermi, giudicarmi una bugiarda visionaria, ma vi ho raccontato quanto quella mattina ho visto con i miei occhi, ascoltato con i miei orecchi e toccato con le mie mani. Nulla più”.
Buona Pasqua!
Riceviamo e pubbichiamo un articolo di Don Anselmo Mazzer.
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“Desidero vivamente invitarvi a non stemperare questa difficoltà, a non svuotarla, e perciò a non far diventare tutte le attività, con cui stiamo ammirevolmente cercando di sopperire alla mancanza di una azione pastorale ordinaria, una sorta di surrogato di ciò che non c’è, che faccia dimenticare ciò che manca”.
E’ ciò che afferma il nostro Vescovo in una lettera rivolta a tutti i preti in queste ore.
Vi dicevo qualche tempo fa che non si tratta di fare, in questa situazione, semplicemente qualcosa, in attesa che tutto passi.
Si tratta di cogliere in profondità ciò che il Signore oggi può volerci dire.
Una signora della parrocchia, con le lacrime agli occhi, mi ha detto a proposito della adorazione eucaristica presieduta dal Papa: “Lì non c’era una piazza e una basilica vuote, perché lì c’era tutto il mondo”.
Leggendo venerdì santo su Fatto a Latina un editoriale di Lidano Grassucci (un giornalista sezzese che conosco bene e che si è sempre professato miscredente), mi sono venuti i brividi.
Sta accadendo quello che forse non è accaduto nelle precedenti settimane sante in cui tutto era regolare: un vuoto che cerca e gusta una pienezza.
Io stesso, forse perché preso, insieme ai ministranti, dalla esecuzione dei vari riti, non ho mai vissuto così intensamente la settimana santa come quest’anno.
La mancanza dei riti (che in fondo sono facili da porre, sono gratificanti e possono scivolare nello spettacolo) mi ha fatto pensare a Gesù che ha fatto sparire tutti i riti che c’erano (Gv 4,21-24). Paolo lo aveva ben capito subito.
Valeva la pena togliere tutti i riti, per metterne altri?
Gesù nell’ultima Cena ha posto un rito che non è un rito: la sua totale donazione, corpo offerto e sangue versato, concretizzatasi subito sul legno della croce.
E tutto questo in un ambiente di estrema semplicità: c’era “solo” un tavolo, un gruppo di persone attorno, un pane e una coppa di vino leggermente annacquato e nient’altro. Eppure lì c’era tutto, non mancava assolutamente niente.
Io stesso che vi ho detto queste cose tante volte, ancora non riesco a “rassegnarmi” che il nostro Dio si è incarnato in un paesino sperduto del Medio Oriente, in grotta adibita a stalla con dentro la puzza di pecore e capre, che è morto su una croce davanti cinque persone (non si sa se erano presenze storiche o tipologiche), che è risorto davanti a nessuno. E’ questo lo stile del nostro Dio? Si. E magari i nostri riti cercano di edulcorare questo stile che ci sembra non sufficientemente appariscente.
Non si tratta di svalutare il valore antropologico del rito, né di celebrare con sciatteria. Anzi, tutt’altro. Si tratta di considerare, però, il rito come un mezzo e non un fine (entrare nell’intimità di Cristo e dunque nella sequela di Lui).
Se andiamo al racconto della lavanda dei piedi il discepolo “che Gesù amava” (cioè ogni vero discepolo) aveva reclinato il capo sul petto di Gesù. L’immagine che immediatamente ci appare è l’orecchio del discepolo accostato, fisicamente, al cuore di Gesù per sentirne profondamente i battiti.
Questa esperienza ci deve profondamente catturare. Qualche volta non riusciamo a “vedere” il Risorto perché non abbiamo intimità con Lui. Ascoltare i battiti del cuore è l’intimità con una persona con la quale vogliamo condividere l’esistenza. Per questo intuiamo perché il discepolo che Gesù amava “correva” e correva più veloce di Pietro, perché dove c’è intimità si corre, perché c’è attrazione. C’è un’esperienza che avvolge talmente la nostra esistenza che il correre è il linguaggio dell’innamoramento.
La resurrezione la coglie solo quel discepolo che lasciandosi amare ha il coraggio di reclinare il capo sul petto di Gesù, di entrare nella sua intimità.
Tutto questo non è una teoria, nasce da un profondo vissuto che caratterizza l’esperienza del discepolo e gli dà la gioia della risurrezione.
Viviamo quest’anno questa Pasqua, apparentemente vuota, ma in realtà forse mai così piena, perché possiamo poi di riflesso dire agli uomini: Gesù è risorto!
Auguri!
Don Anselmo
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di auguri pasquali di Don Luigi Venditti.
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"Carissimi auguro che presto la situazione difficile che stiamo vivendo diventi un brutto ricordo, ma siamo consapevoli che la pandemia da Covid-19 ha cambiato le nostre vite brutalmente. In questa situazione di crisi e tristezza, Vi invito a non dimenticare che Pasqua è il simbolo per eccellenza del rinnovamento, della rinascita: in questa giornata si festeggia la vita che sconfigge la morte, la luce che vince il buio. Ed è proprio questo il mio augurio: che la luce possa presto tornare a riempire le nostre vite e la nostra quotidianità, che la speranza del ritorno alla normalità si trasformi velocemente in certezza. Permettetemi un augurio pieno di gratitudine a chi sta combattendo in prima linea questa guerra e a chi continuando a lavorare garantisce i servizi essenziali. Voglio dedicare un pensiero speciale alle persone che purtroppo, a causa del virus, non ci sono più e ai loro familiari che non hanno potuto dire loro addio. Il mio augurio è che la trepidazione che stiamo vivendo si trasformi presto in gioia e serenità. Buona Pasqua».
Don LUIGI
Il regime di Coronavirus a cui siamo sottomessi da oltre un mese qualcosa di positivo e di bello lo ha prodotto. E non parlo delle tante riflessioni personali di cui nessuno è stato escluso, o dei tanti "ma" e "perché" che ci hanno affollato la testa in questi giorni, ma mi riferisco al fatto che in questo lungo primo mese, tutti insieme, qualcosa di buono lo abbiamo fatto e cioè abbiamo indubbiamente contribuito a ridurre l’inquinamento in ogni dove con significativi cali di emissioni inquinanti e di anidride carbonica. Nelle città metropolitane si è arrivati a superare il 60% in meno di Gas nocivi prodotti dal traffico delle automobili. In molte frazioni di periferia sono ricomparsi animali selvatici come non avveniva dal dopoguerra: cinghiali ovunque per strada, istrici e volpi se la spassano tranquillamente per strade desolate e abbandonate.
Oggi dopo molti giorni sono uscito per fare la spesa a piedi, prendendo il posto di mia moglie. Sono andato nel centro storico di Sezze approfittando delle botteghe di vicinato che tanta importanza hanno giustamente ricoperto per molti residenti in questo periodo. Tra la macelleria, un alimentari e la Farmacia mi sono fatto un passeggiata e ho riscoperto ancora di più il piacere di vivere appieno il centro storico, di osservarlo in silenzio in un pieno pomeriggio di primavera. Oltre alla quiete ciò che mi ha profondamente colpito è stato vedere come la natura si sta riprendendo i suoi spazi: da Piazza San Pietro sino a Santa Maria l’erba cresce indisturbata tra i sampietrini: è come se la natura stesse riappropriandosi dei suoi spazi velocemente. Altra analogia collegata all’assenza di inquinamento atmosferico e acustico è la numerosa presenza di piccioni che si vedono sopra i tetti o appollaiati nelle terrazze a tubare. Una bella sensazione, insomma, quando di bello in questi giorni ben poco abbiamo visto e sentito. Ma la bellezza salverà il mondo, come scrisse Dostoevskij, in una frase messa in bocca ad un idiota che però aveva ragione.
Una cimasa del centro storico di Sezze
Qualche giorno fa, in questi tempi di quarantena in cui è piacevole riascoltare la nostra musica preferita, ho seguito un appassionante torneo on line, un sondaggio tra gli appassionati per stabilire quale fosse la più bella canzone di Bruce Springsteen.
Tralasciando i turni preliminari, in semifinale sono arrivate le 4 favorite d’obbligo: Thunder road, Born to run, Jungleland e Badlands, vere pietre miliari del repertorio del grande Bruce, born in New Jersey (USA) il 23 settembre 1949.
Al termine delle votazioni del pubblico la canzone vincitrice è risultata Thunder road, prima traccia dell’album Born to run del 1975, immancabile nei concerti dal vivo, vero e proprio inno di un’intera generazione di statunitensi, e non solo. Anche le altre tre bellissime canzoni, notavo tra me e me, appartengono al primo repertorio del giovane Bruce, essendo state scritte ed inserite, le altre due sopracitate in ordine nello stesso lavoro del 1975, mentre la quarta in Darkness in the edge of town del 1978.
Cosa voglia dire questo lo lascio ipotizzare e giudicare ad ognuno dei fans, io ho una mia opinione ma non è questo l’argomento principale di cui volevo scrivere.
C’è però un’altra canzone del vastissimo repertorio del Boss (si parla di 297 opere, testi e musica, oltre a qualche perla regalata ad amici colleghi) che mi emoziona sempre di più ad ogni ascolto e che in questo periodo di riflessioni forzate mi fa bene.
Land of hope and dreams (Terra di speranza e sogni) è una canzone scritta nel 1999 e che gode di una particolarità: pur essendo stata eseguita e cantata dal vivo più volte con la E Street Band (la storica band di Springsteen), e pubblicata come CD in Live in New York City (2001), non era mai stata inserita in un album di studio, fino al 2012, quando è diventata la traccia n. 10 dell’album Wrecking Ball.
Ma cosa ci raccontano le parole di questo testo che amo visceralmente (la musica davvero ispirata e trasportante, sicuramente il miglior brano di Bruce degli anni duemila) e che sembra anche un po’ la continuazione ideale della giovanile Thunder road, inno/invito a non arrendersi mai e a credere sempre nella possibilità di poter cambiare la propria vita, risollevandosi dai primi fallimenti?
Se proviamo ad ascoltarla in questi giorni di fobia da pandemia, sembra essere stata scritta per l’occasione. È un accorato invito di un uomo per la sua donna a salire insieme su di un treno già lanciato sui binari (di nuovo il cammino già di Born to run e di Thunder road) verso non si sa dove, per arrivare in una terra da cui è certo che non si tornerà più indietro (You don't know where you're goin', but you know you won't be back). Bisogna far presto, potranno scegliere e portare solo poche cose, le migliori e necessarie, abbandonando per sempre tutte le altre, per correre verso un posto in cui continuare la vita. A questo punto l’uomo fa una vera e propria dichiarazione d’amore e di speranza con la strofa che precede il ritornello (Well, I will provide for you yeah, and I will stand by your side you'll need a good companion, darlin' for this part of the ride. You leave behind your sorrows yeah, this day will be the last tomorrow they'll be sunny skies and all this darkness past). “Avrò cura di te e starò dalla tua parte. Avrai bisogno di un buon compagno, mia cara per questa parte del viaggio, làsciati alle spalle i tuoi dolori, questo giorno sarà l'ultimo, domani saranno cieli splendenti e tutta questa oscurità ormai passata”. Ecco lo Springsteen che preferiamo, quello che ci guida regalandoci testi metafisici, a metà tra Antico Testamento e sogno americano, versi di valore assoluto, scritti in forma di poesia pura. Ma non sarà un viaggio di nozze, una vacanza senza pensieri di prima classe e pacchetto tutto completo. C’è tutto un popolo a bordo dello stesso treno, altri uomini e donne che scappano da una situazione divenuta irrespirabile con la speranza di poter ricominciare a vivere altrove.
“Well, this train carries saints and sinners, this train carries losers and winners, this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls” Questo treno porta santi e peccatori, perdenti e vincitori, prostitute e giocatori d'azzardo ed anime morte. Là dove si arriverà le campane della libertà stanno suonando, i sogni non saranno ostacolati e la fiducia sarà ricompensata.
Non sembrano parole simili a quelle che leggiamo in questi giorni sui giornali, scritte da pensatori o filosofi contemporanei, che ci invitano ad avere speranza, a ragionare come comunità (il treno nella canzone), in cui tutti devono fare la propria parte (vincitori, vinti, prostitute ecc.) perché ci si può salvare solo tutti insieme? E poi, l’invito a riprogrammare il nostro futuro, sapendo già che il mondo, anche il nostro mondo locale, non potrà più essere come prima? E il treno che ci porterà in un luogo migliore di quello che non rivedremo mai più (quello pre-Coronavirsu)? A me sembra uno dei migliori Springsteen di sempre, ispirato, profetico e visionario come solo lui sa essere.
Cos’altro aggiungere? Penso ad un’ultima cosa,: sarà che stiamo tutti vivendo questa quarantena di pari passo con la Quaresima, sarà che i riti e le liturgie comunitarie della settimana Santa quest’anno saranno insoliti e per lo più senza sacramenti, isolati come siamo e lontani dalle nostre chiese di comunità, sarà che anche il Papa ci invita a vivere questo momento in cui Dio sembra essere assente, sordo alle nostre preghiere, per riflettere sulle cose veramente essenziali nella nostra vita… Una suggestione personale: io in questa canzone ci vedo anche (mi perdoni l’amico di sempre Bruce se mi prendo questa licenza) il percorso della Chiesa terrena. Quella fatta di uomini e donne, di santi e peccatori, di prostitute e giocatori d’azzardo, che corre verso la mèta, la Salvezza, l’unica cosa che conta per i veri cristiani: Cristo risorto. C’è posto per tutti a bordo di questo treno da dove si intravedono i campi in cui si riversa la luce del Sole e si sentono le campane della libertà suonare (…where sunlight streams… bells of freedom ringing).
Buon ascolto e Buona vera Pasqua!!
Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, questa mattina ha firmato il decreto per il funzionamento degli organi istituzionali e per lo svolgimento delle sedute del Consiglio comunale in videoconferenza. Si tratta di una disposizione temporanea attuata per l'emergenza epidemiologica COVID19 ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020. Il Presidente dell’assise cittadina, dopo aver sentito il parere anche della segretaria comunale, ha emesso il decreto per permettere ai rappresentati istituzionali di riprendere le attività ad un mese dalle misure imposte dal Governo centrale. Il decreto riguarda lo svolgimento dell’assise cittadina e di tutte le riunioni istituzionali preparatorie allo stesso, quali conferenze di capigruppo e commissioni consiliari, sempre ovviamente in modalità telematica mediante videoconferenza. Nella lettera inviata ai consiglieri comunali e al sindaco di Sezze, il presidente del consiglio comunale spiega che “è compito di tutti garantire la funzionalità dell’assemblea, primo presidio democratico per i nostri cittadini”. “Mi sono preoccupato – scrive Eramo – di mettere in sicurezza, oltre che il lavoro in assemblea anche quello delle commissioni consiliari. La nostra Assemblea è riferimento democratico in un momento in cui stiamo chiedendo ai nostri cittadini un enorme sacrifico, rinunciando alla loro libertà, in nome del bene collettivo della salute di tutti e di ciascuno. Certo che presto torneremo alle normali modalità di funzionamento della nostra assemblea - chiude la lettera - colgo l’occasione per augurare a tutti buona Pasqua”.
Che ci volete fare? Il coronavirus sta cambiando davvero le nostre abitudini e le nostre convinzioni. Non è più il Papa a governare il clero, a fare aprire e chiudere le chiese, a decidere di far celebrare la Messa di Pasqua senza i fedeli, a suggerire ai vescovi e ai sacerdoti di sospendere le processioni, le comunioni e le cresime. Qualcuno, infatti, propone che a Pasqua si può (si deve) celebrare la Messa in chiesa, alla presenza dei fedeli. E ciò non solo in barba alle raccomandazioni del Sommo Pontefice ma in dispregio delle norme sancite dal Governo Nazionale. Papa Francesco ha tantissimi seguaci in tutto il mondo che lo ammirano, lo seguono, lo ascoltano. Credenti e atei. Ma, ahimè, ha anche alcuni avversari. In particolare si distinguono in questa diatriba poco edificante i cattolici conservatori e tradizionalisti, dentro e fuori l'Episcopato, sostenuti da politici sovranisti (Trump, Bolsonaro, Orban, e il nostro Matteo Salvini). Gli stessi che alzano i muri e chiudono i porti. Essi lo combattono indossando il saio, mostrando in piazza l'immagine della Madonna, recitando il Rosario. È proprio il caso di ricordare ciò che dice il Vangelo, distinguendo nettamente il ruolo dello Stato da quello della religione": Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Ci son voluti molti secoli affinché questo principio basilare per la convivenza civile si affermasse. Ci sono voluti il pensiero e l’azione di grandi intellettuali, liberali e cattolici (Dante, Cavour, don Luigi Sturzo), (tanto per citarne alcuni), per affermare e introdurre nelle democrazie moderne il valore della laicità dello Stato rispetto alle vecchie teocrazie medievali e alle prepotenze dei regimi assolutisti che sottomettevano la religione al loro potere. Princìpi universali ormai fortunatamente affermati in quasi tutta la società civile. Perciò resta incomprensibile la proposta di aprire le chiese a Pasqua. È invece più saggio e più prudente, in questi tragici momenti in cui ci tocca vivere, non scomodare i Santi e pregare in casa senza affollare le chiese. Ciò, anche, nel rispetto dell'autenticità del messaggio cristiano che osteggia l'esteriorità e l'ostentazione e che, invece, bada all'essenza di ciò che si compie. Quante volte Gesù Cristo ha allontanato da sé i falsi ed ipocriti Farisei che pregavano ininterrottamente a gran voce ma che nel cuore nutrivano odio e disprezzo per gli altri. "Dio è in cielo e in terra e in ogni luogo", dice il catechismo. Buona Pasqua a tutti." Io resto a casa."
Uova di Pasqua per tutti i bambini di Sezze. Con un sorriso in più, per una Pasqua che è rinascita e speranza per un futuro migliore. L’amministrazione comunale di Sezze intende provare ad alleviare, per quanto possibile, le tante e diverse privazioni che i nostri bambini stanno vivendo in questo delicato periodo. Il sindaco Sergio Di Raimo annuncia così che l'amministrazione comunale donerà uova di cioccolato a tutti i bambini di età compresa fra i 2 e i 10 anni. "Si tratta solo di un piccolo gesto - scrive il sindaco sul suo profilo social - per dimostrare la nostra vicinanza, il nostro affetto, e per strappare un sorriso in più ai piccoli di casa". A partire da venerdì la protezione civile si occuperà della consegna a domicilio.
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Noi siamo storie che si intrecciano, sguardi che si incontrano, mani che si uniscono, sentimenti che si fondono, saggezze condivise, compagni di viaggio che camminano fianco a fianco e si inerpicano lungo i tornanti a volte aspri e gravosi della vita sorreggendosi l’un l’altro. Purtroppo sopraggiunge il tempo della separazione. Il distacco è sempre doloroso, ci segna profondamente sia se frutto di una scelta, di un abbandono per inseguire altri destini, cercare asilo in altri affetti, amicizie e relazioni, sia se conseguente al fluire del tempo, al consumarsi naturale ed inevitabile della vita o all’impensabile di una perdita inattesa e incomprensibile. È la nostra umanità, bellissima e fragile.
Nella nostra cultura la morte è divenuta un tabù, considerata talmente sconveniente da essere nascosta e taciuta, rimossa sul piano individuale e sociale, bandita dalle coscienze e dal linguaggio, anche se di contro nei media, nel cinema, nei videogiochi è ipervisibile, traboccano immagini e discorsi legati alla morte, è spettacolarizzata, scenografica, teatrale al punto di apparire qualcosa di patetico e irreale, impiegata per produrre scariche di adrenalina e commuovere il pubblico, trasformata in un antidodo e un passatempo contro la noia generale dell’esistenza.
Gli accadimenti che ci stanno investendo con la potenza di uno tsunami ci sollecitano a mettere da parte inquietudini e straniamenti, a non cedere alla tentazione di stordirci e non pensare, di sottrarci alla sgradevolezza della realtà cercando rifugio e conforto nell’illusorio e nell’inconsistente e ci obbligano a misurarci con l’esperienza dura e traumatica della sofferenza, del dolore e della morte, che hanno assunto dimensioni e caratteri collettivi e lasceranno cicatrici permanenti nelle nostre esistenze, a prescindere se il virus ci ha toccato o ci toccherà personalmente o negli affetti.
Il ragionieristico snocciolare i dati nell’incontro della Protezione Civile e degli esperti sanitari con i giornalisti in diretta televisiva, che ritma queste nostre giornate di isolamento, necessario per spiegare la dimensione della tragedia in cui siamo immersi, inevitabilmente genera la sensazione di una riduzione a fredda contabilità numerica di malati e morti, anche se parole e accenti sono sempre misurati, attenti e mai sminuenti soprattutto la gravità della perdita di vite umane, prevalentemente riguardanti quanti si trovano ad aver compiuto un considerevole tragitto esistenziale e del concorso di patologie pregresse e gravi nel determinare l’esito funesto.
Non c’è nulla di consolatorio nel fatto che i decessi riguardino maggiormente persone anziane o comunque vulnerabili perché, al di là del fatto che tale assunto neanche è del tutto veritiero, in questo combattimento contro il virus potremo uscirne vincitori o vinti unicamente tutti insieme. Infatti se perdiamo i giovani perdiamo speranza e forza per costruire il domani, se perdiamo gli anziani perdiamo la memoria di ciò che siamo stati, l’esperienza che ci ha consentito di toccare i traguardi di cultura, sviluppo e benessere che ci appartengono, la saggezza di chi ha vissuto già tanto.
L’esistenza umana è scandita da stagioni, tappe necessarie, passaggi preziosi che costruiscono e modellano la nostra identità: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia.
La nostra società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto, il più delle volte non considera la vecchiaia come un dono da apprezzare e valorizzare, ma come un peso e un costo. Gli anziani sono improduttivi e sono percepiti come persone aventi scarsa rilevanza sociale, insignificanti e da loro non si è interessati ad ascoltare ed apprendere nulla. La longevità è invece una benedizione perché la sapienza del vivere di cui sono portatori i vecchi è un tesoro inestimabile. La vecchiaia non è la stagione che avvicina e conduce alla morte, ma il tempo necessario a dare compimento alla vita, consentendo di comprenderla e leggerla integralmente e di scoprire veramente se stessi. Le rughe che segnano il volto sono memoria scolpita nella carne viva della fatica e dell’impegno profuso, della gioia e del dolore vissuti nel dipanarsi dei giorni. La vecchiaia è il tempo dell’amore, inteso non più come passione erotica travolgente, ma come profondità di sentimenti capaci di svelare strade sempre nuove e inaspettate per sconfiggere il cinismo, continuare a stupirsi di fronte alla bellezza, evitare lo spegnersi di gratuità e disinteresse, consentire che a primeggiare sia la vita e l’essere sull’avere. Gli anziani sono una riserva vitale e dicono infinitamente tanto anche con i loro silenzi, possono aiutarci a guidare nella notte a fari spenti, perché conoscono le insidie nascoste, le curve pericolose dove è meglio rallentare, moderare l’andatura e i rettilinei sui quali procedere di slancio, dato che quelle strade che noi andiamo sperimentando le hanno già affrontate.
Questa maledetta pandemia, specialmente in diverse parti del nostro Paese, ci sta defraudando di legami ed affetti dei nostri genitori e nonni, dell’anima profonda e della memoria di cui sono testimoni, sta inaridendo e tagliando le radici che ci rendono saldi di fronte alle avversità e ci nutrono con la linfa della saggezza, relegandoci in una solitudine generazionale senza precedenti. Nel chiuso dei reparti asettici e sterili degli ospedali, dove il silenzio è rotto solo dal sibilo sottile dei respiratori e dalle parole di conforto di tanti medici e infermieri instancabili e valorosi, rivestiti con tute, camici, mascherine e visiere per proteggersi dal virus, se ne sta andando irrimediabilmente una parte di noi.
Quando tutto questo sarà finito e avremo sconfitto il virus ci scopriremo più poveri non solo economicamente ma soprattutto umanamente.
La Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo di Sezze edizione 2020 sarà soltanto in formato televisivo. Le misure restrittive legate all’emergenza sanitaria in atto impediscono, tra l’altro, lo svolgimento di ogni manifestazione pubblica e così lo storico evento della città di Sezze non potrà svolgersi, come da antica tradizione, la sera del Venerdì Santo lungo le vie del paese. I preparativi avviati fin dal mese di gennaio sono stati bruscamente interrotti e così il consiglio direttivo dell’Associazione della Passione di Cristo di Sezze ha voluto riproporre al grande pubblico televisivo, oltre alla Passione svolta a Sezze lo scorso anno, anche le rappresentazioni realizzate negli ultimi dieci anni in alcuni dei luoghi simbolo della cristianità: da Santiago di Compostela ad Assisi, da Roma a San Giovanni Rotondo e Lourdes. “In questo particolare momento di angoscia e sofferenza – afferma Il presidente dell’associazione Elio Magagnoli - abbiamo voluto offrire comunque un importante segnale di continuità e di vicinanza all’intera comunità locale e nazionale, non facendo mancare un punto di riferimento della tradizione culturale e storica ormai noto a livello nazionale e internazionale. Ci è sembrato giusto e doveroso riproporre, seppur soltanto in forma televisiva, la rappresentazione di Sezze sperando che questo possa costituire un auspicio per una prossima fine della emergenza sanitaria, ma anche una commemorazione delle tante vittime di queste settimane e un pensiero di conforto per coloro che stanno soffrendo a causa del virus e per la perdita degli affetti più cari”. Si tratta indubbiamente di una bella e utile idea per tenere unita una tradizione ad una città e ai tanti fedeli che solo legati alla "processione" da anni, ma è veramente triste, quest'anno, non vederla sfilare per i vicoli del centro storico .
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Ecco il programma:
- VENERDI' 10 APRILE ALLE ORE 21 SU LAZIO TV (CH 12): LA PASSIONE DI SEZZE 2019
- SABATO 11 APRILE ORE 10,30 SU GOLD TV (CH 17): LA PASSIONE DI SEZZE A SANTIAGO DI COMPOSTELA ORE 21 SU REGAL TV (SKY 822) : LA PASSIONE DI SEZZE LOURDES -
- DOMENICA DI PASQUA ORE 10,20 SU LAZIO TV (CH 12): LA PASSIONE DI SEZZE AD ASSISI ALLE ORE 18 SU REGAL TV (SKY 822): LA PASSIONE DI SEZZE 2019 ALLE ORE 22 SU ODEON 24 (CH 177): LA PASSIONE DI SEZZE A ROMA -
- LUNEDI' 13 APRILE: LA PASSIONE DI SEZZE A SAN GIOVANNI ROTONDO: ORE 21 SU GOLD TV (CH 17), ORE 22 SU ODEON 24 (CH177).
3 nuovi casi di Covid 19 per Sezze. La direzione generale della Asl poco fa ha diramato l'ultimo bollettino che registra per Sezze 3 nuovi pazienti, per un totale di 11 di cui 4 casi positivi ricoverati, 2 negativizzati e 5 casi in isolamento domiciliare. I casi positivi in Provincia sono 324, di cui 112 ricoverati, 36 negativizzati, 16 pazienti deceduti e 160 in isolamento. Si tratta di un dato che fa capire la dimensione spaventosa dei contagi anche nei nostri territori ed il sacrosanto dovere di restare a casa e rispettare tutte le misure imposte dal Governo per combattere questo maledetto virus.
In questi giorni drammatici, rinchiusi in clausura nelle nostre case, si deve cercare di non sprecare il poco tempo che Madre Natura ci ha concesso. Si legge, si studia, si guarda la TV, si ascolta musica, si sta al telefono; chi può fa il giardinaggio. Eppure per molti genitori (e nonni) non è così! Alla sera sono più stressati di prima, quando non c'era il coronavirus. Le maestre e le professoresse, utilizzando intelligentemente la didattica a distanza, riempiono quotidianamente di compiti i loro alunni. Ho sentito alcune mamme (e nonne) letteralmente disperate dirmi :" Siamo ritornate sui banchi di scuola (e va bene!); abbiamo riaperto vecchi libri e manuali scolastici (e va bene!); abbiamo riutilizzato il vocabolario e l'enciclopedia (e va bene!); ma aprire la piattaforma digitale, manipolare i dispositivi elettronici... e seguire le lezioni on line... diventa un vero e proprio rompicapo. La sera, dopo una intera giornata spesa tra le pentole della cucina, la pulizia di casa, i compiti dei figli (e dei nipoti!) non ce la si fa più". Hanno ragione! Allora, come ho fatto qualche giorno fa proponendo di promuovere tutti gli alunni (ma in maniera differenziata!), proposta che è stata recepita dal del Ministero della P.I., anche adesso mi permetto di dare qualche suggerimento:
1) assegnare pochi (pochi pochi) compiti agli alunni, concordandoli con gli altri docenti di classe;
2) pochi compiti ma buoni, differenziandoli a seconda delle capacità e dei livelli di istruzione dei singoli alunni;
3) tener conto del grado di istruzione dei genitori e del loro ambiente familiare;
4) accompagnare singolarmente e pazientemente gli alunni nella soluzione dei compiti assegnati;
5) contattare gli alunni non appena hanno terminato i compiti;
6) dialogare con loro con tono cordiale e autorevole;
7) valutare i compiti in maniera oggettiva ma incoraggiante e propositiva;
8) prendere spunto dai compiti svolti per parlare di temi di attualità;
8) tenere conto di chi non ha in casa il computer :
10) informare gli alunni e i loro genitori delle risorse economiche messe a disposizione dal Governo, dalla Regione Lazio e dal Comune di Sezze per l'acquisto della strumentazione elettronica e, infine, dei divieti disposti dalle Autorità competenti perché bisogna, ancora, restare a casa!