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Riceviamo e pubblichiamo riflessioni aperte da parte del prof. Alberto Filigenzi all’autore del libro di componimenti in dialetto sezzese “A raccolle ‘i vénto” di Franco Abbenda, all’indomani della sua presentazione avvenuta lo scorso 18 Gennaio a Sezze.

 

Caro Franco...

il tuo libro non soltanto arricchisce la biblioteca del dialetto sezzese ma desta anche i nostri sensi un po’ assopiti, disabituati a porre domande ed a far parlare quel “genius loci” che, come un’antica divinità naturale, custodisce e vigila sui luoghi delle nostre origini. Le poche cimase rimaste, le strette ed i selciati, le piazzette e gli slarghi panoramici non sono quasi mai motivi di suggestione nostalgica. Essi costituiscono le tappe di un percorso di testimonianza per riportare alla freschezza della vita ciò che non è più, sapendo che può rivivere solo in un confronto-tensione con il presente. Come  il poeta per Sezze, anche noi con la memoria ed i sensi pronti ci addentriamo per le strofe, tra le pagine del libro. Il motivo conduttore della raccolta  è già negli ultimi versi del primo testo poetico “A raccolle ‘i vénto”, una sorta di pròtasi. “Chi è che scrive ancora poesie?/ Chi guarda addò niciuno  s’arivota,/ chi sente gl’adduri che n’ci sto più/chi n’si stracca  di raccolle i’ vento.” Cioè chi raccoglie i segnali, le voci sommesse, le richieste di aiuto di luoghi abbandonati che chiedono dignità al proprio essere e che, tramite il poeta, sono presenti a quanti chiedono conforto, consigli per le sfide del mondo presente, per i pericoli ad esse sottese, per la preoccupazione per “e do iarà i’ paeso". Lo stile del tuo dialetto  è duttile: lento, denso e pausato nel richiamo di un cura, di un affanno (“Aspetto primavera”), nel fermare il tempo di una cena e riportarlo al “Quarto Ginnasio”, nel risentire i profumi, i sapori e gli aromi di campo (“La prima carcioffola”), ripido a precipizio nei bivi esistenziali de “Gl’attimo prima”, compostamente nostalgico (“ ’Ste dèci cose”), veristico rappresentativo con quel fotogramma dello sguardo perso oltre il finestrino di “Anime stracche”: “la laurea ‘n po’ più vicina/ la voglia di scappà  lontano”,  il comune destino  di “semo gente andata e ritorno”, drammatico evocativo nell’impeto giovanile, nello strazio senza fine (“Nu’ gli chiamate eroe”).  Infine, (“Ad occhi chiusi”), lo stile leggero con l’accento che si posa appena quando ripercorri corpo e mente gli scalini di discesa e risalita per quanto è alta Sezze. E lo fai con quel senso di legittimo possesso, quasi a dire: “atecco non si tocca”. 

 

Il Prof. Alberto Filigenzi

Riceviamo e pubblichiamo riflessioni aperte da parte del prof. Alberto Filigenzi all’autore del libro di componimenti in dialetto sezzese “A raccolle ‘i vénto” di Franco Abbenda, all’indomani della sua presentazione avvenuta lo scorso 18 Gennaio a Sezze.

 

 

Il tuo libro non soltanto arricchisce la biblioteca del dialetto sezzese ma desta anche i nostri sensi un po’ assopiti, disabituati a porre domande ed a far parlare quel “genius loci” che, come un’antica divinità naturale, custodisce e vigila sui luoghi delle nostre origini. Le poche cimase rimaste, le strette ed i selciati, le piazzette e gli slarghi panoramici non sono quasi mai motivi di suggestione nostalgica. Essi costituiscono le tappe di un percorso di testimonianza per riportare alla freschezza della vita ciò che non è più, sapendo che può rivivere solo in un confronto-tensione con il presente. Come  il poeta per Sezze, anche noi con la memoria ed i sensi pronti ci addentriamo per le strofe, tra le pagine del libro. Il motivo conduttore della raccolta  è già negli ultimi versi del primo testo poetico “A raccolle ‘i vénto”, una sorta di pròtasi. “Chi è che scrive ancora poesie?/ Chi guarda addò niciuno  s’arivota,/ chi sente gl’adduri che n’ci sto più/chi n’si stracca  di raccolle i’ vento.” Cioè chi raccoglie i segnali, le voci sommesse, le richieste di aiuto di luoghi abbandonati che chiedono dignità al proprio essere e che, tramite il poeta, sono presenti a quanti chiedono conforto, consigli per le sfide del mondo presente, per i pericoli ad esse sottese, per la preoccupazione per “e do iarà i’ paeso". Lo stile del tuo dialetto  è duttile: lento, denso e pausato nel richiamo di un cura, di un affanno (“Aspetto primavera”), nel fermare il tempo di una cena e riportarlo al “Quarto Ginnasio”, nel risentire i profumi, i sapori e gli aromi di campo (“La prima carcioffola”), ripido a precipizio nei bivi esistenziali de “Gl’attimo prima”, compostamente nostalgico (“ ’Ste dèci cose”), veristico rappresentativo con quel fotogramma dello sguardo perso oltre il finestrino di “Anime stracche”: “la laurea ‘n po’ più vicina/ la voglia di scappà  lontano”,  il comune destino  di “semo gente andata e ritorno”, drammatico evocativo nell’impeto giovanile, nello strazio senza fine (“Nu’ gli chiamate eroe”).  Infine, (“Ad occhi chiusi”), lo stile leggero con l’accento che si posa appena quando ripercorri corpo e mente gli scalini di discesa e risalita per quanto è alta Sezze. E lo fai con quel senso di legittimo possesso, quasi a dire: “atecco non si tocca”. 

 

Il Prof. Alberto Filigenzi

Domenica, 19 Gennaio 2020 12:27

Elogio dei virtuosi

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I virtuosi non fanno scalpore, vivono per lo più nell’ombra, nascosti in una normalità che non attira l’attenzione, raramente occupano le prime pagine dei giornali, aprono i notiziari delle emittenti televisive, spopolano sui social e quando accade è sempre perché compiono gesti reputati eroici, eclatanti ed inaspettati da quanti hanno l’abitudine alla mediocrità e non considerano la virtù normalità. In ogni caso la loro fama è effimera, dura lo spazio di un mattino, presto cedono il passo ad altri più seducenti ed accattivanti.

L’eroe negativo, il mostro o più semplicemente il furbo, che usa astuzia e perspicacia per aggirare e raggirare, eludere e scansare impegni, obblighi e fatiche attira molto più l’attenzione, suggestiona e catalizza simpatie, accondiscendenza e comprensione, rappresenta per tanti, più o meno consciamente, un modello, quanto si vorrebbe essere e non si è per codardia o per mancanza dell’occasione favorevole.

La virtù è una strada faticosa da percorrere ricercando la saggezza, postula la coscienza del nostro limite, della nostra parzialità e insufficienza. A lungo è stata concepita come un ideale di perfezione e di fatto rimossa dal quotidiano in quanto irraggiungibile e utopistica e non un obiettivo indispensabile del nostro vivere, per realizzarci autenticamente come persone e realizzare ogni giusto desiderio.

 

 

La virtù non si genera da se stessa, non passa per l’affermazione dell’”Io”, non è frutto della volontà, come erroneamente si potrebbe credere. La volontà può divenire anzi la sua nemica più acerrima, perché cristallizza i pregiudizi ed esalta l’orgoglio, non aiuta a vedere, ascoltare e capire fatti e persone e finisce per ridurla ad una sovrastruttura moralistica, dispensatrice di meriti e debiti. Essa nasce invece dalla relazione vera e libera con la realtà, si concretizza negli innumerevoli contesti con le proprie diversità e specificità, non è una qualità, ma un abito, una buona abitudine, in vista del compimento del bene, è esperienza del nostro essere “tu”, dell’essere il “tu” di un altro, che ci consente di comprendere qualità e valore di quanti ci sono accanto, di sostenere la tensione della diversità, di comporre le conflittualità, di meravigliarci della bellezza e di gustarla da qualunque parte essa provenga, di tollerare ed accettare gli errori, di cogliere il richiamo al bene che alberga nell’altro.

Il ribaltamento di mentalità, il salto sostanziale che siamo chiamati a compiere sono evidenti: per essere virtuosi non dobbiamo possedere la virtù ma esserne posseduti, abitati e nutriti.

La complessità del ragionamento non deve spaventarci.

Parlare di virtù non è un discorso astratto, lontano dalla concretezza della vita. Al contrario è coraggio di riflettere, di riconsiderare noi stessi, i nostri atteggiamenti, le nostre convinzioni e scelte, soprattutto quelle apparentemente meno rilevanti e più ripetitive, sotto una prospettiva altra.

Fare ciò che è giusto, considerare le regole del vivere sociale non come un peso da aggirare, eludere, trasgredire, brigando e dissimulando per farla franca e non subire conseguenze e ripercussioni, avvertire il senso della responsabilità che ci unisce gli uni agli altri, svolgere il proprio lavoro con coscienza e senso del dovere, pensare al bene comune e non solo ai propri interessi personali ed egoistici, accogliere con  riguardo la diversità, il pensiero, la cultura e la fede religiosa di chi ci vive accanto, rispettare l’ambiente, non violentare la natura è questa la virtù.

Il terribile ordinario è il terreno della nostra vita da fecondare pazientemente e costantemente con la virtù. Dobbiamo partire dal piccolo e dal quotidiano.

Le strade della nostra città soffocano per il traffico impazzito, male odorano per i nostri rifiuti abbandonati. Parcheggiare sui marciapiedi, al posto dei diversamente abili o davanti l’ambulanza, intralciandone o impedendone di fatto la possibilità di soccorrere quanti dovessero averne bisogno, è per alcuni una assurda normalità. Lamentarsi per quello che non va è un ritornello stonato ed irritante se ripetuto da chi non si preoccupa dell’incoerenza tra quanto denuncia con le parole e i propri comportamenti personali, se il dovere di agire nella legalità sembra debba riguardare sempre gli altri e mai se stessi.

Tanti, la stragrande maggioranza scelgono la strada opposta, la strada della virtù e certamente non fanno notizia: pagano regolarmente le tasse, non schizzano in mezzo al traffico in barba a tutte le regole e infischiandosene della sicurezza altrui, amano il bello e la cultura, pensano al bene collettivo e si rimboccano le maniche per aiutare i meno fortunati in silenzio e senza fanfare.

Raccontare di costoro non fa scalpore, ma quanti fanno informazione ne dovrebbero avvertire la responsabilità.

È giusto parlare di ciò che non funziona, denunciare ingiustizie e cattive pratiche, ma non bisogna dimenticarsi del bello e del buono, delle storie di tanti virtuosi che possono nutrire cuori e menti, ispirare e regalare fiducia nel futuro.

Aristotele diceva che “la virtù è più contagiosa del vizio, a condizione che venga raccontata”.         

 

 

Un appuntamento con la poesia, con il dialetto, con la tradizione e con la storia di Sezze. Imperdibile e interessante incontro oggi pomeriggio alle ore 17,30 presso l’auditorio San Michele Arcangelo di Sezze per la presentazione del primo libro di poesia “A raccolle i vénto” di Franco Abbenda  “Zamamma”, sezzese purosangue da più generazioni. Si tratta di una raccolta inedita di poesie scritte con la passione di chi ama il suo paese, la sua lingua, i suoi odori, i suoi difetti.  Il libro, pagina dopo pagina, apre ai ricordi di una Sezze che sta perdendo molto del suo aspetto e delle sue antiche tradizioni. “Ho iniziato a scrivere in versi sezzesi nel 2010, ma solo recentemente ho concretizzato l’idea di pubblicare su carta tutti i miei componimenti scritti fino a qualche mese fa, inseguendo il sogno di contribuire a restituire una rinnovata centralità allo scritto su carta rispetto alla volatilità delle parole, ed al loro abuso e spesso vacuo, del dialetto posticcio virtuale sui social. La speranza – scrive Franco Abbenda - è che questa iniziativa possa riaccendere anche nei sezzesi del Terzo millennio un sincero orgoglio di appartenenza, invogliando i più giovani a scrivere in dialetto con stile e modernità linguistica”. Alla presentazione interverranno il sindaco di Sezze Sergio Di Raimo, Chiara Mancini, brillante autrice dell’introduzione del libro, il prof. Giancarlo Loffarelli e Lidano Grassucci. Proprio ieri in occasione del premio letterario Antonio Campoli svoltosi a Bassiano, terzo posto per una delle poesie scritte da Abbenda. 

Franco Abbenda

 

Un piccolo incendio è divampato questa mattina sotto il Belvedere di Santa Maria di Sezze. Un incendio molto probabilmente doloso, o causato per negligenza, che ha interessato tutta l’area sotto il muro della tèra. Sul posto sono intervenuti con tempestività i Vigili del Fuoco di Latina e i volontari della Protezione Civile. Le fiamme hanno lambito il terreno sottostante la canonica della Cattedrale e sono state alimentate dal vento. I terreni della zona sono stati completamente abbandonati, l’erba e la vegetazione per incuria è arrivata quasi a snaturare uno dei luoghi più belli e affascinanti della città. In questa zona da anni non esiste alcuna manutenzione da parte dei privati e dell’amministrazione comunale di Sezze. Diventato una discarica, il murodellatéra, con questo incendio, tocca veramente il fondo, il suo massimo degrado, e da luogo straordinario diventa luogo di totale abbandono. Il Belvedere è transennato da 8 mesi dopo la sospensione dei lavori per la realizzazione del monumento di San Lidano, lavori sospesi e sui quali è calato nuovamente un velo di mistero da parte della Giunta Di Raimo.  I terreni sono incolti senza alcun interessamento da parte dei responsabili. Nel frattempo questo è il risultato: il cantiere è diventata una discarica ed il belvedere una fratta incolta. Un luogo splendido ormai desolato.

 

 

L’amministrazione comunale di Sezze si dichiara soddisfatta per la buona riuscita della giornata di ieri dedicata alla tutela dell’ambiente e ai comportamenti volti al rispetto dello stesso. Alla bella e utile manifestazione, inserita nel progetto “Sezze…ecologia e sostenibilità”, hanno preso parte gli alunni delle prime classi dell’Istituto Valerio Flacco i Sezze e quelle del Corradini.  “Il Comune di Sezze, attraverso la riscoperta e la valorizzazione degli usi e delle tradizioni locali e tramite la promozione e l’organizzazione di eventi e spettacoli dal vivo, tra le sue finalità istituzionali  - ha spiegato l’assessore alla scuola Giulia Mattei - ha da sempre manifestato una spiccata attenzione alla cura dell’aspetto socio-culturale e ricreativo della propria popolazione: manifestazioni quali ad esempio “ L’Estate Setina” o il “Natale Setino” ormai risultano pienamente consolidate, e hanno contributo a creare uno spirito di appartenenza al proprio territorio per tutta la collettività locale.  L’Amministrazione Comunale vuole però aggiungere degli elementi innovativi a questa propria peculiarità: l’idea infatti alla base del presente progetto è quella di consentire che tali attività ricreative destinate alla popolazione contribuiscano a veicolare nelle giovani e giovanissime generazioni comportamenti ispirati alla conoscenza e al rispetto dell’ambiente e allo sviluppo di una cultura dello sviluppo sostenibile; mai come in questi ultimi anni si sente infatti parlare di sostenibilità, al punto che sembra essere un concetto radicato e condiviso dall’intera società”. Durante la manifestazione è stato rappresentato lo spettacolo teatrale “Stagioni in città”, ad opera dell’associazione “Matutateatro, liberamente ispirato a “Le Avventure di Marcovaldo” di Italo Calvino, il cui protagonista buffo e malinconico viene inserito in un contesto urbano pienamente antropizzato di una grande città e per questo va alla costante ricerca di lembi di natura ancora incontaminata in cui coltivare il proprio sogno di un “altrove”.  “Il pubblico a cui è stata rivolta la rappresentazione teatrale è quello delle classi prime delle scuole primarie. Sono loro infatti, attraverso questa rappresentazione artistica – ha concluso l’assessore -  i primi destinatari di un nuovo modello di educazione ambientale e alla sostenibilità”. A tutti i bambini alla fine dello spettacolo l’amministrazione comunale ha donato una borraccia riutilizzabile in acciaio per consumare bevande calde o fredde e su cui figura lo stemma del Comune di Sezze e della Regione Lazio, "Un gesto concreto - ha aggiunto la Mattei  - con cui questa amministrazione vuole fortemente sensibilizzare i giovanissimi alunni e futuri cittadini attivi, al riutilizzo dei beni durevoli al fine di ridurre il consumo della plastica".

 

L'assessore Mattei

 

 

“Il primo cittadino, capo dell’amministrazione comunale di Sezze, se la canta e se la suona. Tanto lo sa che il confronto e la discussione all’interno della vita cittadina è pari a zero”. Paolo di Capua, portavoce del comitato Acqua Pubblica di Sezze, si riferisce al vuoto politico e amministrativo che sta vivendo la città. Tre anni di amministrazione “che evidenziano il vuoto” ed “il fallimento” dell’azione di governo, tre anni "in cui la comunità è stata ulteriormente impoverita dalla politica del gambero". “Molte questioni restano irrisolte – afferma ancora Di Capua – il primo cittadino dica alla città quale questione è andata a buon fine nell’interesse dei cittadini negli ultimi 3 anni”. Per Di Capua è arrivata la fine di un ciclo politico e amministrativo. “Se il sindaco non riesce a cambaire passo e a generare una inversione rigenerativa – conclude – dovrebbe prendere atto della fine di una stagione e mandare tutti a casa dimettendosi. Tanto tra la gestione commissariata e l’attuale amministrazione comunale non esiste una differenza”.

 

 

 

Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, interviene sui social per delineare quelle che sono, dal suo punto di vista, le emergenze che vanno immediatamente affrontante. Raramente Enzo Eramo usa i social per parlare alla città e quando decide di farlo è perché è veramente urgente e necessario chiarire le posizioni politiche e amministrative su alcune vicende. “Ci sono emergenze  - scrive il presidente dell’assise cittadina - che al di là delle appartenenze e degli schieramenti, vanno affrontate e risolte improrogabilmente e urgentemente: le criticità della Scuola Valerio Flacco di Sezze Scalo; i parchi pubblici con particolare riguardo per le aree gioco e gli interventi sulla rete idrica con Acqualatina che ancora non risolve problemi strutturali  che si protraggono da anni”. Tra queste Eramo mette giustamente in primo piano le condizioni del plesso scolastico di via Bari a Sezze Scalo, un edificio che presenta numerose e gravi criticità come giustamente portato in luce dalla coalizione Biancoleone, con i consiglieri Di Palma, Moraldo e Martella, da Sezze Bene Comune, con le consigliere Palombi e Contento e dal movimento civico Impronta Setina. “Al primo posto c’è l’urgenza di intervenire e risolvere le criticità di un edificio che ospita i bambini. Ho ribadito durante la discussione sulla programmazione della nostra attività amministrativa, nel consiglio comunale dello scorso 28 dicembre, l’urgente bisogno di accendere un mutuo per la scuola Valerio Flacco Sezze Scalo, ritenendo positivo l'impegno che il Sindaco Di Raimo ha preso ma l'iter va accelerato”. Nei giorni scorsi questo edifico ha presentato tutta la sua vulnerabilità: parte dell’intonaco esterno nell’area d’ingresso alla palestra, infatti, è caduto giù, problema che ha costretto l’UTC a transennare l’area. Altro tema affrontato dal presidente del consiglio comunale di Sezze è quello  inerente il servizio offerto dalla società Acqualatina. Ancora tanti i dissevizi per molti utenti e per diverse località del paese.  “Per quanto riguarda Acqualatina – ha scritto Eramo -  occorre una protesta ufficiale ed il voto contrario sul prossimo bilancio perché a due anni di distanza non ha ancora iniziato i lavori di ammodernamento della rete nonostante le promesse fatte durante alcuni incontri pubblici. Scuola, infanzia e servizio idrico sono priorità nelle priorità. Non possono conoscere divisioni o personalismi”. Per l’esponente del Pd “si amministra con il senso del ruolo e dando senso al proprio ruolo. Non pensando di avere una risposta per tutti i problemi ma semplicemente stabilendo con chiarezza delle priorità all'interno di una idea di città”.

L'area della Flacco transennata

 

Domenica, 12 Gennaio 2020 07:29

E la chiamano giustizia....

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Roma.

Una mattina di metà dicembre, grigia e tiepida come solo questo tempo pazzo sa regalarci. Non piove per fortuna. Giove Pluvio ha deciso di concedere una tregua a noi umani. Piazzale Clodio è il solito formicaio, un delirio di traffico. Normalità.

Armato di borsa e toga, percorro a piedi il tratto di strada che mi divide dalla cittadella giudiziaria. L’udienza innanzi alla Corte d’Appello Penale è fissata alle nove. È presto, ho tutto il tempo ma voglio arrivare con calma.

La borsa è pesante e non solo per il fascicolo voluminoso che mi porto dietro. Ho appellato una sentenza che ha inflitto una pena dura al mio assistito. Penso sia sbagliata e ingiusta. Sono il suo difensore, fa parte del mio lavoro tentare di smontare le accuse e mirare ad un risultato più favorevole. Tuttavia la realtà a volte è più complicata. La sentenza è stata emessa al termine di un processo di primo grado celebrato al passo di carica, con una fretta incomprensibile, stando ai tempi soliti della giustizia e con la compressione del diritto di difesa.

Un esempio è illuminante.

Udienza di primo grado. Sentito l’ultimo testimone, il Presidente del collegio invita pubblico ministero e difesa a concludere visto che non ci sono richieste di ulteriori prove. Chiedo la parola. Il Presidente mi rivolge un’occhiata tra l’infastidito e l’annoiato. La difesa, a suo tempo, ha chiesto ammettersi altre prove su cui il collegio si è riservato di decidere, in particolare l’esame comparativo tra il DNA trovato su un oggetto usato per compiere il reato e quello dell’imputato, esame tralasciato durante le indagini preliminari, che potrebbe escluderne la colpevolezza. La replica è disarmante: - Perché agli atti del processo risulta rinvenuto del DNA?-. Il collegio si ritira in camera di consiglio. Dieci minuti e la decisione sulla richiesta è presa: si tratta di un riscontro irrilevante per stabilire se l’imputato è colpevole o innocente.

L’esame è costoso e la macchina della giustizia non ha intenzione di spendere risorse per questa vicenda che riguarda un signor nessuno.

La Corte d’Appello Penale è ospitata in una struttura moderna. Attraverso il varco riservato agli avvocati, mostro il tesserino all’addetto alla sicurezza e mi addentro nel ventre del palazzo. L’aula d’udienza è al piano terra, priva di finestre ma ampia e ben illuminata, le pareti sono rivestite di legno chiaro e possiede una certa solennità. Gli scranni dei giudici e del cancelliere sono vuoti. Prendo posto tra i banchi riservati alla difesa ed aspetto.

Il tempo scorre lento. In aula ci sono alcuni colleghi. Suona la campanella e l’udienza ha inizio. I tre giudici e il cancelliere prendono posto. Il Presidente del collegio è un magistrato sulla sessantina, un toscano simpatico e dai modi diretti. Vengono chiamati i procedimenti a ruolo: una lunga catena di rinvii per motivi tecnici. Giunge il mio turno. Il Presidente fa presente che anche per la mia causa c’è un problema. Il Procuratore Generale gli ha comunicato che gli è stata trasmessa una copia parziale dell’atto d’appello. Il personale di cancelleria ha fotocopiato solo le pagine dispari e pertanto non è in grado di capire quali siano esattamente i motivi di impugnazione della sentenza. È necessario un rinvio. Aggiunge di aver letto l’atto d’appello: le questioni sollevate richiedono un vaglio attento del pubblico ministero. Se si fosse trattato del solito atto dilatorio, gli avrebbe dato lui stesso una copia e, dopo una breve sospensione, avremmo potuto trattare la causa, ma non è questo il caso.

Il Presidente del collegio abbassa lo sguardo sulle carte davanti a sé per qualche secondo e poi dice: – Sezze….quindi Latina -. – Sì, Presidente. Foro di Latina -. Inizia a raccontare la sua esperienza di magistrato prima di approdare, poco tempo fa, a Roma. Esprime giudizi duri sul funzionamento della giustizia. Con il Tribunale di Latina è impietoso, lo definisce il peggiore d’Italia, nonostante gli sforzi di questi anni. La storia poi dell’appello stampato solo nelle pagine dispari non la digerisce. Spiega di essere costretto a fotocopiarsi da solo gli atti dei processi e di dover comprare la carta di tasca propria perché gli uffici non vengono riforniti. – Tutto questo è normale?- domanda. – No, Presidente – intervengo – è umiliante per voi magistrati, per noi avvocati e per i cittadini che aspettano giustizia -. – Ha detto bene avvocato, è umiliante -. Mi congeda.

Una giornata di ordinaria giustizia.

L’appello fotocopiato solo nelle pagine dispari è emblematico, la mancanza di carta per stampare gli atti processuali è indegna di un paese civile. Trovo ancor più avvilente, però, sentir affermare che il problema dei processi è la prescrizione non la macchina della giustizia che non funziona, i magistrati e il personale addetto sotto organico, che i problemi si risolvono limitando i diritti, imprimendo un marchio di perennità alle cause, che la soluzione è trasformare le indagini in un tunnel senza uscita, in un macigno che grava a vita sulle persone, il tutto peraltro in contrasto con la Costituzione. Si scarica la colpa della durata dei processi sugli avvocati quando il 53% si prescrive prima del rinvio a giudizio, il 22% durante i dibattimenti di primo grado e non per l’attività dei difensori. Cesare Beccaria diceva che la giustizia deve essere certa, celere e giusta. Un processo che non accerta rapidamente chi è colpevole e chi è innocente, che non risarcisce le vittime, che arriva al risultato dopo dieci, venti, trenta anni è negazione della giustizia. Sentir dire poi dal Ministro di Grazia e Giustizia che un reato è doloso se non si dimostra che è colposo, consentimi è una vergogna. A chi ha fatto notare l’abnormità giuridica di tale affermazione è stato risposto che il ministro è un civilista, non un penalista. Peccato che per laurearsi in giurisprudenza bisogna superare anche l’esame di diritto penale.

Dettagli evidentemente….

Venerdì, 10 Gennaio 2020 15:53

E' tempo delle iscrizioni a Scuola!

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Una tappa importante per futuro di ogni ragazzo. Una scelta che può determinarne il successo o l'insuccesso di tutta la vita. La scadenza delle iscrizioni alle scuole, di ogni ordine e grado, è fissata dal Ministero della P.I. al 31 Gennaio p.v. Esse sono obbligatorie "on line" per le scuole statali e "facoltative" per quelle paritarie. La registrazione deve essere effettuata dal genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale (cfr. Miur Scuola in Chiaro). Per la scuola dell'infanzia (materna) prevale, di solito, il criterio della vicinanza territoriale, onde evitare ai bambini (3-6 anni) un tragitto faticoso, poco agevole e breve e un costante rapporto con l'insegnante. Per la scuola primaria (elementare e media) è possibile indicare, oltre alla prima scelta, altre due scuole perché, in caso di eccedenza di domande, quelle non accolte vanno indirizzate verso altro Istituto. Inoltre si può decidere, laddove sono in vigore, tra il Tempo Ordinario di 30 ore settimanali e il Tempo Prolungato, da 36 fino a 40 ore settimanali. Ovvio ricordare l'obbligo di frequenza  e il diritto per tutti i bambini, senza esclusione alcuna:  uno dei princìpi fondamentali della nostra Costituzione. Per le scuole secondarie di 2 grado (scuole superiori), anche se il tempo stringe, sono ancora molti gli studenti indecisi sul tipo di scuola da scegliere: licei, istituti tecnici, istituti professionali. Perciò, forte, della mia esperienza ultra-quarantennale, mi permetto di dare qualche consiglio:

1) non affidarsi alle "mode correnti" ma interpellare e rispondere alle proprie attitudini e aspirazioni, con un occhio rivolto al mercato dl lavoro: con l'impegno e la volontà si possono superare tutti gli ostacoli (esperientia docet).

2) non affidarsi solo al "sentito dire" molto approssimativo: verificare personalmente e parlare con i genitori e gli insegnanti. Occorre conoscere in profondità cosa offre un indirizzo di studi(umanistico, pedagogico, scientifico, tecnico, artistico, musicale etc).

3)non decidere in base alla prima impressione o a fattori poco fondati e poco razionali;

4) valutare opportunamente la stabilità del corpo docente della scuola scelta  e leggere attentamente la programmazione e il Piano dell'Offerta Formativa (POF).

5) considerare attentamente il clima di rispetto, di collaborazione, di fiducia, di impegno e passione civile, di solidarietà che si respira nella scuola prescelta;

6) ascoltare e dare credito al giudizio "orientativo" degli insegnanti, di cui bisogna avere fiducia e stima;

7) i genitori non devono imporre la loro scelta ai propri figli ma non devono neanche assecondarli incondizionatamente:

8) l'ultima parola spetta al ragazzo ma questo deve essere informato adeguatamente perché, a parer mio, 13/14 anni sono veramente pochi per decidere del proprio futuro;

9) 13/14 anni sono pochi, in verità, per compiere una scelta che può determinare la propria esistenza. Ecco perché essa deve essere il risultato di una sintesi tra alunno-famiglia-scuola, prendendo atto (ahimè!) che ogni scelta che compiamo non è mai totalmente libera ma condizionata da fattori interni ed esterni (luogo di nascita, ambito familiare, opportunità e possibilità economiche, inclinazioni e attitudini personali etc).