L'anno vecchio se ne va. Tanti ricordi, un pò di nostalgia. Tante amarezze, poche gioie. Tante promesse, poche realizzazioni. Tante speranze, molte delusioni. E' il ciclo della vita. Allora salutiamo il nuovo anno. Il 2020 non sarà uguale per tutti. Una categoria di persone, quelle oltre gli "anta"(sessantenni-settantenni), di cui faccio parte, rifiutano ostinatamente di contare gli anni. Rifiutano di invecchiarsi. Per loro, il tempo si è fermato. La pensione tanto sospirata è arrivata, fortunatamente. Molti di loro continuano a lavorare, un pò per svago, un pò per arrotondare, un pò perché l'età pensionabile viene continuamente spostata, un pò perché non sanno che fare, un pò perché sono decisamente diversi dagli anziani delle passate generazioni. Più in forma, più sani, più attivi. Merito di un'alimentazione migliore, di maggiori esercizi fisici, di cure preventive e di farmaci. Gli ultra sessantenni-settantenni di oggi non sembrano in procinto neanche di arrendersi sotto il profilo affettivo e sentimentale. Alcuni farmaci (così dicono!), presi al momento giusto, ringiovaniscono la vita e fanno stare in forma! Molti di loro si dedicano ai nipotini. Dalla mattina alla sera, dal lunedì al sabato, spesso anche la domenica e le feste comandate. Qualche volta i genitori ne approfittano perché sanno che senza i nipotini i nonni non avrebbero niente da fare, si annoierebbero, poveretti! I nipotini sono un pezzo del cuore ma non ti lasciano un attimo di riposo e di libertà. Secondo le statistiche, nei paesi industrializzati, gli ultrasessantenni rappresentano l'11 per cento della popolazione, mentre 20 anni fa erano l'8 per cento. La loro aspettativa di vita è cresciuta mediamente di 4 anni rispetto all'anno 2000. Un quinto di essi continua a lavorare. Sono molto propensi a viaggiare e... a fare nuove esperienze e avventure amorose. Negli ultimi anni, infatti, sono cresciute notevolmente le separazioni e, per converso, le unioni civili tra generazioni diverse. Sessantenni accompagnati (o fidanzati) con donne molto più giovani, soprattutto straniere. Insomma è l'anno dei giovani-vecchi! Per tornare alle cose un pò più serie, comunque, è doveroso il giorno di S.Silvestro tracciare un bilancio. Dunque, come sarà il nuovo anno 2020 per tutti noi? "Quella vita che è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non è la vita passata, ma la futura. Con l'anno nuovo, il Caso incomincerà a trattare bene voi e me e tutti gli altri, e allora comincerà la vita felice!"(G. Leopardi. Le Operette Morali. Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggero). Buon Anno e buona fortuna!
Divisi su tutto. Oggi una pezza qua domani una pezza là. Divisi sulle piccole questioni, e sulle grandi, quando è possibile intravedere una visione a lunga gittata. Divisi sulle società partecipate, sul trasporto pubblico, sui servizi essenziali alla persona, sui lavoretti di quartiere. Divisi sulle grandi opere da inaugurare, sull'immondizia, sui ruoli dei funzionari, su chi deve garantire cosa e quando. Divisi su ogni cosa ma uniti nella votazione, certo turandosi il naso alla fine. Uniti in quella maggioranza di 11 voti favorevoli che li sostiene a tirare a campare e alla fine fa sempre tirare un sospiro di sollievo. Volge al termine l’anno 2019, quasi il terzo per l’amministrazione comunale di Sezze. Nel 2022, tra meno di due anni (considerando campagna elettorale e altro) si tornerà al voto e oggi di veramente concreto cosa si è visto? Sulla scia dell’ultima Giunta Campoli, la Giunta Di Raimo annaspa per evidenti problemi economici e finanziari, per i debiti, e per la difficoltà politiche nel trovare una quadratura del cerchio definitiva. Il sindaco di Sezze, ogni tanto, si stacca dal gruppo e fa una breve volata, quasi un volo pindarico, sempre azzardato e quasi mai utile. Ed ecco allora che rientra nel gruppo e si rimescola tra loro, nelle cosucce da risolvere per questo o quel consigliere. I vari gruppi, nemmeno a dirlo, vanno per conto loro, non condividendo un vero progetto amministrativo. C’è chi si sente escluso per questo e chi rivendica quello, c’è chi strizza l’occhio all’opposizione e poi resta al proprio posto e chi pensa come sempre al proprio orticello. Nemmeno il Partito Democratico di Sezze, da poco ricostituito, riesce a capire gli andamenti della maggioranza, i suoi indirizzi e cosa vuole fare per questa città. Tanta pazienza e buona volontà oggi non sono serviti. L’opposizione, dal canto suo, fa le sue mosse, c’è chi le fa fino in fondo e chi a metà, per paura di tornare a casa e non essere eletto, così come altri in maggioranza. Lo stallo dunque è evidente: in due anni e mezzo cosa è stato realizzato? Basterebbe veramente poco, semplici progetti per dare un segnale diverso, di un certo respiro. Certo è che la politica deve dare gli indirizzi politici e non gli uffici e i funzionari preposti. Questa però è un’altra storia. Impossibile trovare il bandolo della matassa, impossibile capire veramente i ruoli. Volgiamo lo sguardo al nuovo anno, lasciandoci dietro il vuoto, nella speranza che ci siano cambiamenti rilevanti per Sezze e per una comunità delusa e oltremodo immotivata su ogni fronte. Alla fine in poco meno di due anni molto ancora può essere realizzato. Di Raimo deve giocarsi tutto nel 2020. Speriamo.
l nostro valore va commisurato sui limiti che siamo in grado di superare
Scritto da Luigi De Angelis
Il tempo scorre con i suoi ritmi incalzanti ed ineluttabili.
Gli eventi, piccoli e grandi, personali e collettivi, si inseguono e fatichiamo a comprenderne portata e conseguenze nello spicchio di storia che ci appartiene.
Le magnifiche sorti e progressive del mondo sono soprattutto nelle mani di coloro che rivestono autorità ed esercitano poteri, ma nessuno può considerarsi dispensato da responsabilità e partecipazione, poiché con le scelte influenziamo le dinamiche degli accadimenti.
Rinunciare alla libertà di essere noi stessi, ridurci a semplici comparse sulla scena, marionette di cui altri tirano i fili, svuotarci della facoltà e del dovere di pensare in autonomia, arruolarci nella massa acritica che si limita a inseguire le mode, fare nostri linguaggi sprezzanti e incattiviti, come è abitudine sui social, assumere atteggiamenti deplorevoli perché così fan tutti, pur di non correre il rischio di sentirci “diversi”, sono sempre e comunque nostre determinazioni.
In definitiva non siamo condannati a soggiacere passivamente all’accadere del tempo e degli eventi. La coscienza di noi, il pensare e il pensarci, il patrimonio di idee, sentimenti e relazioni sono strumenti formidabili e preziosi che ci consentono di appartenerci integralmente, di sottrarci ai condizionamenti e di contribuire al cammino comune.
Questi giorni, ultimi spiccioli di un anno che ormai volge al termine possono rappresentare un’ottima occasione per fermarci, per riappropriarci del nostro tempo, per liberarci da impegni e assilli e tentare di tirare le somme, di tracciare un bilancio della nostra vita, degli effetti delle nostre scelte e delle nostre dimenticanze, di come abbiamo inciso su quanti ci sono accanto.
Dobbiamo ritagliarci un angolo di silenzio nel fracasso assordante che ci circonda, nel bombardamento mediatico incessante, metterci davanti alla nostra coscienza, a Dio per chi ha il dono della fede, e vagliarci attentamente.
È più semplice indirizzare lo sguardo verso gli altri, puntare il dito accusatore su quanto di sbagliato, a nostro avviso, è riscontrabile nel loro agire, indossare le vesti di giudici inflessibili dei loro errori, compiacerci di poterli bacchettare severamente, mentre invece siamo disabituati alle verifiche personali, a passare sotto la lente d’ingrandimento le nostre vite, ad esaminarci con occhio critico. Tuttavia tale esercizio è indispensabile se vogliamo migliorare, partendo certamente dal bene compiuto, ed evitare di ripercorrere ottusamente strade fuorvianti, ingannevoli e fallaci.
Dopo un anno, fatto di giorni colmi di vissuto, di esperienze e persone incontrate è impensabile che nulla si sia mosso e sia cambiato in noi. Decisioni futili e scelte rilevanti ci hanno riguardato e trasformato nel profondo.
Sicuramente siamo stati capaci di gesti di bontà, generosità e altruismo, ma anche di azioni spregevoli, spinti da egoismo e cattiveria.
Abbiamo pronunciato parole con leggerezza, non riflettendo sulle conseguenze che avrebbero prodotto, e abbiamo taciuto per paura o per convenienza.
I nostri errori sono stati causati da ingenuità e faciloneria, ma anche da orgoglio e presunzione che ci hanno accecati.
Il nostro amore e la nostra amicizia hanno inondato le persone, ma abbiamo inflitto anche freddezze ingiustificate e distacchi dolorosi, ci siamo rinchiusi in noi stessi in compagnia dei nostri progetti e spesso del nostro egoismo.
Nel lavoro abbiamo operato lealmente, assumendoci oneri e responsabilità e non ricercando solo gratificazioni e riconoscimenti, ma è capitato anche di mettere in cattiva luce il compagno di reparto, il collega che occupa la scrivania vicina alla nostra.
Ci siamo resi responsabili o quantomeno abbiamo tollerato illegalità e ingiuste, ma abbiamo anche rifiutato di esserne complici e di fingere di non vederle.
Il timore di restare schiacciati sotto il peso di paure lungamente ci ha gravato l’anima, ma siamo stati capaci di sorrisi per aver compreso che aver paura è profondamente umano, fa parte della normalità.
Abbiamo scoperto di possedere fragilità più consistenti di quelle che ci sarebbe piaciuto riconoscere, ma ci siamo accorti che ci rendono più vivi, costituiscono paradossalmente una opportunità.
Siamo luce e ombra in definitiva.
Scoprire se il nostro bilancio è in deficit o in attivo non deve spaventarci.
Il nostro valore va commisurato sui limiti che siamo in grado di superare, sui difetti che cerchiamo con fatica di correggere, sul bene che facciamo in maniera libera e disinteressata, non sull’arte di ingannare e mascherare quanto di noi non va o per i soldi che riempiono il nostro portafoglio con i quali pensiamo di comprare amicizia, lealtà e stima.
I broccoletti di Sezze
Scritto da Vittorio Del Duca
Sono un prodotto tipico e distintivo del territorio del Comune di Sezze, di cui è originario e da cui si è diffuso nella fascia pedemontana dei Lepini, dove in qualche paese sono conosciuti con il nome di simi, per la grande quantità di semi originati dalla loro abbondante fioritura di colore giallo.
I Broccoletti di Sezze appartengono botanicamente alla famiglia delle Crucifere ordine Brassica rapa sub specie sylvestris esculenta, ma in dialetto sono chiamati brùcculècchi con una inimitabile fonetica dialettale delle ultime tre consonanti che solo i sezzesi autentici sanno pronunciare, quasi a sottolineare l’inimitabilità e la tipicità di questa nostra eccellenza, dal sapore unico ed inconfondibile.
Di broccoletti di Sezze esistono due ecotipi fondamentali che si differenziano tra loro per l’apparato radicale e la classe di precocità: il più antico è a ciclo tardivo di novanta giorni e si presenta con la classica radice a bulbo di rapa, che non viene consumata perché è fondamentale per i ricacci dei nuovi broccoletti, che si raccolgono per tutto l’inverno.
L’altra varietà, più diffusa, è a ciclo medio precoce di sessanta giorni, si presenta con una radice a fittone ed è frutto di una selezione, che i nostri nonni hanno sapientemente operato nel corso dei secoli, con il fine di anticiparne la produzione e di assaporarlo il prima possibile e per più cicli produttivi.
I broccoletti di Sezze differiscono dagli altri coltivati nel resto del Lazio e in altre Regioni, soprattutto Campania e Puglia, per essere una pianta meno cespugliosa e più compatta, con foglie affusolate, poco frastagliate e di un colore verde pallido caratteristico.
In tali regioni, i broccoletti venivano largamente usati anche per l’alimentazione bovina, cosi a Sezze quando si vogliono distinguerli dai nostri, vengono curiosamente chiamati broccoletti di vacca.
I Broccoletti di Sezze come pure le altre varietà comunemente conosciute come “cime di rapa” sono piante tipicamente mediterranee ed autoctone. I nostri emigranti, quasi tutti contadini, partiti per Ellis Island e successivamente in Australia e Canada, non volendo rinunciare a questa specialità della loro terra, hanno portato i semi con loro, tentando di riprodurli in quei luoghi, ma ahimè, senza successo.
Sono assai ricercati in cucina nel periodo autunnale ed invernale, come verdura cotta ripassata in padella con aggiunta di olio extravergine di oliva.
Da sempre sono commercializzati nel classico mazzetto del peso di circa 7 etti, corrispondenti a due antiche libbre romane, e prima di essere cucinati necessitano di un paziente lavoro di pulitura, che in dialetto viene detto scintere, cioè scindere le parti più tenere ed i fiori da quelle più dure che vanno buttate, mentre i nostri padri che non buttavano nulla le utilizzavano per alimentare gli animali (galline, pecore, muli, etc).
E’ noto che nella civiltà contadina tutto tornava utile e nulla veniva mai sprecato o buttato: gettare i doni del Signore era come commettere un peccato mortale. Quando un pezzo di pane cadeva a terra lo si baciava e si riponeva nell’arcone.
L’assenza di fonti scritte ci rende difficile risalire all’origine della coltivazione dei broccoletti nel territorio, tuttavia essendo una pianta autoctona è da ritenere che sia molto remota anche a ragione di alcune ricette delle quali se ne sta perdendo la memoria.
Infatti, oggi i broccoletti vengono comunemente consumati con il pane, la classica salciccia di maiale ed il vino rosso, ma in passato la pizza roscia a’ gli mattòno, cu gli brùcculècchi e la saràca era il classico cibo invernale che i nostri contadini usavano portarsi fòre e che pastori, pescatori e cacciatori consumavano nella palude.
Una volta, quando i campèri volevano accattivarsi il favore di un loro fattoretto o bracciante, soprattutto per farlo lavorare con maggior lena e “tirare” tutta la squadra , solevano offrirgli di nascosto una o più sarache con i broccoletti che questi accettavano di buon grado perché la fame era tanta.
Così ancora oggi, quando a Sezze qualcuno difende a spada tratta le ragioni di un altro senza che le abbia, gli si dice: Ma che t’ha dato la saraca? oppure me simbri i babbào cu la saràca ‘mmano (uno spaventapasseri con la saràca in mano).
Molto apprezzata ancora oggi è la tradizionale polenta con i broccoletti.
I broccoletti di Sezze sono quindi una vera e propria istituzione della cucina autunno-invernale del nostro paese. Sia che vengano abbinati alla classica salciccia di maiale, sia come contorno con altri tipi di carni, o semplicemente da soli, fanno sempre fare ottima figura alla nostra cucina. Inoltre, secondo i diestisti possiedono virtù salutari depurative, detossificanti ed antiossidanti sul nostro organismo.
E’ inutile cercare i semi di Broccoletti di Sezze altrove, essi sono reperibili solo in loco ed ogni contadino che ne ama la produzione, fa in modo di ricavarne il seme per l’anno successivo.
Così, a febbraio si seminano alcune piante per la riproduzione, dette portasemi, a fine maggio si estirpano e si mettono ad essiccare al sole ricoperte da una sottile reticella per impedire agli uccelli di cibarsi dei semi.
Dopo circa un mese, quando le piante sono ben secche, vengono battute su di un telo con un mazzafrusto per distaccarne i semi.
I Broccoletti di Sezze, con le prime semine di fine Luglio, si raccolgono già dal mese di Settembre, e con semine successive a rotazione se ne possono avere per tutto il periodo invernale sino al sopraggiungere della primavera, quando cede ai carciofi lo scettro di principe dell’agricoltura e della cucina setina.
Si fanno i semi dei Broccoletti
Campo di broccoletti e Sezze sullo sfondo che padroneggia la pianura
Se ne è andata in silenzio Annina Di Nottia, a 93 anni. Questa mattina, nel sonno. Una vita vissuta, dedicata alla chiesa, alla comunità parrocchiale di Santa Maria; una vita al fianco di Don Titta Di Nottia, una vita piena di fede, una fede forte la sua, di ferro, come il suo carattere e la sua personalità. Annina una donna straordinaria, una donna piena di valori e votata alla più totale obbedienza laica e religiosa. Un punto di riferimento per diverse generazioni, un pilatro del quartiere Santa Maria e della nostra Cattedrale che conosceva meglio di chiunque altro. Quante storie ci hai raccontato, quante verità, quanti aneddoti di una Sezze che secondo te era cambiata velocemente ma che alla fine era rimasta simile a molti anni fa in quelle che sono le cose essenziali della vita. Ti ho conosciuta pochi anni fa, ma è come se ti conoscessi da sempre. Sei stata una donna brillante, intelligente e perspicace. Una memoria storica che oggi si è spenta, come una candela, piano piano, senza alcun rumore. Lasci tanti ricordi in ognuno di noi e l’esempio di una vita che va vissuta intensamente, un insegnamento morale per tutti noi. Buon viaggio Annina cara.
Caro Babbo Natale, so bene che non è più di moda scrivere lettere, perciò mi perdonerai se, data la mia età, sono ancora attaccato alle (buone) tradizioni. Ti scrivo, dunque, perché mi ricordo che il tuo compito è quello di far felici, almeno per qualche giorno, i bambini e i poveri. Un tempo portavi tu i regali sotto l'albero. Oggi sono gli sponsor che fanno a gara e che riempiono le case di oggetti sempre più nuovi, sempre più sofisticati e più costosi, molto spesso sfacciatamente inutili e dannosi.Tu ti accontentavi di poco. Non portavi regali per accattonaggio: non sei stato mai così pezzente! Il tuo donare ha sempre avuto un intento educativo, morale, ispirato a un magico desiderio di portare gioia.
Caro Babbo Natale, io non ho mai visto un genitore scendere dal camino, guidare una slitta trainata dalle renne, sollevare un sacco pieno di doni senza restare bloccato con la schiena. Al più portava noci, mandarini e tanto carbone. Ma a tutti i bambini, poveri e ricchi, neri e bianchi!
Perciò quest'anno io non porterò più regali sotto l'albero. Te lo prometto. Alzerò la cornetta del telefono, chiamerò il numero 45510 e farò una donazione a Telethon. E quando la mattina di Natale i miei 6 nipotini sotto l'albero troveranno la vecchia calzetta con noci e mandarini e pochissimo carbone, darò loro una carezza e gli dirò: questa è la carezza di nonno, questa è la carezza di Babbo Natale! Arrivederci al prossimo anno!
"La costruzione del nuovo depuratore è stata finalmente completata. Oggi si terrà il taglio del nastro di una delle opere più importanti degli ultimi 20 anni". Con queste parole l'amministrazione comunale di Sezze parla dell'inaugurazione del nuovo depuratore tenutasi questa mattina a Sezze Scalo alla presenza di autorità istituzionali locali e regionali. Si tratta di un'opera e di un intervento che veramente potrebbero significare un primo importante passo per la tutela del territorio comunale come ha detto il sindaco Di Raimo intervenuto, un'opera che migliora la qualità della vità della nostra comunità e tutela il territorio comunale. La grande opera è stata iniziata dall'ex amministrazione Campoli nel 2014, proseguita per oltre 2 anni e mezzo e conclusa dall'attuale amministrazione guidata dal sindaco Sergio Di Raimo. L'impianto di depurazione venne approvato dal consiglio comunale nel 2008 ed inserito nel piano triennale delle opere pubbliche per un importo totale di euro 5.400.000 di cui 4.000.00 provenienti da un finanziamento regionale e la restante somma di 1.400.000 da fondi del bilancio comunale.
Il taglio del nastro
Luminarie scintillanti, mercatini, decorazioni colorate, alberi addobbati ad ogni angolo, amabili melodie, suono di zampogne creano un’atmosfera incantata.
Dolci tradizionali e cibi raffinati campeggiano sulle tavole imbandite.
I cuori palpitano e gli occhi si inebriano di una bellezza ricercata.
I bambini fremono nell’attesa di aprire i regali, sperano di vedere esaudita l’ultima richiesta, l’ennesimo desiderio. La gioia disegnata sui loro volti gratifica chi dona, li aiuta a sentirsi a posto, a persuadersi d’aver assolto al proprio compito. I balocchi sostituiscono la presenza, i regali servono a dimostrare “quanto ti voglio bene” e sovente mascherano un’affettività claudicante, sghemba e distante.
Scambi di auguri, smancerie d’occasione, tante al chilo, sorrisi che nascondono una buona dose di ipocrita indifferenza e di fastidio. “Oggi è Natale, oggi è Natale, passati due giorni però te la faccio pagare….” cantava anni fa Mina.
La miriade di personaggi che popolano il presepe, immersi in un paesaggio bucolico immaginario, ciascuno indaffarato nella propria occupazione d’ogni giorno, raccontano una storia piacevole e rassicurante.
Abbiamo avvolto il Natale in una meravigliosa carta da regalo, l’abbiamo infiocchettato con nastrini colorati e luccicanti: è la festa della famiglia, dei buoni sentimenti e ci piace così perché non ci disturba, non ci pone interrogativi e non ci mette in discussione.
Il Natale, se preso nel suo senso autentico, racconta altro, possiede una ruvidezza che contrasta fortemente con questa rappresentazione patinata, esteriore ed effimera.
Il bambino Gesù, deposto nella mangiatoia all’interno della capanna, che ispira tanta tenerezza, uno spontaneo e insopprimibile moto d’affetto, viene al mondo in un periodo di censimento pianificato dai potenti, è uno tra i tanti nati in quell’anno, un numero. La sua storia è intessuta di marginalità e di rifiuto. Dio diventa uomo, nel suo amore senza limiti e misura si fa vicino all’umanità, ma è un indesiderato, come tanti ce ne sono nelle nostre città, lungo le nostre strade. Oggi ha il volto del barbone che dorme avvolto negli stracci sul marciapiede sotto casa, del disoccupato che ha perso il lavoro e la speranza del domani, del drogato che ci importuna chiedendoci uno spicciolo, del malato che si rigira solitario nel suo letto di sofferenza, del vicino di casa di cui nessuno si ricorda e che desidererebbe solo un gesto di tenerezza e d’affetto, dell’immigrato in cerca di un futuro migliore a cui sono riservati sguardi ostili e parole di disprezzo.
Maria è una donna vera, dolce e forte, tenera e determinata. La sua quotidianità sa di pane fatto in casa, di faccende domestiche, di lavoro, di attenzione a quanti soffrono, di servizio disinteressato. La sua maternità è frutto non di una imposizione ma di un consenso consapevole, espressione piena della sua soggettività femminile. Pensava di partorire suo figlio circondata dall’affetto dei familiari, di avere un minimo di tranquillità e comodità e non di darlo alla luce tra lo sterco degli animali, in una stalla, unico riparo per difendersi dal freddo e dove passare la notte. In lei riconosciamo le medesime sembianze delle nostre donne, la loro laboriosità senza fronzoli, il loro coraggio nell’affrontare disagi, difficoltà e prove, l’audacia di non mollare mai e di battersi a viso aperto contro violenze e discriminazioni, il loro donarsi incondizionato e senza riserve, ma anche il loro essere troppo spesso vittime di ingiustizie e prevaricazioni di ogni sorta.
Giuseppe, uomo giusto, cioè obbediente alla volontà di quel Dio in cui crede con tutto se stesso, silenzioso e coraggioso, concreto e libero, è capace di una generosità inaudita: consegna la propria vita ad un progetto che non gli appartiene, che anzi lo trascende e scopre così prospettive inaspettate, un senso più profondo del suo essere sposo e padre. Le porte chiuse, la catena ininterrotta di rifiuti alla richiesta di ospitalità per sé e la sua sposa che quella notte darà alla luce Gesù non lo abbattono, non lo scoraggiano e lo spingono a cercare una soluzione. Nel nostro tempo di padri evanescenti, incapaci di assumere responsabilità forti, Giuseppe ci racconta le tante figure paterne positive che prendono sul serio il proprio ruolo educativo, soffrono, lottano e versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, disoccupati e malati nel corpo e nello spirito.
I pastori, a quel tempo considerati all’ultimo gradino della scala sociale, e i poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti richiusi nei loro splendidi palazzi tramano nell’ombra per uccidere quel bambino appena venuto alla luce, ci fanno capire che il senso vero del Natale sta nel ripartire dagli ultimi, dai disprezzati, dai reietti, da quanti sono considerati inutili e spazzatura.
Il Natale vero non è mai anestetizzante, ma getta sempre lo scompiglio nella nostra sonnolenta tranquillità, ci spinge ad elevare lo sguardo oltre l’orizzonte del nostro egoismo, del nostro tornaconto e delle nostre colpevoli indifferenze, ci chiede di mettere fine al nostro complice silenzio dinanzi alle guerre, alle ingiuste, ai soprusi, allo sterminio di interi popoli, alle cattiverie piccole e grandi che si consumano lontano e vicino a noi, esige risposte concrete alle richieste di aiuto di quanti fuggono da carestie, guerre e persecuzioni e ci sollecita a lottare caparbiamente e senza sosta contro ogni forma di disumanità.
La società sportiva “Setia Sport Karate” porta a casa nuovi e importanti risultati. Il Team Grassucci domenica 15 dicembre ha preso parte al trofeo di Natale ASI di Gaeta e anche qui, in terra borbonica, i setini hanno sbancato. Le atlete già campionesse del mondo e tutto il gruppo ancora una volta hanno dimostrato talento e disciplina, ottenendo brillanti vittorie. I risultati parlano chiaro: medaglia oro per Carlotta Morazzano, argento per Giulia Bonuso, categoria juniores cintura Blu. Per Ramona Campagna un arancio oro per la categoria juniores Kata cintura. Oro anche per Francesca Tuzi per la categoria senior kata cintura nera e argento per Maria Luisa De Santis. Per la categoria senior kata cintura gialla oro per Eleonora Toti e un argento per Luna Basile. Per la categoria Open squadra cintura nera open Oro per Nilde Grassucci, Lia Maenza e Francesca Tuzi. Un bronzo invece per Carlotta Morazzano, Ramona Campagna e Giulia Bonuso. Non sono mancate le esibizioni di gruppo per i più piccoli con Aaron Pierotti, Chiara Venditti, Aurora Battisti, Alisia Malandruccolo, Matteo Murgea, Federica Leva, Caterina Fabri, Maio Orsini, Paolo Mastroianni, Giulia sottile, Noura Rossi e Pietro Mastroianni. Anche loro premiati per le belle prove.
Lia Maenza, Francesca Tuzi e Nilde Grassucci
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Una giornata molto particolare, in ricordo della cara prof.ssa Paola Pasqualucci si terrà domani, a partire dalle ore 10.30, presso la scuola media statale LEONE XIII di Maenza. Una iniziativa voluta e organizzata dalla dirigente scolastica e da tutto il corpo docente dell’istituto, in memoria di una docente, una donna e una mamma che ha lasciato un dolcissimo ricordo a chi ha avuto il privilegio di conoscerla. Paola è venuta a mancare lo scorso maggio dopo una lunga malattia, ma il suo ricordo resta nitido tra gli alunni e le colleghe che con lei hanno vissuto momenti indimenticabili. “A chi cade senza far rumore e ha addirittura la forza di sorreggere gli altri”. Questo il verso della scrittrice Emily Jane Brontë inciso su una targa nell’atrio dell’istituto, una targa ricordo che verrà inaugurata proprio domani, in occasione della giornata dedicata a Paola Pasqualucci. Oltre alla dirigente scolastica prof.ssa Daniela Conte, al sindaco di Maenza Claudio Sperduti e alla docente Maria Rita Di Toppa, prenderanno parte alla cerimonia gli alunni dell’istituto con letture di poesie, pensieri e scritti dedicati alla docente scomparsa. Una iniziativa lodevole e sentita, a cui tutti gli alunni e i cittadini sono invitati a partecipare.
Le targhe in memoria di Paola Pasqualucci
Ebbene sì, sono di parte! Credo non sia una stranezza nutrire simpatie e riconoscerci in un’idea. Ho tante primavere ormai, ohimè, e invero non ho mai incontrato nessuno che non lo fosse. Ognuno ha le proprie idee, la propria appartenenza politica, che non significa necessariamente militanza partitica. La si può celare, dissimulare ma è ipocrita negarla.
Guardo con simpatia al movimento delle “sardine” di cui in queste settimane si è parlato molto, anche se credo sia mancata una riflessione approfondita e libera da pregiudizi sul suo significato. Si rincorrono i numeri delle piazze delle varie città e della manifestazione nazionale di Roma, si evocano i fantasmi di presunti manovratori dietro le quinte, le lobby gay e ambientaliste, si fanno congetture d’ogni genere e fondamentalmente in molti c’è diffidenza verso una forma di partecipazione difficilmente inquadrabile secondo le categorie politiche tradizionali. Certo mondo politico poi non rinuncia a contingenti calcoli elettorali.
L’immagine ingenua, giocosa e probabilmente casuale delle “sardine”, scelta dai fondatori del movimento, la trovo geniale nella sua semplicità e non è affatto distante, secondo il mio punto di vista, dal concetto sostanziale di democrazia: una comunità di eguali e solidali, uniti pur nella diversità, che si riconosce in un sistema valoriale condiviso, che solca i mari a volte perigliosi e ostili della storia, in cui posizioni e ruoli di responsabilità contano unicamente in funzione del cammino comune, certi che il destino di tutti dipende da ognuno e quello di ognuno da tutti. Essere cittadini è sentirsi parte di un tutto che non annulla le individualità, anzi le esalta, le fa essere protagoniste nel perseguimento di un bene superiore, il bene comune.
Questo movimento, antifascista e antipopulista, nasce dal basso, reclama una politica con la “P” maiuscola ed è sicuramente “sovversivo” perché mira a scardinare il senso comune imposto da una propaganda martellante che affoga i contenuti politici in un oceano di comunicazione vuota, coltiva l’avvilimento e il malcontento facendo leva su difficoltà e paure, solletica il risentimento ed incita alla contrapposizione e all’odio verso il diverso, lo straniero, le minoranze, conquista spazi e consensi con messaggi semplicistici e il richiamo strumentale a principi e valori smentiti nella pratica quotidiana dai suoi stessi propugnatori, che ha fatto della sicurezza un totem, una scusante per politiche restrittive degli spazi di libertà e dissenso e assicurare un’obbedienza acritica, che si caratterizza per richiami frammentati ma chiari e continui al fascismo, considerato con accondiscendenza e compiacimento.
Uomini e donne, giovani e vecchi, nonni e genitori, una marea umana di genere nuovo riempie le piazze per affermare che esiste un’Italia che non ama il fracasso aggressivo, i toni esasperati ed esagitati e non crede all’uomo solo al comando, con pieni poteri e la possibilità di fare e disfare in nome dell’incarnazione esclusiva nella propria persona della volontà e del sentire collettivi. Un’altra idea di politica è possibile, altre strade si possono percorrere per costruire una convivenza fondata sulla libertà, la giustizia e la solidarietà, in cui la diversità è ricchezza e non sottrazione di spazi e opportunità.
La grande partecipazione dei cittadini testimonia una domanda esistente nel corpo vivo della nostra società che finora non aveva trovato risposta, spazi e luoghi di aggregazione a causa di una politica esasperatamente ripiegata su se stessa e incapace di ascolto, che teme il confronto, non si occupa della vita delle persone, di sostenibilità del welfare, di tutela dell’ambiente, di convivenza civile, di progettare insomma il futuro e pertanto non suscita passione. Il colmarsi di questo vuoto è un bene, perché può restituire vitalità alla nostra democrazia.
La non condivisione della proposta politica delle sardine, i giudizi aspri e il dissenso duro fanno parte della normale dialettica politica. Le reazioni innervosite e sprezzanti sono invece effetto non solo dell’emergere di una netta opposizione e di una visione alternativa nel tessuto sociale del paese imprevista, ma soprattutto della messa in discussione dell’immagine vincente di un fronte politico, di una figurazione della realtà costruita a proprio uso e consumo, della possibilità che la marcia trionfale alla conquista del potere possa rivelarsi non scontata e persino tramontare. Assolutamente ingiustificato è poi il ricorso alla macchina del fango.
Stupisce l’approccio qualunquista di alcuni commentatori della politica, i quali con stucchevole ripetitività manifestano insofferenza e critiche per una presunta povertà di contenuti della proposta politica delle “sardine”, non comprendendo che siamo in presenza di un risveglio della società civile, che non si contrappone ai partiti ma ritaglia per sé solo il compito di mobilitare le persone intorno ad idee forti, mentre la costruzione dei programmi e l’indicazione delle prospettive spetta alle forze politiche. Questa scossa salutare, che può produrre un avanzamento sociale e culturale, viene giudicata negativamente anche da un certo radicalismo di sinistra. È evidente che trattasi dei residui di un tempo ormai tramontato, destinato all’oblio perché incapace di intercettare il sentire vero delle persone.
Il trionfo del populismo e dell’antipolitica non è un destino inevitabile per l’Italia. L’importanza di questo movimento di cittadini risiede nel fatto che sta sprigionando e convogliando una energia civica rinnovante, capace di dare una rappresentazione altra del Paese, che punta non a presentare liste e chiedere voti ma ad assumersi la responsabilità della partecipazione, a promuovere una cultura alternativa, a ritornare all’idea della comunità che non è nazionalismo, terra, sangue e colore della pelle ma valori etici e culturali condivisi.
All’Italia non servono nuovi partiti o movimenti, ma una politica nuova che germogli, si radichi, si sviluppi e porti frutti partendo da semi collettivi di speranza.
E' stata inaugurata ieri dalla Compagnia dei Lepini e dal Comune di Sezze una mostra bellissima e imperdibile dedicata alle impronte di dinosauro. Dinosauria: Le impronte di Sezze si trova presso Palazzo Rappini. La mostra ripercorrere la storia evolutiva dei dinosauri mesozoici che lasciarono le impronte a Sezze Scalo nella ex cava Petrianni. Nel sito ci sono oltre 200 piste di impronte fossili rinvenute nel luglio del 2003 da un team di geologi con Daniele Raponi e Gaspare Morgante, coadiuvati dal paleoicnologo Fabio Marco Dalla Vecchia. "Il monumento naturale, in generale, e le impronte di dinosauro,in particolare, possono rappresentare una crescità economico e culturale importante per il paese - ha affermato il sindaco di Sezze Sergio Di Raimo - Negli ultimi tempi il turismo ha subito dei cambiamenti: sempre più persone si dedicano ad un turismo mordi e fuggi, ad un turismo culturale conoscitivo e a un turismo ambientale,naturalistico. E allora il monumento naturale, rappresentato sia dalle orme di dinosauro e sia da GROTTA IOLANDA e RIPARO ROBERTO (dove sono stati trovati disegni della preistoria ), rappresenta sicuramente una attrazione forte per tanti amanti di questo tipo di turismo. Ma oggi il sito non è fruibile perchè occorrono dei lavori di messa in sicurezza e quindi è necessario l'intervento finanziario di enti superiori, il Ministero,la Regione o l'Europa. Solo dopo la messa in sicurezza sarà possibile una importante riqualificazione museale con la giusta valorizzazione e con possibilità di risvolti economici occupazionali importanti. Speriamo che la mostra possa essere una piccola tappa di un percorso più ampio che ci faccia raggiungere l'obiettivo". La mostra sarà aperta al pubblico fino al 19 gennaio dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 16.30 alle 19.30 (chiusura prevista per i giorni del 24, 25 e 31 dicembre e 1 gennaio).