Il virus e il filo d'oro della solidarietà
Scritto da Luigi De Angelis
Si racconta che nel Giappone del XV° secolo viveva il nobile Ashikaga Yoshimasa, VIII° shogun dello shogunato Ashikaga, generale dell’esercito imperiale e feudatario, il quale amava bere il tè dalla sua tazza preferita. Un giorno mentre sorseggiava il tè, la tazza gli scivolò dalle mani e rovinò a terra, infrangendosi in numerosi pezzi. Sconsolato per l’accaduto raccolse fino al più piccolo frammento e li inviò in Cina affinché fosse riparata, non volendo rinunciare alla tazza. Quando le venne restituita constatò però che i pezzi erano stati riattaccati con legature di metallo brutte e poco funzionali. La sua tazza sembrava fatalmente perduta. Ashikaga Yoshimasa era così legato alla sua tazza che non si arrese e l’affidò alle cure di artigiani giapponesi, che sorpresi dalla sua tenacia nel cercare di riaverla, decisero di ripagare i suoi sforzi. Trascorsi alcuni giorni restituirono la tazza allo shogun, il quale constatò che era stata riparata in maniera eccellente, arricchita e impreziosita, essendo state le fessure riempite con una resina laccata e ricoperta d’oro. La tazza era più bella e possedeva un valore più grande. Gli artigiani crearono così la tecnica dello kintsugi, del riparare con l’oro, che si diffuse in tutto il Giappone. L’oggetto rotto veniva trasformato in qualcosa di prezioso, sia per l’oro che ricopriva le fratture, sia perché acquisiva veste nuova con le linee dorate d’irripetibile casualità che lo rendevano unico.
Lo kinsugi oltre ad essere un’arte, è simbolo e metafora del modo di affrontare avversità, rovesci e sofferenze. L’imperfezione, la crepa, la ferita raccontano la vita, sono preziosità che esaltano e rivelano il cammino di ricostruzione, sono come le cicatrici del guerriero che torna dal campo di battaglia. Occorre valorizzarle, sono un tesoro da cui attingere e imparare. La guarigione non è mai istantanea, richiede tempo e pazienza, ma ci irrobustisce e ci rende unici. Come la pelle si riforma più spessa e forte dove ci tagliamo formando la cicatrice, così quando patiamo dolori e ferite nell’animo ne usciamo fortificati e maturati.
Nel nostro mondo governato dalla logica del materiale e dell’efficiente, dello scarto e dell’inutilità non solo delle cose ma anche delle persone non rispondenti a criteri di produttività, arricchimento e bellezza estetica, la sofferenza di questi giorni ci obbliga a prendere atto della nostra fragilità, a misurarci con lo sgretolamento di sicurezze personali, affettive, sociali, economiche. La pandemia segna una rottura che investe i diversi piani del nostro vivere, ha carattere non transitorio e costituisce un passaggio, una cesura storicamente rilevante. Il virus ci accompagnerà per un tempo lungo o breve, questo al momento non lo sappiamo, dovremo conviverci fin quando non verrà sconfitto dalla scienza. Sicuramente il nostro domani sarà diverso rispetto a ciò che è stato il nostro ieri ed è il nostro presente, ma la direzione verso cui evolverà questa alterità dipenderà dalla nostra capacità di prendere in mano noi stessi, di raccogliere i frammenti sparsi delle nostre vite, di ricucirli e ritesserli pazientemente, non solo a livello personale ma anche relazionale e sociale. Dobbiamo assumere al contempo la veste dello shogun, con la sua caparbietà di non rinunciare alla tazza da tè tanto amata e degli artigiani in grado di inventarsi una nuova arte della ricucitura, con cui restituire vita, bellezza e futuro a quanto ritenuto perduto, inutilizzabile e di cui disfarsi. Le cicatrici saranno i segni della battaglia combattuta, dello scontro da cui ci siamo rialzati, della vittoria conquistata, della nuova occasione guadagnata e non dovremo nasconderle né vergognarcene. La strada da percorrere non sarà facile, ci riserverà passaggi impervi, c’imporrà di rivedere stili di vita, abitudini, convinzioni e avremo meno disponibilità per il superfluo e l’effimero. Nondimeno costituisce una opportunità per ricostruire e ricostruirci usando un collante eccezionale e prezioso: la solidarietà. Si tratta di far leva non su un sentire di reciproca vicinanza legato al contingente che viviamo, ma di riconoscere validità e dare corpo a ciò che in questi giorni abbiamo sentito ripetere: ci salveremo non da soli, ma tutti insieme.
Tutto vero, giusto e condivisibile, ma alcuni segnali che si vanno manifestando non sono rassicuranti. Personalmente non nutro antipatie lessicali, ma il termine ripartire, impiegato in dibattiti e discussioni per indicare la necessità di rimettere in moto la macchina produttiva del nostro paese e riprendere la socialità, pur con le dovute cautele per scongiurare una ripresa del contagio, indispensabile vista la oggettiva impossibilità di permanere in condizione di stasi a tempo indeterminato e perchè deleteria economicamente, mi cagiona allarme. La sensazione è che alcuni ormai da un po’ orfani di visibilità mediatica e magari in crisi di consensi, lo intendano come un riprendere esattamente da dove ci siamo fermati prima d’essere investiti da questo tsunami. E così sono ricominciate le polemiche sterili e fondate sul nulla, le giravolte, le intraprendenze fuori luogo, le smanie di onnipresenza, è ripartita la macchina del fango con bugie e insulti, si è ripreso a soffiare sul fuoco del rancore sociale, si sono tornati ad additare i soliti nemici contro cui scagliarsi, sperando di innescare e di lucrare sui conflitti tra noi e gli altri, i penultimi e gli ultimi, i poveri e i poverissimi, gli italiani e gli immigrati, scommettendo che sconforto, difficoltà economiche o superficialità inducano molti a cadere nel tranello premiando i ritrovati provocatori.
Il fallimento dei violenti manipolatori, dei professionisti dell’odio e del risentimento, dei fomentatori degli egoismi personali e di gruppo, di quanti classificano le persone per appartenenza etnica, linguistica, culturale, religiosa e per provenienza geografica è l’unica speranza. Se li lasceremo prevalere i tempi difficoltosi che ci aspettano diverranno insostenibili e ci trascineranno nel sicuro fallimento. Soltanto se sapremo ricucire le fratture personali e sociali con il filo d’oro della solidarietà tutti insieme avremo un futuro.
Gente a spasso come se nulla fosse. Macchine in giro. Persone che si godono tranquillamente il sole nelle piazze e nei parchi della città. Non è una sensazione ma è abbastanza evidente che molti cittadini, in barba ad altrettanti che sono chiusi in casa da 40 giorni nel pieno rispetto delle misure imposte dal governo, hanno abbassato la guardia e hanno iniziato (forse mai smesso) di fregarsene del coronavirus e dei rischi di contagio. Sono molte le segnalazioni di strade piene di gente che senza alcuna ragione passeggiano e chiacchierano del più e del meno per comprare 1 litro di latte. Anche il via vai delle macchine è aumentato, sia nel centro che nella pianura. Attraversando Sezze Scalo oggi si ha l’impressione che le restrizioni del governo non ci siano mai state. Girando per la periferia alta della città rispetto a qualche settimana fa gli atteggiamenti sono molto cambiati. Le continue richieste dell’amministrazione comunale di restare a casa per molti sono diventate voce al vento, messaggi inutili. E’ assurdo. Eppure la gravità della situazione a tutti i livelli non è per nulla cambiata: per coronavirus ancora muoiono 500/600 persone al giorno e anche se la curva dei contagi è scesa di poco, con oscillazioni ovviamente, la partita è ancora lunga e ogni sforzo potrebbe essere vanificato in pochi giorni a causa di questi atteggiamenti scellerati. Paesi a noi vicini come Fondi e Itri non bastano come monito? Non è accettabile che molti residenti continuino a non rispettare le restrizioni. Ci sono ovviamente comunitari ed extracomunitari, senza distinzione. Il territorio comunale è vasto ed è impossibile un controllo ed un monitoraggio costante. Dovrebbe essere il buon senso civico a dare il maggior contributo, cosa che non sta avvenendo per molti casi. La Polizia Locale sta lavorando molto per far rispettare le misure di contenimento e tutte le restrizioni. Nei giorni scorsi ci sono stati cittadini denunciati e multati ma evidentemente non basta. Serve allora un rafforzamento dei controlli anche con l’ausilio di personale volontariato autorizzato. Serve polso e personalità per gestire emergenze. I messaggi all'acqua di rosa sono inutili.
In data odierna, il personale della Squadra Mobile ha tratto in arresto C. S. di Sezze (LT) classe 1989 e di Ceccano (FR) classe ‘89 perché responsabili, in concorso tra loro, del reato di detenzione di sostanza stupefacente del tipo Cocaina e Hascisc. I poliziotti hanno sequestrato a loro carico kg. 2,400 di sostanza stupefacente del tipo cocaina e kg.4,010 di sostanza stupefacente del tipo hashish. I due soggetti venivano fermati alle ore 13.00 odierne mentre percorrevano la strada reg. 148 all’altezza del centro abitato di Latina a bordo di un’ autovettura di grossa cilindrata sulla quale, previa apposita modifica, era stato ricavato un “sistema” consistente in un vano occulto, apribile attraverso un pistone idraulico, ed al cui interno era custodita la sostanza stupefacente che gli uomini della Polizia di Stato rinvenivano anche grazie all’int ervento dei cani poliziotto antidroga Enduro e Faye del gruppo cinofili di Nettuno. Nel corso delle successive perquisizioni domiciliari che venivano effettuate in conseguenza dell’arresto, tra le province di Latina e Frosinone, venivano rinvenuti ulteriori grammi 950 di sostanza stupefacente del tipo cocaina e grammi 166 di sostanza stupefacente tipo hashish, oltre alla somma in contanti di sessantamila euro circa, che venivano sottoposti tutti a sequestro penale. Infine l’attività di Polizia proseguiva con ulteriori perquisizioni effettuate nei confronti di tutti i congiunti degli arrestati. A casa di uno essi, con l’ausilio del cane anti esplosivo Fester si perveniva anche al rinvenimento di una pistola semiautomatica modello Colt Springfield calibro 45 con relativo munizionamento e matricola abrasa, oltre a cinque fucili uso caccia e, relativamente a questi ultimi, circa mille cartucce di vario calibro. Di conseguenza veniva tratto in arresto anche D. V. A. nato a Priverno classe 1974 , per violazione della legge sulle armi. Per tali fatti i tre individui sono stati arrestati e dopo le formalità espletate associati alla Casa Circondariale di Latina per ivi rimanere a disposizione dell’A.G. Le indagini continuano per disvelare ulteriori particolari sulla organizzazione dedita al traffico di stupefacenti.
Dopo il covid19 saremo migliori? Consigli utili
Scritto da Vincenzo Mattei
"Niente sarà più come prima": è la frase più ricorrente sui giornali, in TV, per strada. La ripetono gli scienziati, i politici, i laici e i sacerdoti. Questa lunga quarantena, che non ci ha risparmiato neanche la Pasqua, ci obbliga a ripensare il nostro modo di vivere e a riflettere sulla fragilità di tutti gli uomini. Mentre si spera che finisca la fase 1 e si passi rapidamente alla fase 2 e 3, al fine di non dimenticarci (come spesso ci capita!) le sofferenze passate, mi pare doveroso annotare un elenco di semplici e buone riflessioni che ci possono fare compagnia.
- inquinare e sprecare l'aria, l'acqua, la terra (elementi essenziali alla nostra sopravvivenza): non ce lo possiamo più permettere
- è necessario lasciare stare gli animali, gli uccelli, i pipistrelli nei loro siti naturali per evitare le contaminazioni di specie;
- avvilirsi per la mancanza di beni superflui e voluttuari, non vale la pena, perché possiamo benissimo farne a meno;
- le cose più semplici, come la libertà di muoversi, di uscire di casa, di incontrare gli amici, ritenute scontate e ovvie, rappresentano la base del nostro vivere e, se mancano, si rischia la depressione e l'impazzimento;
- se poi non vediamo e non sentiamo più i nipotini e i figli, allora ci accorgiamo che la vita non ha senso;
- la solidarietà verso i più deboli ci riempie di una gioia intima ma indefinibile;
- la peste ci ha scoperti indistintamente tutti fragili e impotenti, senza differenza di censo, di sesso, di colore;
- non è dignitoso sperare nelle preghiere di Papa Francesco se non capiamo che Dio non si cerca ma si accoglie facendo del bene al prossimo;
- in casi di emergenza non si deve andare in ordine sparso, tanto per far vedere di essere i primi della classe: serve una cabina di regia livello nazionale, europeo e internazionale: la peste non conosce muri, steccati e barriere;
- e infine: si dice giustamente che un vero amico si riconosce nel momento del bisogno. Ebbene: il virus che sta infestando l'intero pianeta dimostra che l'intervento pubblico degli Stati nazionali e internazionali resta fondamentale per la tutela della salute, per il rilancio dell'economia, per la protezione della popolazione, per la ricerca dei farmaci e dei vaccini. Chi ha osannato selvaggiamente al libero mercato che avrebbe creato ricchezza e benessere per tutti, che la sola impresa privata avrebbe dovuto sostituire quella pubblica, che il privato avrebbe assicurato " le magnifiche sorti e progressive" (Leopardi), dovrebbe riflettere un po’. La crisi mondiale dell'economia sta dimostrando platealmente che non è così e che lo Stato non può essere considerata un ferro vecchio e arrugginito. In questa drammatica emergenza, infatti, tutti invocano l'intervento massiccio dello Stato. Persino Trump, il campione del liberismo, ha fatto retromarcia di fronte al dilagare della peste nel suo Paese contribuendo con un massiccio intervento finanziario; altrettanto la Merkel, per non parlare della Cina, immenso Paese dove ancora vige un regime comunista. Il coronavirus ci fa capire che le idee di democrazia, di uguaglianza e di giustizia non sono affatto estinte e che, soprattutto, è lo Stato che deve governare l'economia e la società e non viceversa.
Nei giorni scorsi il primo cittadino Sergio Di Raimo sul suo profilo social istituzionale ha riportato la notizia dell’approvazione, da parte della Giunta, del progetto definitivo dei lavori di messa in sicurezza del plesso scolastico Valerio Flacco di via Bari a Sezze Scalo. Nella nota “social” del sindaco si aggiunge che il quadro economico del progetto prevede una spesa complessiva di 519.000 euro, in parte già presenti nel bilancio comunale, in parte di provenienza dalla Regione Lazio e altri dalla devoluzione dei residui mutui già contratti dal Comune. Benissimo. Detta così sembra cosa fatta… ma la realtà, purtroppo, è altra cosa, ed è una dura lotta contro il tempo, in attesa e, soprattutto, nella speranza che arrivino i soldi dall’Ente regionale. I tempi sono strettissimi perché entro il mese di agosto, quindi entro quattro mesi, stando alla relazione di verifica di idoneità statica del fabbricato della Flacco firmata dall’Ing. Giannetto, o i lavori di consolidamento vengono ultimati o il sindaco dovrà chiudere la scuola. Il ruolo da leone quindi lo avrà la Regione Lazio, perché nelle casse comunali non ci sono soldi a sufficienza per fare nulla, e nemmeno si potrebbero iniziare i lavori con le somme disponibili. Nel bilancio di previsione il Comune di Sezze, infatti, ha previsto soli 130 mila euro e i 389 mila euro che mancano per il progetto definitivo (519 mila euro) sono appesi proprio alle speranze del finanziamento regionale richiesto solo ieri, quando Di Raimo ha firmato la richiesta corredata dal progetto definitivo. Se poi la somma proveniente non dovesse essere sufficiente a coprire l’intero quadro economico approvato, il Comune di Sezze sarebbe costretto a fare ricorso alla devoluzione dei residui di mutuo già attivati. Altro capitolo questo molto spinoso. Per anni il Comune è rimasto ingessato per i tanti mutui accesi per la costruzione, ad esempio, delle scuole a Ceriara e Melogrosso, del centro sociale, dei marciapiedi e della Piazza ferro di Cavallo, tutti mutui che ancora oggi gravano sulle casse. Il ricorso al mutuo però è stata sempre l'unica soluzione, e sarebbe stato così anche per la Flacco se fosse stato acceso due anni fa.
Il sindaco Sergio Di Raimo
La politica ai tempi del Covid19, dalle autocelebrazioni ai falsi miti
Scritto da Alessandro Mattei
La politica ai tempi del coronavirus è molto cambiata, adattandosi immediatamente alla ricettività social. Nel corso di questa lunga quarantena abbiamo assistito a notiziari sacrosanti sull’aggiornamento del Covid19, a bollettini utili e a messaggi istituzionali necessari e molto importanti per la collettività. Ma abbiamo visto anche clamorose manifestazioni di onnipresenza, vertiginose capovolte, falsi miti, girandole varie e assurde intraprendenze del tutto fuori luogo che fanno pensare ad un clima da campagna elettorale avviata. Siamo sicuri, anzi stra-sicuri, della buona fede dei più e di quelli che ci sono sempre stati, mentre restiamo sconcertati e basiti da nuove presenze striscianti o da gruppi tali che, vuoi o non vuoi, ti mettono la pulce nell’orecchio, senza fare peccato però. Saranno i prossimi mesi a scoprire gli altarini e a mettere in luce quelle che sono state le vere e buone intenzioni e quelle che sono stati solo secondi fini. Non è vero come qualcuno sosteneva che la vita sui social è una vita virtuale e quindi romanzata. E’ vero esattamente il contrario: facebook e altri social sono lo specchio di quello che realmente siamo ma che, evidentemente, non riusciamo a manifestare fisicamente e a trasmettere chiaramente alle persone che conosciamo o che vogliamo conoscere. Ed ecco allora che sui social si incontrano molte persone equilibrate ma anche molti imbecilli, molti ipocriti come persone perbene, così come nella vita di tutti i giorni. Ci sono persone che vogliono autocelebrarsi, altri che preferiscono nascondersi, altri ancora che intervengono quando è veramente necessario. Insomma anche il mondo social è bello perché è vario ma quando tutto sarà finito inizieremo a tirare le somme, e a capire chi voleva cosa e chi voleva arrivare dove. Le tracce sui social le abbiamo tutti, ed è anche quella la storia di ognuno di noi.
La Giunta comunale di Sezze ha approvato finalmente il progetto definitivo dei lavori di messa in sicurezza del plesso scolastico di via Bari, una struttura questa che ha fatto parlare di sé per il totale degrado e per la pericolosità dello stesso edificio. L’amministrazione comunale fa sapere che il quadro economico del progetto prevede una spesa complessiva di 519.000 euro, in parte già presenti nel bilancio comunale e in parte di provenienza Regione Lazio. L’ente regionale – stando alle parole del sindaco Di Raimo – si sarebbe “impegnato a contribuire” alla messa in sicurezza della struttura. Vedremo. L’edificio in questione è stato al centro di numerose polemiche a causa del suo totale abbandono nel corso degli anni, polemiche che hanno accesso un dibattito sia all’interno della maggioranza che nell’intero consiglio comunale, con i consiglieri di opposizione, in primis Serafino Di Palma, pronto a tutto pur di far garantire il sacrosanto diritto degli alunni e docenti di frequentare una scuola sicura, più possibilmente a norma e quantomeno decorosa. Importante è stato sicuramente anche il ruolo dell’associazione Impronta Setina e del comitato dei genitori.
Un cittadino di Sezze è stato denunciato perché questa mattina ha violato le restrizioni domiciliari per quarantena da Covid19. L’uomo di mezza età è stato fermato e denunciato dagli agenti della Polizia Locale di Sezze guidati dal Comandante Lidano Caldarozzi. Il setino, infatti, questa mattina era in macchina con due nipoti minori, ed è anche per questa ragione che è stata comminata un contravvenzione ai genitori dei bambini. I controlli a tappeto sul territorio da parte delle forze dell'ordine non si fermano. Molti sono i cittadini che ancora non capiscono la gravità della situazione e continuano a trasgredire le misure imposte dal governo come se nulla fosse.
Cosa avvenne la mattina di Pasqua?
Il racconto di una testimone, Maria di Magdala.
“I primi bagliori dell’alba iniziavano a rischiarare l’orizzonte, colorando di riverberi dorati i tetti di Gerusalemme. La città era ancora immersa nel sonno quando uscii dal Cenacolo, silenziosa come un’ombra. La porta si richiuse alle mie spalle con uno scatto secco che echeggiò nella strada deserta. Avvolta nel mantello e portando i vasi contenenti profumi e unguenti, con passo spedito mi avviai al sepolcro di Gesù. Quando Giuseppe d’Arimatea lo calò dalla croce era il tramonto ed iniziava la Parasceve, la solennità più importante del mio popolo. Perciò in tutta fretta lo deposero in una tomba nuova, vicina al luogo dove l’avevano crocefisso, scavata nella roccia e circondata da un giardino, situata appena fuori le mura della città, e con Maria, sua madre, e le altre donne non potemmo lavare il suo corpo, trattarlo con profumi e unguenti e dargli degna sepoltura. Erano trascorsi tre giorni da questi eventi, ma il tempo pareva essersi fermato..
Mentre solitaria e guardinga percorrevo quelle vie deserte e silenziose, un pensiero si affacciò in me improvviso. Il sepolcro era stato chiuso con una grossa pietra, da sola non avrei potuto rimuoverla o spostarla per entrarvi ed occuparmi del corpo di Gesù. Sentii mancarmi le forze, dovetti sedermi. Ero confusa, agitata. Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso. Risoluta però esclusi di tornare al Cenacolo. Desideravo stare con il Maestro e anche se non potevo rimuovere la pietra che lo chiudeva, poco importava, mi sarei seduta davanti al sepolcro e sarei rimasta lì, vicino a lui. Il mio cuore era oppresso da un dolore stordente e soffocante, lancinante e inesprimibile. Rassegnarmi alla sua perdita era impossibile. Era come se fossi morta anch’io sulla croce con lui. Senza Gesù, la sua voce, i suoi sguardi, le sue parole tutto mi appariva senza senso, inutile. Mi asciugai le lacrime, mi alzai e ripresi il cammino.
Parole e gesti appassionati, di una donna innamorata, che piange per il tragico destino che le ha strappato l’amato. È questo che state pensando. La cosa non mi stupisce. In tanti si sono cimentati con la mia vita, narrando di me storie che mi sono totalmente estranee. Hanno scritto che ero una prostituta, ricondotta dal Maestro sulla retta via, e perfino sua moglie. Vaneggiamenti di quanti inseguono scampoli di notorietà a buon mercato, di cui sorrido volentieri. Quando incontrai Gesù ero molto malata, ebbe compassione e mi guarì. I miei occhi si aprirono, riconobbi in lui il Messia, lasciai tutto e divenni sua discepola. Al suo seguito non c’erano solo uomini, ma anche donne. I tempi cambiano, ma i pregiudizi restano, soprattutto verso le donne. Si sa, se di mezzo c’è una donna…… Gesù non ne ha mai avuti.
Torniamo a quella mattina. I soldati di guardia alla porta della città si limitarono a lanciarmi un’occhiata assonnata e distratta. Giunta al giardino, mi avvicinai al sepolcro. Sorpresa e sgomento si impadronirono di me. La pietra che lo chiudeva era stata rimossa, fatta rotolare da una parte. Mi feci coraggio e mi avvicinai. Il sepolcro era vuoto, il corpo di Gesù era scomparso. Lasciati profumi e unguenti, corsi al Cenacolo ad avvertire Pietro e Giovanni, i quali senza chiedermi dettagli, spiegazioni o perdersi in congetture, uscirono dal Cenacolo, corsero al sepolcro ed io con loro. Giovanni giunse per primo, ma diede un’occhiata solo dall’esterno. Nella penombra vide i teli usati per avvolgere Gesù gettati per terra. Poco dopo con il fiato grosso arrivò anche Pietro, il quale entrò nel sepolcro e vide i teli e il sudario piegato da una parte. Giovanni si fece coraggio e lo seguì all’interno. Quindi uscirono e tornarono al Cenacolo, senza proferire parola. Mi lasciarono seduta davanti al sepolcro da sola e in pianto. Al dolore per la morte di Gesù, si aggiungeva ora l’angoscia per il suo corpo portato via. Rimasi così chiusa in me stessa, pietrificata, indifferente allo scorrere del tempo. Dopo un po’ alzai gli occhi e guardai all’interno del sepolcro. Dove era stato posto il corpo di Gesù, ora erano seduti due uomini in candide vesti. Tanto ero presa dal mio dolore, che nel vederli non provai sorpresa o spavento. Mi chiesero: - Donna, perché piangi?-. La domanda mi lasciò perplessa. Il motivo era evidente: come potevano non sapere e non capire? – Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto – mi limitai a replicare. Le mie parole non avevano senso, mancavo di lucidità. Se effettivamente qualcuno aveva trafugato il corpo di Gesù, perché avrebbe dovuto lasciare i teli che lo avvolgevano e il sudario piegato da una parte? Questi fatti avrebbero dovuto ingenerarmi il dubbio che fosse avvenuto altro. Mentre parlavo con loro, percepii una presenza alle mie spalle. Mi voltai prontamente e mi trovai davanti un uomo. Pensai che fosse il giardiniere. – Donna, perché piangi? Chi cerchi?- mi chiese. – Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo – replicai decisa e diretta, tornando a guardare il sepolcro perché capisse a cosa mi riferivo. - Maria!-. Il mio nome risuonò nel giardino. Quella voce, che mi aveva ridonato la vita, era troppo familiare per averla dimenticata. Tornai a voltarmi verso di lui e dissi in ebraico – Rabbonì!-, che significa Maestro. I miei occhi s’aprirono di nuovo e lo riconobbi: era Gesù. Mi gettai allora ai suoi piedi e lo abbracciai. I miei gesti erano ancora incrostati di umana debolezza e di egoismo. Il Maestro mi disse: - Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro -. Senza farmelo ripetere, raccolsi tutte le forze che possedevo e corsi a perdifiato. Tornai al Cenacolo, riferii ai discepoli di aver visto Gesù vivo, di averlo toccato e riferii quanto mi aveva detto. Il Maestro era risorto.
Ebbene potete non credermi, giudicarmi una bugiarda visionaria, ma vi ho raccontato quanto quella mattina ho visto con i miei occhi, ascoltato con i miei orecchi e toccato con le mie mani. Nulla più”.
Buona Pasqua!
Riceviamo e pubbichiamo un articolo di Don Anselmo Mazzer.
______________________________
“Desidero vivamente invitarvi a non stemperare questa difficoltà, a non svuotarla, e perciò a non far diventare tutte le attività, con cui stiamo ammirevolmente cercando di sopperire alla mancanza di una azione pastorale ordinaria, una sorta di surrogato di ciò che non c’è, che faccia dimenticare ciò che manca”.
E’ ciò che afferma il nostro Vescovo in una lettera rivolta a tutti i preti in queste ore.
Vi dicevo qualche tempo fa che non si tratta di fare, in questa situazione, semplicemente qualcosa, in attesa che tutto passi.
Si tratta di cogliere in profondità ciò che il Signore oggi può volerci dire.
Una signora della parrocchia, con le lacrime agli occhi, mi ha detto a proposito della adorazione eucaristica presieduta dal Papa: “Lì non c’era una piazza e una basilica vuote, perché lì c’era tutto il mondo”.
Leggendo venerdì santo su Fatto a Latina un editoriale di Lidano Grassucci (un giornalista sezzese che conosco bene e che si è sempre professato miscredente), mi sono venuti i brividi.
Sta accadendo quello che forse non è accaduto nelle precedenti settimane sante in cui tutto era regolare: un vuoto che cerca e gusta una pienezza.
Io stesso, forse perché preso, insieme ai ministranti, dalla esecuzione dei vari riti, non ho mai vissuto così intensamente la settimana santa come quest’anno.
La mancanza dei riti (che in fondo sono facili da porre, sono gratificanti e possono scivolare nello spettacolo) mi ha fatto pensare a Gesù che ha fatto sparire tutti i riti che c’erano (Gv 4,21-24). Paolo lo aveva ben capito subito.
Valeva la pena togliere tutti i riti, per metterne altri?
Gesù nell’ultima Cena ha posto un rito che non è un rito: la sua totale donazione, corpo offerto e sangue versato, concretizzatasi subito sul legno della croce.
E tutto questo in un ambiente di estrema semplicità: c’era “solo” un tavolo, un gruppo di persone attorno, un pane e una coppa di vino leggermente annacquato e nient’altro. Eppure lì c’era tutto, non mancava assolutamente niente.
Io stesso che vi ho detto queste cose tante volte, ancora non riesco a “rassegnarmi” che il nostro Dio si è incarnato in un paesino sperduto del Medio Oriente, in grotta adibita a stalla con dentro la puzza di pecore e capre, che è morto su una croce davanti cinque persone (non si sa se erano presenze storiche o tipologiche), che è risorto davanti a nessuno. E’ questo lo stile del nostro Dio? Si. E magari i nostri riti cercano di edulcorare questo stile che ci sembra non sufficientemente appariscente.
Non si tratta di svalutare il valore antropologico del rito, né di celebrare con sciatteria. Anzi, tutt’altro. Si tratta di considerare, però, il rito come un mezzo e non un fine (entrare nell’intimità di Cristo e dunque nella sequela di Lui).
Se andiamo al racconto della lavanda dei piedi il discepolo “che Gesù amava” (cioè ogni vero discepolo) aveva reclinato il capo sul petto di Gesù. L’immagine che immediatamente ci appare è l’orecchio del discepolo accostato, fisicamente, al cuore di Gesù per sentirne profondamente i battiti.
Questa esperienza ci deve profondamente catturare. Qualche volta non riusciamo a “vedere” il Risorto perché non abbiamo intimità con Lui. Ascoltare i battiti del cuore è l’intimità con una persona con la quale vogliamo condividere l’esistenza. Per questo intuiamo perché il discepolo che Gesù amava “correva” e correva più veloce di Pietro, perché dove c’è intimità si corre, perché c’è attrazione. C’è un’esperienza che avvolge talmente la nostra esistenza che il correre è il linguaggio dell’innamoramento.
La resurrezione la coglie solo quel discepolo che lasciandosi amare ha il coraggio di reclinare il capo sul petto di Gesù, di entrare nella sua intimità.
Tutto questo non è una teoria, nasce da un profondo vissuto che caratterizza l’esperienza del discepolo e gli dà la gioia della risurrezione.
Viviamo quest’anno questa Pasqua, apparentemente vuota, ma in realtà forse mai così piena, perché possiamo poi di riflesso dire agli uomini: Gesù è risorto!
Auguri!
Don Anselmo
Altro...
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di auguri pasquali di Don Luigi Venditti.
_________________
"Carissimi auguro che presto la situazione difficile che stiamo vivendo diventi un brutto ricordo, ma siamo consapevoli che la pandemia da Covid-19 ha cambiato le nostre vite brutalmente. In questa situazione di crisi e tristezza, Vi invito a non dimenticare che Pasqua è il simbolo per eccellenza del rinnovamento, della rinascita: in questa giornata si festeggia la vita che sconfigge la morte, la luce che vince il buio. Ed è proprio questo il mio augurio: che la luce possa presto tornare a riempire le nostre vite e la nostra quotidianità, che la speranza del ritorno alla normalità si trasformi velocemente in certezza. Permettetemi un augurio pieno di gratitudine a chi sta combattendo in prima linea questa guerra e a chi continuando a lavorare garantisce i servizi essenziali. Voglio dedicare un pensiero speciale alle persone che purtroppo, a causa del virus, non ci sono più e ai loro familiari che non hanno potuto dire loro addio. Il mio augurio è che la trepidazione che stiamo vivendo si trasformi presto in gioia e serenità. Buona Pasqua».
Don LUIGI
Il regime di Coronavirus a cui siamo sottomessi da oltre un mese qualcosa di positivo e di bello lo ha prodotto. E non parlo delle tante riflessioni personali di cui nessuno è stato escluso, o dei tanti "ma" e "perché" che ci hanno affollato la testa in questi giorni, ma mi riferisco al fatto che in questo lungo primo mese, tutti insieme, qualcosa di buono lo abbiamo fatto e cioè abbiamo indubbiamente contribuito a ridurre l’inquinamento in ogni dove con significativi cali di emissioni inquinanti e di anidride carbonica. Nelle città metropolitane si è arrivati a superare il 60% in meno di Gas nocivi prodotti dal traffico delle automobili. In molte frazioni di periferia sono ricomparsi animali selvatici come non avveniva dal dopoguerra: cinghiali ovunque per strada, istrici e volpi se la spassano tranquillamente per strade desolate e abbandonate.
Oggi dopo molti giorni sono uscito per fare la spesa a piedi, prendendo il posto di mia moglie. Sono andato nel centro storico di Sezze approfittando delle botteghe di vicinato che tanta importanza hanno giustamente ricoperto per molti residenti in questo periodo. Tra la macelleria, un alimentari e la Farmacia mi sono fatto un passeggiata e ho riscoperto ancora di più il piacere di vivere appieno il centro storico, di osservarlo in silenzio in un pieno pomeriggio di primavera. Oltre alla quiete ciò che mi ha profondamente colpito è stato vedere come la natura si sta riprendendo i suoi spazi: da Piazza San Pietro sino a Santa Maria l’erba cresce indisturbata tra i sampietrini: è come se la natura stesse riappropriandosi dei suoi spazi velocemente. Altra analogia collegata all’assenza di inquinamento atmosferico e acustico è la numerosa presenza di piccioni che si vedono sopra i tetti o appollaiati nelle terrazze a tubare. Una bella sensazione, insomma, quando di bello in questi giorni ben poco abbiamo visto e sentito. Ma la bellezza salverà il mondo, come scrisse Dostoevskij, in una frase messa in bocca ad un idiota che però aveva ragione.
Una cimasa del centro storico di Sezze
Qualche giorno fa, in questi tempi di quarantena in cui è piacevole riascoltare la nostra musica preferita, ho seguito un appassionante torneo on line, un sondaggio tra gli appassionati per stabilire quale fosse la più bella canzone di Bruce Springsteen.
Tralasciando i turni preliminari, in semifinale sono arrivate le 4 favorite d’obbligo: Thunder road, Born to run, Jungleland e Badlands, vere pietre miliari del repertorio del grande Bruce, born in New Jersey (USA) il 23 settembre 1949.
Al termine delle votazioni del pubblico la canzone vincitrice è risultata Thunder road, prima traccia dell’album Born to run del 1975, immancabile nei concerti dal vivo, vero e proprio inno di un’intera generazione di statunitensi, e non solo. Anche le altre tre bellissime canzoni, notavo tra me e me, appartengono al primo repertorio del giovane Bruce, essendo state scritte ed inserite, le altre due sopracitate in ordine nello stesso lavoro del 1975, mentre la quarta in Darkness in the edge of town del 1978.
Cosa voglia dire questo lo lascio ipotizzare e giudicare ad ognuno dei fans, io ho una mia opinione ma non è questo l’argomento principale di cui volevo scrivere.
C’è però un’altra canzone del vastissimo repertorio del Boss (si parla di 297 opere, testi e musica, oltre a qualche perla regalata ad amici colleghi) che mi emoziona sempre di più ad ogni ascolto e che in questo periodo di riflessioni forzate mi fa bene.
Land of hope and dreams (Terra di speranza e sogni) è una canzone scritta nel 1999 e che gode di una particolarità: pur essendo stata eseguita e cantata dal vivo più volte con la E Street Band (la storica band di Springsteen), e pubblicata come CD in Live in New York City (2001), non era mai stata inserita in un album di studio, fino al 2012, quando è diventata la traccia n. 10 dell’album Wrecking Ball.
Ma cosa ci raccontano le parole di questo testo che amo visceralmente (la musica davvero ispirata e trasportante, sicuramente il miglior brano di Bruce degli anni duemila) e che sembra anche un po’ la continuazione ideale della giovanile Thunder road, inno/invito a non arrendersi mai e a credere sempre nella possibilità di poter cambiare la propria vita, risollevandosi dai primi fallimenti?
Se proviamo ad ascoltarla in questi giorni di fobia da pandemia, sembra essere stata scritta per l’occasione. È un accorato invito di un uomo per la sua donna a salire insieme su di un treno già lanciato sui binari (di nuovo il cammino già di Born to run e di Thunder road) verso non si sa dove, per arrivare in una terra da cui è certo che non si tornerà più indietro (You don't know where you're goin', but you know you won't be back). Bisogna far presto, potranno scegliere e portare solo poche cose, le migliori e necessarie, abbandonando per sempre tutte le altre, per correre verso un posto in cui continuare la vita. A questo punto l’uomo fa una vera e propria dichiarazione d’amore e di speranza con la strofa che precede il ritornello (Well, I will provide for you yeah, and I will stand by your side you'll need a good companion, darlin' for this part of the ride. You leave behind your sorrows yeah, this day will be the last tomorrow they'll be sunny skies and all this darkness past). “Avrò cura di te e starò dalla tua parte. Avrai bisogno di un buon compagno, mia cara per questa parte del viaggio, làsciati alle spalle i tuoi dolori, questo giorno sarà l'ultimo, domani saranno cieli splendenti e tutta questa oscurità ormai passata”. Ecco lo Springsteen che preferiamo, quello che ci guida regalandoci testi metafisici, a metà tra Antico Testamento e sogno americano, versi di valore assoluto, scritti in forma di poesia pura. Ma non sarà un viaggio di nozze, una vacanza senza pensieri di prima classe e pacchetto tutto completo. C’è tutto un popolo a bordo dello stesso treno, altri uomini e donne che scappano da una situazione divenuta irrespirabile con la speranza di poter ricominciare a vivere altrove.
“Well, this train carries saints and sinners, this train carries losers and winners, this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls” Questo treno porta santi e peccatori, perdenti e vincitori, prostitute e giocatori d'azzardo ed anime morte. Là dove si arriverà le campane della libertà stanno suonando, i sogni non saranno ostacolati e la fiducia sarà ricompensata.
Non sembrano parole simili a quelle che leggiamo in questi giorni sui giornali, scritte da pensatori o filosofi contemporanei, che ci invitano ad avere speranza, a ragionare come comunità (il treno nella canzone), in cui tutti devono fare la propria parte (vincitori, vinti, prostitute ecc.) perché ci si può salvare solo tutti insieme? E poi, l’invito a riprogrammare il nostro futuro, sapendo già che il mondo, anche il nostro mondo locale, non potrà più essere come prima? E il treno che ci porterà in un luogo migliore di quello che non rivedremo mai più (quello pre-Coronavirsu)? A me sembra uno dei migliori Springsteen di sempre, ispirato, profetico e visionario come solo lui sa essere.
Cos’altro aggiungere? Penso ad un’ultima cosa,: sarà che stiamo tutti vivendo questa quarantena di pari passo con la Quaresima, sarà che i riti e le liturgie comunitarie della settimana Santa quest’anno saranno insoliti e per lo più senza sacramenti, isolati come siamo e lontani dalle nostre chiese di comunità, sarà che anche il Papa ci invita a vivere questo momento in cui Dio sembra essere assente, sordo alle nostre preghiere, per riflettere sulle cose veramente essenziali nella nostra vita… Una suggestione personale: io in questa canzone ci vedo anche (mi perdoni l’amico di sempre Bruce se mi prendo questa licenza) il percorso della Chiesa terrena. Quella fatta di uomini e donne, di santi e peccatori, di prostitute e giocatori d’azzardo, che corre verso la mèta, la Salvezza, l’unica cosa che conta per i veri cristiani: Cristo risorto. C’è posto per tutti a bordo di questo treno da dove si intravedono i campi in cui si riversa la luce del Sole e si sentono le campane della libertà suonare (…where sunlight streams… bells of freedom ringing).
Buon ascolto e Buona vera Pasqua!!
Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, questa mattina ha firmato il decreto per il funzionamento degli organi istituzionali e per lo svolgimento delle sedute del Consiglio comunale in videoconferenza. Si tratta di una disposizione temporanea attuata per l'emergenza epidemiologica COVID19 ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020. Il Presidente dell’assise cittadina, dopo aver sentito il parere anche della segretaria comunale, ha emesso il decreto per permettere ai rappresentati istituzionali di riprendere le attività ad un mese dalle misure imposte dal Governo centrale. Il decreto riguarda lo svolgimento dell’assise cittadina e di tutte le riunioni istituzionali preparatorie allo stesso, quali conferenze di capigruppo e commissioni consiliari, sempre ovviamente in modalità telematica mediante videoconferenza. Nella lettera inviata ai consiglieri comunali e al sindaco di Sezze, il presidente del consiglio comunale spiega che “è compito di tutti garantire la funzionalità dell’assemblea, primo presidio democratico per i nostri cittadini”. “Mi sono preoccupato – scrive Eramo – di mettere in sicurezza, oltre che il lavoro in assemblea anche quello delle commissioni consiliari. La nostra Assemblea è riferimento democratico in un momento in cui stiamo chiedendo ai nostri cittadini un enorme sacrifico, rinunciando alla loro libertà, in nome del bene collettivo della salute di tutti e di ciascuno. Certo che presto torneremo alle normali modalità di funzionamento della nostra assemblea - chiude la lettera - colgo l’occasione per augurare a tutti buona Pasqua”.