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l gruppo consiliare di “Sezze Futura”, nelle persone del capogruppo il Alessandro Ferrazzoli e del consigliere il Dorin Briciu, esprime soddisfazione per l’ottenimento del finanziamento previsto dal PNRR di € 1,8 milioni finalizzato al progetto di riqualifica della ex Colonia Agricola. Il progetto intende realizzare una fattoria didattica nel sito della campagna setina (zona ex Orfanelli), avviando così "un significativo connubio con l’attività agricola per l’inserimento sociale e lavorativo a vantaggio di persone con disabilità nella comunità locale e il coinvolgimento di imprese agricole locali". "Siamo soddisfatti  - affermano i consiglieri comunali di Sezze Futura - perché con tale progetto si darà lustro e risalto ad un sito rimasto ormai inutilizzato, specie nell’ultimo periodo, e pertanto a rischio di deterioramento della struttura esistente; inoltre si metteranno in lavorazione i circa 13 ettari di terreno di proprietà comunale coinvolgendo tutte le parti sociali ed agricole presenti sul territorio. Un ringraziamento sentito quindi a tutta l’Amministrazione Comunale perché, grazie alla loro propositività e capacità di dialogo anche con le forze politiche di opposizione, si è giunti a questo storico traguardo a beneficio della città di Sezze, di tutto il territorio e dei cittadini".

 

 

Il tempo non cancella il dolore ma ne affievolisce solo il ricordo, allontanandolo inesorabilmente. Il dolore resta perché non è una ferita che si rimargina. Di pochissime persone però ti rimane l'amore nel cuore che è per sempre, ti resta il sorriso, lo sguardo degli occhi, il profumo, il suono della voce. Pochissime persone ti restano dentro come anime, continuano a scorrere nel tuo stesso sangue e vivono in te. Esattamente venti anni fa, il 16 dicembre del 2002, dopo aver lottato contro un male incurabile, ci lasciava un amico, un tesoro di quelli che sprofondano negli abissi più luminosi, ci lasciava il compagno di gioco Rosolino Trabona. Noi della Ludoteca Orso Rosso ne serbiamo il ricordo più sincero e più vivo. Noi con le mani incollate e le ginocchia sbucciate, i pantaloni e la maglietta stracciata e sporca di polvere lo abbiamo davanti ai nostri occhi, sempre,  tra i giocattoli dei nostri figli e le grasse risate che ci facciamo giocando con loro. Noi "mammocci" della Ludoteca lo rivediamo dentro le stanze mentre scherza con tutti, con quei ricciolini neri e con gli occhiali di celluloide marrone. Lo rivediamo in giro per Sezze, tra i vicoli, dentro la sua macchina bianca scassata e nelle giornate estive passate a coltivare la nostra fantasia e immaginazione. Rosolino ci ha lasciato giovanissimo, aveva 45 anni, la mia stessa età. Ma se penso a quanto siano stati pieni di vita, gioia e amore i suoi anni, mi rianimo all'istante di tutto ciò che mi ha donato e che ci ha fatto vivere donandoci la sua amicizia e la sua passione. Rosolino è stata gioia e luce per tutti noi. Un anno e mezzo fa anche il nostro amico Farza ci ha lasciati, per tutti un'altra dolorosa ferita. Siamo orfani di un gioco che non ho visto più giocare, siamo diventati più poveri senza di te, senza di voi. 

IL TUO AMICO Alessandro 

Lunedì, 12 Dicembre 2022 06:45

Il Vangelo secondo Malan

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Nella Bibbia c’è scritto che sono un abominio”. Il capogruppo di FdI, Lucio Malan, ha motivato la sua contrarietà al matrimonio paritario richiamando la natura abominevole che la Scrittura attribuirebbe all’omosessualità. Si tratta di affermazioni biblicamente infondate, oltre che culturalmente fuori dalla storia e dalla civiltà, che come lame affilate feriscono le vite di tante persone vittime di discriminazioni.
 
Motivare la contrarietà alla tutela dei diritti Lgbtq+ ricorrendo ad argomenti propri di una teocrazia più che di un paese moderno, laico e democratico è gravissimo, ancor più che quelle parole sono funzionali ad illuminare l’omofobia di contenuti morali e teologici, a presentare come legge naturale, quindi avente carattere universale, ciò che è il risultato di una convinzione e di un dogma che hanno senso solo per quanti professano quella particolare fede. Evidentemente il repertorio laico dell’omofobia è meno attrattivo di quello religioso.
 
In uno Stato laico il legislatore deve essere laico. Quanti hanno responsabilità nelle istituzioni, particolarmente se siedono tra i banchi di un’assemblea legislativa, dovrebbero ricorrere ad argomenti fondati sulla Costituzione, sui codici e sulle leggi e non motivare le proprie posizioni su un testo sacro. Il riferimento fondamentale deve essere l’art. 3 della Costituzione, nel quale l’intento antidiscriminatorio si traduce nel riconoscere uguale dignità a tutti i cittadini e nell’affidare alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, “limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Omosessuali compresi.
 
La concezione dello Stato che invade il campo delle scelte intime e personali non è in generale una tipicità fisiologica della destra, ma una patologia delle sue componenti estreme, radicali e illiberali. Infatti quanti cercano modelli giuridici omofobi devono superare il confine liberaldemocratico e guardare ai regimi totalitari, alle democrature e alle teocrazie. Tanto è vero che le discriminazioni sono più forti nella macroarea ricomprendente medioriente e gran parte dell’Africa e meno stringenti in buona parte dell’Asia, mentre nell’area delle democrazie liberali, sia pure con sfumature diverse, sono riconosciuti i diritti e le libertà delle persone omosessuali.
 
Questa presa di posizione del capogruppo di FdI è comunque l’occasione per mettere in evidenza il fraintendimento, per non dire la ridicolizzazione del senso profondo della Bibbia, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, la sua strumentalizzazione ideologica e politica da parte di quanti la usano per finalità estranee alla fede.
 
Costituisce un tradimento della Scrittura ricercare nella miriade dei suoi versetti la spiegazione di argomenti che in essa non sono trattati e trasformare la Parola di Dio così in un manganello ideologico. Il concetto di omosessualità è assente nella Bibbia e nei versetti del Libro del Levitico, citati da Malan, non è trattato questo tema. Il significato di quel passo è completamente altro. È definito abominevole l’uomo che si corica con un uomo come si fa con una donna, ma non la donna che fa altrettanto. Se si parlasse di omosessualità, così come la intendiamo oggi, il principio dovrebbe valere anche per le donne. In realtà quel divieto non investe la sfera sessuale ma attiene alla cultura della generazione. Nel mondo ebraico era un abominio non avere figli e chi non si sposava era considerato alla stregua di un omicida, perché con la sua scelta negava l’immagine di Dio. Nel medesimo capitolo del Levitico si stabilisce anche che: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi a morte”. Nella storia tale precetto non solo non ha impedito gli adulteri, ma nessuna nazione civile mette a morte gli adulteri. Perché mai allora questa regola non dovrebbe essere più valida e quella presunta riguardante l’omosessualità sì? Passando al Nuovo Testamento, nella Lettera ai Romani, Paolo inveisce sia contro le donne che “hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura”, sia contro gli uomini che, “lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi”. Il contesto storico in cui l’Apostolo viveva mancava ancora del concetto di omosessualità e il suo ragionamento si basa su quello che riteneva essere il rapporto naturale, identificando natura e cultura, necessariamente mutevole a seconda delle popolazioni, e per questo arriva a giudicare la naturale attrazione di una persona verso un’altra dello stesso sesso come una deviazione. A dimostrazione della correttezza di questa interpretazione ci sono altri temi su cui Paolo si sofferma, nei quali è evidente il condizionamento dei suoi scritti da parte della realtà sociale e culturale in cui era immerso, come quando sostiene che è “la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli”, o fa riferimento all’impurità femminile, o sostiene la necessità di vietare alle donne il diritto di parola nelle assemblee ecclesiali e anche politiche o giustifica la schiavitù.
 
Il fondamentalismo prende i testi sacri e li riduce alla mera cronaca di fatti storici, ad un codice di leggi, ad un manuale di istruzioni, quando invece sono una riflessione teologica su avvenimenti a volte lontani secoli tra l’accaduto e il raccontato, la traccia di un percorso di fede che evidenzia l’importanza della relazione tra esseri umani e tra questi e Dio. Il popolo di Israele comprese che nella sua storia era presente Dio, suo fedele alleato, al quale attribuì il successo o l’insuccesso delle proprie imprese. Solo così si intendono alcuni libri della Bibbia che, letti fuori da questa prospettiva, condurrebbero altrimenti a considerare Dio un mostro sanguinario. Il Nuovo Testamento è diverso perché chi scrive è più vicino ai fatti e le testimonianze sono quelle di una comunità che non ha bisogno di narrare i miracoli, ma vive nell’amore e nell’insegnamento di Cristo, lasciandosi travolgere e cambiare radicalmente dalla sua Grazia che è dono di salvezza per tutti.
 
I testi biblici devono essere interpretati utilizzando parametri storico-critici, vanno contestualizzati, cercando di capirne e spiegarne l’origine storica, la stratificazione e persino la contraddittorietà, nella rigorosa ricerca della Parola di Dio che va oltre quella degli uomini, anche di quelli che li hanno scritti. Soprattutto la Bibbia dovrebbe essere lasciata fuori dalla propaganda politica.
 

 

 

 

 

Rivalità, incomprensioni, scorrettezze, invidia, voglia di protagonismo? Ai posteri l'ardua sentenza! Fatto sta che tra le due associazioni di volontariato della Protezione Civile che “operano” nel territorio comunale di Sezze è finita a carte bollate. Ieri in una conferenza stampa ad hoc Paolo Casalini, presidente dell'Associazione Nazionale Vigili del Fuoco in Congedo (ANVVFC), delegazione “Città di Sezze”, ha comunicato di aver presentato una denuncia querela contro Tiberi Maurizio, presidente dell'associazione Volontari Vigilanza Ambientale (VVA) per una serie di “dichiarazioni gravemente infamanti della reputazione” dell'associazione di cui è il rappresentante legale. Tali dichiarazioni sono apparse sul quotidiano Latina Oggi un mese fa, esattamente il 9 novembre scorso. Paolo Casalini,  assistito dai legali Emiliano Berti e Antonio Raponi, ha presentato denuncia presso la stazione dei Carabinieri di Sezze dopo aver atteso invano una replica per mezzo di diffida a Maurizio Tiberi. Diverse sono le frasi diffamatorie che hanno spinto l'ANVVFC a sporgere querela contro il VVA tra cui: “ Non è consegnando il pane un giorno ad Amatrice che si diventa specialisti […] i rimborsi che prendiamo non li usiamo per andare a cena a uffa, ma si hanno delle priorità […]  a  Casali, quest'estate, noi abbiamo lavorato per sette giorni e sette notti di seguito per spegnere i fuochi, mentre gli altri bagnavano gli alberi a valle”.Per Casalini tali dichiarazioni sono infamanti:“ E' di tutta evidenza - ha detto ieri in conferenza stampa - che le dichiarazioni rilasciate dal sig. Maurizio Tiberi ha il solo scopo di screditare l'operato dell'ANVVFC e far apparire invece la propria associazione quale migliore e maggiormente qualificata. Tralasciando aspetti che riguardano i bandi di concorso esperiti dalla Regione Lazio, dipartimento di Protezione Civile, mediante i quali vengono erogati fondi alle associazioni di volontariato che ne fanno richiesta e che siano in possesso di determinati requisiti, è di tutta evidenza che le parole del Sig . Tiberi, pretestuose e infondate, ledono fortemente la reputazione e l'onorabilità dall'associazione ANVVFC che rappresenta. Dichiarazioni allusive di una situazione gravemente infamante, quale (i rimborsi che prendiamo non li usiamo per andare a cena a uffa), ovvero sminuendo l'effettiva utilità delle attività svolte (non è consegnando il pannello un giorno ad Amatrice che si diventa specialisti. ....a Casali, quest'estate, noi abbiamo lavorato per sette giorni e sette notti di seguito per spegnere i fuochi, mentre gli altri bagnavano gli alberi a valle). Insomma secondo Casalini " lo scopo delle suddette è quello da far assumere agli occhi della gente e delle istituzioni un maggior prestigio gettando discredito sull'associazione avversaria, quando invece sussiste (o almeno dovrebbe sussistere) un obbligo primario di lealtà, correttezza e collaborazione che contraddistingue la natura delle Organizzazioni di Volontariato”.

Contestualmente alla denuncia presentata presso i Carabinieri di Sezze, per mezzo dello studio legale incaricato, l'ANVVFC ha presentato richiesta di accesso agli atti presso il Comune di Sezze per capire quali siano gli atti che permetterebbero al VVA di avere una “corsia preferenziale” rispetto alle altre associazioni di volontariato e se è “possibile che un consigliere comunale possa utilizzare la e-mail istituzionale per delle comunicazioni che riguardano una associazioni di volontariato” o “ se è eticamente corretto che “venga indossata la divisa della Protezione Civile in contesti non appropriati quali può essere ad esempio una seduta di commissione consiliare”. Della vicenda è stato investito anche il sindaco di Sezze Lidano Lucidi, capo dell'ordine pubblico della città.

E' veramente triste arrivare a tanto, vedere il mondo del volontariato farsi a pezzi e autodistruggersi per comportamenti che nulla hanno a che fare con la missione che hanno queste associazioni. E' deprimente registrare uno scadimento civico e associazionistico a questi livelli. Le zuffe non dovrebbero esserci e comunque andrebbero affrontate con coscienza e rispetto tenendo fuori il mondo del volontariato.

Martedì, 06 Dicembre 2022 08:30

Perché i giovani non si interessano alla politica?

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Per ciò che concerne la disaffezione dei giovani alla politica, a preoccuparci non dovrebbe essere il dato sul loro astensionismo, quanto il loro allontanarsi dalla politica attiva. Tutto il processo empirico dettato dall’esperienza in cui si sono formate associazioni giovanili, partiti, comitati elettorali e istituzioni locali sembra interessargli sempre meno, nonostante le piazze siano sempre gremite di ragazzi che manifestano per ambiente, parità di genere, scuola, salario minimo. In una società sana il ruolo dei giovani è cercare di cambiare il mondo, ma l’impressione è che codesti si attivino solo su modalità specifiche definite principalmente dall’urgenza di rispondere a problemi contingenti. I movimenti giovanili praticamente si formano velocemente, ma altrettanto velocemente, qualora non vi sia più l’urgenza, si sfaldano. Perché allora questo impegno non si tramuta in militanza? Perché non si trasforma in una vera cultura politica? Per formare una cultura politica sono necessari due elementi: quell’insieme di valori e di visioni attraverso cui immaginiamo e progettiamo il nostro futuro insieme e il “metodo”, in grado di tradurre immaginazione e progettualità in agende concrete, capace di andare incontro alle necessità dei cittadini. Entrambi possono esistere singolarmente, ma solo insieme sono realmente funzionali alla costruzione di una società.  L’immaginazione collettiva, unita all’urgenza, è un propellente formidabile per superare una crisi, molto più di una molotov o di un sanpietrino. Con la globalizzazione ed il neoliberismo si è consolidata l’idea che tecnica e progresso avrebbero risolto ogni problema. Oggi nella società liquida Baumaniana questo processo ha rafforzato una cultura dell’iper-individualismo, quasi a sfociare in una sorta di solipsismo, dove è sempre più facile fermarsi al senso comune, ed è sempre più difficile sviluppare un immaginario collettivo. Se la politica non attrae i giovani è perché l’ideologia che contiene è percepita come ostacolo alla risoluzione dei loro problemi individuali piuttosto che come aiuto. Non è un caso infatti che nell’ultimo voto la loro preferenza sia andata a forze che privilegiano il “metodo”, rispetto ad una cultura politica facilmente identificabile. La sfida per i leader di domani sarà ridare all’impegno dei giovani una visione collettiva. Servono in primo luogo spazi di partecipazione, luoghi fisici e spazi di confronto, dove idee e identità diverse possano convivere senza paura delle complessità dei tanti problemi sul tavolo.  

Domenica, 04 Dicembre 2022 06:09

La scuola e il ministro dell'umiliazione

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"Voce dal sen sfuggita poi richiamar non vale: non si trattiene lo strale, quando dall'arco uscì”. Pietro Metastasio

 
Abbiamo ingoiato con rassegnata accettazione la nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito, come un inevitabile tributo alla nuova maggioranza, e non considerando adeguatamente che la questione non è nominalistica ma sostanziale. In discussione non è il merito. A scuola un certo grado di competizione è normale, ma adottare la logica del più forte, lasciando ai margini o escludendo i più deboli è sbagliato e pericoloso socialmente. La scuola non deve far emergere qualcuno, ma far crescere tutti in un contesto di reciproco scambio e collaborazione. Insomma il problema è ritenere il merito un assoluto, svincolato dalle condizioni di partenza che rendono possibile l’apprendimento e ignorare la necessità che lo Stato promuova politiche finalizzate a colmare le disparità iniziali fra gli studenti.
 
Giuseppe Valditara, ordinario di Diritto Romano e neo ministro dell’Istruzione e del Merito, in queste prime settimane di esercizio della sua funzione è venuto tracciando il sentiero preciso che intende percorrere, nel quale ordine, disciplina e strumenti educativi sembrano i soli attrezzi di cui intende avvalersi e ha delineato il profilo di una scuola che sembra quasi il surrogato di un carcere minorile. Dalle sue parole è emersa un’idea di scuola antiquata, risalente almeno ad un cinquantennio fa, la riproposizione di talune esperienze del dopoguerra, dove maestri solerti erano armati di bacchetta, dispensavano castighi, punivano duramente gli alunni esuberanti o ritenuti poco dotati e si confondeva l’autorevolezza con l’autoritarismo.
 

Umiliare aiuta a crescere. È la tesi propugnata dal Ministro, per il quale l’umiliazione sarebbe un valido e risolutivo strumento per combattere il bullismo. Ospite a Milano dell’associazione Amici delle Stelline, Giuseppe Valditara ha raccontato un episodio accaduto in una scuola (vero o falso non importa) e, sostenendo la necessità di punire esemplarmente il responsabile, ha affermato testualmente: “Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche. Evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità. Di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione”.

 
Gli studi sulla formazione della personalità sono tanti, ricchi di proposte, intuizioni, analisi empiriche, ma in nessuno si afferma che l’umiliazione è uno strumento educativo, al contrario è ritenuta terribilmente pericolosa, in grado di causare esclusione ed isolamento sociale. Peraltro uno dei cardini della strutturazione e del consolidamento della personalità è l’autostima che il soggetto deve produrre per vivere, la quale si alimenta dalla stima degli altri, da come è percepita proveniente dal gruppo dei pari o nei detentori di autorità e ruoli diversi.
 
Il pensiero dei pedagogisti che si sono occupati della scuola e delle dinamiche docente-discente si muove in direzione opposta a quella prospettata dal Ministro. J. Jacques Rousseau ha teorizzato e applicato metodi innovativi nell’educazione dei ragazzi a partire dalla seconda metà del ‘700, nel presupposto che compito dell’educatore è formare la persona e non proponeva certo il ricorso all’umiliazione. L’insegnante deve leggere il vissuto del ragazzo con le sue contraddizioni e aiutarlo a sviluppare una relazione ricca fra lui, le cose e il mondo attraverso un incessante impegno educativo immerso nel sociale. John Dewey, pedagogista e filosofo statunitense del 1800 proponeva un’idea rivoluzionaria del sistema dell’istruzione, convinto dello stretto legame fra persona e ambiente e quindi della necessità che la scuola partisse dalle condizioni di vita quotidiane degli studenti per assolvere al suo compito. Maria Montessori, laureata in Medicina e in Filosofia, neuropsichiatra e pedagogista, ha dedicato tutta la sua attività alla decifrazione del mondo e dei bisogni infantili ed ha applicato i suoi metodi rivoluzionari nelle scuole da lei dirette all’inizio del ‘900, partendo dal presupposto che la scuola deve essere a misura di bambino, esplorarne la personalità per sé e nel rapporto con gli altri. Secondo Alberto Manzi, Mario Lodi e Don Milani il riscatto e la redenzione dei più fragili non si ottengono con la mortificazione e il ripristino dell’autorevolezza degli educatori non passa dal potere delle istituzioni educative di punire e umiliare chi ha commesso un danno alla collettività mediante comportamenti definiti devianti. L’impostazione punitiva e vendicativa non giova a nessuno, non c’è nulla di educativo nel mortificare chi sbaglia ed è imperdonabile se un docente non dà la possibilità di recupero all’allievo. Le urla di rimprovero, magari le orecchie d’asino, il ricorso alla paura sono strumenti tossici, che non aiutano la crescita. Occorre formare al rispetto dell’altro, al rifiuto di ogni forma di violenza mediante l’educazione civica, la promozione del dialogo che parta dall’ascolto, rafforzare l’investimento culturale interrogandosi sulle cause dei comportamenti violenti, costruendo le condizioni per la crescita dei ragazzi e ricordando che umiliare qualcuno significa lasciarlo solo, abbandonarlo a sé stesso.
 

L’impressione è che il riferimento culturale del Ministro sia il sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket, per il quale ordine e disciplina si ottengono mediante il sistematico ricorso all’offesa, alla vessazione e all’umiliazione, come quelle riservate all’insultatissimo soldato Palla di Lardo. Per Kubrick si trattava di un personaggio tragicomico, mentre per il ministro evidentemente di un modello serissimo e funzionante. Forse la scuola ideale per Valditara è quella ridotta ad una sorta di campo di addestramento con torrette guardate a vista da reclute armate e un generale che passa le giornate a urlare ordini ai coscritti, i quali devono tacere e obbedire, sperando che prima o poi diventeranno loro quelli che urlano.

 
Chissà il prossimo passo sarà sostenere che due schiaffi non hanno mai fatto male a nessuno e che le bacchettate sulle dita aiutano a imparare le tabelline.
 
PS: Il ministro ha corretto il tiro, sostenendo di aver usato un termine sbagliato. Voleva dire umiltà e non umiliazione. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito sbaglia le parole. Buffo, se non fossero questioni serie.

 

Riceviamo e pubblichiamo un documento del Partito Democratico di Sezze.

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La campagna denigratoria orchestrata contro il Partito Democratico, il tentativo di criminalizzare un’intera classe dirigente e di cancellare una esperienza politica e amministrativa radicata nel nostro tessuto cittadino è ignobile e rivoltante.

La tutela dei più deboli e dei lavoratori, la solidarietà, il perseguimento della giustizia sociale, la promozione di uno sviluppo economico ecologicamente sostenibile e che metta al centro le persone, la tutela e promozione dei diritti, l’accoglienza e l’integrazione di quanti fuggono da guerre, carestie e povertà rappresentano l’essenza identitaria del nostro partito e costituiscono il cuore del nostro impegno politico.

Il Partito democratico ha amministrato Sezze con assoluta trasparenza e correttezza. Lo affermiamo e lo rivendichiamo con forza. La diversità di opinioni e la critica politica rappresentano il sale della democrazia, ma non possono essere travisati i fatti, costruiti teoremi fondati sul nulla. Le amministrazioni guidate dal PD hanno sempre agito nel solco della legalità e l’integrità morale dei nostri amministratori è indiscutibile. Quanti con linguaggio allusivo cercano di veicolare messaggi diversi e screditare il nostro partito, mentono sapendo di mentire.

La Cooperativa Karibù ha iniziato ad operare a Sezze quando la nostra città era guidata dal centrodestra e poi dal commissario prefettizio. Precedentemente la gestione dei migranti era affidata ad altri.

Nel 2010, alla scadenza degli affidamenti fatti dagli amministratori precedenti, il PD predispose una gara pubblica, regolarmente svoltasi, sebbene la normativa allora vigente non la prevedesse e le indicazioni di ANAC, ANCI e Ministero dell’Interno fossero per l’affidamento diretto in nome dell’emergenza. È bene precisare che, quantomeno nella provincia di Latina Sezze, è stato l’unico comune a scegliere questa strada di trasparenza amministrativa a partire appunto dal 2010.

Nel 2016 venne varata a livello nazionale una normativa specifica e nel 2017 l’amministrazione di centrosinistra procedette con una prima gara, andata deserta. Venne indetta una nuova gara e, al termine di una procedura travagliata, risultò vincitrice Arteinsieme e la Coop. Karibù venne esclusa. Se proroghe ci sono state, è semplicemente per garantire la continuità del servizio in attesa della conclusione delle procedure. Tutto è stato fatto in modo trasparente e secondo la legge. Lo provano gli atti amministrativi.   

La Coop. Karibù, soggetto accreditato dal Ministero dell’Interno e chiamato a gestire l’accoglienza di immigrati e richiedenti asilo da diverse prefetture d’Italia, a partire da quella di Latina, ha gestito il servizio in molti altri comuni della nostra provincia con giunte di centrodestra. Nel 2018 Marie Terese Mukamitsindo è stata considerata la migliore imprenditrice della diaspora dell’anno, grazie al successo della sua cooperativa. È indecente, strumentale e falso affermare che la Coop. Karibù ha goduto negli anni di “coperture” politiche da parte del PD e dei suoi più autorevoli rappresentanti, quando la ministra Mara Carfagna, esponente di spicco di Forza Italia, è venuta a Sezze nella sede della cooperativa e pubblicamente ne ha incontrato i vertici e tessuto le lodi. Prima di allora mai un ministro della Repubblica era venuto nella nostra città. Pertanto basta con le illazioni e le mistificazioni di quanti cercano di nascondere la verità e di ergersi a moralisti senza morale.

Siamo senza se e senza ma dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori che devono ancora ricevere i loro salari e ci batteremo per il pieno riconoscimento dei loro diritti.

Il Partito Democratico ritiene la libera informazione uno dei cardini fondamentali della nostra democrazia, ma non è possibile tacere che in queste settimane a nessun esponente politico o amministratore del PD è stato chiesto di spiegare le scelte amministrative compiute e di rappresentare le proprie ragioni. È stato insomma escluso totalmente il contraddittorio. Peraltro appare evidente la mancata conoscenza degli atti amministrativi da parte di quanti parlano di questa vicenda. Evidentemente interessa altro e certo non fornire ai cittadini una corretta informazione.

Abbiamo totale fiducia nella magistratura e siamo convinti che presto la verità emergerà con forza e chiarezza. Il Partito Democratico non ha nulla da nascondere e siamo pronti ad un pubblico confronto con i cittadini, con i giornalisti e con quanti vorranno partecipare. Atti amministrativi alla mano, possiamo dimostrare l’assoluta correttezza delle nostre azioni negli anni in cui abbiamo governato Sezze.    

 

 

 

 

 

Si terranno oggi alle ore 15 presso la chiesa di SS Sebastiano e Rocco ai Colli i funerali di Rhea Lennè venuta a mancare a causa di una malattia domenica 27 novembre scorso. La ricorda con affetto il Circolo Sinistra Italiana di Sezze.

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E' venuta a mancare una Donna, una Compagna, una Femminista. Ti ho conosciuta attraverso mia madre, amica della tua. Abbiamo avuto lo stesso destino con i nostri genitori, li abbiamo persi molto giovani. Persone che hanno vissuto a loro modo la vita senza nessun rimpianto. Genitori che ci hanno tramandato il valore della coerenza, non importa come te ne vai, importa cosa lasci quando te ne vai. Tu sei stata una Donna che ha resistito ai colpi della vita, contro gli usi e costumi di un paese dalla mentalità antica, un paese dove la politica è sempre stata dominio degli uomini. Te ne sei sempre fregata del giudizio altrui, sempre a testa alta. Da quando ho memoria ti ho sempre vista in tenuta operaia pronta all'assalto, mai una gonna, mai un tacco. Oggi va di moda il Pink Washing, parlare delle donne per molti è "lavarsi la coscienza", oggi io ho voluto parlare di te, non per lavarmi la coscienza ma per sottolineare il grande vuoto che hai lasciato tra noi compagni. Come circolo vorremmo dirti che non molleremo la battaglia sull'ambiente, avanzeremo politiche di genere con forza, porteremo avanti le tue istanze per renderti viva più che mai.

Michel Cadario segretario Sinistra Italiana.

Ciao Rhea, ciao amica, ciao compagna.

Domenica, 27 Novembre 2022 06:14

La ribellione e il riscatto di Rosa

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È dedicato “A tutte le femmine ribelli” il film d’esordio alla regia di Francesco Costabile. Femmine ribelli come Rosa, una ragazza prigioniera di una famiglia patriarcale e rurale della Calabria affiliata alla ‘ndrangheta, di un mondo dove chiunque osa opporsi, alzare voce e testa, non rispetta le regole è messo a tacere e il disonore lavato via, come accaduto a Cetta, sua madre, quando lei era una bambina.
 
La tenebrosa fotografia e il senso di angoscia promanante dall’intensa colonna sonora sono combinate per far emergere la preferenza della ‘ndrangheta per le tensioni risolte con il silenzio, le verità scolpite con i fatti nelle rocce del paesaggio e sulle pietre delle case che si inerpicano tra stradine nascoste, scalinate ed archi bui. Le immagini che si susseguono non sono mai scontate e alcune assomigliano a incubi, abitati da demoni e maledizioni, quasi da film dell’orrore. Il far parlare i personaggi in dialetto conferisce al racconto realismo e accresce il costante senso di inquietudine che lo attraversa. La ‘ndrangheta non appare, non si pronuncia, non si rivela se non in qualche scontro tra boss, ma è un’ombra incombente.
 
Rosa conduce un’esistenza semplice con gli zii, la nonna e il cugino in un paesino sperduto tra fiumare secche e monti. L’orizzonte è una barriera, oltre cui si apre un mondo sconosciuto ed estraneo. Lavora nella masseria di famiglia, cura la casa, bada agli animali, vende i prodotti agricoli ai compaesani, aiuta zio e cugino in faccende dubbie a lei inesplorabili. Le feste paesane rappresentano i soli momenti di svago che le sono concessi. I familiari la trattano in modo molto duro, perché é una femmina. A tavola, assieme allo sguardo torvo della nonna, si ha la percezione che quella vita è un imbroglio e persino i giochi con il cugino covano una dinamica predatoria.
 
Rosa è irrequieta, si sente soffocata dall’omertà e dalla violenza che regnano sovrane. Possiede il carattere forte della madre, una femminilità prorompente e ribelle. Vorrebbe liberarsi dal controllo opprimente della famiglia che avverte lontana dal suo modo di essere, da quei personaggi i cui volti e sguardi sono veicolo di rancori e rivalse, raramente di affetto o amore. Si interroga sul suo presente e sui misteri oscuri e indicibili che avvolgono il suo passato, la prematura scomparsa di sua madre.
 
Un giorno il gesto scellerato del cugino Natale la riporta al trauma della sua infanzia, sepolto nel passato e nel silenzio dei suoi parenti. Rosa inizia a ricordare qualcosa di terribile, prende coscienza della violenza e della corruzione in cui è immersa la sua famiglia. Affascinante è l’uso del fuori fuoco parziale delle sequenze nella prima parte del film, a metà tra il sogno e il riaffiorare dei ricordi rimossi di Rosa bambina, l’uso delle porte come metafora di lontananza, incomunicabilità, segreti, omissioni dei suoi familiari, il parlare della ragazza attraverso i silenzi, gli occhi innamorati, spaventati, infuriati, determinati.
 
Grazie all’aiuto di Gianni, il ragazzo di cui è innamorata, l’evento traumatico della sua infanzia, a lungo rimosso, si fa presente in modo prepotente e la mette di fronte a una verità insopportabile: nella tragica morte di sua madre è coinvolta la sua famiglia. È una scoperta dalle conseguenze terribili, che fa crescere in Rosa una rabbia feroce che la porta a cercare vendetta, a costo di mettere in pericolo la sua vita. Distrutta dal dolore, sa che non potrà far rivivere la madre che le è stata prematuramente sottratta dai suoi stessi familiari, ma può spezzare la catena criminale, compiere un grande atto di ribellione contro quelle persone che sono convinte di possederla.
 
La vendetta è uno dei temi centrali del film, quella personale di Rosa e quella del clan, che sebbene consumate per ragioni diverse sono unite dalla stessa logica: punire quanti infrangono le regole. È quasi impossibile sfuggire alla rabbia e all’efferatezza della n’drangheta che, pur di attuare i propri loschi traffici, non dà scampo a nessuno, anche se appartenente alla stessa famiglia. La faida narrata è interna a un luogo piccolo e inospitale dell’Aspromonte, la combattono famiglie piccole, che in assenza di altra manovalanza arruolano figli, nipoti, parenti. In quest’ambiente opprimente in cui pare impossibile trovare una via d’uscita, si accende la speranza, prende corpo la coscienza, la ribellione, il sogno di una rivoluzione in grado di rompere dall’interno un modello di vita brutale, in cui il maschile è sinonimo di predatorio ed omicida e il femminile non sa o non vuole emergere nella sua peculiarità.
 
Rosa prende le redini della sua vita, sceglie di opporsi alla logica mafiosa dei parenti e di vendicare sua madre, assassinata per aver tentato la fuga come collaboratrice di giustizia. Si riappropria del suo essere donna, infrange lo status quo che la vorrebbe imbavagliata, squarcia il velo dell’omertà, compie una scelta di purificazione dall’etichetta mafiosa acquisita dalla nascita. Si trasforma da pedina sacrificabile del patriarcato in alfiere di libertà. Il percorso di Rosa è difficile e coraggioso, comporta lo scontro diretto con il mondo della ‘ndrangheta, incarnato anche nell’ambiguità maligna della nonna, anziana guardiana dell’antico perpetrarsi dell’ingiustizia. La ribellione non può essere ovviamente tollerata e contro Rosa viene scatenata una durissima repressione, che alla fine non riuscirà però a prevalere sulla sua rabbia, distillata dalle ingiustizie subite da lei stessa e dalla madre.
 
Una femmina è un film violento ma contro la violenza, psicologica e fisica, giocata sul senso di colpa e sull’amore di una madre per la figlia, vigliacca come coloro che la esercitano, che racconta la criminalità e la speranza, il coraggio e la voglia di riscatto. Una storia locale che parla il linguaggio universale delle donne che in molti Paesi continuano ad essere oppresse ed emarginate, che si oppongono ai soprusi familiari, alla mafia, ad ogni forma di violenza e desiderano solo una vita dignitosa.
 
Il pensiero va alle donne che ce l’hanno fatta a liberarsi e soprattutto alle tante senza voce, che combattono una battaglia silenziosa e ancora non hanno trovato salvezza e riscatto.

 

Sabato 26 novembre 2022, alle ore 18.00 presso il Centro sociale “Calabresi” in Sezze, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Sezione di Sezze organizza un incontro pubblico con don Giovanni Piumatti sul tema Guerre invisibili. La situazione in Nord-Kivu. Con questo incontro, l’Anpi di Sezze prosegue le iniziative già avviate nel mese di novembre con la presentazione del libro Il dissenso al fascismo di Maria Avagliano e quello di Giorgia Serughetti Il vento conservatore, al fine di contribuire alla riflessione e al confronto fra i cittadini su tematiche che, a partire dalla storia interrogano la contemporaneità per una consapevole progettazione di un futuro in cui la piena dignità di ogni persona sia costantemente e integralmente garantita. In particolare, con l’incontro di sabato prossimo l’ANPI di Sezze intende avviare un percorso per contribuire a far conoscere le guerre che ai più risultano invisibili, e dunque, non esistenti, poiché i Media e i Social non ne parlano, concentrando la propria attenzione soltanto su situazioni conflittuali considerate più vicine e dunque più riguardanti gli interessi di noi Occidentali. Il primo di questi incontri, sabato 26 novembre, è dedicato a una regione particolarmente importante nella Repubblica democratica del Congo. La Repubblica democratica del Congo, ex Congo belga, è uno Stato con una popolazione di quasi 100.000.000 di abitanti e il Nord-Kivu è una delle sue 26 provincie, con un’estensione pari a un quinto dell’Italia e circa 7.000.000 di abitanti, nel cui sottosuolo si trova la più alta concentrazione di Coltan (la miscela di due minerali fondamentale per la produzione di computer e cellulari) del pianeta Terra. Si tratta di una terra martoriata da guerre e in cui il 22 febbraio 2021 fu ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, l’autista Mustapha Milambo e il Carabiniere di scorta Vittorio Attanasio, originario di Sonnino. A parlare di questa difficilissima e poco nota situazione sarà don Giovanni Piumatti, un sacerdote di 84 anni che è vissuto in quella regione per più di 50 anni lottando insieme alla popolazione più umile per un futuro di pace e dignità.

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