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Si chiude domenica prossima la pre-stagione teatrale organizzata dall’associazione culturale “La Macchia” di Sezze. “Punti di vista”, questo il titolo dell’iniziativa, ha portato davanti al palco del cineteatro “Evado” realizzato nella sede di via Melogrosso centinaia di spettatori, con i primi tre spettacoli andati in scena. E adesso si chiuderà in bellezza, con lo spettacolo “Lei. Lui. Loro”, diretto da Simone Finotti, con protagonisti Samantha Centra e Pierluigi Polisena. Lo spettacolo mette a nudo i problemi di una  coppia giovane e piena di sogni come mai nessuno aveva osato fare. Sul palco un uomo e una donna, soffocati da una maschera che devono tenere per non fare i conti con le scelte fatte e con un passato che più volte durante lo spettacolo torna a bussare nei cuori dei protagonisti. Un uomo e una donna catapultati in un presente insostenibile, che li porta ad un’inevitabile rottura, senza filtri, capaci di ferirsi in modo disumano. “Lei. Lui. Loro” è la storia d'amore di una coppia moderna dilaniata dal rimpianto per non aver ascoltato e capito, e dal rimorso per non aver parlato. Le problematiche dei due personaggi si avvicendano e si scontrano spesso. Il linguaggio utilizzato e i tempi teatrali sono tutti appartenenti ad uno stile che in Italia è ancora in via sperimentale. Una dark-comedy a tutti gli effetti. La storia si sviluppa in un unico ambiente. Lo spazio è parte integrante della storia, muta, si trasforma all’inizio quasi impercettibilmente. Poi cambia, proprio come cambia lo stato psicologico degli attori. Una storia sopra le righe con all'interno più colpi di scena e un effetto sorpresa che renderà ancor più sconvolgente la storia. Il sipario si alzerà alle 17:30 di domenica 8 maggio e per prenotarsi occorrerà, come sempre accade per le iniziative organizzate dall’associazione “La Macchia”, accedere all’app https://macchiaeventi.prenotime.it/.

 

 

Nuova diatriba tra Comune di Sezze e Conservatorio Corradini. Quest'ultimo tramite il suo legale rappresentante, il presidente del CDA Ernesto Di Pastina, ha avviato una procedura di mediazione nei confronti del Comune di Sezze, con richiesta di risarcimento per “occupazione senza titolo del terreno in località Sezze scalo, in catasto terreni al foglio 33, p.lla 10, di proprietà del Conservatorio Corradini". Si tratta dei terreni del campo sportivo Tornesi alla Scalo dove attualmente si allena e gioca la Setina. Era già successo per i terreni di un altro campo sportivo, quello di Fontanelle, sempre rivendicato dal Conservatorio Corradini.

 

 

 

 

Chi sarà il nuovo amministratore unico della SPL Sezze? Una bella domanda. L’incarico è ormai scaduto con l’approvazione - in forte ritardo - del bilancio della municipalizzata di Sezze. L’attuale AU, l’avvocato Gian Battista Rosella, venne nominato dall’allora sindaco di Sezze Sergio Di Raimo il 25 giugno del 2018. Adesso che i conti e le scartoffie sono state certificate, si è in attesa della nomina politica del nuovo amministratore della società del Comune di Sezze. Non è detto, comunque, che venga nominato un amministratore unico; il nuovo sindaco Lidano Lucidi, infatti, potrebbe optare per una nomina allargata, nel senso che potrebbe tornare a nominare un presidente e un consiglio di amministrazione. Questa scelta potrebbe derivare dal fatto che molti dei suoi fedelissimi sono ancora in attesa di un riconoscimento per averlo sostenuto nella campagna elettorale, adesso o mai più. Sui nomi che circolano, per il momento, non facciamone una lotteria, una pesca al barattolo inutile. Anche se voci insistenti parlano di alcuni personaggi legati a filo diretto con le passate amministrazioni comunali di Andrea Campoli e Sergio Di Raimo e altre invece vicine al sindaco Lucidi, come avvocati e manager. Vedremo se questa importante nomina solchi ancora di più quel sentiero già tracciato nel passato, come avvenuto per la nomina dei componenti della Giunta, o se il primo cittadino sia intenzionato a fare uno scatto in avanti. Oggi la SPL ricopre un ruolo molto importante nella gestione diretta di diversi servizi per la comunità. In questi anni è stata una società che ha faticato molto per non fare figuracce clamorose, non è mai salita in nessun podio ed è sempre stata fanalino di coda nonostante l'impegno e il sacrificio giornaliero dei tanti operatori ecologici. 

 

 

Iniziamo a sospettare che la precarietà sia il prodotto non di una fatalità economica, identificata con la famosa mondializzazione, bensì una volontà politica. (…) La precarietà infatti s’inserisce in una modalità di dominio di nuovo genere, fondata sull’istituzione di uno stato generalizzato e permanente di insicurezza che tende a costringere i lavoratori alla sottomissione, all’accettazione dello sfruttamento. (…) Mi sembra quindi che ciò che viene presentato come un regime economico gestito dalle leggi flessibili di una sorta di natura sociale, sia in realtà un regime politico che può instaurarsi solo con la complicità attiva o passiva dei poteri specificamente politici”. (Pierre Bourdieu - Oggi la precarietà è dappertutto, in ID., Controfuochi. Argomenti per resistere all’invasione neoliberista, Milano, I libri di Reset, 1999).
 
Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso Pierre Bourdieu, sociologo tra i più importanti della seconda metà del XX secolo, fu tra i primi ad analizzare la relazione che andava sviluppandosi tra globalizzazione, precarietà lavorativa e scelte di politica economica. A distanza di oltre un ventennio l’incertezza e l’instabilità del lavoro e di conseguenza della vita delle persone sono divenute il tratto sostanziale del capitalismo globale. Sia che si tratti di piccole e medie imprese che di multinazionali, la condizione occupazionale è contraddistinta da un numero sempre più ridotto di contratti a tempo indeterminato e crescente di rapporti flessibili, forme di lavoro temporanee e precarie. Il precariato non riguarda più solo i giovani, quanti si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro, ma è una condizione che tocca tutti trasversalmenteIn un simile contesto l’idea di carriera lavorativa e professionale, caratterizzata da una formazione iniziale, un breve periodo di inserimento e infine l’ottenimento di una posizione stabile con un contratto a tempo indeterminato è divenuta irrealistica o difficilmente concretizzabile. I lavoratori sono costretti ad affrontare nella loro vita tante esperienze lavorative precarie, cui si accompagnano sentimenti di disagio e incertezza circa le proprie aspettative di realizzazione futura.
 
Il fenomeno del precariato è assai complesso ed è estremamente difficile darne una definizione in ragione delle diversità delle varie forme contrattuali esistenti, ma è comunque possibile individuare alcune caratteristiche generali che le accomunano. 
 
Insicurezza della continuità del rapporto di lavoro. È una caratteristica di tutti i lavori temporanei, autonomi - dipendenti, dell’occupazione clandestina e di tutti i contratti costantemente minacciati dal possibile mancato rinnovo. L’insicurezza rende estremamente difficile per i lavoratori esercitare il controllo sul proprio futuro professionale, personale e sociale, trovandosi al contempo in una posizione di totale vulnerabilità nei confronti del datore di lavoro.
 
Salario insufficiente o discriminante. Esiste una precarietà per la quale l’attività lavorativa non consente a chi la svolge di ottenere l’indipendenza economica e, in alcuni casi, neppure di essere riconosciuti come lavoratori. I lavori part-time e occasionali rendono i lavoratori dipendenti dalla propria famiglia di origine. Inoltre sono assai frequenti le discriminazioni salariali, l’approfittare da parte dei datori di lavoro della vulnerabilità salariale per realizzare politiche retributive differenziate.
 
Deterioramento del rapporto di lavoro, vulnerabilità dei lavoratori in termini di ore e di intensità della prestazione, promozioni, salute e sicurezza dei luoghi di lavoro. Il ripetuto mancato rispetto delle norme vigenti relative alla progressione professionale, agli scatti salariali e alle condizioni di prestazione dell’attività subordinata mette seriamente a rischio i diritti, la salute e la stessa vita dei lavoratori. Il numero elevato di incidenti nei luoghi di lavoro e le sempre più diffuse malattie professionali devono interrogare le istituzioni, i sindacati e l’opinione pubblica e spingere ad adottare misure più efficaci e controlli più stringenti.  
 
Indebolimento della protezione sociale dei lavoratori. Abbiamo assistito ad un progressivo declino della legislazione regolante le condizioni in cui viene svolta la prestazione lavorativa, al riconoscimento di una sempre più ampia discrezionalità dei datori di lavoro e non ultimo ad una riduzione significativa della copertura del regime pubblico di protezione sociale, in particolare per quanto riguarda le indennità di disoccupazione e le pensioni, che hanno l’effetto di aumentare il livello d’incertezza e vulnerabilità dei lavoratori rispetto alle forze di mercato.
 
Occorre un intervento serio e concreto per cambiare radicalmente questo binario su cui viaggia il mondo del lavoro in Italia, per invertire questa tendenza che rischia di far deragliare gli assetti complessivi della nostra società e rimettere al centro la dignità della persona.
 
La precarietà non è una fatalità economica conseguente alla mondializzazione, ma il risultato di scelte politiche che assecondano soluzioni organizzative del mondo del lavoro, creano insicurezza, costringono i lavoratori a sottostare alle imposizioni della parte economicamente più forte e all’accettazione di condizioni di vero e proprio sfruttamento. Occorre ripristinare le indispensabili tutele e ridurre drasticamente la pletora di contratti atipici. Va ristabilito il primato degli interessi generali, della tutela delle fasce più deboli mediante una nuova regolamentazione del lavoro a cominciare dal salario minimo e dalle misure di sicurezza sociali, come l’assicurazione sanitaria, le pensioni d’anzianità, i sussidi di disabilità e disoccupazione da garantire in maniera universale.
 
Il 1° Maggio è l’occasione per ridirci da dove veniamo e soprattutto dove vogliamo andare. Il lavoro ci tiene insieme, ci dà speranza e possibilità di costruire il futuro con le donne e gli uomini che, con passione e competenza, lavorano per il bene del nostro Paese, ma dobbiamo tornare ai principi e ai valori sanciti nella Costituzione della Repubblica, “fondata sul lavoro.

 

 

Ma cosa succede dentro il Partito Democratico di Sezze? Se lo chiedono gli iscritti e i simpatizzanti, considerato che dall’elezione del nuovo segretario (13 marzo) nella persona di Francesca Barbati il partito non ha mosso più alcuna pedina. Nessun confronto, nessun intervento politico, nessun dibattito e soprattutto a 45 giorni dall’elezione del segretario e del direttivo ancora non è stata partorita alcuna segreteria con nomi e responsabilità settoriali. Mentre altri movimenti civici, associazioni e liberi pensatori sono al lavoro e non perdono tempo in quisquiglie, quello che dovrebbe rappresentare il partito storico di Sezze resta al palo, in stand by, in attesa di chissà cosa. Eppure la clamorosa batosta delle amministrative aveva spinto una corrente del partito ad agire e fare presto, a non perdere altro tempo e terreno fertile. I fatti però dimostrano il contrario, e ci parlano di un partito in stasi, fermo, congelato e fuori ogni dinamica cittadina. Il rischio è che il Pd si lasci veramente dietro altro terreno, che diventi tardo e che si faccia sfuggire altro tempo. Già impalato a dinamiche che lo hanno corroso nel tempo, c’è il rischio che i dem di Sezze non vengano più riconosciuti dalla gente quale forza e organismo politico di fiducia per affrontare e cercare di risolvere le tante problematiche esistenti mentre altri scorrazzano nel campo libero. A porta vuota poi è facile fare goal... lo sanno anche i pali, appunto.  

Lunedì, 25 Aprile 2022 05:47

25 aprile. Liberati per liberare

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Il fascismo non è una opinione e non lo è nemmeno il 25 aprile.
 
La Liberazione costituisce l’atto fondativo della Repubblica Italiana, è memoria, è testimonianza, non è folklore e non sarà mai una semplice ricorrenza. 
 
La celebrazione della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista non è la festa di una vaga e generica libertà, della fine della seconda guerra mondiale in Italia, come qualcuno è arrivato a sostenere, non può assolutamente essere ingabbiata in un assurdo schema di par condicio, in un indifferentismo in cui vengono posti sullo stesso piano ragioni e sogni degli uni e degli altri, cioè di quanti si batterono per la democrazia e la libertà e di quanti invece si schierarono dalla parte della dittatura, della negazione dei diritti fondamentali e si resero complici di soprusi di ogni genere fino all’orrore dei campi di sterminio, dei partigiani e dei nazifascisti.
 
In gioco non ci sono le legittime posizioni politiche, i riferimenti e le ispirazioni culturali, ma la difesa della Repubblica, i suoi principi e valori ispiratori, antifascisti e antitotalitari, che sono le basi irrinunciabili e il collante del nostro vivere civile. 
 
Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) proclamò l’insurrezione contro gli occupanti nazisti e i fascisti repubblichini loro alleati, in cui Sandro Pertini dai microfoni di Radio Milano Liberata invitò gli italiani a sollevarsi al motto di “Arrendersi o perire”.
 
Questa è la nostra storia, una storia con la quale il nostro Paese, o comunque una parte di esso, non ha mai davvero fatto i conti fino in fondo.
 
Soprattutto la Liberazione non è semplicemente un evento che ha segnato la nostra storia e che pertanto ricordiamo, ma l’incessante presa di coscienza della necessità di incarnarne quotidianamente idealità e valori, il punto di partenza di un processo, l’inseguimento di un orizzonte ancora da raggiungere pienamente.
 
L’errore più grande è pensare che la libertà, riconquistata con la lotta al nazifascismo, sia un dato assodato e certo, quando invece necessita di essere continuamente difesa e promossa, vanno estesi sempre più i confini del suo sviluppo e combattuti tutti i tentativi di restringerne ambiti e portata, coniugando utopia e realismo politico.    
 
In questi anni la connessione sentimentale tra politica e cittadini si è interrotta per larghe fasce popolari, si sono venute affermando posizioni politiche che si fondano e alimentano il proprio consenso sull’istigazione delle pulsioni irrazionali, sul risentimento e sul rancore nei confronti del diverso. Le disuguaglianze di classe, di genere o basate su concezioni razziste non sono certo al centro dell’organizzazione sociale e politica e non sono alimentate, esplicitate, legalizzate come ai tempi del fascismo. Tuttavia esse vengono continuamente innervate nel corpo vivo della società attraverso una propaganda qualunquista, disegnano rapporti di potere, definiscono diritti e circoscrivono spazi d’azione. Le lotte per la cittadinanza delle seconde e terze generazioni di migranti, il ripetersi delle violenze di genere, le discriminazioni nei confronti delle donne, la progressiva riduzione delle tutele dei lavoratori, l’aumento della povertà assoluta sono esempi emblematici di una realtà assai meno distante, rispetto a quello che crediamo, da una concezione fascista della società e autoritaria delle relazioni sociali. Il pericolo del fascismo esiste, è dietro l’angolo, non è solo uno spauracchio: i suoi semi vengono di continuo gettati e la sua mala pianta alimentata e coltivata. Occorre l’intelligenza di riconoscerlo all’opera e combatterlo in maniera forte e decisa.
 
Se Antifascismo e Resistenza, nel loro significato storicamente collocato, raccontano l’opposizione al regime formatosi e consolidatosi tra gli anni Venti e i primi anni Quaranta del ‘900 in Italia e riprodotto anche in altri paesi europei, responsabile di guerre e violenze all’esterno e repressioni e sopraffazioni all’interno, nel presente devono assumere il carattere dell’opposizione a tutte le proposte politiche e sociali che guardano con favore a quel modello.
 
La storia non si ripete mai identica, ma da essa occorre partire per interpretare il presente e costruire il futuro. Il fascismo non si ripropone oggi e non si riproporrà in futuro con le forme che abbiamo storicamente conosciuto, ma lo fa e continuerà a farlo in modo subdolo e pericoloso, corrodendo e minando dal di dentro la nostra democrazia e trovando terreno fertile in una società disorientata e piegata dalla crisi economica e dalle disuguaglianze crescenti.
 
Si tratta perciò di compiere una scelta non solo connotata in senso oppositivo a un fenomeno storicamente accaduto e definito, ma di un impegno a costruire una società diversa, aperta, solidale e inclusiva, improntata a valori radicalmente contrastanti rispetto a quelli propugnati dal regime fascista. La battaglia è contro i suoi risvolti antropologici e culturali, vale a dire una società spoliticizzata, silenziata e appiattita, discriminatoria, organizzata secondo una rigida gerarchia sociale e razziale, che tentano di inquinare ancora oggi la nostra democrazia.
 
Antifascismo e Resistenza devono essere i punti di riferimento, la stella polare che guida il nostro impegno culturale, sociale e politico, costituire l’unica strada possibile per uscire, comunitariamente, dalla crisi che affligge il nostro tempo.

 

 

Si sperava che, con la nomina  ad assessore del prof. Pietro Bernabei, in cambio delle improvvise e incomprensibili dimissioni della consorte Franca Pernarella, le cambiali elettorali del sindaco fossero state tutte estinte. Non è stato così. Il sindaco Lucidi ha voluto farci un'altra sorpresa, ha voluto regalarci un uovo di Pasqua, nominando assessore al bilancio, ai tributi e al personale il dott. Mauro Rezzini, una vecchia conoscenza, da parecchi anni addentro ai Conti del Comune di Sezze in qualità di Revisore e di membro del Collegio sindacale. Come si può immaginare, si tratta indubbiamente di due figure altamente esperte e professionali ma che non rappresentano il "nuovo" tanto sbandierato in campagna elettorale. Anzi, qualcuno maliziosamente dice che si tratta di minestra riscaldata. Ambedue, infatti, hanno ricoperto incarichi e funzioni importanti nelle passare Amministrazioni, di ben altro colore politico. Sono andate deluse, così, le promesse, sbandierate in tanti manifesti pubblicitari di voler cancellare il passato e di gettare alle ortiche il vecchio modo di amministrare: "Ora o mai più", era scritto sui manifesti delle liste civiche dell'allora candidato Lucidi. Ebbene, alla luce di queste nomine, è lecito pensare a un mea culpa o a un sofferto dietrofront dei nuovi amministratori. Non è mai troppo tardi! Una volta catapultata al Governo della città, la nuova Giunta si è resa conto della complessità della gestione della cosa pubblica e, contestualmente, della propria inadeguatezza, a tal punto di dover fare ricorso a esperti delle passate amministrazioni. Nessuno scandalo, salvo il dovere morale di dichiarare pubblicamente la propria inadeguatezza. Oppure, come seconda ipotesi, si potrebbe supporre che sia prevalsa la vecchia e consolidata logica delle spartizioni, del ricambio di favori agli amici degli amici, in barba al rinnovamento e agli elettori che, desiderosi del cambiamento, hanno votato in un certo modo. Comunque sia, è stato tradito il responso elettorale che ha  espresso la volontà di una svolta, sia nel metodo che nel merito. Sono trascorsi diversi mesi, infatti, dall'insediamento della nuova maggioranza consiliare, ma  non si è avuto il coraggio né si è minimamente tentato di coinvolgere le minoranze consiliari e la cittadinanza sulle questioni più rilevanti della città, se non post factum. Sarebbe, questa, una occasione importante per riavvicinare le istituzioni ai cittadini e per ricreare fiducia e responsabilità collettiva. Nel merito, poi, buio assoluto. Quel poco di buono che si sta vedendo è frutto e lascito della passata Amministrazione e del lavoro della Provincia e della Regione. Insomma, si naviga a vista e non si ha il coraggio di scelte di campo precise e urgenti sia a livello amministrativo che politico. Invece è questo il momento di schierarsi e di prendere posizione, altrimenti poi è troppo tardi!  

 

I consiglieri comunali di opposizione di Sezze firmano un documento di denuncia contro la decisione della ASL di lasciare il Pat aperto solo 12 ore al giorno. A nulla sono servite le battaglie di questi mesi. Armando Uscimenti, Sergio Di Raimo, Serafino Di Palma, Orlando Quattrini, Alessandro Ferrazzoli e Dorin Briciu hanno sottoscritto un documento nel quale prendono le distanze anche dai consiglieri regionali "assenti" anche su questa vicenda.

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Niente da fare: una maggioranza chiusa in se stessa che non riesce a dialogare a nessun livello. A inizio febbraio 2022 presentammo una mozione, poi votata da tutto il consiglio all'unanimità, con la quale davamo mandato al Sindaco di porre in essere tutte le azioni necessarie affinchè il PAT (Punto di assistenza territoriale) potesse tornare a operare H24 anzichè H12. A distanza di oltre due mesi,nel silenzio assoluto di questo Sindaco e di questa maggioranza,veniamo a sapere dai quotidiani locali che il PAT rimarrà aperto H12. Se quanto riportato dai media fosse vero,e non abbiamo motivo di dubitare, vogliamo esprimere tutto il nostro dissenso nei confronti della Dirigenza Asl che ritiene di portare avanti tale decisione, in netto contrasto con quanto era stato dichiarato dai precedenti organi dirigenziali che intendevano riaprire H24 non appena fosse finita l'emergenza epidemiologica. Il nostro dissenso nei confronti degli organi politici regionali che permettono di mantenere questo stato di cose;
Il nostro dissenso nei confronti di questa maggioranza che per ben due mesi,e oltre, ha mantenuto un silenzio assordante,non ha riferito sul mandato conferito ed ha permesso che del dato tratto ne venissimo a conoscenza dai giornali, oltre al fatto che era stato preso l'impegno di fare un incontro con la dirigenza Asl,alla presenza anche di Sindaci di comuni limitrofi, e anche questo non si è concretizzato. Il PAT di Sezze,come anche gli altri presenti in provincia,deve necessariamente riaprire 24 ore su 24. I politici Regionali, di qualsiasi colore politico, si facciano carico di questa necessità e creino le condizioni per una risposta concreta e immediata.

 

 

 

"Era dicembre 2019 quando l'ultima messa veniva celebrata nella piccola Chiesetta di Casalbruciato. Dopo settant'anni di storia, migliaia di Battesimi, Comunioni, Cresime, Matrimoni, Funerali, Catechismo, Azione Cattolica, due Chiese costruite interamente con il sudore ed il denaro dei fedeli, si chiudevano le porte del luogo simbolo della cristianità per un intera comunità, donata in cambio di tutte quelle funzioni che avrebbero fatto diventare buoni cristiani i figli di questo fertile luogo strappato alla palude". A distanza di quasi tre anni, dopo tantissimi e vani tentativi di mediazione per riportare le funzioni e quel ruolo di centralità sociale e spirituale che questo luogo aveva, torna a parlare della chiusura della chiesetta il consigliere comunale di FDI Orlando Quattrini, unendo le forze per tentare la riapertura con il consigliere comunale Serafino Di Palma. Nei giorni scorsi i due consiglieri comunali sempre vicini alle istanze del territorio, sono stati ricevuti dal Vicario del Vescovo della diocesi di Latina. Si è trattato di un incontro necessario spiegano i due esponenti politici "per fare chiarezza sulle effettive volontà che riguardano il futuro di Casalbruciato e della sua comunità, un futuro oggi assente che ha allontanato ragazzi e famiglie, dirottandoli in altre Chiese, creando un disagio sociale che alimenta distacchi territoriali ed identitari". "Le motivazioni ricevute dal Vicario, che ringraziamo per averci ricevuto  riguardo alla chiusura ed alla cessazione di tutte le funzioni nella piccola Chiesa a S.Lidano intitolata - spiegano Quattrini e Di Palma - sono riconducibili alla mancanza di sacerdoti che la Chiesa tutta sta attraversando, tanto da sobbarcare di lavoro i pochi sacerdoti, i quali non riuscirebbero a garantire questa doppia funzione. Prendiamo atto di tali dichiarazioni, le rispettiamo, ma non le condividiamo, non potremmo mai condividere una decisione che ha generato e continua a generare non poche sofferenze, da quella che è invece la religione della gioia. In qualità di uomini, cittadini, cristiani ed anche amministratori di questa città continueremo a batterci per il nostro territorio, le centinaia di istanze raccolte, il malcontento generale per le decisioni prese a riguardo, unite alle quasi cinquecento firme raccolte, ci spingono ad andare avanti, a continuare la nostra battaglia, non escluderemo nessuna via percorribile, che sia in grado di far tornare a brillare gli occhi di un intera comunità,  comunità che non può accettare muri perché è essa stessa capace di costruire ponti, come dimostrato in settant'anni di storia".

 

I consiglieri Quattrini e Di Palma

Domenica, 17 Aprile 2022 04:46

Secondo Ponzio Pilato

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Il sole tiepido della primavera accarezza Gerusalemme. Strade e slarghi sono animati da turisti e pellegrini. Ponzio Pilato mi ha dato appuntamento alla fortezza Antonia, i cui resti si trovano nel lato settentrionale della spianata del Tempio.   
 
La città è molto cambiata – esordisce con tono piatto vedendomi arrivare.
 
Sei stato prefetto della Palestina tantissimi anni fa – gli faccio notare.
 
Una smorfia si disegna sul suo volto. – Detestavo questa terra e i suoi abitanti -.
 
- Il tuo mandato di prefetto della Palestina durò dieci anni, mentre solitamente non andava mai oltre i tre -.
 
L’Imperatore Tiberio pensava fossi la persona giusta per governare la Palestina -.
 
Dicono che sei stato un amministratore competente, ma intransigente e spietato -.
 
Mio compito era far rispettare le leggi di Roma e la volontà dell’Imperatore – ribatte – Peraltro gli ebrei non facevano altro che lamentarsi di tutto -.
 
Avresti potuto sforzarti di capire la loro religione e le loro tradizioni -.
 
Cosa avrei dovuto capire?- sorride sarcastico.
 
La gente si lamentava delle tue continue vessazioni, delle esecuzioni di prigionieri senza condanna né processo e della tua crudeltà -.
 
Scuote la testa: – La tolleranza è segno di debolezza -.
 
La legge ebraica proibiva le rappresentazioni umane, anche quella dell’Imperatore, che si proclamava dio e così offendeva Yahweh. Tu provocavi continuamente gli ebrei, come quando ordinasti ai soldati di portare in città le insegne con l’effigie dell’imperatore e le facesti appendere sulle mura del palazzo di Erode?-.
 
Non c’era motivo di trattare gli ebrei in modo diverso rispetto a tutti gli altri popoli assoggettati a Roma. E poi a me non importava nulla della loro assurda religione -.
 
Come avvenne l’incontro con Gesù di Nazareth?-.
 
Cosa vuoi sapere esattamente?-.
 
I farisei e i capi del popolo decisero di rivolgersi a te per sbarazzarsi di lui -.
 
I suoi insegnamenti, il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, il tentativo di espellere mercanti e cambiavalute dal Tempio e tanti altri suoi gesti eclatanti avevano suscitato scalpore in città e potevano innescare una rivolta contro di loro -.
 
Si servirono di te per risolvere un loro problema dunque -.
 
In quanto rappresentante dell’Imperatore, ero l’unico legittimato a far rispettare la legge e ad imporre eventualmente la pena capitale. Le autorità ebraiche lo accusarono di aver sobillato la folla, di essersi opposto al pagamento dei tributi all’imperatore e di aver affermato di essere il Messia. Le loro diatribe religiose non mi interessavano, per me contava mantenere soltanto l’ordine nella provincia -.
 
L’impressione è che tu fossi convinto dell’innocenza di Gesù e cercasti di salvarlo -.
 
Avevo raccolto informazioni sul suo conto. Tanti lo seguivano, ma era innocuo e non mi risultava che stesse organizzando una rivolta contro Roma -.
 
Ordinasti l’arresto di Gesù,  cedendo alle loro pressioni -.
 
Cercai di evitare l’ennesimo scontro -.
 
Se il potere di decidere era solo tuo, perché spedisti Gesù da Erode con la scusa che era Galileo?-.
 
Erode era un re da burla, non contava nulla – sorride divertito – Cercavo di prendere tempo per vedere se le acque si calmavano -.
 
Processasti Gesù in modo sbrigativo, con una cognitio extra ordinem, un giudizio abbreviato che prevedeva la presentazione delle accuse, la replica dell’imputato e la sentenza immediata -.
 
Conosci bene le leggi di Roma – osserva – A me interessava evitare una rivolta e possibilmente infliggere uno smacco alle autorità ebraiche -.
 
Gli domandasti in modo beffardo se era il re dei Giudei -.
 
Quell’uomo dall’aria mite e dignitosa mi incuriosiva. Era diverso da tutti gli altri con cui avevo avuto a che fare. Si definì, re ma non di questo mondo - si ferma e poi riprende – Ricordo ancora il suo sguardo penetrante e la sua voce calma, pacata -.
 
Cosa vuoi dire?-.
 
Ebbi l’impressione che volesse rivelarmi qualcosa che andava al di là delle mie conoscenze. Comunque la sua regalità non costituiva una minaccia per Roma, non parlava e agiva contro qualcosa o qualcuno, ma si poneva al di sopra delle miserie umane, come l’amore lo è sull’odio, la libertà sulla schiavitù, la verità sulle bugie –.
 
Lo incalzasti con le domande -.
 
Volevo capire. La mia formazione culturale mi porta a respingere ciò che la ragione non riesce a dimostrare, a considerarlo superstizione, ma Gesù cercava di metterlo in discussione, mi sollecitava a compiere un passo verso qualcosa che ignoravo -.
 
- Gli domandasti cosa fosse la Verità. Era davanti a te e non la riconoscesti?-.
 
La verità. Cos’è la verità? Dovevo governare quella provincia e non avevo tempo certo di mettermi a filosofeggiare -.
 
Avevi veramente intenzione di liberare Gesù?-.
 
Mi appellai alla folla e chiedendo di scegliere tra lui e Barabba, un assassino. Preso atto che non avevo alternative, ordinai di eseguire la condanna -.
 
Prima lo facesti fustigare. Perché?-.
 
Speravo che la folla si accontentasse di quella punizione esemplare -. 
 
Ti sei sempre fatto vanto di non cedere a pressioni, ma la scelta di mettere a morte Gesù è stata tutt’altro che tua -.
 
Ho fatto la cosa più giusta nell’interesse di Roma e nel mio interesse -.
 
Mandare a morte un innocente….-.
 
Non è stato il primo e non sarà l’ultimo ad essere sacrificato -. 
 
I farisei e i capi del popolo ti chiesero di mettere sotto sorveglianza perfino il sepolcro di Gesù e tu acconsentisti -.
 
Avevano paura di lui anche da morto – scuote la  testa.
 
I discepoli credono che Gesù sia risorto. Tu che ne pensi?-.
 
Credo soltanto a quello che vedo – risponde lapidario Pilato.
 
Dicono che ti sei convertito al cristianesimo?-.
 
Sono state scritte e dette molte cose su di me – sorride.
 
Senza aggiungere altro Ponzio Pilato mi rivolge appena un cenno di saluto e si allontana con passo veloce, sparendo rapidamente dalla vista, inghiottito nel dedalo di viuzze del cuore antico di Gerusalemme.
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