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Domenica, 11 Settembre 2022 06:42

La sinistra alle elezioni

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Tu voti il 25 settembre? E per chi voti?
 
Sono le domande più ricorrenti che attraversano una larga fetta dell’elettorato, soprattutto di sinistra. Prevale disorientamento e disillusione persino tra i militanti di lungo corso.  
 
Si sente ripetere da più parti che questo passaggio elettorale è uno dei più importanti della storia repubblicana e i risultati ipotecheranno le scelte future del nostro Paese. Probabilmente è vero, ma in democrazia ogni chiamata alle urne è fondamentale, è in grado di imprimere svolte anche radicali al vivere comunitario.
 
La fine anticipata della legislatura, iniziata male e finita peggio, ha messo le destre in condizione di enorme vantaggio, perché si presentano unite, almeno apparentemente e nonostante un programma di governo obsoleto, inattuabile e scollegato dal contesto economico e sociale conseguente alla pandemia e alla crisi climatica ed energetica, acuita dalla guerra in Ucraina, ma soprattutto perché il centrosinistra si è dimostrato incapace di costruire una coalizione ampia fondata su una reale convergenza programmatica e di abbandonare inutili personalismi e ripicche personali.
 
La conseguenza è che una fetta di elettorato, profondamente insoddisfatto dell’offerta politica, soprattutto a sinistra, probabilmente non andrà alle urne, alimentando l’area dell’astensionismo che negli ultimi anni è venuto progressivamente assumendo dimensioni preoccupanti, un problema non solo italiano, ma che investe tutte le democrazie occidentali e quelle europee particolarmente.
 
La domanda, peggiore perché non retorica, è come è possibile che il campo della sinistra si sia ridotto ad un caravanserraglio tanto litigioso, in cui dominano logiche scriteriate e nessuno è disposto a far prevalere le ragioni del noi su quelle dell’io.
 
Occorre la lucidità e il coraggio di analizzare le situazioni e adottare le contromisure. Se la maggioranza dei cittadini non va a votare oppure vota la destra non è merito esclusivo della destra, quanto piuttosto dell’allentamento dei legami e in molti casi dell’abbandono del proprio popolo da parte dei partiti e movimenti democratici e progressisti. Operai, ceto medio, abitanti delle periferie avvertono come lontana dal proprio mondo, dai propri problemi e dalle proprie aspettative la proposta politica della sinistra.     
 
L’affermazione può sembrare al limite del banale ma per tornare ad essere credibile, per raccogliere consensi e vincere le elezioni, la sinistra deve tornare a fare la sinistra, riconquistando il proprio popolo di riferimento e tenendoselo stretto, prendendo atto che, a trent’anni dall’ultima ondata liberista e dalla rivoluzione digitale, quello stesso popolo, e più in generale il mondo, è profondamente cambiato. Soprattutto poi quanto avvenuto negli ultimi due anni apre scenari fino a poco tempo fa inimmaginabili.
 
È ormai convinzione diffusa e condivisa che non possiamo combattere le pandemie, l’inflazione, il cambiamento climatico, la crisi sanitaria, rinchiudendoci all’interno dei confini nazionali, come propongono più o meno esplicitamente le destre, non possiamo fare a meno dell’Europa, giustamente sospettosa dei sovranisti nostrani sino a ieri alleati di Putin. Tutto vero, tutto sacrosanto ma non basta. Se la sinistra non riparte dai cittadini, se non rimette al centro l’idea di comunità, i diritti civili e sociali, il lavoro soprattutto, che negli ultimi decenni ha subito un processo inaccettabile di precarizzazione, una riduzione spaventosa delle tutele salariali e un sostanziale ritorno a forme di sfruttamento ottocentesco, non potrà sperare di strappare consensi alle destre e vincere le elezioni.
 
Se i ceti popolari si lasciano convincere dalle parole d’ordine della destra e si schierano da quella parte è perché sono orfani di riferimenti politici e culturali forti e credibili a sinistra, se si fanno irretire dalla retorica discriminatoria e razzista alimentata dalla contrapposizione egoistica “noi / loro” con il rischio di innescare una pericolosa guerra tra poveri e più poveri, italiani / immigrati, è perché non si sentono rappresentati e tutelati dalla sinistra e non vedono alcuna possibilità di riscatto al proprio orizzonte.
 
Serve insomma una sinistra che non sia solo ceto politico che si alimenta di se stesso e si compiace per la propria bravura, ma sia capace di una progettualità radicale nei valori e innovativa nei metodi, che rimetta al centro la partecipazione dei cittadini, che si faccia prossima, casa per casa, strada per strada, quartiere per quartiere, a quanti vivono situazioni di sofferenza sociale ed economica e combatta ogni tipo di discriminazione a partire da quelle di genere.
 
Servono idee chiare sulle priorità, senza scimmiottare modelli sperimentati in altri paesi e dimostratisi ampiamente fallimentari, senza fare della cosiddetta agenda Draghi una sorte di totem intangibile e il proprio esclusivo orizzonte politico e programmatico, in quanto costituisce un compromesso tra partiti tra loro assai distanti politicamente e sicuramente non è adeguata a costruire una società autenticamente solidale ed egualitaria.  
 
Occorre proporre contenuti che sfidino lo status quo e costruiscano i necessari addentellati sociali e una idea credibile di avanzamento e di progresso.
 
In questa tornata elettorale la sinistra parte svantaggiata. Tutti i sondaggi danno ampiamente avanti le destre, ma in politica non esistono vincitori e vinti designati e preconfezionati. Il vero perdente è chi rinuncia a combattere. I voti vanno contesi e conquistati uno ad uno attraverso il confronto personale e diretto, non affidandosi unicamente ai social e ai mezzi di comunicazione.
 
In ogni caso, qualunque sarà il risultato elettorale, la sinistra ha davanti a sé il compito difficile di ricostruirsi su basi nuove e deve farlo in modo audace, osando per essere all’altezza delle sfide.  
Martedì, 06 Settembre 2022 07:07

Le truppe cammellate son finite!

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Cosa succede dentro il Pd di Sezze? Succede che il partito è in grave difficoltà e tradisce una divisione interna già evidente nell’ultimo congresso che ha eletto la nuova segretaria e il direttivo. La delusione per una linea politica scialba e incerta non arriva però dalla cosiddetta minoranza del partito ma proprio da chi ha sostenuto la mozione della segreteria. L’ultima riunione tenutasi pochi giorni fa, infatti, è stata disertata da un gruppo importante di autorevoli esponenti del direttivo che fa pensare (solo pensare) ad una presa di distanza evidente. Una sorta di sfiducia politica verso la segretaria ed il suo primo sostenitore e mentore Salvatore La Penna? Difficile dirlo ma la delusione è sicuramente tanta, i ripensamenti pure, anche perché in politica tra atteggiamenti diplomatici e posizioni ambigue la differenza c’è ed è palese. Il tirare a campare fino alle prossime scadenze elettorali è strategico solo per chi pensa di autogestire liberamente una storia politica in nome di un simbolo di appartenenza popolare. Non è così. Gli anni delle truppe cammellate son finiti e di danni ne ha fatti già abbastanza. Vedremo se passata anche questa buriana tornerà la bonaccia o se invece ci saranno conseguenze.

 

 

Alla scoperta degli extravergini e dei prodotti della Ciociaria. Organizzato dal Capol (Centro assaggiatori produzioni olivicole di Latina) in collaborazione con l'Azienda agricola Antonio Genovesi di Boville Ernica  e il patrocinio dell'Acap (Associazione Capi panel  riconosciuti) si svolgerà, sabato 10 settembre,  a Boville Ernica, in provincia di Frosinone,  “Oleario”, la rassegna degli oli del territorio. A chiudere la mattinata dell'evento, sarà l'incontro “Un filo d'olio per la nostra salute” in cui il dottor Alessandro Rossi parlerà delle proprietà degli extravergini.  Evento che invece inizierà con la visita  al Museo dell'olio e dell'olivo. Seguirà  “Assaggiatore per un giorno”, un'iniziativa in cui verranno fatti degustare e conoscere gli oli delle varietà Moraiolo, Istrana, Ascolana tenera, Nocellara, Coratina,  Marina e Ciera. In pratica, si tratterà di un confronto fra tutti questi extravergini guidato da Luigi Centauri e Giulio Scatolini, due Capi panel. Alcuni di questi oli poi verranno abbinati  ai piatti del tipico pranzo che si terrà nel ristorante “Il frantoio”. Tornando al Museo dell'olio e delle olivo si trova nel frantoio  dell'Azienda agricola di Antonio Genovesi. Si tratta di una piccola struttura in cui vine custodito  un  vecchio frantoio del 1952 e alcuni manufatti della cultura olivicola ed agricola ciociara.  Ospita anche una a biblioteca agricola, liberamente consultabile, composti di testi che vanno dai primi anni del 1900 ai nostri giorni. Il frantoio di Genovesi si trova nel centro di Boville Ernica ed è l’unico visitabile dei sei frantoi un tempo attivi all'interno del perimetro delle mura del paese. L’attuale sito è stato costruito nei primi anni cinquanta del secolo scorso da Antonio, nonno del titolare dell’Azienda, con le sue sorelle ed il fratello. Dalle ricerche nell’archivio storico della famiglia ed anche in seguito al restauro dei locali, è emerso che esso è il frutto di un ampliamento di un precedente frantoio a trazione animale, già attivo nei primi decenni del millenovecento, con macina a terra e successivamente elettrificato negli anni trenta. L’attività di molitura è stata portata avanti fino ai primi anni Novanta del secolo scorso da Arcangelo, papà del titolare e quindi sospesa. Oggi la struttura è stata totalmente recuperata attraverso un impegnativo restauro conservativo. La rassegna si concluderà con la visita guidata dall'architetto Paola D'Arpino  nel centro storico di Boville Ernica. 

Lunedì, 05 Settembre 2022 06:13

Non sparate sul Reddito di Cittadinanza

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Il Reddito di cittadinanza (RdC) è uno degli argomenti più dibattuti della campagna elettorale, talmente ideologizzato e divisivo da essere usato dalle forze politiche per dichiarare come si schierano, per lo più prescindendo da un’adeguata conoscenza dei dati empirici e dei meccanismi di funzionamento.
 
Il centrodestra nel suo programma ricorre ad una frase liquidatoria: “Sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”. La parte destruens è chiara, quella construens è lasciata all’immaginazione.
 
Il M5s, sotto il titolo Rafforzamento del Reddito di cittadinanza, si limita a scrivere: “Misure per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive. Monitoraggio delle misure antifrode”. Vengono ribadite la prevalente definizione del RdC come politica attiva del lavoro più che di contrasto alla povertà, ignorando che non sempre avere un lavoro significa uscire dall’indigenza, e l’idea che il problema nella sua attuazione, oltre alla mancanza di politiche attive, sia la tendenza all’imbroglio dei beneficiari.
 
La coalizione Italia Viva - Azione, abbandonato il vecchio progetto di Renzi di referendum abrogativo, intende proseguire nell’azione restrittiva già messa in atto dal governo Draghi e prevedere la sospensione del RdC in seguito al primo (non più al secondo) rifiuto di una proposta di lavoro, l’introduzione di una soglia massima di due anni per trovare un’occupazione, dopo di che applicare delle decurtazioni, a prescindere se sia stata o meno ricevuta una proposta di lavoro e se i beneficiari siano stati affidati ai servizi sociali comunali.
 
Il Pd e il centrosinistra propongono di eliminare la penalizzazione dei minori e delle famiglie con minori, di ridurre la durata del requisito di residenza per gli stranieri e, seguendo l’indicazione della Commissione sul lavoro povero, di introdurre, accanto al salario minimo, un’integrazione per lavoratori e lavoratrici a basso reddito, trasformando in questo senso anche il RdC, per non scoraggiare l’accettazione di una occupazione anche a tempo parziale.
 
Idee precostituite, generalizzazioni, informazioni parziali e infondate dominano il dibattito politico. L’obiettivo è orientare il voto dei cittadini con messaggi semplificati e accattivanti al di là del merito, dei contenuti e della fattibilità delle proposte.
 
Pur essendo politicamente distante dal M5s ritengo l’introduzione del Reddito di Cittadinanza, una misura invero analoga ad altre già esistenti da tempo in Europa, un passo importante per la tutela dei diritti dei cittadini. Negli anni della pandemia si è rivelato fondamentale per evitare la caduta in povertà assoluta di oltre un milione di persone e sicuramente continuerà ad esserlo nella situazione attuale di incertezza economica per la crisi energetica, la rapida crescita dell’inflazione e il perdurare della guerra tra Russia ed Ucraina. Questo non significa che non sono necessari interventi migliorativi per renderlo più equo ed efficace e chiarirne compito e funzione.
 
Nelle intenzioni del legislatore il RdC doveva essere sia una misura di contrasto alla povertà che una politica attiva del lavoro. Tuttavia, dato che come politica attiva del lavoro si rivolge solo agli indigenti, è nei fatti una misura di contrasto alla povertà. Le politiche attive del lavoro, rivolte a quanti sono considerati occupabili e vincolati a firmare un patto per il lavoro, svolgono principalmente l’attività di lotta alla povertà, tenendo conto delle specificità e creando le condizioni affinché i Centri per l’Impiego assolvano concretamente e non sporadicamente una funzione attiva per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
 
Questione assai dibattuta è se il RdC scoraggi dall’accettare un lavoro regolare e/o incentivi il lavoro nero. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), meno della metà dei fruitori, tenuti al patto per il lavoro, è definibile vicino al mercato del lavoro e spesso si tratta di persone con qualifiche molto basse. La stragrande maggioranza ha avuto esperienze lavorative in costanza di recezione del RdC, anche se non sempre come esito del patto per il lavoro sottoscritto e della presa in carico da parte di un Centro per l’Impiego. Parte rilevante dei beneficiari erano occupati al momento del riconoscimento del beneficio, ma non percepivano salari sufficienti per uscire dalla povertà, ancor più poi perché in possesso di basse qualifiche e prevalendo i contratti a termine, spesso brevissimi: quasi il 69% non superava i 3 mesi e più di 1/3 1 mese. Gli elementi acquisiti dimostrano che il RdC non disincentiva dal cercare e accettare un’occupazione, anche molto temporanea, ancor più poi che l’importo medio di cui beneficia una famiglia (non una persona sola) è di € 570,00 al mese, abbastanza poco da rendere allettante un lavoro a tempo pieno remunerato con salario legale, che garantisca un’autosufficienza accettabile sia sul piano remunerativo che su quello dell’orizzonte temporale.
 
Sui giornali, sui social e in televisione assistiamo quotidianamente al coro unanime di tanti imprenditori che lamentano la difficoltà di reperire personale per colpa del RdC, in particolare per i lavori stagionali. Hanno facile gioco ad aizzare populisticamente le folle contro gli sfaccendati che rifiutano un lavoro sicuro, ancorché stagionale, a fronte del divano di casa propria. Tuttavia sarebbe opportuno e meno demagogico sostituire all’indignazione la riflessione su cosa sia diventato o stia diventando il lavoro, con i diritti acquisiti in decenni di battaglie e oggi riportati al livello di due secoli fa, non solo per i lavoratori temporanei ingaggiati per 2 o 3 euro all’ora, ma anche per quanti sono regolarmente contrattualizzati.
 
A difendere il RdC sono oggi soprattutto la società civile organizzata, dalla Caritas ad Alleanza contro la povertà, insomma quanti si occupano concretamente di temi come indigenza e disuguaglianze. Un segnale inequivocabile ed ulteriormente preoccupante del distacco della politica, soprattutto quella che dovrebbe stare dalla parte dei più deboli.
Lunedì, 05 Settembre 2022 05:53

Una rete ospedaliera in Provincia di Latina

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Ha ragione il consigliere regionale Enrico Forte ad esprimere profonda soddisfazione per il risultato ottenuto, insieme agli altri rappresentanti pontini, per lo stanziamento delle somme necessarie alla realizzazione del Nuovo Ospedale di Latina e per l'attivazione di un nuovo modello socio-sanitario nel  territorio pontino. Nella delibera Regionale si fa riferimento, infatti, alla costruzione di un Ospedale di eccellenza nel capoluogo ma anche di una rete ospedaliera territoriale di prossimità. Gli ospedali di prossimità sono strutture intermedie che si integrano e si completano con gli ospedali. La pandemia ha messo in evidenza come ci sia urgente bisogno di un sistema socio-sanitario integrato, più vicino alla gente, più adatto ad affrontare con piccoli e medi interventi la guarigione e la cura dei malati. L'Ospedale di prossimità offre un servizio per i ricoveri brevi e destinati a pazienti che necessitano di interventi di media intensità clinica e per degenze di breve durata. Sono strutture ospedaliere in grado di ospitare fino a un massimo di 40 posti letto e che consentono una riduzione di accessi impropri alle prestazioni specialistiche e ai ricoveri di lunga durata. L'Ospedale di prossimità deve facilitare la transizione del paziente dall'ospedale al proprio domicilio, consentendo alla famiglia di stare vicino al paziente e farlo sentire a suo agio. Questa Delibera regionale andrà incontro agli Ospedali di Sezze e di Priverno che, in questo modo, potranno riacquistare una funzione strategica e prestigiosa sul territorio, con le funzioni di filtro e di complementarità con quelli di Latina e di Terracina. I due Ospedali di Sezze e Priverno hanno, perciò, urgenza di dotarsi del Pronto Soccorso h24. L'esperienza negativa dei due Ospedali Lepini, negli anni recenti, dovuta al loro ridimensionamento per esigenze di risparmio e di razionalizzazione della spesa, devono indurre tutte le persone di buon senso a una radicale revisione delle scelte compiute nel recente passato. Bisogna essere fortunati a non sentirsi male ed evitare di incappare in dolorose esperienze. Sentirsi male, venire trasportati d'urgenza al Pronto soccorso del Goretti; aspettare per giorni di essere assegnati a un reparto che è sempre strapieno; ascoltare gemiti e urla di pazienti gravi; ritrovarsi accanto a persone ferite, nude, senza alcuna protezione, uomini e donne, gli uni accanto alle altre; consumare il pranzo sopra le lenzuola in assenza dell'armadietto; trovare il bagno sempre occupato, avere speranza (inutilmente) nei bravissimi medici e nelle infermiere che lavorano senza un attimo di riposo. Sentirsi, infine, stremato e costretto a firmare l'uscita senza aver combinato niente: credetemi, è avvilente. Ecco perché questi finanziamenti regionali sono la manna dal cielo e possono servire a restituire dignità e efficienza alle Comunità locali e territoriali. Il D.L. 229/99 istituisce i PAT (Piani attività territoriali) per poter localizzare i servizi ed effettuare l'integrazione socio-sanitaria. Due cardini essenziali per l'attivazione del Distretto socio-sanitario. Non basta costruire Ospedali di eccellenza se non sono collegati con il territorio. La suddivisione del territorio in aree omogenee (Sezze e Priverno), di adeguate dimensioni, sono il presupposto per un'analisi epidemiologica della realtà ambientale, clinica e sociale, e per effettuare puntuali attività di prevenzi0one. Ora più che mai occorre il sostegno e l'intervento attivo della popolazione, dei partiti, delle Amministrazioni comunali ai rappresentanti pontini.

 

 

È una campagna elettorale a livelli infimi.
 
Il vuoto di idee e proposte di partiti e movimenti politici è compensato da macchine propagandistiche tritacarne, condito da programmi acchiappa voti, inverosimili e surreali. Tuttavia quando qualcuno comincia a indire crociate contro la devianza in tutti, a prescindere da appartenenze politiche e schieramenti, dovrebbe scattare un segnale d’allarme, soprattutto perché a ogni classificazione delle persone fa seguito inevitabilmente il putridume della proclamazione di una porzione eletta di umanità.
 
Lo insegna tragicamente la storia.
 
Veniamo ai fatti.
 
In un video postato sui social alcuni giorni fa, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, partito accreditato dai sondaggi per conquistare la maggioranza relativa alle prossime elezioni politiche, ha affermato che uno dei punti qualificanti del proprio programma di governo è la promozione dello sport tra i giovani per “combattere le droghe, le devianze e crescere generazioni di nuovi italiani sani e determinati”.
 
Affermazioni generiche certo, ma per niente tranquillizzanti.
 
Capire cosa sono le devianze che l’on. Meloni tiene tanto a combattere non è un dettaglio irrilevante. La leader di FdI si è mantenuta opportunamente sul generico, ma il suo partito ha pensato bene di spiegare il senso di quelle parole e gli obiettivi programmatici da realizzare mediante un post sui social, talmente assurdo da essere stato immediatamente rimosso.  
 
Secondo il partito di Giorgia Meloni le devianze giovanili da combattere sono “droga, tabagismo, ludopatia, autolesionismo, obesità, anoressia, bullismo, baby gang, hikikomori”. Un miscuglio di fenomeni molto diversi tra loro, tanto che raggrupparli genera inevitabilmente una confusione concettuale che facilita ogni possibile manipolazione del discorso e in cui all’approssimazione si accompagna il rigurgito di una cultura politica e di una visione sociale che credevamo essere stata unanimemente condannata e definitivamente consegnata alla storia, una pagina buia da non ripetere più in futuro.
 
Per Fratelli d’Italia obesità, anoressia e autolesionismo sarebbero devianze da combattere e non patologie complesse, che peraltro possono riguardare non solo i giovani ma anche gli adulti e per cui è necessario l’intervento di specialisti che possano aiutarli a uscirne attraverso adeguate terapie mediche e psicologiche. È stupefacente (sic) che l’on. Meloni e il gruppo dirigente del suo partito possano credere che si sceglie di essere obesi o anoressici, di avere comportamenti autolesionistici per gioco e di scivolare in forti dipendenze da abuso di sostanze per divertimento. Non è necessario essere luminari della scienza per comprendere che alcune di quelle che Fratelli d’Italia considera devianze altro non sono che condizioni di fragilità e patologie, necessitanti cure specialistiche, strutture all’avanguardia, personale formato e non ultimo un aumento della spesa sanitaria nazionale per poter far funzionare al meglio il sistema, per prevenire e recuperare. La generica promozione dello sport e degli stili di vita sani o il ricorrere a sanzioni, disapprovazione, condanna e discriminazioni, funzionali ai comportamenti che violano le norme di una collettività, non servono a nulla.
 
Non me ne vogliano sostenitori e militanti del partito di Giorgia Meloni, ma la questione non è di simpatia politica. Infatti queste parole tradiscono una mancanza di comprensione alla radice di fenomeni sociali e sanitari, una visione ancorata a ragionamenti semplicistici del tipo “sei obeso perché mangi, basta che ti metti a dieta”, discorsi insomma da bar, che non ci si aspetterebbe da politici che si candidano alla guida del Paese. Senza contare poi che in questo elenco superficiale e rabberciato di devianze è dissimulata la volontà di separare modi d’essere giudicati malati, dalla parte presunta sana della popolazione.
 
Riguardo i giovani poi ne emerge una visione distorta. Sono considerati disadattati in balia di devianze che volutamente scelgono di seguire e al contempo manca una riflessione minima e un ragionamento strutturato sul tipo di società che la politica ha contribuito a costruire e consegnare ai giovani, i quali si trovano a sopravvivere barcamenandosi tra un lavoro precario e l’altro, senza la possibilità di costruirsi un futuro solido, come invece è avvenuto per i propri padri e nonni. Insomma i giovani di oggi sarebbero ragazzi senza spina dorsale, da rieducare a suon di costrizioni, sanzioni e metodi militareschi, privandoli della possibilità di crescere e scegliere. 
 
Il “diritto allo sport” aiuta a sanare le problematiche giovanili? Gli effetti positivi dell’attività sportiva su stress e depressione sono noti, fa bene anche alla mente, ma non possiamo considerarla la panacea di tutti i mali. Non basta far correre e sudare gli adolescenti, imporre un rigido programma di allenamento. Piuttosto serve farli destinatari di attenzione e cura, mettere a loro disposizione gli strumenti per una crescita completa e una maturazione equilibrata, partendo dalla valorizzazione di capacità e talenti, non tralasciando le espressioni culturali ed artistiche, a cui nella proposta di Fratelli d’Italia non si fa alcun riferimento.
 
Racchiudere in un unico calderone disturbi alimentari, microcriminalità, dipendenze e malattie mentali, chiamandole genericamente devianze è poi assolutamente sbagliato. Tante condizioni di malessere spesso nascono da traumi, abusi, soprusi culturali e non. Bisogna occuparsi delle cause che determinano la sofferenza delle persone, anziché considerare i loro problemi come cose di poco conto e risolvere le loro fragilità occupando le loro giornate con qualcosa di concreto.
 
Viviamo in un tempo in cui il futuro da promessa si è fatto minaccia, in cui il cambiamento climatico, i conflitti internazionali, le discriminazioni delle minoranze e un sistema economico insostenibile stoppano sul nascere ogni possibile sogno dei più giovani e certa politica si limita alle parole d’ordine, si attarda su visioni stereotipate e antiquate.

 

 

I fichi sono un frutto davvero prezioso della nostra tradizione contadina. Allietano la tavola con la loro inconfondibile dolcezza, si trovano  con facilità  tra agosto -settembre e secondo le annate persino ad ottobre avanzato.

Tra giugno e luglio maturano i cosiddetti fioroni,  prodotti da piante bifere ( che fruttificano due volte l’anno) ma la loro quantità negli ultimi tempi è molto limitata. Secondo i nutrizionisti, i fichi sono ricchi di potassio, ferro e calcio, oltre che di vitamine B6,vitamine del gruppo A, B1, B2, PP, C. – Possiedono proprietà  lassative, energizzanti ed infiammatorie, fanno bene alla pelle, alle ossa e ai denti, quindi non andate a comprare vitamine di sintesi (salvo casi eccezionali) ma nutritevi di frutta fresca di stagione che è molto più salutare.

A Sezze e nei Lepini, nel giardino di ogni casa, laddove è possibile, è sempre esistita almeno una pianta di fico, le varietà sono davvero molte e costituiscono un inno alla biodiversità del nostro territorio, immutata da secoli perché i fichi hanno una vita che può arrivare agli ottanta anni e oltre. E’ da segnalare però che negli ultimi tempi, il temibile punteruolo del fico, di importazione asiatica, sta facendo stragi di alberi in quasi tutti i Lepini, oltre che nel resto d’Italia. Un po come il punteruolo delle palme.

Le ficora nane, così chiamate per il portamento contenuto della pianta,non certo per i frutti, sono le più precoci tra le varietà a buccia verde a giungere a maturazione. Maturano prima delle ficora S. Giovanni (24 giugno) e di quelle a buccia nera dette di San Pietro (29 giugno).

Le ficora monache si distinguono dalle nane per il portamento più alto della pianta e per la buccia di colore verde chiaro. Sono anche chiamate in gergo bianche oppure lazze, come si dice che fossero le monache di clausura dell’ex convento di Santa Chiara.

Tutte queste varietà sono bifere e danno un secondo raccolto a Settembre, ma in questo mese i frutti si presentano di pezzatura mediamente più piccola, quindi molto adatti alla produzione di fichi secchi, come  altre varietà tipiche di fine agosto –settembre, ovvero le Verdesche, le Sauci e le Figoronghia.Queste ultime sono così chiamata per i numerosi frutti grandi quanto un’unghia del pollice della mano.

Sui singoli alberi è possibile innestare e diversificare più varietà di fichi, anche secondo una scala di precocità: una pratica assai usata in passato, soprattutto nel territorio superiore di Suso, quando si disponeva di poco spazio e si desiderava godere per un periodo più lungo di questi dolci e deliziosi frutti.

 

 

 

“Rispetto la decisione della maggioranza, non sono contrario alla procedura di riequilibrio in se, ma conoscendone le conseguenze sono contrario ad attuarla senza aver provato a esperire tutte le procedure ordinarie”. Esordisce così l’ex sindaco di Sezze Sergio Di Raimo in merito alla decisione dell’attuale amministrazione comunale di ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio. Di Raimo, amministratore navigato e commercialista di professione, intravede nella scelta del sindaco Lucidi un percorso insidioso e pieno di ostacoli con gravi ripercussioni nei servizi alla persona che il Comune di Sezze da decenni continua a sostenere nonostante le difficoltà, sulle tasse comunali e sull’economia della città. “L' abilità starebbe nel risolvere pian piano tutte le criticità  - aggiunge il consigliere comunale del Pd - senza ricorrere a procedure straordinarie, se non come ultima spiaggia ,senza pesanti contraccolpi per la cittadinanza, facendo scelte di bilancio coraggiose e assumendosi la responsabilità delle scelte fatte. Tutte le amministrazioni precedenti hanno dovuto combattere con una situazione finanziaria difficile che, per lo più, deriva  - ci tiene a sottolineare Di Raimo - dai mancati incassi di tributi comunali. D'altronde è ciò che hanno voluto (forse involontariamente ) i nostri Parlamentari e Ministri nel momento in cui, diversi anni fa, hanno deciso di ridurre, gradualmente, i trasferimenti statali costringendo i comuni a gestire con le entrate derivanti dai tributi locali che sono stati e saranno sempre  difficili ad incassare”. Sergio Di Raimo esperto del settore spera che non ci siano intoppi ma sarà inevitabile un taglio a servizi e molto probabilmente all’occupazione, a partire dai lavoratori della SPL Sezze. “Spero vivamente che tutto fili liscio, ma la strada è pericolosa e piena di insidi. Verrà imposta una riduzione significativa delle spese correnti e un aumento significativo delle entrate correnti: inevitabilmente ci saranno aumenti di tasse e tariffe, riduzione di servizi, tariffe da pagare per servizi che fino ad oggi sono stati erogati gratuitamente, e forti contraccolpi si potrebbero avere nei confronti della società partecipata ( SPL SEZZE SPA ), che come il comune non gode di buona salute finanziaria,  con il rischio che potrebbe perdere alcuni servizi attualmente gestiti, come la raccolta rifiuti e il trasporto scolastico, se non addirittura ritrovarsi in liquidazione con perdita di posti di lavoro”. A margine dell’intervento l’ex sindaco ribadisce ancora una volta un concetto che a più riprese l’attuale maggioranza ha trasmesso alla città eludendo la verità. “Come detto in altre occasioni – chiarisce Di Raimo -  questa situazione di criticità non è la conseguenza  di gestioni amministrative scellerate o inadeguate, ma la conseguenza di evasioni e morosità nel pagamento dei tributi locali che dovrebbero rappresentare la maggiore fonte di entrata. Per quanto riguarda, nello specifico, le diverse voci che compongono la massa passiva, mentre alcune sarebbero state inevitabili per chiunque, altre possono essere accostate a un nome e cognome”.

 

 

"Sindaco Lucidi, il tuo, cos'è, un riequilibrio di bilancio o una "captatio benevolentiae"?". La domanda la pone Luigi Gioacchini del Movimento Libero di Iniziativa Sociale. Nel suo intervento ritorna sull'annosa vicenda dell'Anfiteatro di Sezze, ormai luogo di degrado e sinonimo di spreco di soldi pubblici. "Restando solo a ciò che riguarda l'Ecomostro, con il suo milione e mezzo circa di euro che il Comune di Sezze intenderebbe pagare alla Regione Lazio con i soldi dei sezzesi, già infinitamente vittime innocenti di questa "storiaccia" perpetrata sulla loro pelle, un equivoco balza agli occhi: la Regione Lazio, non molto tempo fa, e solo grazie a noi il "misfatto" fu sventato, aveva deciso, "motu proprio", stabilendo financo il prezzo, di vendere il sito dell'Anfiteatro. Una somma cospicua, che non avrebbe certo devoluta al Comune di Sezze ma, come risulta anche dagli atti, sarebbe stata intascata dalla Regione. E fin qui ci siamo. La Regione Lazio, infatti, era entrata in possesso del sito, che già portava evidenti i danni che gli erano stati inflitti e intendeva disfarsene. Perché, sempre la Regione, non rifiutò questa acquisizione decisamente anomala a causa della controversia con la CE, che era già in itinere, facendo rilevare il grave equivoco esistente? Poteva benissimo opporsi a tale acquisizione ma preferì, per motivi che possiamo solo immaginare, desistere dall'intento. Questo contenzioso, che non può non investire direttamente la Corte dei Conti, ma che si vorrebbe proditoriamente far ricadere sulle spalle dei sezzesi, a parte i comportamenti omissivi che potrebbero aver occultata questa verità, è un contenzioso che non riguarda il Comune di Sezze ma la CE e la Regione Lazio. Perché, stando così le cose, dopo aver ricevuta la fiducia dei sezzesi adesso, il loro sindaco, intende porre in essere una decisione che fortemente li danneggia e che li obbliga a pagare danni dei quali, al contrario, sono parte lesa e dovrebbero essere risarciti?
E torniamo al titolo: Riequilibrio di bilancio, oppure captatio benevolentiae?"

 

 

Sono scelte politiche e ogni scelta va rispettata, così come ogni scelta però comporta delle responsabilità a cui non ci si può tirare indietro. Martedì scorso la maggioranza che sostiene il sindaco di Sezze Lidano Lucidi ha deciso di portare in aula e approvare (con 9 voti) la procedura di riequilibrio di bilancio. Per 15 anni questa amministrazione comunale proverà a ripianare un debito stimato in 8 milioni di euro, per buona parte derivanti dal mancato incasso dei tributi locali. Per 15 anni dunque Sezze starà a stecchetto. Cosa significa? Significa che ci sono esercenti commerciali, attività di ogni tipo e molti cittadini che non pagano le tasse da anni e ce ne sono altrettanti che sono invisibili ai registri comunali. Nonostante le azioni messe in atto anche in passato l'evasione è aumentata ed il debito adesso è spaventoso. Per tali ragioni il Comune di Sezze ha deciso di “farsi assistere” dalla sezione regionale della Corte dei conti e dal Ministero dell'interno attraverso il piano di riequilibrio che dovrebbe evitare il dissesto. Più comunemente infatti questa procedura viene definita pre-dissesto, proprio perché si considerano gravissime le condizioni economiche dell’Ente al punto che la coperta già corta è stata del tutto tolta. L’amministrazione comunale ha deciso quindi di tenere in considerazione tutte quelle misure correttive per sanare una situazione di grave criticità economica e finanziaria evitando categoricamente impegni di spesa non prioritari e non urgenti nei capitoli di bilancio. La gestione finanziaria dell’Ente dunque resta sotto l’ala protettrice  della Corte dei Conti e del Ministero dell’Interno. Detto diversamente la manovrabilità delle casse comunali sarà strettamente controllata da organi superiori. Saranno sicuramente anni di magra, l’amministrazione comunale non avrà pieni poteri sul piano economico e per fare qualcosa dovrà percorrere altre strade e trovare altre forze da mettere in campo per qualsiasi azione amministrative e/o iniziative di ogni tipo. Ripeto… è una scelta politica che va rispettata sperando però che non sia solo uno specchietto per le allodole…

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