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"Confesso che difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo. Mi torneranno inevitabilmente alla memoria le mille manifestazioni a cui ho partecipato con tanta passione. Senza mai prendere ordini da alcuno. Al famoso “Siate folli, siate affamati”, di Steve Jobs, io vorrei aggiungere “siate liberi”. Perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano." Mentre la Meloni pronunciava queste parole alla Camera per la fiducia al suo Governo, alla Sapienza la polizia in tenuta antisommossa manganellava gli studenti che manifestavano contro la conferenza di Capezzone e Roscani di Fratelli d'Italia. Un tempismo surreale che sottolinea la distanza siderale tra parole vuote e realtà dei fatti. I ragazzi hanno provato ad entrare nella facoltà CHIUSA per l'evento, e a proteggerne l'ingresso le forze dell'ordine che li hanno respinti con violenza. "Fuori i fascisti dalla Sapienza. Antifascismo è anticapitalismo." Con questo coro e con questi slogan i ragazzi volevano entrare nella LORO università ma è stato, appunto, impedito loro. Dopo gli scontri, un corteo spontaneo ha portato più di 2000 ragazzi sotto il rettorato per chiedere le dimissioni della rettore Polimeni che a detta dei ragazzi che manifestavano ha sempre tollerato la presenza di organizzazioni studentesche di estrema destra. E non è neanche cominciato il peggior governo di sempre.

Sinistra Italiana Sezze in collaborazione con Segreteria Regionale Lazio

Domenica, 30 Ottobre 2022 06:31

Nostalgia. In bilico tra dannazione e redenzione

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Nostalgia, il film di Mario Martone, ispirato all’omonimo romanzo di Ermanno Rea, è un ritratto sottile ed agrodolce di Napoli.
 
Pierfrancesco Favino veste i panni di Felice Lasco, un uomo che per quarant’anni è rimasto lontano dal Rione Sanità della città partenopea. Quindicenne è andato via da Napoli, è vissuto ed ha lavorato in numerosi paesi del Medio Oriente ed infine è approdato a Il Cairo, dove è divenuto un affermato imprenditore. Dei popoli tra cui è vissuto ha assimilato lo stile di vita al punto da quasi dimenticare l’italiano e da convertirsi alla fede islamica. La ragione di questa lunga separazione sarà svelata attraverso dei flashback, sequenze che intersecano la narrazione del presente, si caratterizzano per l’uso di un filtro color seppia e un formato visivo quadrato, che ritagliano gli avvenimenti passati come fossero attimi persi nel tempo e si chiudono rapidamente e senza soluzione di continuità con il racconto principale. È una scelta tecnica che riproduce perfettamente il meccanismo della memoria.
 
Dopo tanti anni Felice sente il richiamo primordiale e profondo della sua città, prende un aereo e vi fa ritorno. Vuole passare del tempo con l’anziana madre malata. Gli incontri madre / figlio sono momenti emozionanti, grazie anche alla delicatezza di Aurora Quattrocchi che la interpreta. Una delle scene più forti e significanti è quando Felice le fa il bagno in una stanza spoglia, mentre lei piange in silenzio. La riconnessione sentimentale e umana, il prendersi cura della madre sono l’occasione per ritrovare se stesso, riconciliarsi con la realtà e riscoprire i luoghi del suo vissuto. 
 
Inizialmente scettico, si lascia catturare dalla nostalgia dei tempi andati al punto che decide di restare, di affrontare un cambio radicale, di sacrificare se stesso e quanto ha costruito altrove. Si lascia assorbire dalle strade affollate di Napoli e dal confronto con tante vecchie conoscenze. Il regista realizza sequenze di grande intensità, ci fa immergere con una dinamica e intensa passeggiata nei vicoli della città dal punto di vista di Felice, il quale ad ogni passo, come uno spettatore occasionale o un comune visitatore, ci guida alla contemplazione della sua bellezza. Tuttavia ci propone una Napoli assai diversa dal solito, spettrale ed evanescente, bella ma sospesa in un limbo che trasmette la sensazione che nessuna trasformazione o progresso è possibile. La città traluce ad ogni passo gli spettri del passato, che la abitano e convivono con gli abitanti attuali, si svela come un crocevia straordinario in cui le tradizioni secolari non muoiono mai, passato e presente si fondono, sono la stessa cosa. Tutto è velato da una intensa malinconia, che rivela in modo autentico le intime antinomie che permeano Napoli, dove convivono santità e delinquenza, povertà e nobiltà, incubi e rinascite, forza vitale e desiderio di morte, in cui i palazzi sono spesso carcasse decrepite in cui le famiglie vivono ammassate in piccoli e sporchi appartamenti. In questo viaggio nelle sue viscere più nascoste Napoli si presenta come un luogo impossibile da lasciare: il corpo può abbandonarla, ma la potenza dello spirito che la vivifica riuscirà sempre e comunque a riportare indietro quanti da essa si separano, si riprende, prima o poi, le persone perse.
 
La riscoperta di Felice riguarda non solo i luoghi, ma soprattutto i ricordi più remoti, rivissuti nel fluire della quotidianità, nel turbinio di colori e odori che pervadono la città, nel riaffiorare prepotente dei sentimenti, nella necessità di fare i conti con il proprio vissuto, che prepotente tenta di fagocitare il presente. Questo processo di ricostruzione per Felice non è solo un viaggio piacevole, un rammentare eventi spensierati, ma un confronto duro con tratti maledetti, con reminescenze terribili e indicibili, a lungo intenzionalmente cancellate o tenute prigioniere nei meandri remoti della coscienza. Il suo passato è oscuro, pieno di demoni, tra i quali il principale è Oreste Spasiano, il suo migliore amico dei tempi dell’adolescenza selvaggia. Felice ha cambiato vita, è fuggito da quella realtà, mentre Spasiano è diventato un boss della camorra, temuto nel quartiere e soprannominato O malommo. La memoria, necessaria e terribile, gli impone il confronto duro e ineludibile con il passato, gli restituisce il senso di sé, gli permette di elevarsi, di alimentarsi della relazione con luoghi, costumi e abitudini che sono parte della sua sfera più inconscia e impressi nella sua interiorità.
 
Attraverso un montaggio serrato, Mario Martone dipinge con pennellate intense e con sfumature niente affatto banali i vari personaggi che accompagnano il protagonista, che pur non avendo la consistenza narrativa di Felice, la sua personalità intrigante e traboccante un’aura di mistero, hanno un ruolo essenziale nel film. In particolare Oreste Spasiano è la sua nemesi più oscura e al contempo la forza incontenibile che lo spinge a riscoprire il proprio passato e Don Luigi, sacerdote del Rione Sanità, uomo di Dio combattivo, che tenta di contrastare la camorra nel quartiere, creando opportunità per i giovani e arrivando a trasformare la sacrestia della chiesa in una palestra, è il suo principale alleato nel personale percorso di riscatto.
 
Nostalgia è la parabola di un uomo e di una città in bilico tra redenzione e dannazione, in cui i concetti di ricordo e malinconia sono ribaltati rispetto al sentire comune. Il ritornare al passato, utile per riscoprire se stessi, può essere pericoloso, può diventare un’ossessione, trasformarsi in un ode alla voracità del tempo trascorso.
 
Mario Martone ci racconta una storia che fin dall’inizio sembra già scritta, ma che la sua abile regia e la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino riescono a rendere coinvolgente ed emozionante dalla prima all’ultima scena.
 
 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo un documento del Partito Democratico a firma di Francesca Barbati – Segretaria del Partito Democratico di Sezze e Luigi De Angelis – Presidente del Partito Democratico di Sezze

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La sconfitta del Partito Democratico alle elezioni amministrative dell’ottobre del 2021 e alle elezioni politiche dello scorso 25 settembre 2022, ci mette di fronte alla necessità di intraprendere un percorso di rifondazione della nostra comunità politica, una sua profonda e radicale rigenerazione che deve necessariamente investire contenuti, metodi, organizzazione e rappresentanza della classe politica. Sono state sconfitte profonde, che fanno male. Abbiamo commesso errori e tanti sono stati i limiti del nostro operato. Non abbiamo compreso fino in fondo le fratture determinate dal susseguirsi delle crisi economica, sanitaria e ambientale, l’ansia e lo spaesamento di tanti nostri concittadini. Tuttavia abbiamo compreso la lezione ed è tempo di cambiare. Vogliamo costruire un nuovo Partito democratico, affrontando finalmente il nodo della nostra identità, riconnetterci sentimentalmente e politicamente con il nostro popolo, porci la questione sociale, delle nuove generazioni, di quella parte del paese che abbiamo perso per strada, farci interpreti nella società e nelle istituzioni della domanda di rappresentanza delle fasce più deboli e svantaggiate, dei nuovi poveri, dei lavoratori, del il mondo produttivo, professionale e dell’innovazione sociale e tecnologica, ripartendo dalla piattaforma valoriale ed ideale che costituisce la nostra essenza profonda ed elaborando insieme un programma culturalmente e socialmente avanzato e condiviso. Esiste uno spazio politico che chiede libertà e giustizia sociale, in cui diritti civili e sociali camminino di pari passo, lo spazio di un partito progressista e di sinistra che ha le sue radici nelle grandi culture riformiste ed è chiamato ad elaborare un nuovo modello di sviluppo che metta al centro la persona, i suoi diritti e i suoi doveri verso la comunità. “Ripartiamo dalle basi” non è stato semplicemente uno slogan utilizzato per lanciare l’assemblea pubblica dello scorso 24 ottobre, ma la cifra ideale e concreta su cui rifondare il Partito Democratico di Sezze. Vogliamo raccogliere e mettere a frutto le sollecitazioni e le domande emerse dai tanti cittadini che hanno partecipato e trasformarle in un progetto concreto. Nella nostra città c’è una domanda di partecipazione che va ascoltata e raccolta e per questo proseguiremo lungo la strada del confronto aperto e libero con i cittadini, con le categorie sociali, le associazioni, i sindacati e il terzo settore su temi specifici sia di portata nazionale che locale. In questo momento è quanto mai essenziale chiamare iscritti e simpatizzanti a dare il proprio contributo di idee e impegno per rifondare il nostro partito, restituendo rappresentanza negli organi direttivi alle diverse categorie sociali, produttive e ai territori. A tal proposito è necessario ricostruire la rappresentanza territoriale del Partito Democratico, quartiere per quartiere, promuovendo assemblee pubbliche e occasioni di incontro, dare vita ad una rete di partecipazione, di ascolto dei cittadini, di discussione e di elaborazione di proposte politiche e programmatiche. Non dobbiamo assolutamente trascurare i social, i quali possono rappresentare uno strumento straordinario per la partecipazione, soprattutto dei giovani, attivando blog e piattaforme online che consentano il confronto e lo scambio di idee e proposte. Crediamo sia fondamentale costruire un percorso strutturato per la formazione alla politica, indispensabile fucina per far crescere una nuova classe dirigente preparata politicamente e amministrativamente. Il congresso che celebreremo deve essere insomma il momento conclusivo di un processo complesso di rifondazione e rigenerazione. È un lavoro enorme quello che ci aspetta, che richiede la disponibilità e la generosità di tutti, ma non abbiamo alternative. Per questo chiediamo a tutti i cittadini di partecipare attivamente per ridare speranza e futuro alla sinistra democratica e progressista della nostra città. Abbiamo bisogno di tutti, nessuno escluso.

 

 

 

 

Proseguono ininterrotte le azioni dell’amministrazione comunale di Sezze volte a combattere il fenomeno dell’abbandono indiscriminato di rifiuti, con particolare riguardo a quelli speciali che molto spesso, troppo spesso, vengono gettati nelle zone di periferia del territorio setino. L’ultimo dei casi nei quali è stata provvidenziale la scelta di dotare il territorio di fototrappole è avvenuto nella zona di via del Murillo, a pochi passi da dove sorge l’ex stabilimento “Cirio”, dove due soggetti, uno dei quali titolare di un’impresa edile, sono stati ‘pizzicati’ a gettare materiali di scarto da lavorazioni della loro ditta.

A parlarne è stato il sindaco di Sezze, Lidano Lucidi, che ha accolto positivamente questa operazione messa in atto dalla Polizia Locale di Sezze: “Su questo specifico fronte bisogna sempre tenere alta l’attenzione. Quello della presenza di discariche abusive è purtroppo un fenomeno da combattere con tutti i mezzi e le difficoltà derivano dall’estensione del territorio comunale che rende tutto più complicato. In questa situazione, non posso che congratularmi con la nostra Polizia Locale, che ha già elevato diverse sanzioni negli ultimi mesi. Cerchiamo con tutti i modi consentiti dalla legge – ha concluso il primo cittadino – di arginare questo fenomeno mettendo in campo azioni mirate e proseguendo su questa strada. Nuove fototrappole sono state già installate nelle zone della vecchia 156 dei Monti Lepini, ma anche in via Sandalara e in alcune aree della Conca di Suso, tra le quali via Carizia. Altre, invece, sono previste in altre zone del territorio e l’obiettivo è quello di scongiurare evidenti problemi di carattere ambientale”.

Domenica, 23 Ottobre 2022 05:51

Suicidi in carcere. Un dramma ignorato

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Ogni tanto una storia riesce a infrangere la cortina di silenzio e indifferenza che circonda i 55 mila detenuti delle sovraffollate carceri italiane e ci mette di fronte ad una realtà dura e drammatica.
 
L’ultima volta in cui i media hanno mostrato interesse per il mondo carcerario è stato in occasione della triste fine di Donatella Hodo, suicidatasi nella notte tra il 1 e il 2 agosto inalando del gas dal fornello della cella, nel carcere veronese di Montorio, dove era reclusa per alcuni furti, commessi in negozi per procurarsi la droga. Ad accendere i riflettori sulla vicenda è stata la lettera aperta del Giudice di Sorveglianza Vincenzo Semeraro, letta durante il funerale, nella quale il magistrato tra l’altro scriveva: “Ogni volta che una persona detenuta si toglie la vita significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito”.
 
Impastando diritto, rispetto delle istituzioni e un profondo senso di umanità Vincenzo Semeraro ha restituito dignità ad una funzione importantissima, circondata purtroppo da diffidenza, paura e sfiducia, spesso strumentalizzata politicamente, puntando il dito innanzitutto su se stesso, incolpandosi con coraggio e umiltà di un fallimento che prima che personale è dell’intero sistema per il fatto di non garantire il rispetto dell’art. 27 della Costituzione della Repubblica: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un principio proclamato solennemente ma di fatto impossibile da rispettare, nonostante l’impegno di tanti magistrati e operatori carcerari, in un sistema in cui le strutture detentive non solo non sono a misura di persona, ma rappresentano spesso un incubatore di criminalità. È urgente una riforma culturalmente in linea con la Costituzione per trasformarle in un circuito di ri-educazione e realizzazione di se stessi, una sorta di compendio umano finalizzato a riequilibrare e incoraggiare il reo alla scelta ed alla costruzione non di una vita nuova, ma finalmente consapevole di sé e della misura delle proprie paure e ambizioni. Il carcere deve ritrovare o, meglio, trovare per la prima volta, la sua priorità istituzionale attraverso progetti portati avanti da personale sanitario, educativo, pedagogico, psicologico e sociale qualificato, puntare alla formazione professionale e lavorativa e alla creazione delle condizioni per la ricostruzione di una sana relazionalità. I malati psichiatrici, i tossicodipendenti, le persone affette da malattie degenerative e invalidanti vanno gestite in centri specializzati e vanno applicate pene alternative. I casi in cui i detenuti peggiorano la propria condizione, la dignità dei malati viene calpestata sono troppi e il numero dei suicidi in carcere ha dimensioni spaventose.
 
Donatella aveva un problema di tossicodipendenza, condizione che è giusto definire non reato ma sintomo di una sofferenza, un grido di dolore e inadeguatezza, non da sanzionare ma da curare con il sostegno psicologico, pedagogico, riabilitativo e psicoanalitico. Se a ventisette anni solo con la droga Donatella riusciva a sopportare il male di vivere e a fuggire dalla mancanza di fiducia nel futuro, una volta in carcere, circondata da una solitudine più grande e amara, non ha scorto per sé altra via di uscita che il suicidio.
 
Le persone che impattano nell’uso delle sostanze hanno bisogno di cura, aiuto e sostegno in un percorso di cambiamento. La dipendenza da sostanze riguarda corpo e psiche in un equilibrio sofisticatissimo e l’uso degli strumenti farmacologici e psicologici deve essere finalizzato a migliorare la qualità della vita e accompagnare il processo di cambiamento in coerenza con la disponibilità e la libertà della persona.
 
Purtroppo quanti usano sostanze sono oggetto di stigma sociale, viene considerato vergognoso e innaturale di per sé il comportamento, che invece di costituire un fattore di protezione e scoraggiamento all’uso, finisce per  alimentare atteggiamenti punitivo / persecutori, con la conseguente diminuzione del rispetto nei loro confronti e del loro valore individuale.
 
La morte in carcere di Donatella conferma poi i dubbi sul senso del vigente apparato sanzionatorio, ancor più in assenza di un dibattito coerente e informato tra i cittadini sulla questione droghe e sull’inefficacia della carcerazione. La legislazione italiana è una delle più severe in Europa e il risultato del meccanismo sanzionatorio applicato alle persone dipendenti fa sì che rappresentino il 30% della popolazione carceraria, quando la media dei paesi europei è il 18%. Altro dato rilevante è che i dipendenti da sostanze hanno rappresentato il 39,9% dei nuovi ingressi in carcere nel 2020. Tutto ciò dimostra la necessità di procedere ad una revisione organica della legislazione nazionale in materia di dipendenze (DPR 309/90) e del sistema di cura. Il carcere è un luogo inadeguato per curare persone con dipendenza patologica, in cui anzi finiscono per peggiorare le proprie condizioni correlate alla fragilità complessiva.
 
Il dramma è che la politica preferisce promuovere becere campagne populiste, solleticare gli istinti, farsi paladina di demagogiche e inconsistenti proposte securitarie, piuttosto che affrontare seriamente i problemi, prendere l’impegno di rendere davvero e finalmente umana la Giustizia, con la maiuscola, e far corrispondere i fatti alle parole della Costituzione, sia nelle carceri sia nei tribunali, dove il garantismo suona spesso come una parolaccia, o quasi.

 

 

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa firmato dal direttivo del Pd di Sezze. Nella nota diramata alla stampa i dem setini denunciano quella che chiamano una "campagna denigratoria contro il partito di Sezze". 

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Per l’ennesima volta assistiamo alla mistificazione della realtà. Nel corso della trasmissione televisiva Monitor, andata in onda giovedì sera su Lazio tv, si è parlato della nostra città e, raccontando la vicenda di Karibù, sono state lanciate accuse totalmente infondate e attribuite responsabilità al PD di Sezze circa quanto accaduto. Sul punto è necessario dire parole di verità. Dal 2019 Karibù non svolge più alcun servizio e non ha più alcun ruolo nella nostra città, mentre ha continuato a lavorare in tanti Comuni della Provincia di Latina, amministrate da sindaci di diverso colore politico e addirittura anche con altre istituzioni, come la prefettura di Latina. È bene precisare che Karibù ha gestito per conto del nostro comune unicamente il progetto SPRAR e quanti vi hanno lavorato sono sempre stati regolarmente pagati, avendo l'amministrazione vigilato che venissero rispettati i diritti dei lavoratori e le leggi. I lavoratori che vantano crediti verso Karibù hanno lavorato in progetti organizzati e gestiti da altri enti sul nostro territorio e non dal comune di Sezze. È pertanto evidente che le amministrazioni di centrosinistra nulla hanno a che fare con queste vicende e che da parte di alcuni si sta portando avanti da tempo una campagna mediatica volta a denigrare una intera classe politica, ad infangare esponenti politici ed amministratori del PD di Sezze. Rispettiamo il sacrosanto diritto di cronaca, sancito dalla nostra Costituzione, ma rifiutiamo categoricamente affermazioni artatamente costruite da parte di chi al contrario spesso tace o minimizza fatti gravi accaduti in questa Provincia e imbastisce accuse fondate sul nulla.

Il direttivo del Pd di Sezze

 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di un gruppo di componenti della segreteria e del direttivo del PD di Sezze. I Dem,  ad un anno dall'insediamento della Giunta Lucidi, tirano le prime somme e parlano di promesse non mantenute e giustifazione al non fatto.

Per ogni replica scrivere alla redazione de La Notizia Condivisa.

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Ad un anno dall'insediamento della nuova amministrazione, l'inganno è tratto. I risultati ottenuti, in questo primo anno, sono praticamente inesistenti e, anzi, le prospettive future non promettono nulla di buono e si preannunciano addirittura peggiori vista l'adesione alla procedura di riequilibrio. Tante promesse annunciate in campagna elettorale e puntualmente disattese. Dicevano che l’economia del paese doveva essere sostenuta da una crescita occupazionale soprattutto attraverso la valorizzazione del territorio e dei prodotti tipici e invece nulla è stato fatto, anzi ci risultano le chiusure di diverse attività commerciali e nessun sostegno per contrastare i rincari del costo dell'energia che stanno mettendo a dura prova le imprese locali. Sulla questione rifiuti  hanno promesso bonifiche e un paese pulito. Invece, al di la di qualche intervento qua e là, assistiamo ad una situazione ormai fuori controllo con un aumento indiscriminato dell’abbandono dei rifiuti sia nel centro storico che nelle zone periferiche(via Sandalara ne è l'esempio). Senza pensare al maldestro tentativo di realizzare un impianto di compostaggio, con un progetto copia ed incolla, fortunatamente naufragato. Dicevano che avrebbero riorganizzato la società partecipata del Comune, ma anche in questo settore un nulla di fatto con la nomina del nuovo amministratore che tarda ad arrivare e con interventi fatti dalla maggioranza che evidenziano serie difficoltà per la partecipata che fanno presagire un futuro non roseo e, ove non bastasse, con dichiarazioni pubbliche dell'assessore al ramo che hanno prodotto effetti negativi importanti. La SPL sta perdendo la fiducia dei propri creditori? Vedrà ridursi i servizi gestiti fino ad oggi ?Ci sarà la perdita di posti di lavoro? Rispetto alla questione sicurezza ci sono continui fenomeni di microcriminalità che sono sotto gli occhi di tutti. Hanno promesso di intercettare contributi dall'Europa, dai Ministeri e dalla Regione, con Il PNRR, l’Europa ha messo a disposizione dei comuni Italiani milioni di euro ma ad oggi gli unici finanziamenti certi sono quelli ottenuti dalle precedenti amministrazioni e quelli ottenuti dal distretto territoriale/sociale LT3. Invece di vedere rispettate le promesse fatte , ci ritroviamo una procedura di riequilibrio finanziario che limiterà le azioni dell’organo esecutivo alla pura gestione ordinaria e produrrà effetti politico/amministrativi gravi. Finché non sono stati messi alla prova hanno potuto dire tutto, anche di essere più bravi degli altri, proponendo soluzioni semplicistiche a problemi complessi e adesso che amministrano, e si sono resi conto di cosa significa, è tutta una corsa a trovare giustificazioni del tipo "non ci sono i soldi".
Nel comune di Sezze i soldi non ci sono mai stati, i debiti sono stati sempre alti e ci sono stati sempre debiti fuori bilancio da riconoscere, eppure le precedenti amministrazioni hanno sempre affrontato e trovato soluzioni per il bene della collettività. Nel bilancio di un anno intero è evidente che le aspettative dei cittadini che hanno sostenuto questa nuova amministrazione, siano state ampiamente disattese a dimostrazione che i loro erano solo slogan elettorali.

Martedì, 18 Ottobre 2022 07:09

Le due Camerate!

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Le seconde due camerate, ehmh scusateci, le due Camere hanno i rispettivi presidenti. Il primo in ordine di prestigio è l'On. Igrazio BENITO Maria La Russa, settantacinquenne già filofascista missino e collezionista di busti mussoliniani che non si vergogna di mostrare, così come si vergogno' di aver scherzato su Twitter con l'invito ad usare il saluto romano in pieno lockdown pandemico, nonché assertore dell'essere noi, popolo italiano del secondo dopoguerra, figli del duce (noi che beneficiamo della Costituzione nata dalla Resistenza...)! Il secondo coniglio estratto dal cilindro è stato Lorenzo Fontana, un quarantaduenne leghista nostalgico addirittura della Restaurazione dell'Ancien Regime! Il cui mentore è un parroco fautore della Chiesa lefebvriana, cioè la minoranza dell'ultradestra cattolica sostenente che l'omosessualità è manifestazione del diavolo e che bisognerebbe tornare in occidente al vecchio connubio politico fra Chiesa e monarchia! Da qui si capisce il perché dell'Onorevole circa la sua 'guerra' pro-cristianità dai presunti attacchi degli immigrati infedeli, dalla comunità LGBT, dal diritto della donna emancipata (per loro 'corrotta') di poter abortire, dalla presunta e paranoica entrata (inesistente) dei valori pro-gender nei programmi ministeriali della scuola pubblica, dall'avanzata di Peppa Pig!Adesso una domanda di buon senso politico rivolto alla presidente Meloni: ma se hai vinto le elezioni col solo 26% a causa di sta sciagurata legge elettorale, non conveniva 'moderare' il primo governo dell'estrema destra della nostra Repubblica con due presidenti delle Camere più scialbi, un po' democristani e rassicuranti tipo Toti, Fitto, Lupi e via discorrendo?

 

A cura di Sandro D'Onofrio

resp. Sinistra Italiana Latina

 

 


In questi giorni, a seguito di libere elezioni fatte con regole liberamente scelte dal precedente parlamento liberamente eletto nelle precedenti elezioni liberamente svolte, sono state liberamente scelte ed elette alle alte cariche dello Stato due persone alquanto invise alla parte avversa.
Ora, pur comprendendo tutte le motivazioni addotte, resta il fatto che tutto è avvenuto nell’ambito delle regole democratiche che le parti hanno tra loro condiviso nel tempo. Scrivo ciò poiché non riesco a tacere perché non riesco a comprendere e condividere gli atteggiamenti messi in campo dalla parte a cui il sottoscritto ha sempre guardato e tuttora guarda come punto di riferimento politico e morale. Tutto mi è incomprensibile per vari motivi. Partiamo dall’ultimo episodio che si è verificato, ovvero dalle scritte offensive alla sede di FdI. Se questo gesto è stato compiuto da persone d’area di sinistra resterei, soprattutto in questo momento, allibito. Resterei allibito naturalmente per l’intolleranza, per il non rispetto delle regole democratiche, per aver calpestato il pluralismo. Tutte cose che predichiamo. Ma poi? Se davvero è questa l’area che ha commesso tale aggressione resterei allibito, soprattutto adesso, visto che non passa giorno senza che quest’area politica, la nostra area, scenda in piazza per gridare a gran voce: PACE! E poi? Chiediamo agli ucraini, aggrediti, massacrati da Putin, un gesto di pace e poi, basta che ci baleni il semplice pensiero che l’altro ci possa aggredire che lo massacriamo!? Dobbiamo allora ammettere che siamo di nuovo al punto di partenza: possiamo manifestare per la Pace se dentro di noi cova aggressività, intolleranza e odio per l’altro? Altro motivo che mi lascia alquanto perplesso è questo quotidiano, incessante e reiterante argomentare sul pericolo fascista, xenofobo e integralista. Comprendo perfettamente che le forze chiamate al governo e le persone elette alle alte cariche sono figlie di queste culture. Però, queste persone, non hanno forse detto in Parlamento che si impegnano a rispettare e favorire lo svolgimento della vita democratica? Non hanno forse detto di voler operare per una pacificazione? Si dirà che molte cose che avrebbero potuto ancor di più aiutare non le hanno dette. È vero. Ma, se veramente vogliamo anche noi favorire una pacificazione, cosa che è nell’interesse di tutti, non conviene partire ed amplificare le cose positive che hanno enunciato? O i nostri parlamentari rispondono che non credono a quanto detto? Se non si crede alle parole pronunciate nel parlamento a cosa serve il Parlamento se non parlare e prendere atto di quanto si afferma? Poi si dovrà verificare se le azioni sono consequenziali. Ovviamente. Ma ciò lo si può verificare solo nel durante e dopo. Sforzandosi di mettere da parte il pre-giudizio. Il Presidente La Russa ha pronunciato questa frase: “Non dirò frasi ad effetto, non è giusto, saranno le mie azioni a parlare”. Quindi? Cosa gli rispondiamo? Non ti crediamo? E allora cosa vogliamo fare? Adesso.


Adesso penso che la politica ha immense responsabilità:


1. Intanto, adesso, assumersi la responsabilità della gestione egoista e autoreferenziale, da scempio, fatta nel corso dei decenni;
2. Parlare. Adesso si che deve parlare. Ma deve spendere parole che guidino alla pacificazione di un popolo completamente sbandato. Letteralmente. E nel contempo vigilare che i diritti fondamentali e le conquiste democratiche, come indicate da Liliana Segre, non vengano affossate. Ma per fare ciò la politica e i politici devono essere credibili.
3. Essere di esempio. Appunto. E lo possono essere solo se dimostrano coerenza tra il dire che vogliono il bene del popolo (e non solo il loro) e il fare. Faccio un esempio di uomo e politico per me credibile in quanto ha incarnato ciò che predicava: Aboubakar Soumahoro. Ecco, da persone di tal fatta si potrebbe prendere ispirazione e, magari,  consegnargli un ruolo di guida morale;
4. Ultima, ma non ultima: La PACE. La Pace è innanzitutto un processo di pacificazione di se stessi. Ci illudiamo se pensiamo che basti gridare PACE nelle piazze e sventolare bandiere arcobaleno. Come spesso viene detto, bisogna ESSERE operatori di pace. Non PRETENDERE la pace. E i politici che vogliono guidare davvero una Comunità dovrebbero evitare di cavalcare movimenti improbabili ma essere operatori di Pace con le parole e con le azioni.

La responsabilità che la classe politica oggi ha, è quella di seminare il buon senso per non alimentare la stupidità e l’ignoranza che cova dentro ognuno. L’ignoranza non è di destra e non è di sinistra. L’ignoranza non risiede in coloro che non hanno un titolo di studio o nei poveri, l’ignoranza si trova anche comodamente sdraiata nei laureati, negli onorevoli e nei ricchi.
L’ignoranza è una Potente Regina. Una Tiranna. E non ha nessuna intenzione di mollarci e di mollare il suo Alto Scranno. Quindi, meglio non alimentarla. Neanche per il proprio tornaconto. Se lo facessimo saremmo stupidi. E ignoranti.

Buon Cammino. In Comunità. Possibilmente senza astio e né astice.

Domenica, 16 Ottobre 2022 06:53

Guerra in Ucraina ed incubo nucleare

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Viviamo un tempo di guerra, un tempo di cambiamenti imprevedibili e irreversibili e di incertezze radicali.
 
È difficilissimo immaginare quale direzione prenderà il conflitto in Ucraina, se inizierà un negoziato o prevarrà la strategia della cronicizzazione della guerra, se la possibilità della sconfitta spingerà Putin all’uso dell’arma nucleare e la voglia di schiacciare definitivamente la Russia, incarnazione storica dell’impero del male, ieri comunista e oggi autocratico-illiberale, spingerà l’Occidente a reazioni parimenti estreme. Avanzare ipotesi è esercizio sterile. Piuttosto dobbiamo non farci risucchiare dal frastuono bellicista e sforzarci di capire questo tempo nuovo, su cui incombe il rischio dell’olocausto atomico, acuito dall’oltranzismo politico e massmediatico.
 
Il tabù nucleare è stato infranto e una guerra atomica (magari provocata in modo accidentale) è considerata un’opzione non solo ipotizzabile ma addirittura una strada percorribile. È incredibile come la possibile estinzione dell’umanità o, nella migliore delle ipotesi, il suo regresso all’era della preistoria sia valutata con tanta leggerezza, senza guardare oltre il contingente e senza porsi in una prospettiva storica più ampia. Contro una simile deriva è indispensabile valersi di tutti gli strumenti a disposizione, per quanto piccoli e marginali, per combatterla culturalmente, per sollecitare quanti hanno incarichi politici e di governo a non subire passivamente gli eventi e a rendersi protagonisti attivi nell’imboccare finalmente il sentiero della ragione e della pace.
 
In questi mesi di guerra abbiamo assistito alla continua demonizzazione del nemico. Rappresentarlo come un pazzo, un criminale e un irresponsabile è funzionale alla logica bellicistica. La distopia personale, la sete di potere, il desiderio narcisistico di segnare la storia hanno un ruolo e un peso niente affatto secondario, ma non sono il motore propulsivo esclusivo che determina gli eventi. Dobbiamo andare alle radici del conflitto in Ucraina se vogliamo superarlo e arrivare alla pace. La responsabilità di questa guerra è indubbiamente della leadership russa, c’è un aggredito e un aggressore, ma l’Occidente deve interrogarsi e capire quali errori ha commesso, quale insensibilità ha avuto e cosa non ha fatto per evitarla. La guerra non è mai casuale e tantomeno inevitabile, ma scaturisce da tensioni, errori, aggressività e incomprensioni accumulate nel tempo e dalla incapacità di concepire e attuare soluzioni alternative allo scontro armato.
 
Preoccupano molto poi gli effetti del conflitto in corso su ognuno di noi, l’emergere cioè di un sentimento di rancore, di odio, di smania di farla finita non solo con la Russia che ha aggredito, ha stracciato il diritto internazionale e provoca distruzione e morte, ma anche con quella parte della società europea, compreso il cristianesimo, che vorrebbe che l’ipotesi della guerra, in primis quella nucleare, fosse bandita.
 
Nell’opinione pubblica concretamente si sono venute consolidando due posizioni totalmente divaricate: con Putin non si tratta fino al suo crollo e con Putin si deve negoziare subito. La prima posizione ha acquisito forza essendosi caricata di implicazioni morali, derivanti dalla scoperta delle atrocità commesse dai russi e dalla conseguente impossibilità di trattare con quanti compiono crimini contro l’umanità. Inoltre, pur restando in primo piano il profilo militare, geopolitico ed economico, si è accentuato sempre più il tema dello scontro di civiltà, della difesa dei valori occidentali, dell’irriducibile conflitto tra liberal-democrazie e autocrazie con la conclusione che siamo in presenza di una guerra giusta.
 
La seconda posizione è corretta sul piano dei principi, ma cercare un compromesso non può significare arrendersi alla sopraffazione, subire il ricatto del ricorso alle armi nucleari, violare il diritto internazionale e sacrificare libertà, autodeterminazione e integrità territoriale dell’Ucraina. Tanto più che la minaccia atomica può divenire un incentivo alla prevaricazione da parte delle nazioni più forti, consentendo loro di scatenare guerre convenzionali e di contare sul fatto che le potenze nucleari, alleate dello Stato aggredito, non reagiscano per non innescare un conflitto distruttivo per l’intera umanità. Inoltre non si può trascurare che il tabù nucleare è una convenzione fondata sull’aspettativa di reciprocità relativa a un comportamento specifico: il non ricorso all’arma atomica non pretende di eliminare la guerra in sé, di mutare la natura umana cancellando la pulsione di morte finalizzata l’annientamento dell’altro.
 
Quando c’è un conflitto si rompe un equilibrio e il risultato, oltre che distruttivo può rivelarsi anche trasformativo: si può raggiungere un equilibrio più avanzato. La guerra è la patologia del conflitto, la sua degenerazione violenta e l’unico modo per superarla è cercare una composizione. È opinione non solo dei pacifisti, ma anche di autorevoli analisti ed esponenti delle forze armate che finora non ci sono stati seri tentativi di aprire un dialogo e di negoziare da nessuna delle parti. Il fatto che le posizioni siano lontane, non giustifica la scelta di nemmeno tentare di avvicinarle, lasciando che la guerra si avviti in una spirale senza via di uscita. Ovviamente si parte da posizioni di reciproca sfiducia, ma se si continua aprioristicamente ad escludere di incontrarsi e di sedersi intorno ad un tavolo la guerra non finirà mai. Il modo più sensato per scongiurare una simile deriva è cercare la pace, sfruttando ogni possibile spiraglio, nella consapevolezza che l’unica posizione politicamente e moralmente seria ed accettabile è porre fine alla guerra il prima possibile.
 
Alla fine del 1936 Thomas Mann scriveva: “L’ignoranza anacronistica del fatto che la guerra non è più ammissibile apporta naturalmente per un certo tempo dei “successi” nei confronti di coloro che non lo ignorano. Ma guai al popolo che, non sapendo più come cavarsela, finisse col cercare davvero la sua via di scampo nell’orrore della guerra, in odio a Dio e agli uomini!”. Quanti coltivano dolosamente questa ignoranza e rifiutano il principio per cui, se c’è uno spiraglio di pace va sfruttato subito, non può non essere definito “cattivo” e “malvagio”. Si tratta di aggettivi semplici, ingenui, da bambini, ma sicuramente più chiari di altri sofisticati e più efficaci di tanti giri di parole.
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