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In questi giorni, a seguito di libere elezioni fatte con regole liberamente scelte dal precedente parlamento liberamente eletto nelle precedenti elezioni liberamente svolte, sono state liberamente scelte ed elette alle alte cariche dello Stato due persone alquanto invise alla parte avversa.
Ora, pur comprendendo tutte le motivazioni addotte, resta il fatto che tutto è avvenuto nell’ambito delle regole democratiche che le parti hanno tra loro condiviso nel tempo. Scrivo ciò poiché non riesco a tacere perché non riesco a comprendere e condividere gli atteggiamenti messi in campo dalla parte a cui il sottoscritto ha sempre guardato e tuttora guarda come punto di riferimento politico e morale. Tutto mi è incomprensibile per vari motivi. Partiamo dall’ultimo episodio che si è verificato, ovvero dalle scritte offensive alla sede di FdI. Se questo gesto è stato compiuto da persone d’area di sinistra resterei, soprattutto in questo momento, allibito. Resterei allibito naturalmente per l’intolleranza, per il non rispetto delle regole democratiche, per aver calpestato il pluralismo. Tutte cose che predichiamo. Ma poi? Se davvero è questa l’area che ha commesso tale aggressione resterei allibito, soprattutto adesso, visto che non passa giorno senza che quest’area politica, la nostra area, scenda in piazza per gridare a gran voce: PACE! E poi? Chiediamo agli ucraini, aggrediti, massacrati da Putin, un gesto di pace e poi, basta che ci baleni il semplice pensiero che l’altro ci possa aggredire che lo massacriamo!? Dobbiamo allora ammettere che siamo di nuovo al punto di partenza: possiamo manifestare per la Pace se dentro di noi cova aggressività, intolleranza e odio per l’altro? Altro motivo che mi lascia alquanto perplesso è questo quotidiano, incessante e reiterante argomentare sul pericolo fascista, xenofobo e integralista. Comprendo perfettamente che le forze chiamate al governo e le persone elette alle alte cariche sono figlie di queste culture. Però, queste persone, non hanno forse detto in Parlamento che si impegnano a rispettare e favorire lo svolgimento della vita democratica? Non hanno forse detto di voler operare per una pacificazione? Si dirà che molte cose che avrebbero potuto ancor di più aiutare non le hanno dette. È vero. Ma, se veramente vogliamo anche noi favorire una pacificazione, cosa che è nell’interesse di tutti, non conviene partire ed amplificare le cose positive che hanno enunciato? O i nostri parlamentari rispondono che non credono a quanto detto? Se non si crede alle parole pronunciate nel parlamento a cosa serve il Parlamento se non parlare e prendere atto di quanto si afferma? Poi si dovrà verificare se le azioni sono consequenziali. Ovviamente. Ma ciò lo si può verificare solo nel durante e dopo. Sforzandosi di mettere da parte il pre-giudizio. Il Presidente La Russa ha pronunciato questa frase: “Non dirò frasi ad effetto, non è giusto, saranno le mie azioni a parlare”. Quindi? Cosa gli rispondiamo? Non ti crediamo? E allora cosa vogliamo fare? Adesso.


Adesso penso che la politica ha immense responsabilità:


1. Intanto, adesso, assumersi la responsabilità della gestione egoista e autoreferenziale, da scempio, fatta nel corso dei decenni;
2. Parlare. Adesso si che deve parlare. Ma deve spendere parole che guidino alla pacificazione di un popolo completamente sbandato. Letteralmente. E nel contempo vigilare che i diritti fondamentali e le conquiste democratiche, come indicate da Liliana Segre, non vengano affossate. Ma per fare ciò la politica e i politici devono essere credibili.
3. Essere di esempio. Appunto. E lo possono essere solo se dimostrano coerenza tra il dire che vogliono il bene del popolo (e non solo il loro) e il fare. Faccio un esempio di uomo e politico per me credibile in quanto ha incarnato ciò che predicava: Aboubakar Soumahoro. Ecco, da persone di tal fatta si potrebbe prendere ispirazione e, magari,  consegnargli un ruolo di guida morale;
4. Ultima, ma non ultima: La PACE. La Pace è innanzitutto un processo di pacificazione di se stessi. Ci illudiamo se pensiamo che basti gridare PACE nelle piazze e sventolare bandiere arcobaleno. Come spesso viene detto, bisogna ESSERE operatori di pace. Non PRETENDERE la pace. E i politici che vogliono guidare davvero una Comunità dovrebbero evitare di cavalcare movimenti improbabili ma essere operatori di Pace con le parole e con le azioni.

La responsabilità che la classe politica oggi ha, è quella di seminare il buon senso per non alimentare la stupidità e l’ignoranza che cova dentro ognuno. L’ignoranza non è di destra e non è di sinistra. L’ignoranza non risiede in coloro che non hanno un titolo di studio o nei poveri, l’ignoranza si trova anche comodamente sdraiata nei laureati, negli onorevoli e nei ricchi.
L’ignoranza è una Potente Regina. Una Tiranna. E non ha nessuna intenzione di mollarci e di mollare il suo Alto Scranno. Quindi, meglio non alimentarla. Neanche per il proprio tornaconto. Se lo facessimo saremmo stupidi. E ignoranti.

Buon Cammino. In Comunità. Possibilmente senza astio e né astice.

Domenica, 16 Ottobre 2022 06:53

Guerra in Ucraina ed incubo nucleare

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Viviamo un tempo di guerra, un tempo di cambiamenti imprevedibili e irreversibili e di incertezze radicali.
 
È difficilissimo immaginare quale direzione prenderà il conflitto in Ucraina, se inizierà un negoziato o prevarrà la strategia della cronicizzazione della guerra, se la possibilità della sconfitta spingerà Putin all’uso dell’arma nucleare e la voglia di schiacciare definitivamente la Russia, incarnazione storica dell’impero del male, ieri comunista e oggi autocratico-illiberale, spingerà l’Occidente a reazioni parimenti estreme. Avanzare ipotesi è esercizio sterile. Piuttosto dobbiamo non farci risucchiare dal frastuono bellicista e sforzarci di capire questo tempo nuovo, su cui incombe il rischio dell’olocausto atomico, acuito dall’oltranzismo politico e massmediatico.
 
Il tabù nucleare è stato infranto e una guerra atomica (magari provocata in modo accidentale) è considerata un’opzione non solo ipotizzabile ma addirittura una strada percorribile. È incredibile come la possibile estinzione dell’umanità o, nella migliore delle ipotesi, il suo regresso all’era della preistoria sia valutata con tanta leggerezza, senza guardare oltre il contingente e senza porsi in una prospettiva storica più ampia. Contro una simile deriva è indispensabile valersi di tutti gli strumenti a disposizione, per quanto piccoli e marginali, per combatterla culturalmente, per sollecitare quanti hanno incarichi politici e di governo a non subire passivamente gli eventi e a rendersi protagonisti attivi nell’imboccare finalmente il sentiero della ragione e della pace.
 
In questi mesi di guerra abbiamo assistito alla continua demonizzazione del nemico. Rappresentarlo come un pazzo, un criminale e un irresponsabile è funzionale alla logica bellicistica. La distopia personale, la sete di potere, il desiderio narcisistico di segnare la storia hanno un ruolo e un peso niente affatto secondario, ma non sono il motore propulsivo esclusivo che determina gli eventi. Dobbiamo andare alle radici del conflitto in Ucraina se vogliamo superarlo e arrivare alla pace. La responsabilità di questa guerra è indubbiamente della leadership russa, c’è un aggredito e un aggressore, ma l’Occidente deve interrogarsi e capire quali errori ha commesso, quale insensibilità ha avuto e cosa non ha fatto per evitarla. La guerra non è mai casuale e tantomeno inevitabile, ma scaturisce da tensioni, errori, aggressività e incomprensioni accumulate nel tempo e dalla incapacità di concepire e attuare soluzioni alternative allo scontro armato.
 
Preoccupano molto poi gli effetti del conflitto in corso su ognuno di noi, l’emergere cioè di un sentimento di rancore, di odio, di smania di farla finita non solo con la Russia che ha aggredito, ha stracciato il diritto internazionale e provoca distruzione e morte, ma anche con quella parte della società europea, compreso il cristianesimo, che vorrebbe che l’ipotesi della guerra, in primis quella nucleare, fosse bandita.
 
Nell’opinione pubblica concretamente si sono venute consolidando due posizioni totalmente divaricate: con Putin non si tratta fino al suo crollo e con Putin si deve negoziare subito. La prima posizione ha acquisito forza essendosi caricata di implicazioni morali, derivanti dalla scoperta delle atrocità commesse dai russi e dalla conseguente impossibilità di trattare con quanti compiono crimini contro l’umanità. Inoltre, pur restando in primo piano il profilo militare, geopolitico ed economico, si è accentuato sempre più il tema dello scontro di civiltà, della difesa dei valori occidentali, dell’irriducibile conflitto tra liberal-democrazie e autocrazie con la conclusione che siamo in presenza di una guerra giusta.
 
La seconda posizione è corretta sul piano dei principi, ma cercare un compromesso non può significare arrendersi alla sopraffazione, subire il ricatto del ricorso alle armi nucleari, violare il diritto internazionale e sacrificare libertà, autodeterminazione e integrità territoriale dell’Ucraina. Tanto più che la minaccia atomica può divenire un incentivo alla prevaricazione da parte delle nazioni più forti, consentendo loro di scatenare guerre convenzionali e di contare sul fatto che le potenze nucleari, alleate dello Stato aggredito, non reagiscano per non innescare un conflitto distruttivo per l’intera umanità. Inoltre non si può trascurare che il tabù nucleare è una convenzione fondata sull’aspettativa di reciprocità relativa a un comportamento specifico: il non ricorso all’arma atomica non pretende di eliminare la guerra in sé, di mutare la natura umana cancellando la pulsione di morte finalizzata l’annientamento dell’altro.
 
Quando c’è un conflitto si rompe un equilibrio e il risultato, oltre che distruttivo può rivelarsi anche trasformativo: si può raggiungere un equilibrio più avanzato. La guerra è la patologia del conflitto, la sua degenerazione violenta e l’unico modo per superarla è cercare una composizione. È opinione non solo dei pacifisti, ma anche di autorevoli analisti ed esponenti delle forze armate che finora non ci sono stati seri tentativi di aprire un dialogo e di negoziare da nessuna delle parti. Il fatto che le posizioni siano lontane, non giustifica la scelta di nemmeno tentare di avvicinarle, lasciando che la guerra si avviti in una spirale senza via di uscita. Ovviamente si parte da posizioni di reciproca sfiducia, ma se si continua aprioristicamente ad escludere di incontrarsi e di sedersi intorno ad un tavolo la guerra non finirà mai. Il modo più sensato per scongiurare una simile deriva è cercare la pace, sfruttando ogni possibile spiraglio, nella consapevolezza che l’unica posizione politicamente e moralmente seria ed accettabile è porre fine alla guerra il prima possibile.
 
Alla fine del 1936 Thomas Mann scriveva: “L’ignoranza anacronistica del fatto che la guerra non è più ammissibile apporta naturalmente per un certo tempo dei “successi” nei confronti di coloro che non lo ignorano. Ma guai al popolo che, non sapendo più come cavarsela, finisse col cercare davvero la sua via di scampo nell’orrore della guerra, in odio a Dio e agli uomini!”. Quanti coltivano dolosamente questa ignoranza e rifiutano il principio per cui, se c’è uno spiraglio di pace va sfruttato subito, non può non essere definito “cattivo” e “malvagio”. Si tratta di aggettivi semplici, ingenui, da bambini, ma sicuramente più chiari di altri sofisticati e più efficaci di tanti giri di parole.

 

 

“Indebita percezione del reddito di cittadinanza” è il reato di cui dovranno rispondere 11 persone (di cui 8 donne e 3 uomini) di età compresa fra i 23 anni e i 70 anni, di origini straniere e residenti a Sabaudia, denunciati in stato di libertà dai Carabinieri della Stazione di Sezze congiuntamente a personale del Nucleo Ispettorato del Lavoro dei Carabinieri di Latina, nell’ambito di un’attività di polizia giudiziaria finalizzata a contrastare efficacemente la fenomenologia. In particolare, i militari dell’Arma dei Carabinieri, dopo accurate verifiche volte ad accertare il possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni attraverso l’esame incrociato dei dati documentali e delle informazioni acquisite nel corso di specifici servizi di controllo del territorio con quelli fomiti dal Comune di residenza, individuavano elementi che consentivano, allo stato, di ritenere che gli undici soggetti fornendo dichiarazioni relative ad una residenza in Italia da 10 anni, che appare non veritiera, avevano nel tempo pereepito il sussidio senza che ve ne fossero le condizioni. Gli esiti dei controlli venivano comunicati all’Autorità Giudiziaria e all’INPS per l’interruzione dell’elargizione del beneficio e il recupero delle somme indebitamente percepite per un totale di 54.327,67 Euro. Continueranno i monitoraggi dei Carabinieri finalizzati a contrastare efficacemente gli abusi, registrati nel corso del tempo, da parte di soggetti che non versano nelle condizioni giustificatrici del percepimento del reddito di cittadinanza e che con la loro condotta non solo commettono reato, ma sviliscono la ratio dell’istituto giuridico del beneficio.

 

 

Sinistra Italiana Sezze accoglie con interesse la notizia che sul territorio comunale è stata inaugurata una moschea. 

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"Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume." Con l’articolo 19 della Costituzione, l’Italia riconosce a tutti i cittadini il diritto di professare la propria fede. Dopo la catastrofe del regime fascista, la libertà religiosa ed il principio di laicità dello stato integravano un nucleo di diritti civili e sociali, costruito sulle fondamenta della resistenza a tutela di una società che, ripudiando la violenza, l’odio, la guerra, sceglieva l’accoglienza, l'inclusione e la solidarietà sociale come stelle polari. Da un lato si tutelano quindi i cittadini tutti da indebite ingerenze sulle loro scelte e convinzioni personali, dall'altro le religioni possono costituire un luogo non solo di espressione nel rispetto degli altri ma anche di aggregazione e proposta nell'ambito di una società pienamente democratica. A chi paventa la pericolosità di uno spazio di aggregazione per i fedeli di una delle principali religioni al mondo, dalle articolazioni e differenze spesso ignorate dalla vulgata dominante (basti pensare che a combattere l'ISIL c'erano miliziani curdi di fede islamica), rispondiamo che i fondamentalismi religiosi attecchiscono dove la società non sa offrire speranze di riscatto nella vita terrena, spesso fomentati da chi nasconde le disparità sociali come polvere sotto il tappeto. È su questo terreno che devono concentrarsi gli sforzi Ci auspichiamo fin da subito un dialogo con le istituzioni religiose per facilitare l'emersione nel dibattito e nella politica locale delle problematiche che vivono comunità ancora troppo invisibili, comunità composte in gran parte da quei lavoratori essenziali che hanno assicurato la tenuta della filiera agricola durante la pandemia ma soprattutto di persone con le loro necessità ed aspirazioni e non solo di braccia.

 

 

Si è svolta ieri l’inaugurazione delle aule Green presso l’istituto I.C. Pacifici Sezze-Bassiano del plesso di San Bartolomeo. Si tratta di strutture realizzate grazie ai fondi EX Art. 58 c.4 D.L. 73/2021 e che ospiteranno gli studenti per attività scolastiche ed extrascolastiche. Le aule Green installate in un’area prospiciente l’istituto scolastico sono state fortemente volute dal Dirigente Scolastico, dott.ssa Fiorella De Rossi, che ha seguito l’iter fin dall’inizio in sinergica con i docenti ed il personale amministrativo della scuola. La tenacia e la determinazione della dott.ssa De Rossi è stata premiata, soprattutto in un momento dove il mondo scuola soffre di risorse e disponibilità economiche. Per le aule green inaugurate ieri alla presenza degli amministratori locali, nell’ambito di una giornata all’insegna dell’arte e della musica come solo sa fare questa scuola, sono stati finanziati circa 25 mila euro. A breve però arriveranno altri finanziamenti ministeriali per la scuola primaria grazie alla partecipazione ai bandi PON Edugreen e altri importanti finanziamenti, circa 75 mila euro, per la scuola dell’infanzia. La soddisfazione della preside è tanta, così come per i docenti e per gli alunni. Insomma.. piccoli grandi sogni che si sono realizzati. Grazie!

La Preside De Rossi durante l'inaugurazione della aule green

 

 

 

Un piano che servirà a gestire meglio le emergenze territoriali nel Comune di Sezze. La commissione consiliare ambiente e territorio, questa mattina, ha votato l'aggiornamento del piano di Protezione Civile (PEC). Si tratta di un atto amministrativo che permetterà di dare seguito alle procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità, uno strumento utile che consentirà all’amministrazione comunale di predisporre e coordinare al meglio gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni a rischio. Il presidente della commissione, Gianluca Calvano, sottolinea l’importanza dell’atto approvato. “Il PEC - afferma - è un piano importante che serve per la comunità e soprattutto per chi deve gestire l'emergenza. Era atteso da quattro anni, ora sarà portato al prossimo consiglio comunale per essere votato. Ringrazio il Comando della Polizia Locale e i tecnici comunali che hanno lavorato per questo, così come i componenti della commissione per tutto il lavoro svolto”.

Nella foto il consigliere comunale Gianluca Calvano

 

 

L’Ucraina può essere aiutata a liberarsi dall’aggressione della Russia edificando la Pace? “Tutte le guerre hanno origini da ingiustizie” Papa Francesco. Se così è (e sicuramente è così), allora penso che la cosa più semplice da fare sia deporre tutto il nostro armamentario di egoismo, ipocrisia, indifferenza e aggressività che quotidianamente lustriamo. Chi ha responsabilità di governo e responsabilità dirette in questo (come in ogni altro) conflitto, dovrebbe chiedersi: “dove io e la mia comunità abbiamo sbagliato? Quali ingiustizie noi abbiamo commesso e quali sofferenze noi abbiamo originato?”. A queste semplici domande ogni parte in causa dovrebbe rispondere, e dovrebbe farlo pubblicamente. Perché? Perché le armi cesseranno. Come ogni cosa cessa su questa dimensione, anche le armi cesseranno. E la pace tornerà. Ma se non si sono comprese le cause che hanno provocato e condotto al conflitto, non sarà Pace ma semplicemente tregua, in attesa del momento opportuno per consumare la vendetta. Ecco perché coloro che, ai vari livelli, hanno responsabilità di governo, hanno il compito e il dovere di esternare pubblicamente le risposte. Per aiutare ogni membro della comunità a riflettere, ad interrogarsi a prendere coscienza affinché la consapevolezza che aiuteranno a far emergere possa essere foriera di pacificazione per ogni cuore e, quindi, Pace fra i popoli. Questo processo di presa di coscienza potrebbe davvero essere liberatorio. E lo potrà essere nella misura in cui si comprenderà che si è stati vittima di un atroce ed efferato abbaglio che ha condotto sia se stessi che comunità intere dentro un baratro colmo di sofferenze. Condurre alla consapevolezza e aiutare le comunità a prendere coscienza di tutto ciò e aiutarle anche a liberarsi dall’ormai inutile (se non addirittura deleterio) senso di colpa è il primo passo verso la Pace. Non si tratta di assolversi con leggerezza ma comprendere che ad agire non è stata l’essenza della nostra intelligenza ma l’essenza della nostra stupidità. Il perdonare e il perdonarsi sarà semplicemente un’ovvia conseguenza. Il perdono non può essere bigotto, esso può agire solo se si è compresa la sofferenza prodotta agli altri e a se stessi. La Via verso la Vita, verso la Verità non può essere percorsa ad occhi chiusi rischiando così di travolgere, magari inconsapevolmente, chi è sullo stesso cammino. Per essere discepoli della Pace non basta scendere in piazza, sventolare una bandiera e gridare “Pace” e non basta neanche genuflettersi, battersi il petto e dire “io credo”. Dobbiamo renderci conto che tutti percorriamo il medesimo sentiero, che tutti siamo alla ricerca della felicità e che non la possiamo certo realizzare a discapito dell’altro. Dobbiamo essere consapevoli di ciò che siamo e di ciò che agiamo. Dobbiamo effettuare, con fede, il salto che ci conduce dal credere cieca-mente al comprendere chiara-mente. Questa è, secondo me, la via che porta alla Pace. Ognuno di noi è chiamato a percorrerla e chi ha responsabilità nelle Istituzioni, se la Pace l’ha veramente a cuore, è chiamato a rendere questa via percorribile.

 

Orazio Ananda Mercuri

Domenica, 09 Ottobre 2022 06:11

Iran. Senza velo e senza paura

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Finché ci sarà una sola donna minacciata in quanto donna, noi non avremo pace”.
(Lidia Ravera)
 
Da settimane in Iran infuria la rivolta. Protagoniste sono le donne. In strada sono scese ragazze, insegnanti in sciopero, anziane militanti della tradita rivoluzione marxista del 1979, ma si sono unite a loro anche gli uomini, gli studenti secondari e universitari, i padri insieme alle figlie, i fratelli insieme alle sorelle, i mariti insieme alle mogli.
 
Le donne iraniane si scoprono il capo, si tagliano i capelli e bruciano i loro hijab. Le parole d’ordine sono “donna, vita, libertà”, ma nelle strade si grida anche “morte a Khamenei, morte alla dittatura”, “combattiamo, moriamo, ci riprendiamo il nostro Iran” e si intonano i canti rivoluzionari degli anni ’70. La repressione del regime è feroce. Le forze speciali di polizia sparano a vista sui manifestanti, migliaia sono le persone arrestate e centinaia i morti.
 
L’uccisione di Mahsa Amini, 22 anni, di origini curde-sunnite, fermata e massacrata dalla polizia religiosa perché indossava l’hijab “in modo inappropriato” e spirata dopo tre giorni d’agonia in un reparto di rianimazione è stata la scintilla che ha scatenato le proteste, iniziate nel Kurdistan iraniano e dilagate fino a Tehran. Si è trattato dell’ennesimo arresto illegittimo, con ricorso ad una violenza barbara ed inaudita, compiuto dalle “pattuglie della moralità” contro le donne che non rispettano i rigidi codici dell’abbigliamento imposti dal regime.
 
Tra quanti hanno perso la vita ci sono Hadis Najafi, 23 anni, e Nika Shakarami, 17 anni, divenute simboli della protesta. Numerosi proiettili hanno stroncato la giovane vita di Hadis Najafi, che poco prima di morire aveva postato sui social un video, divenuto virale, in cui si legava i capelli e sistemava gli occhiali, pronta a combattere per la propria libertà e per quella di tutte le donne iraniane, richiamando così l’attenzione dell’opinione pubblica interna ed internazionale su quanto sta accadendo. Nika Shakarami, scomparsa il 20 settembre durante le proteste e ritrovata dopo dieci giorni con la testa fracassata nell’obitorio di un centro di detenzione della capitale, aveva girato un video, condiviso sui social dopo la sua morte, in cui cantava una canzone iraniana senza indossare il velo. I genitori hanno denunciato che le forze di sicurezza hanno rubato il corpo per seppellirlo segretamente in un villaggio.
 
Molti familiari delle vittime hanno rivelato che, dopo la morte dei loro cari, sono stati sequestrati dai servizi di sicurezza e liberati solo dopo la registrazione di un video dove dichiaravano che la morte dei loro parenti era avvenuta per altri motivi o per incidenti in casa e non durante le manifestazioni.
 
La dicotomia e la distanza tra le nuove generazioni ed il potere sono sempre più marcate e mettono a nudo la natura del regime degli Ayatollah, che si caratterizza per un umiliante disprezzo verso i cittadini e una misoginia fuori dalla storia che impone alle donne di indossare abiti appropriati per motivi ideologici.
 
Il velo potrebbe non essere il principale problema delle donne iraniane, dato che tante seguono volontariamente la tradizione islamica, soltanto se non gravasse su di loro l’impossibilità di scegliere. Infatti sebbene le autorità affermino che l’hijab è una scelta delle donne, praticamente le obbligano tutte a indossarlo. Tale imposizione avviene attraverso le brutalità degli esecutori morali del regime, le milizie basij, che si autodefiniscono hezbollahis, il partito di Dio, radicate nel movimento islamista, strettamente legate ai capi della Repubblica Islamica, usate per puntellare il potere e reprimere dissensi e proteste. Per tale ragione l’hijab, in quanto strumento di oppressione delle donne e di soffocamento dell’intera società, è divenuto un simbolo di protesta e di ribellione a un sistema generale coercitivo e discriminante. Le donne iraniane vivono una condizione di segregazione e le politiche economiche del regime in questi anni le hanno penalizzate, riducendo le loro possibilità di entrare nel mercato del lavoro. La loro posizione nella produzione e nell’economia è assai limitata e il divario con i salari degli uomini è sempre più aumentato, alimentando lo sfruttamento delle lavoratrici. A tutto questo si è aggiunto il progressivo e generale impoverimento della popolazione, effetto delle sanzioni imposte da Donald Trump, dopo l’uscita dal programma nucleare, che hanno colpito soprattutto la classe media, la quale fino a qualche anno fa era assetata di libertà e distingueva le proprie rivendicazioni da quelle delle fasce povere che reclamavano invece pane. Le condizioni sociali ed economiche attuali in Iran sembrano favorire la saldatura tra le rivendicazioni dei due gruppi sociali, ancor più poi che i ceti più poveri sembrano meno conservatori rispetto a qualche anno fa o comunque a quello che abitualmente si pensa. Gissou Nia, presidente del consiglio dell’Iran Human Rights Documentation Center e direttrice del programma Strategic Litigation Project presso l’Atlantic Council ritiene che: “Le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini riflettono una collera ben più ampia della popolazione rispetto al quadro giuridico discriminatorio che colpisce in modo sproporzionato le donne, le minoranze etniche e religiose e altri gruppi marginalizzati in Iran”.
 
È difficile prevedere se l’ondata di proteste che ha travalicato classi sociali ed etnie possa innescare la rivoluzione e rovesciare il regime. Le informazioni dall’Iran sono frammentate e filtrate e non è possibile conoscere precisamente cosa stia accadendo: internet è bloccato, Whatsapp e Instagram non funzionano. Sappiamo che ci sono manifestazioni di ribellione alle autorità come mai accaduto in passato e da nord a sud, da est a ovest c’è una richiesta corale di maggiori libertà economiche, sociali e di genere che sta vedendo anche episodi di solidarietà da parte di esponenti delle forze di sicurezza, portando la Repubblica Islamica di fronte a una delle crisi più gravi dalla sua nascita nel 1979. Le proteste giungono in un momento di grande debolezza dell’Iran sul piano economico, sociale e politico a causa di un sistema che è divenuto sempre più corrotto e ripiegato su sé stesso.
 
Viviamo in un mondo anestetizzato, preso dall’inutile, che cerca intrattenimento e pane quotidiano e si accapiglia per beghe di poco conto. Il coraggio delle donne iraniane deve farci riflettere, essere un monito e uno sprone affinché sentiamo nostra la loro lotta e ci facciamo protagonisti di gesti concreti di vicinanza e solidarietà, a cominciare dal mantenere viva l’attenzione su quanto sta accadendo. 

 

 

Già nell’ultima seduta consigliare era intervenuto. Adesso lo fa con la stessa maniera, sollecitando l’amministrazione comunale di Sezze. Il capogruppo del Pd Armando Uscimenti chiede al sindaco di Sezze e alla Giunta comunale di trovare delle risorse nel bilancio comunale da destinare ai commercianti del centro storico di Sezze in difficoltà anche a causa dei lavori pubblici che stanno interessando via Diaz. Uscimenti sollecita il sindaco Lucidi a fare qualcosa per le attività presenti nel cuore del paese, già in difficoltà per il caro bollette e in crisi per quanto accaduto a causa della pandemia. “Se i lavori in via Diaz sono necessari e importanti per il centro storico – afferma Uscimenti – altrettanto importante è la sopravvivenza delle attività in centro, già in difficoltà per l’aumento delle bollette e per la crisi del settore. Dobbiamo sostenere in tutti i modi chi ha avuto il coraggio di investire nel centro storico. I lavori purtroppo hanno già fatto chiudere momentaneamente dei negozi e da un mese altri esercizi soffrono i disagi legati ad essi. Chiedo al sindaco di trovare urgentemente delle risorse nel bilancio per aiutare economicamente i commercianti e tutti gli operatori del centro storico. Dobbiamo sostenerli e cercare in tutti i modi di non far morire l’economia del centro storico”. In centro ci sono negozi di abbigliamento, ristoranti, Bar e Pub che non devono sentirsi abbandonati. E' in questi momenti che le amministrazioni comunali devono intervenire. 

 

 

Andrea Del Monte è “Autore dell'anno”. Con il libro “Puzzle Pasolini” il giovane cantautore pontino vince questo riconoscimento speciale che ogni due anni l'Associazione “Artisti Lepini” assegna nell'ambito del Premio biennale letterario internazionale dei Monti Lepini. Riconoscimento, da precisare,  intitolato a Franco Caporossi, uno dei fondatori della stessa Associazione scomparso alcuni anni fa. All'inizio, tale Premio biennale era itinerante, ma da alcuni anni si svolge a Segni. Giunto alla diciannovesima edizione, ha dunque quarant'anni. È nato con lo scopo di incrementare e promuovere la letteratura italiana e dialettale, gli studi storici e la  saggistica. È aperto anche agli italiani residenti all'estero. Queste le sue sezioni:poesia  inedita, poesia in lingua edita, poesia dialettale edita e/o inedita, narrativa edita, narrativa inedita, saggistica storia e tesi di laurea triennale o magistrale. La premiazione dei vincitori si è svolta domenica scorsa. Patrocinato  dal Comune di Segni, Regione Lazio, Città Metropolitana di Roma Capitale e Compagnia dei Lepini. Il Premio è stato realizzato con la collaborazione della Banca di Credito Cooperativo di Roma e il periodico “Cronache Cittadine” di Colleferro. Circa il libro “Puzzle Pasolini”, è composto da ventuno interviste, undici canzoni e tre racconti.  Pubblicato dalla Edizioni Ensemble, in occasione del centenario della nascita del poeta, quelli di Del Monte  sono contributi,  inediti e interessanti, di personaggi straordinari della cultura contemporanea che, come tessere di un puzzle per l'appunto, provano a ricostruire insieme l’immagine di uno degli intellettuali più controversi del Novecento.  È un libro “musicale” poiché le undici canzoni si possono ascoltare dal Qr code di Spotify posto nella bandella della quarta di copertina dello stesso libro o dai Qr code messi sotto i testi delle stesse canzoni. Canzoni che non sono altro che le poesie scritte da altrettanti poeti che Del Monte ha poi musicato e cantato. Alla realizzazione  delle musiche hanno collaborato John Jackson, che nei suoi trascorsi vanta una lunga collaborazione con Bob Dylan, e Roberto Cardinali, chitarrista nel film ‘Loro’ di Paolo Sorrentino. Circa le interviste, sono state rilasciate da una quarantina fra scrittori, attori, registi e ricercatori, alcuni dei quali hanno conosciuto Pasolini personalmente o hanno lavorato con lui, altri invece lo hanno solo studiato per i suoi romanzi, per i suoi film o per i suoi ‘scritti corsari’. Le loro parole  lasciano sulle pagine del libro  tracce per approfondire e fare luce su questa icona della letteratura italiana.  Da precisare che il libro era uscito nel 2015, in occasione del quarantennale della morte di Pasolini, con un altro titolo.  Ora, oltre a essere stato rivisto, è stato arricchito con tre racconti: “Un uomo generoso” di Franco Tovo, “La sua passione per il calcio”  di Silvio Parrello e “La sua solitudine” di  Renzo Paris. Franco Tovo è stato  uno degli attori del film “Mamma Roma”, mentre Silvio Parrello  è “Er pecetto” del romanzo “Ragazzi di vita”. I tre ricordano in particolare i loro incontri con il poeta.  Si tratta, in definitiva, di un libro e di un album per capire meglio Pasolini perché a cento anni dalla sua nascita,  continua a rappresentare un enigma da risolvere, un rompicapo nella storia della cultura italiana, un “puzzle” i cui incastri sono resi difficoltosi dalla sua immagine sfaccettata e dai misteri che ha lasciato irrisolti. Da questo libro lo stesso Del Monte ha poi ricavato l'omonimo spettacolo di letteratura, musica e teatro che, con il contributo della Compagnia dei Lepini, ha portato in tour sui Monti lepini. Andrea Del Monte è chitarrista, cantautore e compositore di Latina. Nel 2007, con il singolo “Il giro del mondo” (brano ispirato dal film “Il Grande Dittatore” di Charlie Chaplin) vince il Premio della critica al Festival “Il Cantagiro”. A luglio di quest'anno invece, presso il Campidoglio, gli è stato conferito il “Microfono d'Oro”, considerato l'oscar delle radio italiane. Al suo primo omonimo EP collabora John Jackson, storico chitarrista di Bob Dylanm e l'etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Con questo disco, raggiunge la Top 20 di iTunes.   Nel 2016, musica e canta la  poesia “Supplica a mia madre” di Pier Paolo Pasolini. Infine nel 2919, pubblica il disco-libro “Brigantesse – Storie d'amore e di fucile”, in cui l'album si apre con la lettura di una brano da parte di Sabrina Ferilli.

 

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