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Domenica, 20 Dicembre 2020 06:51

Dialogo con Maria di Nazareth

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Un tempo sperduto villaggio di pastori Nazareth, arroccata sulle dolci colline della Galilea, è caotica e vociante come tutte le città del Medio Oriente. Le strade del suo cuore antico sono un dedalo inestricabile, un caleidoscopio di suoni, colori e profumi. Mi infilo in una stradina secondaria, percorro qualche metro ed eccomi giunto a destinazione. All’esterno la costruzione appare modesta, anonima. Busso e resto in attesa. Quando la porta si apre, sulla soglia compare una donna minuta dai lineamenti dolci. Nei suoi occhi scuri e profondi è riflessa tutta la bellezza di questa terra. La casa è piccola, linda, racconta una povertà dignitosa. Mi fa accomodare in una stanza silenziosa e siede davanti a me. Ha modi semplici e spontanei.

- Sono contenta che sei venuto a trovarmi – mi dice con tono caldo e accogliente.

- Ti ringrazio – mi limito a balbettare in preda all’emozione.

Maria si sporge leggermente in avanti, afferra le mie mani tra le sue e le stringe in un gesto rassicurante. Il velo nasconde i suoi capelli e ne incornicia il volto. - Sono ebrea – spiega in risposta alla mia occhiata indagatrice – La nostra tradizione vuole che le donne coprano i capelli e li mostrino solo al marito. Continuo a seguirla, sebbene nessuno me lo imponga. Fortunatamente rispetto ai miei tempi le donne hanno conquistato oggi diritti e libertà -.

- Le tue parole un po’ mi sorprendono -.

- Non capisco il motivo. Ti sembra così strano che sono dalla parte delle donne?-.

- In effetti tuo figlio aveva anche delle donne al suo seguito –.

- Yahweh ama tutti allo stesso modo, non fa distinzioni….–.

- A proposito – la interrompo – cosa pensi degli omosessuali? Alcune persone di fede sostengono che hanno qualcosa di sbagliato -.  

- E’ una stupidaggine – si adombra per un momento e la sua voce assume un tono fermo – Ognuno di noi è un capolavoro di Yahweh. Mica ci sono alcuni che non gli sono venuti tanto bene!-.       

- Mi racconti di te, la tua storia? –.

Annuisce. – Ero una ragazza come tante. Aiutavo mia madre in casa, andavo al pozzo a prendere l’acqua, uscivo con le amiche e il sabato frequentavo la sinagoga -.

- I tuoi ti avevano promessa sposa a Giuseppe -.

- Abitava poche case più avanti a noi. All’inizio ci scambiavamo qualche sguardo, poi ci siamo incontrati, abbiamo parlato e quindi è venuto con suo padre dai miei per chiedermi in sposa -.

- A quel tempo i matrimoni erano combinati dalle famiglie – le faccio notare.

- Nessuna imposizione – scuote la testa – Come ti ho detto è stata una nostra scelta. Io e Giuseppe ci amiamo -. 

- Eri molto giovane -.

- E avevo molti sogni – sospira, mentre un timido sorriso le si disegna sulle labbra.

- Qualcuno però scombussolò i vostri piani, i tuoi e di Giuseppe -.

- Quel giorno ero sola in casa. All’improvviso la luce, l’angelo…. Ero stupita, sorpresa, turbata, intimorita. Non capivo cosa stesse accadendo –.

- Poteva essere tutto frutto della tua immaginazione di ragazzina -.

- L’ho pensato eccome, cosa credi!- esclama e, dopo qualche istante di silenzio, riprende: - Era tutto reale però!-.

- Diventare la madre del Figlio di Dio – considero – Una cosa inverosimile –.

- Sono d’accordo. Umanamente non aveva e non ha alcun senso, ma non dal punto di vista di Yahweh e della fede del mio popolo. Da lunghissimo tempo aspettavamo il Messia e finalmente la promessa si compiva -. 

- Perché proprio tu? Cosa avevi di speciale?-

- E’ quello che ho domandato anche io all’angelo. In Israele c’erano ragazze migliori di me. Ero sconvolta, ma lui ha cercato di rassicurarmi, di spiegarmi -.

- Hai subito accettato la sua proposta però -.

- Ti sbagli! Ho riflettuto, ragionato e solo alla fine ho detto di sì. Non è stato per nulla facile, ma potevo rifiutare il progetto di Yahweh su di me?-.

- Insomma per te è stato tutto chiaro fin da subito….-.

- Assolutamente no – nega decisa – Mi sono detta: non capisco ma mi adeguo!-.

- Avere un figlio senza essere sposata era una scelta rischiosa -.

- Potevo finire lapidata come adultera, ma mi sono fidata di Yahweh -.

- Quando lo hai raccontato i tuoi ti hanno creduto?-.

- Mi conoscevano e sapevano che non avrei mai detto bugie o cercato di ingannarli, ma non è stato semplice -.

- E Giuseppe?-.

- Era molto confuso. Come dargli torto? Che doveva pensare? Chiunque avrebbe reagito come lui. Sapeva però che io lo amavo e volevo stare con lui, costruire insieme una famiglia -.

- Decise di lasciarti, poi però gli apparve in sogno l’angelo e cambiò idea -.

- Giuseppe è sempre stato di poche parole. Mi ha raccontato poco o nulla -.

- Subito dopo sei partita per andare a trovare tua cugina Elisabetta -.

- Doveva partorire suo figlio Giovanni e aveva bisogno di me -.

- Affrontasti il viaggio da sola. Una scelta insolita, direi coraggiosa per quei tempi -.

- Trovi?- ride divertita – Nessuno comunque si oppose o provò a fermarmi -.

- Elisabetta ti chiamò “madre del mio Signore” e Giovanni sussultò di gioia nel suo grembo. Ti riservarono una bella accoglienza, senza dubbio -.

- Portavo dentro di me il Messia e Giovanni lo riconobbe. E’ stato bellissimo!-.

- E tu rispondesti con il Magnificat. Veramente quelle sono parole tue?-

- Yahweh ha messo le sue parole sulla mia bocca. Io sono nulla -.   

- Dopo aver sposato Giuseppe, decideste di vivere a Nazareth -.

- Era il nostro villaggio. Qui avevamo parenti e amici -.

- Pochi giorni prima del parto, vi metteste in viaggio verso Betlemme. Una scelta un po’ azzardata -.

- Fummo costretti per via del censimento ordinato dai romani. Dovevamo registrarci nella città di origine di Giuseppe, come stabilito dalle leggi e dalla tradizione. Fu faticoso, soprattutto per me. E poi giranno in lungo e in largo Betlemme, bussammo alla porta di parenti, amici e conoscenti ma nessuno aveva posto per ospitarci -.

- Non deve essere stato piacevole -.

- E’ la stessa esperienza dei poveri e dei migranti di oggi: vengono rifiutati, calpestati, muoiono di fame, in mare, per le guerre e pochi se ne preoccupano e intervengono. L’egoismo e l’indifferenza sono peccati gravi davanti a Yahweh -.

- Alla fine Giuseppe riuscì a trovare un alloggio di fortuna dove fermarvi e passare la notte e, mentre eravate a Betlemme, si compirono per te i giorni del parto -.

- Speravo di partorire mio figlio circondata dall’affetto dei miei familiari, di avere un minimo di tranquillità e di comodità, ma le cose andarono diversamente -.

- Cosa provasti in quel momento?-.

- Esattamente quello che prova ogni madre nel dare alla luce il proprio figlio. È una sensazione indescrivibile, che ti ripaga di fatiche, difficoltà e dolori -.

- Gesù però non era un bambino come gli altri -.

- In quel momento ho pensato solo a stringerlo tra le mie braccia, a farlo sentire amato e protetto. Lo stesso ha fatto Giuseppe -.

- I primi giorni di vita di Gesù sono stati costellati di presenze straordinarie e di pericoli: i pastori, i Magi, Simeone ed Anna, ma anche Erode e il suo tentativo di ucciderlo, l’esilio in Egitto….-.    

- Tutto è accaduto in modo rapido e imprevedibile e c’è voluto del tempo per capire. Poi pian piano ogni tassello è andato al suo posto, anche se sono cresciute in me e in Giuseppe le ansie e le paure -.

- Come sono stati quegli anni?-.

- E’ stato bellissimo vedere Gesù crescere, diventare un uomo e poi prendere la sua strada, iniziare la sua missione, compiersi in lui e attraverso di lui la promessa fatta da Yahweh ai nostri padri, anche se eravamo consapevoli che ci sarebbero stati momenti molto dolorosi -.

- Ti sei pentita del sì pronunciato quel giorno?-

- Mai!- Maria scuote la testa – Ho scelto di mettermi nelle mani di Yahweh, ho accolto suo Figlio nel mio grembo e lui è divenuto parte di me, sangue del mio sangue. È il mio ieri, il mio presente e il mio futuro. Senza di lui, senza Gesù la mia vita non avrebbe alcun senso -.

- Cosa vorresti dire alle persone del mio tempo?-.   

- Non abbiate paura, amate mio figlio e fate quello che vi dice -.

Abbiamo conversato ancora un po’, mi ha raccontato di Gesù, del loro rapporto e mi ha aiutato a capire. Al momento di congedarmi mi ha abbracciato e ho ritrovato in lei il calore mai dimenticato dell’abbraccio di mia madre, la gioia del Natale autentico, fatto non di luci, lustrini, regali e frivolezze ma dell’essenziale.

 

 

La Spl Sezze comunica variazioni nel conferimento di rifiuti nel periodo natalizio per quanto concerne la campagna di Sezze Scalo. “A seguito della comunicazione ricevuta dalla società Rida ambiente di Aprilia, presso la quale viene conferito il rifiuto indifferenziato e che prevede la chiusura dell’impianto  nei giorni  25/12/2020 e  01/01/2021 – si legge nella nota diramata dalla società comunale - il programma di ritiro dei rifiuti, limitatamente alle zone interessate (la campagna di sezze scalo)  nel periodo dal 21/12/2020 al 03/01/2021,  subirà le seguenti variazioni: Giovedì 24/12/2020  carta e indifferenziato; Lunedì 28/12/2020  vetro e organico;  Giovedì 31/12/2020 indifferenziato. Nella settimana successiva a decorrere dal 04/01/2021 si tornerà ai ritiri stabiliti dall’attuale calendario”. Si invitano i cittadini interessati a rispettare il cambiamento provvisorio del programma di conferimento rifiuti.

 

All’assemblea annuale di Coldiretti si traccia la strategia per il comparto agroalimentare. Il Recovery plan, secondo Coldiretti, è un’occasione imperdibile per dare slancio ai prodotti agricoli del made in Italy sui mercati di tutto il mondo, con un  progetto lungimirante che pone al centro le nuove generazioni. Si va verso una rivoluzione verde biosostenibile e digitale, che potrà portare nei prossimi dieci anni un milione di posti di lavoro, quindi un contributo decisivo alla nostra economia, duramente colpita dall’emergenza sanitaria. L’obiettivo è di ridurre del 50% le importazioni di cibo da altri paesi e cogliere la sfida dell’export delle eccellenze del made in Italy. L’agricoltura ha sofferto molto in questi ultimi tempi, ma nelle corde della Coldiretti non c’è di fermarsi, ma di guardare alle nuove sfide a cominciare dall’internazionalizzazione, per essere pronti nella fase della ripartenza ad aggredire i mercati che storicamente ci appartengono. Come è sempre successo nei momenti più difficili, l’agricoltura e l’agroalimentare sono stati il motore della ripartenza e allora l’invito che Coldiretti rivolge a tutti i cittadini italiani, specie in  questi giorni di festa, è di preferire sulle tavole prodotti italiani, per confermare che il nostro è un Paese patriottico che ama la sua storia e la sua cultura. E ce n’è tanto bisogno perché con un Natale più magro salirà ad oltre 30 miliardi il crac annuale della spesa alimentare degli italiani, con un crollo del 12% rispetto allo scorso anno. Il settore della ristorazione ha dimezzato il volume di affari causando una situazione di sofferenza che porterà a fine anno una perdita di fatturato di tutta la filiera agroalimentare di oltre 9,6 miliardi, solo per i mancati acquisti di cibi e bevande da parte dei ristoratori.

 

Non è una battuta di spirito, né il dono di Babbo Natale. Ma un auspicio e un impegno. Sì! Riapriamo l’Ospedale di Sezze! Un ospedale aperto al territorio, di prossimità. Lo scoppio della pandemia del covid-19 ha messo in luce le criticità del sistema sanitario nazionale e, per quanto ci riguarda più da vicino, di quello pontino. Abbiamo assistito, increduli e sconfortati, ad affollamenti e assembramenti davanti al Pronto Soccorso del Goretti, a file chilometriche per il tampone, ad ore di attesa al freddo di pazienti sulle barelle nei corridoi, alla disumana solitudine di anziani abbandonati e lasciati morire, a scene eroiche e sovrumane di medici e infermieri sfiniti ed esausti. Si è svelato davanti ai nostri occhi un Paese inadeguato ad affrontare l’epidemia del coronavirus, sia da un punto di vista sanitario che logistico. Non era inevitabile né ci possiamo consolare che gli altri non sono andati meglio. È stata la dimostrazione palese del fallimento di una politica sanitaria concentrata esclusivamente sulla grande ospedalizzazione e ignara colpevolmente della medicina domiciliare ed extra muraria, il tutto a vantaggio dei privati e delle case farmaceutiche. Il prezzo maggiore, ovviamente, viene pagato dalle fasce più deboli e più povere della popolazione, abbandonate a se stesse. La scelta sciagurata di chiudere gli ospedali del comprensorio lepino (Sezze, Cori, Priverno), compiuta nel corso degli ultimi anni, ha determinato un peggioramento delle condizioni di cura dei cittadini, costretti a ricoverarsi all’ospedale Goretti di Latina e a quello di Terracina. Il risparmio ottenuto(?) è stato dirottato interamente sulle strutture private. I presìdi ospedalieri Lepini, vanto e prestigio dell’intera provincia, sono rimasti vuoti e sempre più fatiscenti, in attesa di un totale e irrimediabile decadimento. Cattedrali nel deserto, che gridano vendetta e che hanno comportato conseguentemente l’impoverimento complessivo dei centri abitati, l’emorragia del personale medico e infermieristico.  Tutto l’indotto sociale ed economico è stato mortificato e penalizzato, salvo poi lamentarsi del selvaggio inurbamento delle città. L’ospedale S. Carlo di Sezze, in particolare, ha risentito molto di questa triste vicenda. L’apertura della Casa della Salute, ad opera della Regione Lazio e del suo presidente Zingaretti, ha restituito solo in parte le prestazioni precedenti. Non è questo il momento delle polemiche e della ricerca dei responsabili (che ci sono!) ma di coinvolgere e riorganizzare tutti coloro che si sono sempre battuti per la nobile causa della riapertura. Non è certo semplice né immediato. L’obiettivo è quello di contribuire al rilancio e al miglioramento delle condizioni psico-fisiche della popolazione attraverso l’utilizzo delle risorse esistenti, mettendo in piedi una medicina territoriale e domiciliare di prossimità, non in conflitto con il Goretti di Latina ma in maniera complementare, sussidiaria. Si tratta di affiancare all’ospedale del capoluogo, che deve svolgere sempre più interventi di alta specializzazione e di ricerca scientifica a livello universitario regionale e nazionale, un ospedale di supporto per interventi di routine (ernie, appendicite, chirurgia minore ecc.) con il supporto indispensabile di un Pronto soccorso h.24, di strumenti diagnostici e di laboratorio. Realizzando, così, un circuito virtuoso attraverso l’istallazione di un Centro Unico di Prenotazione mediante sistemi informatici. Le epidemie, purtroppo, saranno ricorrenti se l’uomo continua ad infettare e inquinare l’ambiente! Queste non si sconfiggono negli ospedali ma sul territorio. Il modello Lombardia, tanto decantato prima del covid-19 è fallito. Il virus cammina sulle gambe degli uomini e delle donne e ciò impone una seria riflessione e una svolta nella gestione del territorio e della sanità, una svolta nel modello urbanistico, onde evitare affollamenti e concentrazioni di folle umane. Invertire la tendenza: dalle città ai paesi, dai grandi ospedali a quelli di prossimità. Ci vuole tempo ma bisogna iniziare. Un invito caloroso lo rivolgo ai consiglieri regionali La Penna e Forte e al presidente della commissione regionale Pino Simeone.

 

 

 

 

 

“Dal momento che il consigliere comunale Senibaldo Roscioli non fa più parte della nostra lista, il problema del nuovo assessorato non ci riguarda. Nonostante le defezioni in aula la nostra lista ha ancora una grande forza elettorale e politica tale da rivendicare l’assessorato che già abbiamo e la carica di vicesindaco”. Il capolista di Sezze Futura, Enzo Polidoro, chiarisce la posizione della sua lista in merito alla difficoltà della maggioranza di trovare un accordo per il nuovo assessore dopo le dimissioni di Andrea Campoli. Secondo il dott. Polidoro il problema non è "Sezze Futura" ma il consigliere Roscioli che “in piena autonomia sta chiedendo un assessorato”. Polidoro blinda dunque il vice sindaco Antonio Di Prospero fino alla fine del mandato: “Di Prospero assessore e vice sindaco – ci ha detto Polidoro – era negli accordi elettorali di tutti i candidati della nostra lista”. A Polidoro però replica il diretto interessato, il consigliere Senibaldo Roscioli, dichiaratosi indipendente nei giorni scorsi proprio per il peso che lui ritiene di aver avuto nella lista insieme ad altri.  “Mi rimetto alla decisione del sindaco. In base a questa – afferma Roscioli - e spero che sia giusta e tempestiva, valuterò se restare in maggioranza o se fare altre scelte. Vorrei ricordare che la forza elettorale di Sezze Futura è dipesa da tutti i candidati e non da un singolo personaggio, ognuno ha fatto la sua parte ed è giusto che il sindaco valuti bene questo”. Fatte le dovute precisazione, però, la sostanza non cambia: se Roscioli chiede un assessore e la sua richiesta non passa la crisi politica potrebbe essere servita. Se dovesse passare anche lui nei banchi dell’opposizione il sindaco Di Raimo non avrebbe più una maggioranza qualificata e dovrebbe rimettere il mandato agli elettori. La città ha grandi e seri problemi, è in affanno e non può permettersi questioni di lana caprina. Cosa dobbiamo aspettarci un anno e mezzo di frustrazioni politiche?

Periferie abbandonate e strade diventate pericolose. E’ il caso di via Carizia a Sezze, zona nella conca di Suso. L’arteria comunale in alcuni tratti è diventata impercorribile, simile ad una mulattiera. I residenti ci hanno inviato delle foto che testimoniano la pessima condizione di un tratto di strada, soprattutto nei pressi del piccolo ponte, zona tra l’altro di fermata della circolare comunale. In questo punto la strada è in pessime condizioni e nelle giornate di pioggia diventa una pozzanghera. Non si riesce nemmeno a camminare, e salire sulla linea urbana locale è impossibile. In questo tratto sono stati effettuati dei lavori ma il manto stradale non è stato più rimesso, insomma la strada è stata abbandonata. I residenti chiedono al Comune di Sezze di intervenire per evitare che qualcuno possa incorrere in pericoli. E’ urgente e doveroso.

 

 

Quattro mesi senza un assessore di peso, quattro mesi senza un assessorato fondamentale per la fase che tutti stiamo vivendo, quattro mesi di stasi politica nel Comune di Sezze. Dal 25 di agosto, giorno delle dimissioni irrevocabili e improvvise dell’assessore ai servizi sociali Andrea Campoli, la Giunta presieduta dal sindaco Sergio Di Raimo è rimasta zoppa e in attesa di capire chi subentrerà al posto dell’ex sindaco di Sezze. Il primo cittadino proprio in questi giorni sta cercando di capire quale mossa fare e non si esclude che prima di Natale ci sia una verifica all’interno della maggioranza. Come abbiamo già annunciato è molto probabile che ad Andrea Campoli possa subentrare l’attuale capogruppo del Pd Armando Uscimenti, il quale dimettendosi da consigliere comunale farebbe così posto al primo dei non eletti Paolo Rizzo. Il nodo da sciogliere però non è quello del Pd e delle due anime all’interno dei dem setini ma è quello emerso all'interno della lista “Sezze Futura” con a capo Enzo Polidoro. Si vocifera che oltre allo strappo politico già consumato e digerito del consigliere Mauro Calvano, passato all’opposizione come indipendente, adesso pare che rivendichi giustamente un peso politico ed elettorale anche il consigliere comunale Senibaldo Roscioli, un peso che vorrebbe significare assessorato. Considerando infatti che Polidoro da solo ha sempre incassato un assessorato, (assessore ai lavori pubblici e carica di vice sindaco) non si comprende perché non si debbano rimescolare le carte e le quote (se richiesto) anche all’interno della sua lista, visti i cambiamenti avvenuti. Il sindaco potrebbe optare allora per un doppio cambio di assessori ed ascoltare le richieste di Roscioli. Manca meno di un anno e mezzo, l’ultimo del quale sarà solo campagna elettorale e ridefinizione di liste per le prossime elezioni. Se la quadratura del cerchio non arriva è probabile che sia crisi bis, come già avvenuto nell’estate del 2019. Eppoi chi potrebbe lasciare la Giunta per un uomo vicino a Roscioli? Sabrina Pecorilli? Giulia Mattei? Siddera? O lo stesso Di Prospero? Un rebus politico insomma.

Domenica, 13 Dicembre 2020 07:47

Ciao Pablito!

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Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei goal. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. Il calcio che esprime più goal è il calcio più poetico”. (Pier Paolo Pasolini)

Il calcio è un amore strano, ma è amore.

L’amore ha sembianze differenti, lo comprendiamo solo facendogli spazio, assaporandolo nella concretezza del suo imprevedibile manifestarsi, nel suo intrecciarsi intimamente e indissolubilmente con le nostre vite, si declina anche nel rincorrere una palla in un rettangolo erboso di gioco.

Il calcio è passione che ti afferra e ti imprigiona, ti fa ardere di desiderio, è gioco e appartenenza, genio e talento, tecnica e impegno, sacrifico e lealtà. Solo in apparenza è semplicemente correre dietro una palla. Quella palla ricercata, inseguita, sottratta all’avversario e calciata racconta l’essenza della vita, intessuta dei sogni più audaci, delle aspettative più forti e delle emozioni più sentite. Se poi a quella palla riesci a dare il calcio giusto, a infilarla nella porta avversaria portando la tua squadra alla vittoria, ti sembra di spiccare il volo, di viaggiare lontano, assai più lontano di quanto tu abbia mai potuto immaginare, di raggiungere traguardi che ti riempiono di ebbrezza inesprimibile. 

Il calcio è uno degli sport più completi, impegna dal punto di vista tecnico, atletico e tattico, richiede energie e intelligenza, il sapersi disporre in campo nel posto giusto e muovere anche senza il possesso della palla, la capacità di indovinare il momento per difendere o attaccare, la perspicacia di accorgersi dei pericoli o dei punti deboli dell’avversario, la prontezza a predisporre le contromisure per arginarne e annullarne le strategie di gioco. Il fascino del calcio è il suo essere una sfida non solo tra le due squadre avversarie, ma anche tra i singoli giocatori e, a ben vedere, con sé stessi, con le proprie forze e i propri limiti, con la fortuna e il destino, finanche con gli stessi compagni di squadra per assicurarsi la migliore prestazione. Forza fisica e vigore atletico sono essenziali, ma nulla valgono senza intelligenza, creatività, fantasia, acume tattico, slancio generoso, correttezza nel riconoscere valore e dignità dell’avversario, più forte o più debole poco importa.

Il calcio insegna l’importanza dell’essere squadra, del reciproco sostegno, dello stare e convivere con gli altri, riserva gioie grandi, come la vittoria in campionato o in coppa magari segnando il gol decisivo, o più semplici e apparentemente marginali come i progressi in allenamento e i frutti del lavoro svolto con passione e intensità. Spesso però ci riserva emozioni negative, brucianti e dure, come una prestazione pessima, sbagliare un rigore decisivo, perdere una partita fondamentale. L’importante è non lasciarsi abbattere dalla sconfitta, imparare a misurarsi con le contrarietà, ripartire dagli errori, coltivare il senso del limite considerandolo uno stimolo a fare di più e meglio, a superare se stessi con coraggio e determinazione, a faticare e penare, sorridere e gioire, ossia a vivere la profonda duplicità della vita.

L’amore per il calcio può sbocciare in ogni momento, ma solitamente accade da piccoli, quando guardando le meraviglie sul campo dei campioni che giocano nella squadra del cuore, scatta la scintilla, esplode il desiderio irresistibile di emularne le imprese, di provare a diventare come loro o più semplicemente lasciandoti travolgere dalla passione e ritrovandoti i a tifare sugli spalti dello stadio o davanti allo schermo del televisore, in preda all’adrenalina e alla tensione.

Ricordo bene l’estate del 1982. Ero un adolescente che si affacciava alla vita con il cuore in subbuglio e la testa piena di sogni. La nazionale di Enzo Bearzot arrivò al mondiale di Spagna accompagnata da critiche e perplessità, non ultimo per la convocazione di Paolo Rossi, il quale aveva finito da qualche mese di scontare la squalifica di due anni inflittagli per lo scandalo del calcio scommesse (rispetto al quale ha sempre rivendicato la propria estraneità e innocenza). Tutti erano convinti che la squadra avrebbe fatto poca strada. L’inizio stentato sembrò confermare il timore: tre pareggi scialbi e la qualificazione arrivata grazie ai ripescaggi. Paolo Rossi era il centravanti e giocò male le tre partite iniziali. Nei bar e nei conciliaboli dei tifosi ci si domandava perché il CT insistesse nello schierarlo. Enzo Bearzot tirò dritto. La squadra si trasferì a Barcellona per la seconda fase e qui avvenne la sua metamorfosi e con essa quella di Paolo Rossi. Pablito esplose e divenne il simbolo della nazionale. Rifilò tre gol al Brasile, due alla Polonia, uno alla Germania in finale e così conquistò il titolo di capocannoniere del torneo e per l’Italia il terzo titolo di campione del mondo. In quel magnifico 1982 vinse anche il Pallone d’Oro.

Paolo Rossi era un centravanti da area di rigore con un innato senso del gol: piccolo, agile, sgusciante, un ragazzo umile e perbene, senza tanti grilli per la testa. Nulla a che vedere con i giocatori palestrati e sempre sulla copertina dei rotocalchi del calcio odierno. Toscano di Prato, esplose nel Vicenza, passò al Perugia, alla Juventus, al Milan e, ancora giovane a causa della fragilità fisica, chiuse la carriera al Verona. Tuttavia se penso a lui non riesco ad associarlo a nessuna squadra di club, lo vedo con indosso unicamente la maglia azzurra e lo immagino la sera dell’11 luglio 1982 appoggiato a un cartellone pubblicitario del Bernabeu di Madrid. Lo stadio è una bolgia, un mare di bandiere, un’onda che lambisce il serpen­te azzurro che si snoda intorno al cam­po, guidato da una figura divenuta mitologica: metà Zoff, metà coppa del Mondo. Paolo Rossi non c’è. Dopo aver concluso il giro d’onore si ferma a contemplare quella baraonda e si scopre triste. Pablito racconta: “Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza. - Adesso dovete fermare il tempo, adesso -, mi dicevo - Non avrei più vissuto un momento del gene­re. Mai più in tutta la mia vita. E me lo sentivo scivolare via. Ecco: era già fini­to”.

No Paolo, non è finito affatto. A 64 anni, nel cuore della notte, la morte ti ha strappato all’affetto della tua famiglia e di tutte le persone che ti hanno ammirato ed amato, ma ha reso eterno quel sogno che ci hai fatto vivere.

 

 

Mentre finalmente si sta concretizzando l’attivazione della Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) anche a Sezze, gli appelli per ridare vita al nosocomio San Carlo di Sezze si moltiplicano. Molti locali della grande struttura di via San Bartolomeo da molti anni sono abbandonati, un’ala dell’ospedale è praticamente distrutta e oggetto di atti vandalici. Le foto choc che ci giungono sono a dir poco impressionanti. Interi spazi diventati dei magazzini, vecchi reparti che gridano vendetta per lo stato di abbandono e incuria che presentano. Quello che è stato il più importante ospedale dei Monti Lepini, per buona parte è ridotto a deposito selvaggio e luogo di vandalismo. Al piano terra nell’ala del chiostro sembra che siano passati vandali che hanno distrutto tutto, il vecchio reparto di radiologia si presenta alla stessa maniera, distrutto. Una vera vergogna insomma, in un momento delicato nel quale la ricerca di locali per pazienti covid e non è diventata sacrosanta. Il San Carlo potrebbe ospitare come il Fiorini di Terracina pazienti non covid e diventare così un presidio specialistico e offrire servizi e prestazioni sanitarie di eccellenza lì dove altri nosocomi soffrono e non riescono più ad offrirli perché congestionati. Vedere così ridotta una grande struttura ospedaliera che potrebbe ospitare ammalati di media e lunga degenza fa male ancor più e infetta le ferite di un sistema sanitario malato e abbandonato.  

Gli interni al piano terra

 

 

Non sembra più esserci feeling tra Sezze e il suo San Lidano, santo patrono, almeno a livello nominale; se la vicenda legata alla statua del Santo al Belvedere di Santa Maria è arcinota, c’è un’altra vicenda che riguarda un San Lidano e lo stesso Comune, in cui ci sono in ballo 50 mila euro. A tanto ammonta l’IMU relativo all’anno 2013 richiesto dall’Ente alla Cooperativa Ortofrutticola che porta il nome del santo nato ad Antena, ma divenuto santo a Sezze. Il sodalizio di via Migliara 46, dal 2019, sta presentando ricorso per non pagare il dazio tributario recapitato dall’Ente. Prosegue a distanza di anni il braccio di ferro tributario iniziato nel 2017 tra il Comune di Sezze e la Cooperativa Agricola San Lidano. L’Ente ha infatti dovuto ricorrere alle prestazioni dell’avvocato Angelo Cardinale per opporsi al ricorso in appello presentato dalla stessa Società Cooperativa alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, rispetto ad una sentenza che nel febbraio 2019 aveva condannato il sodalizio a pagare l’importo richiesto dal Comune. Nello specifico, la San Lidano Società Cooperativa Agricola aveva già proposto ricorso contro il Comune di Sezze, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, avverso l’avviso di accertamento n. 2144 del 14/11/2017 relativo al pagamento del complessivo importo di € 50.060,00 a titolo di IMU per l’anno 2013. Il Comune di Sezze si è costituito, conferendo incarico all’Avvocato Angelo Cardinale, chiedendo il rigetto del ricorso e la stessa Commissione Tribunale Provinciale di Latina ha emesso in data 01/07/2019 la sentenza n. 636/02/19 che rigetta il ricorso presentato dalla Cooperativa, condannando la stessa al pagamento delle spese di giudizio. La San Lidano però non ha desistito e ha presentato ricorso in appello, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sezione staccata di Latina, con il quale chiede l’integrale riforma della sentenza n. 636/02/19 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, acquisito in data 04/02/2020 con prot. n. 3072. Ovviamente, anche in questo caso, l’Amministrazione ha ritenuto giusto resistere in giudizio avverso il ricorso presentato dalla coop. San Lidano Società Cooperativa Agricola, avvalendosi del medesimo professionista che ha già curato la difesa tecnica nel contenzioso, per evidenti ragioni di consequenzialità, al fine di salvaguardare i suoi diritti. Per difendersi, l’Ente dovrà impiegare 2601,90 euro, tanti quanti richiesti dal professionista; cifra che, in caso di vittoria dell’Ente, saranno addebitati a chi ha presentato il ricorso. Non è dato sapere se dopo l’accertamento Imu relativo all’anno 2013, da parte del Comune sia proseguito iter analogo anche negli anni a seguire considerando che dopo cinque anni, eventuali irregolarità non sono più perseguibili a fini tributari.

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