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Conto alla rovescia per il cantiere sul Belvedere di Santa Maria. Lunedì sul tavolo della Giunta comunale presieduta dal sindaco Di Raimo ci sarà la deliberà che autorizza l’ufficio tecnico comunale a dare corso alla demolizione dei manufatti realizzati sul murodellatèra di Sezze. L’ufficio tecnico dopo l’ok della Giunta darà quindi mandato ad una ditta di ripristinare lo stato dei luoghi e liberare dopo 18 mesi l’area del belvedere. Il provvedimento arriva dopo il rigetto da parte del Tar del ricorso presentato da Don Massimiliano Di Pastina, committente dei lavori per la realizzazione su suolo pubblico di un monumento dedicato a San Lidano. Si tratta di una vicenda ormai nota a tutti che ha messo in tutta evidenza la discutibile procedura che ha portato all’avvio dei lavori senza alcuna discussione politica dell’opera e senza alcun concorso di idee o condivisione di quanto si voleva realizzare e donare su una pubblica piazza.  Se non ci saranno altri intoppi legali, presumibilmente prima di Natale il belvedere tornerà libero cosi come da secoli e secoli il popolo setino lo conosce. Si spera che questa vicenda sia l’occasione per riqualificare l’intero complesso conservando però l’aspetto naturale  e architettonico della piazza. 

 

L’amministrazione comunale di Sezze, per la gioia di molti cittadini e soprattutto dei bambini della nostra città, ha voluto illuminare queste tristi giornate contrassegnate dai bollettini Covid con l’installazione di luminarie nelle vie principali del paese. E’ una tradizione che si ripete da anni ma l’idea di accendere di colori e luci il Parco della Rimembranza è una iniziativa sicuramente nuova. E’ dallo scorso anno, infatti, che il Comune di Sezze ha pensato bene di installare delle luminarie nel monumento dedicato ai caduti e di rendere così la passeggiata “Fabrizio De Andrè” suggestiva e coinvolgente. Sappiamo tutti che purtroppo questo sarà un Natale diverso, segnato dalle distanze sociali e dalle difficoltà di spostamenti. Mancherà per molti il calore umano e la condivisione di momenti che pensavano tutti fossero scontati e infrangibili. Non ci saranno eventi natalizi particolarmente rilevanti ed il palinsesto del Natale Setino, come altri, sarà scarno di iniziative. Sforziamoci quindi di dare maggiore forza al buon senso, evitando polemiche sterili anche sulle luci natalizie, sperando che possano dare conforto e speranza a tutti coloro che stanno vivendo momenti bui e di tristezza. Viviamole come un momento di unità e calore. 

 

23 Novembre 1980

 

Terremoto in Irpinia. Il sisma provoca quasi tremila morti, oltre 8mila feriti e 280mila sfollati. Come per il Friuli, il Comune di Sezze è tra i primi a intervenire e a soccorrere.

 

25 Novembre 1980

 

 Il Consiglio comunale delibera all’unanimità la somma di 5 milioni di lire per l’acquisto di generi alimentari di prima necessità. Affida il coordinamento di tutte le operazioni all’assessore anziano Titta Giorgi, con il sostegno dell’assessore ai servizi sociali Vincenzo Mattei. Si raccolgono 2 camion di vestiario, 20 quintali di mangime e 40 quintali di fieno per gli animali; un camion di viveri per la popolazione. Ogni socio della cooperativa Gramsci versa il prezzo di 1 quintale di pomodori; vengono raccolti libri, quaderni, penne e matite; viene inviata una squadra di tecnici (idraulici ed elettricisti) per la durata di 10 giorni; viene inviata una squadra di operatori sanitari e infermieristici; l’animatore  dott. Jeph  Anelli, dipendente comunale, viene inviato in loco a coordinare il lavoro degli operatori sociali e culturali; viene disposta una somma di 15 milioni per la ricostruzione e la ristrutturazione della biblioteca di Lioni,  uno dei paesi più colpiti dal terremoto; alcuni funzionari del Comune, con a capo il vicesegretario Franco Federici, vengono inviati  a ricostruire gli uffici anagrafici e demografici di Lioni.

 

Il 27 Novembre 1980

 

La quadra dei soccorritori, tutti volontari, si trova a Pontecagnano, con un convoglio carico di viveri e di vestiario. Il giorno dopo la squadra si dirige verso Solofra e Lioni, che diventa il  punto di raccolta. Qui si allestisce un impianto idrico provvisorio e si prendono contatti con il Sindaco del paese. Il 30 Novembre , grazie al dottor Zarra e ad altro personale medico e infermieristico, si presta il primo soccorso ai feriti. Si creano punti luce nelle tende da campo. Si collabora a dare onorata sepoltura ai deceduti sotto le macerie nel Cimitero del paese; si sistemano e si istallano bagni e docce nel campo occupato dai Vigili del Fuoco.

 

Domenica 29 Novembre 1981

 

Si riunisce il Consiglio Comunale di Sezze in seduta straordinaria per il Gemellaggio tra Sezze e Lioni.  È presente il Sindaco di Lioni Angelo Colantuono, i magistrati Alfonso De Paolis, Ottavio Archidiacono, Francesco Lazzaro, il vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio on. Mario Berti e una folta delegazione del Comune terremotato. Dopo la commossa introduzione del sindaco di Sezze Alessandro Di Trapano che si impegna, a nome della intera cittadinanza, per la ricostruzione e la rinascita di Lioni, prende la parola il sindaco di Lioni Angelo Colantuono che esprime profonda gratitudine ai cittadini di Sezze che si sono particolarmente distinti per la loro umanità e disponibilità.  Una gratitudine che resterà per sempre e che non sarà mai cancellata nella storia di Lioni perché, oltre all’aiuto materiale, è stato il senso profondo di solidarietà e di amicizia dei sezzesi che ha aiutato la cittadina irpina ad uscire dalla fase più drammatica. A conclusione della seduta i Sindaci di Sezze e di Lioni si sono scambiati una targa ricordo e il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità il Gemellaggio tra i due Comuni. Una gara di solidarietà che resterà impressa nella storia di Sezze e dei sezzesi. Per non dimenticare!

Il segretario del Consiglio comunale. Dott. Vittorio Pelagalli

 

Il sindaco Alessandro Di Trapano

 

 

Rientro graduale per le scuole di Sezze. Così è stato deciso dall’amministrazione comunale. A breve sarà pubblicata ordinanza del sindaco. Lunedì rientrano a scuola asili nido, scuole dell’ infanzia e scuole primarie, sia pubbliche che private. Da lunedì 30 novembre rientreranno le scuole secondarie di primo grado.

 

 

Fortunatamente la ragionevolezza resta uno dei principi su cui si lega la razionalità, la logica ed il buon senso, soprattutto in momenti difficili e delicati per tutti. Tenere fermo il timone e schiena dritta se si naviga in cattive acque e su fragili vascelli, senza pensare di cercare soluzioni pescandole con la canna di Sampei. Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, interviene in merito alla difficile gestione dei contagi da covid19. Propone di ragionare e valutare caso per caso, anche sulla chiusura o riapertura delle scuole. “Nella nostra comunità la morsa del contagio non si attenua. Dobbiamo cercare tutti di gestire questa difficile situazione – afferma Eramo - la soluzione passa solo attraverso le azioni individuali. Non pochi nostri concittadini hanno già pagato il prezzo più alto: la vita. I casi anche nella nostra provincia sono tanti e ricostruire la mappa del contagio è difficile per questo diventa fondamentale collaborare e aiutare chi è preposto a farlo. È un elemento prioritario per spezzare la catena. Oggi dobbiamo "salvare" la nostra comunità stando uniti e limitando i contatti a quelli strettamente necessari, altrimenti non se ne esce! A proposito di scuola, tema delicato e non facile. Penso che sia opportuno pensare e stabilire dei criteri di riferimento, condivisi con Scuole e Asl, per eventuali ed eccezionali chiusure. Altrimenti rischiamo di passare l'anno con un dibattito perenne che logora istituzioni e comunità. È l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento”.

Domenica, 22 Novembre 2020 07:50

Neanche con un dito!

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“Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via” (Luciana Littizzetto)

Vorrei tanto non scrivere della violenza sulle donne.

Mi piacerebbe che il 25 novembre fosse una ricorrenza anacronistica, obsoleta, memoria di una barbarie definitivamente sconfitta, retaggio di un’epoca tramontata, contrassegnata dal sigillo dell’incomprensibile e dell’assurdo, espressione di una malvagità che l’umanità si è lasciata per sempre alle spalle.

Mi piacerebbe non sentire pronunciare nei notiziari televisivi e non leggere sulle pagine dei giornali la parola femminicidio, non ascoltare racconti di carneficine domestiche. Purtroppo l’umanità continua a segnare il passo. La realtà ci costringe a fare quotidianamente i conti con brutalità assurde e inaccettabili compiute da autentici mostri ai danni delle donne e sempre più frequentemente, in un delirio distruttivo che non risparmia niente e nessuno, anche dei figli, agnelli sacrificali funzionali ad infliggere la sofferenza inaudita della perdita più atroce a colei che ha osato sottrarsi al proprio potere e rivendicare spazi di autonomia, a misurarci con storie di umiliazioni e soprusi che si consumano soprattutto nel chiuso delle mura domestiche e restano avvolte nel silenzio e nell’indifferenza. Le violenze conquistano l’onore della cronaca solo quando assumono vesti eclatanti e sfociano in gesti estremi e nell’omicidio, impossibili da nascondere o mascherare, ma ordinariamente presentano le sembianze della prevaricazione sottile e subdola, si nascondono nelle pieghe e nei dettagli apparentemente irrilevanti, nei piccoli gesti che raccontano una malevolenza radicata e un disprezzo profondo per la donna. Uomini orrendi, che osano chiamare amore quello che in realtà è l’esaltazione del proprio egoismo e la sua assoluta negazione.

È duro incrociare e sostenere lo sguardo di una donna violata ed abusata, che ha creduto nell’amore e ha messo in gioco se stessa, pensando di poter costruire un percorso di vita, di ritagliarsi spazi di serena realizzazione a fianco della persona amata e si è scoperta invece vittima di una possessività asfissiante, considerata alla stregua di un oggetto, privata di dignità e rispetto, precipitata in un incubo, in un inferno di sofferenze e degrado, soggiogata fisicamente e psicologicamente al punto da ritenersi sbagliata, esclusiva responsabile dei maltrattamenti subiti, colpevole della propria condizione, carnefice insomma di se stessa e non vittima. Frequentemente la sua colpa più grande è l’illusione di poter cambiare il proprio uomo, di poterne guarire l’ego malato, di poterlo aiutare ad uscire dal pantano popolato di incubi e ossessioni in cui è rintanato.

“Come hai fatto a non accorgertene?”.

“Come mai non te ne sei andata prima?”

“Perché non hai chiesto subito aiuto?”.

“Se hai accettato di restare in fondo così male non doveva essere….”.

“Sei fuggita da una prigione nella quale stavi per tua volontà e dunque che prigione era? Nessuno ti obbligava”.

Chissà quante volte abbiamo sentito ripetere queste parole, trasudanti scetticismo e prive di umana empatia e comprensione. Parole e domande come lame affilate capaci di ferire e umiliare ancora una volta le donne che, con grande sofferenza, si affrancano dalle catene e riescono a raccontare la loro esperienza sconvolgente. È difficile spiegare a chi non lo ha vissuto sulla propria pelle come sia stato possibile arrivare fin lì, spingersi al limite ultimo e perfino superarlo, capire che la sottomissione è una trappola, un gorgo in cui si viene risucchiati poco alla volta e spesso dolcemente attraverso una gentilezza formale al limite dell’irritante, una cortesia di linguaggio che è solo inganno, una attenzione affettata e insidiosa e una volta catturate è complicato divincolarsi, uscirne, liberarsene, superare quella barriera che impedisce persino di mandare segnali all’esterno, di comunicare quello che si sta subendo agli altri, i quali peraltro molto spesso nemmeno vogliono sapere.     

Lungamente la violenza sulle donne è stata ritenuta socialmente accettabile, anzi normale, solo perché in moltissimi casi veniva subita supinamente e pertanto era invisibile o quantomeno è stato un tema ignorato, stimato irrilevante, non meritorio di attenzione, considerato da alcuni un tabù. Un mondo sommerso, nascosto e negato, nel quale reticenza, menzogna e neutralità l’hanno fatta da padrone e il silenzio ha aiutato oppressori e carnefici. Accettare e sopportare tacendo è stato l’imperativo per le donne: altre soluzioni o vie di uscita non erano possibili o immaginabili.

Nonostante gli sforzi e le lotte portate avanti per abbattere la concezione patriarcale delle relazioni familiari, il furore padronale e il senso del possesso maschile radicato e condiviso, il retaggio consolidato di un’idea della donna come oggetto di cui disporre a piacimento e della sua sottomissione all’uomo ancora resiste, come anche il muro dell’omertà che spesso circonda soprusi e violenze. Disinnescare un simile pensiero è indispensabile, ma purtroppo il solo deterrente della punizione non riesce a fermare la mano di chi usa violenza, strangola, soffoca, brucia e uccide. Molte donne vengono massacrate dopo aver denunciato e tante altre non sanno, possono o riescono a farlo. Pertanto contestualmente alla repressione è necessario investire in cultura e formazione, farmaci che non producono effetti immediati ma a medio e lungo termine: educare al rispetto della donna, proporre un modello relazionale improntato all’accoglienza in cui l’altra non è un possesso, un oggetto da controllare e dominare perché nessuno è mio o tuo….. Ci vorrà del tempo, ma ogni minuto di ritardo costerà molto in termini di traumi indelebili e vite.

Sabato, 21 Novembre 2020 08:23

Papa Francesco e gli omosessuali

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Può sembrare irrispettoso il titolo di questa riflessione. Ma Papa Francesco ci sta abituando a queste sorprese e non finisce mai di stupire. Il Pontefice, “venuto dalla fine del mondo”, è soprattutto un pastore che ha ben presenti le condizioni di smarrimento e le esigenze di cambiamento dell’uomo moderno. La Chiesa, per lui, non è più un fortino da difendere con le armi e le scomuniche ma una casa aperta a tutti e che vuole difendere la propria identità teologica e morale costruendo ponti e non muri. Ciò non significa rinunciare ai propri convincimenti ma pensare che la verità è figlia della storia e del confronto, è il prodotto di una ricerca comune, fatti salvi alcuni princìpi non negoziabili. Con questo spirito missionario e pastorale, il Papa affronta di petto le questioni, anche quelle più spinose e delicate, avendo i piedi ben saldi piantati nella realtà di oggi. Egli non nasconde a se stesso e alla Chiesa che governa il dramma, gli orrori ma anche le infinite risorse di misericordia e di bontà dell’uomo moderno. Il passaggio incriminato sulla omosessualità, oggetto di questo breve articolo, è contenuto in un film-documentario intitolato  "Francesco”, sollevando aspre critiche e facendo gridare allo scandalo. In esso il Papa sembra voler benedire le famiglie sessuali, con tanto di prole, quasi fossero uguali a quelle composte “regolarmente” da mamma e papà. Il documento risale a una intervista rilasciata nel maggio 2019 a una giornalista messicana ed ha come sfondo l’esperienza pastorale dell’allora arcivescovo argentino, José Mario Begoglio. Ne è seguito un dibattito che ha assunto le pieghe di un giallo, su cosa volesse dire realmente Papa Francesco. Non è la prima volta che questo accade in sette anni e mezzo di pontificato. Le riforme all’interno della Chiesa di Roma non sono state mai benedette e accolte con favore. A maggior ragione in questo periodo in cui, grazie al Papa argentino, si tenta di mettere argine e riparo al malcostume che si è annidato in parte della Curia Romana. E allora veniamo al dunque: il Papa, rispetto alla omosessualità, ha cambiato la dottrina della Chiesa o è vittima dell’ennesimo attacco da parte dell’ala conservatrice molto presente tra i Porporati? In questi casi occorre andare alla fonte ed essere estremamente fedeli e imparziali rispetto alle parole, allo spirito e al contesto dell’intervista. Fermo restando l’impianto missionario di ricerca dell’unità degli opposti, tipica della dottrina del gesuita  Papa Francesco, basata sulla consapevolezza della drammaticità della storia umana e della natura paradossale della Chiesa Cattolica, fondata sulla tragica polarità tra la libertà dell’uomo e la Grazia divina culminante nel paradosso della figura di Cristo, Uomo e Dio. Nell’intervista sopra citata il Papa conferma quanto già affermato nella Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” di quattro anni fa.  E cioè che i giovani omosessuali devono poter essere riconosciuti dalla propria famiglia come persone, non devono essere allontanati, né espulsi, né discriminati. Le persone omosessuali devono avere una famiglia e non devono costituire una famiglia. Questo è il punto non soggetto a equivoci e a fraintendimenti. Il Pontefice considera le persone omosessuali figli e figlie di Dio, amati da Dio e che, sul piano giuridico, devono avere la possibilità di poter godere di una adeguata tutela. Di conseguenza papa Francesco esorta i legislatori a promulgare “leggi di convivenza civile”, proprio per evitare che le unioni omosessuali possano essere equiparate ai matrimoni. Non c’è dunque nessuna svolta della dottrina della Chiesa ma il riconoscimento della pienezza dei diritti di ogni persona, a prescindere da suo orientamento sessuale. Certo, ciò non è poco! Cade un vecchio tabù per la Chiesa cattolica che fin dal 1568, con papa Pio V, aveva dichiarato l’omosessualità un grave peccato e un reato da perseguire penalmente. Stiamo scoprendo solo adesso quali e quante tragedie umane abbia provocato questa norma. E quali e quante disumane e aberranti consuetudini, spesso insabbiate e nascoste, abbia tollerato fino ai numerosi reati di   pedofilia e di aborti clandestini da parte di uomini e donne di chiesa. Cose orrende! Dice San Luca nel Vangelo, riportando le parole di Cristo, a proposito delle violenze contro i bambini:” …sarebbe meglio per lui che una macina da mulino gli fosse messa al collo e fosse gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli …”. Con Papa Francesco è giunta l’ora di porre fine a queste piaghe e di cacciare il diavolo che si nasconde in Vaticano.  Nonostante la mia scarsa competenza in merito  e la mia laica religiosità, non è possibile non riconoscere coraggio e purezza di cuore a questo Pontefice! Il papa sa anteporre la verità ai pregiudizi, la misericordia alla condanna, il perdono alla scomunica. “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”, (-Vangelo di Luca).

 

Non ci sarà alcuna sospensiva. Il collegio del Tar, riunitosi ieri pomeriggio, ha rigettato la richiesta di Don Massimiliano Di Pastina perché l'attività edificatoria eseguita dal sacerdote “non è sorretta da un valido titolo abilitativo”. Adesso se non ci saranno colpi di scena, la procedura di ripristino dello stato dei luoghi andrà avanti così come ordinato dall’ufficio tecnico comunale. Don Massimiliano Di Pastina aveva presentato il ricorso contro l’ordinanza 81 che lo obbliga, di fatto, allo smantellamento del cantiere aperto nel maggio del 2019. Nessun commento da parte del sindaco Sergio Di Raimo, primo grande sostenitore dell'opera poi rimessosi alla decisione degli uffici competenti.

 

 

Adesso che il Tar del Lazio ha accolto il ricorso del Sindacato Medici Italiani contro diversi provvedimenti della Regione Lazio, stabilendo che “l’affidamento del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid del medico di medicina generale  risulta in contrasto con i decreti legge varati nello scorso marzo, ”la funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid dovrebbe spettare unicamente alle Unità  Speciali di Continuità Assistenziale, istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo“.  La Regione ha già deciso di ricorrere alla Consulta perché di fatto la decisione mina la filosofia assistenziale e di contrasto al Covid . Ricorrendo contro la sentenza del Tar, vuole quindi ristabilire il ruolo importante che ha voluto dare ai medici di famiglia nella lotta al virus. Interviene nel merito il consigliere comunale di Sezze Serafino Di Palma, nei giorni scorsi presente in una riunione dei comitati in cui hanno partecipato anche i sindaci del distretto Lt 4. Per Di Palma, ora più che mai, è indispensabile la figura delle USCA, lì dove i tagli alla sanità hanno depauperato soprattutto i distretti della nostra Provincia e in modo particolare la sanità sui Monti Lepini. “Il problema - afferma Di Palma-  nasce già nella prima fase della pandemia in quei territori che hanno pagato i tagli alla sanità. In quella prima fase sono nate le prime unità speciali che al Nord, in collaborazione con i medici di base, hanno prodotto ottimi risultati. Dobbiamo evitare assolutamente che i pazienti non gravi vadano negli ospedali già congestionati per le numerose emergenze, è importante che il paziente sia curato presso la propria abitazione come previsto per le Usca”. Il consigliere del Biancoleone ricorda che con il decreto legge del 9 marzo scorso il governo centrale aveva istituito le Usca in tutto il territorio nazione per ogni distretto con 50 mila abitanti. Adesso che la Regione Lazio punta sulle  Uscar il concetto non cambia. Di Palma chiede di estenderle anche nelle province appellandosi al governatore. “Chiamiamole come vogliamo  - conclude Di Palma- ma queste unità sono l’unica risposta che attendiamo da parte della Regione Lazio. Il governatore Zingaretti estenda le 100 Uscar previste per lo Spallanzani anche per i territori di Provincia che sono stati già declassati e abbandonati. E’ indispensabile istituire le unità speciale nei nostri distretti. Noi a Sezze abbiamo fatto la nostra parte approvando le due mozioni sulla sanità, spero che siano considerate e accolte”.

 

 

In uno dei momenti più delicati anche per la città di Sezze, a causa della diffusione incontrollata del covid 19, sono tante le preoccupazioni e i timori che crescono ogni giorno per quei lavoratori che sono costretti a lavorare a contatto con le utenze. Tra questi gli operatori ecologici della città, gli addetti alla raccolta dei rifiuti per conto della SPL Sezze. Tra di loro, visto l’andamento del virus, sta crescendo l’ansia ed il rischio di contagi ed è per questa ragione che chiedono maggiori tutele nell’espletamento delle loro mansioni. Nessuno di loro, da quanto ci risulta, è stato mai sottoposto a tampone e in molti casi la distribuzione delle mascherine e dei guanti non è avvenuta se non per diretta richiesta. Insomma gli operatori della SPL, anche appellandosi ai loro sindacati, chiedono di essere messi nella condizione di poter lavorare in piena sicurezza. Senza sollevare alcun tipo di polemica pretestuosa, gli operatori, soggetti a rischio come altri, chiedono ai vertici aziendali della SPL di considerare le loro richieste e quindi maggiore sicurezza: “Spesso le mascherine non ci vengono consegnate – ci hanno detto diversi operatori - e mai nessuno di noi è stato sottoposto ad un tampone. Siamo soggetti a rischio per il contatto diretto con i cittadini e chiediamo solo tutele sul posto di lavoro. Non vogliamo fare polemiche ma solo lavorare nella massima sicurezza”.   

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