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Un incontro sicuramente positivo quello avvenuto nel pomeriggio di oggi tra una delegazione del Comitato Santa Maria – Vaccareccia – Aringo ed il commissario prefettizio Raffaele Bonanno.  I residenti del centro storico sono stati ricevuti in municipio e hanno esposto delle priorità al commissario e delle richieste per rendere più vivibile uno dei quartieri che fortunatamente si sta ripopolando di giovani coppie. La delegazione ha parlato dei problemi esistenti e di alcune richieste indifferibili. Chiesta a Bonanno maggiore attenzione da parte dell’Ente comunale su alcune questioni che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione. Tra i punti affrontati il ripristino completo dello stato dei luoghi del belvedere di Santa Maria, con l’installazione dei paletti per delimitare la piazzetta e delle panchine sparite dopo i lavori per la statua di San Lidano. Affrontato anche il problema della cura del verde e della pulizia dello spazio sottostante dell’affaccio al muro della tèra. Sollecitata anche l’installazione dei dossi artificiali e della cartellonistica stradale come deterrente contro l’alta velocità in prossimità della scuola in via Corradini. Tra i punti presentati anche l’illuminazione della piazza, la derattizzazione, il controllo della raccolta differenziata. Il comitato ha sollevato anche il problema dei parcheggi selvaggi e proposto al commissario di chiudere la piazza nei giorni del fine settimana per delle iniziative culturali che si impegna a promuovere con le associazioni locali.  Il Dott. Bonanno si è mostrato sensibile alle istanze e si è impegnato a breve nell’affrontare le priorità condivise con la delegazione. Il Comitato crede che un impegno civico simile possa essere preso come modello da altri quartieri di Sezze, suscitando così interesse e partecipazione attiva della comunità.

 

 

Il gruppo Biancoleone rappresenta che ad oggi la deliberazione n. 56/2021 non è stata ancora pubblicata dal Comune di Sezze sul sito istituzionale dell’amministrazione ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Serafino Di Palma e Paride Martella già in passato sono dovuti intervenire per far pubblicare sul sito la deliberazione della Corte dei Conti n. 142/2020 che riguardava gli esercizi finanziari dal 2015 al 2018, dove sono state riscontrate nella contabilità del Comune di Sezze diverse criticità. “Sulla quasi totalità dei punti oggetto di verifica – affermano -  il Comune di Sezze non è stato in grado di fornire un appropriato riscontro, rinviando ad una “futura risposta” i chiarimenti richiesti, “ nonostante l’istruttoria si riferisca alle annualità dal 2015 al 2018 (con alcuni aggiornamenti al 2019) e, dunque, ad esercizi finanziari i cui dati dovrebbero essere ormai ben noti e sedimentati, nonché certi, attendibili e trasparenti…”. Dalla deliberazione n. 56/2021 si evince che i Revisori dei Conti non hanno trasmesso entro i tempi dovuti alla Corte dei Conti la relazione concernente il rendiconto dell’esercizio 2019 e il bilancio di previsione 2020-2022. 2 L’Organo di revisione del Comune di Sezze avrebbe dovuto inoltrare alla Sezione le relazioni in parola entro la fine del mese di febbraio 2021 e, nonostante le comunicazioni e i solleciti inviati, ad oggi non è dato sapere se le stesse risultano trasmesse. Fermo restando, pertanto, che il Comune di Sezze è tenuto a fornire riscontro in merito alle criticità emerse con la deliberazione n. 142/2020/PRSE, nel caso di specie la mancata trasmissione delle relazioni-questionario sul rendiconto 2019 e sul bilancio di previsione 2020-2022 risulta ancora più grave, stante una situazione poco trasparente e lineare della contabilità del Comune, per come emersa nel corso della precedente verifica della Sezione”. Il gruppo Biancoleone evidenzia, che in mancanza di trasmissione delle relazioni il questionario di cui trattasi, la Corte dei Conti non può espletare le funzioni di controllo. “Tale inadempimento  - così nella nota del Biancoleone - potrebbe giustificare la revoca dell’organo di revisione del Comune di Sezze. Questa situazione deve essere attenzionata dalla Prefettura di Latina. Il gruppo Biancoleone sollecita la gestione Commissariale sui seguenti punti: 1) adottare ogni provvedimento organizzativo necessario per la tempestiva compilazione e per l’invio alla Sezione regionale di controllo delle suddette relazioni; 2) pubblicare la medesima deliberazione n. 56/2021 sul sito istituzionale del Comune di Sezze dell’amministrazione ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33; 3) esaminare l’ipotesi di revoca dell’Organo di Revisione. Allegano: delibera n. 56/2021/prse Sezione Controllo Regione Lazio”.

Martedì, 15 Giugno 2021 06:17

Le ricette "alla sezzese" di Identità Setina

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Francamente ci si aspettava un po’ di più e di meglio dalla prima uscita pubblica del candidato sindaco del gruppo elettorale di Identità Setina. Invece sulle pagine del quotidiano Latina Oggi del 14 giugno, c'è stato il botto: si parla di ricette gastronomiche sezzesi, cotte e preparate alla sezzese, avvalendosi di una Associazione specializzata in prodotti sezzesi. Bella cosa, per carità, sebbene nel nostro paese non manchino esperienze e tradizioni culinarie in tal senso! Ma per chi aspira, nella prossima tornata elettorale, a governare la città di Sezze per almeno cinque anni, è un po’ troppo poco. È purtroppo vero che in questa fase storica in cui viviamo sono cadute le ideologie e gli steccati, ma in un messaggio elettorale e amministrativo non dovrebbe mancare un riferimento ai valori e ai princìpi che fanno da sfondo alle proposte concrete. Dalle dichiarazioni giornalistiche del candidato di Identità Setina non ci si attende un trattato di filosofia e di politica, seppure sarebbe stato utile agli elettori per capire e orientarsi intorno a quale nucleo e asse culturale ci si sta muovendo. Ma la concretezza e il pragmatismo, che va tanto di moda, sono virtù essenziali solo se riempite di contenuti e di progetti verificabili e attuabili. Non mancano argomenti in questo senso, sulle cose fatte e da fare per restituire nuovo slancio e vigore alla nostra città. Gli elettori hanno il diritto di sapere e di valutare con chi, come, quando, cosa si intende portare avanti, per restituire credibilità e prestigio alle istituzioni che sono state scosse e ferite. Del resto anche la maggioranza consiliare uscente, e soprattutto il PD, devono compiere un bilancio, con la massima trasparenza, rivendicando quanto di buono è stato fatto nonostante le scarse risorse disponibili e quanto non è stato portato a termine o per incapacità o per altre ragioni. Amministrare oggi è diventato un lavoro complesso che richiede competenza, conoscenza, passione civile e impegno. Non ci si può affidare sconsideratamente a chi si improvvisa.  C'è bisogno di giovani, ragazze e ragazzi, che abbiano maturato esperienza attraverso un lungo e faticoso tirocinio di militanza politica e amministrativa. Perché altrimenti si affida la città ai padroni di turno, che non conoscono e non hanno la minima percezione dei bisogni reali delle nostre contrade. In questa società sempre più fluida e liquida, occorre rinnovare il modo di fare politica ma senza smarrire le coordinate ideali e valoriali sancite nella nostra Costituzione. Per cui partire dalle ricette gastronomiche e culinarie, appare molto riduttivo e banale. La sfida elettorale è ormai alle porte. Non basta dichiararsi alternativi a un modo di governare perché si tratta di abbozzare, quanto meno, la scala delle priorità e degli interventi possibili che si vogliono mettere in cantiere e realizzare, senza cadere nella facile demagogia e strumentalizzazione. Questo è il punto di partenza sia per chi ha amministrato sia per chi, legittimamente, intende iniziare una nuova esperienza. Solo così i cittadini potranno liberamente e consapevolmente scegliere e decidere il loro futuro. Solo così la città di Sezze potrà rinsaldare e rafforzare la fiducia e la credibilità nelle istituzioni.

 

 

È la rabbia il sentimento predominante e non la pena e la tristezza.

Saman Abbas ha pagato con la vita il suo essere una donna libera e coraggiosa, l’aver rivendicato diritti, dignità e autodeterminazione, il suo ribellarsi al tribalismo oscurantista della famiglia e il suo rifiutarsi di sottostare a un matrimonio combinato con un cugino in Pakistan. Sicuramente è stato un prezzo enorme e inaccettabile, che non può lasciarci insensibili e indifferenti.

La morte di Saman Abbas è un femminicidio, una violazione terribile dei diritti umani, che affonda le sue radici nella cultura patriarcale del suo paese d’origine, il Pakistan, nella convinzione perversa per cui le relazioni personali, particolarmente quelle familiari e più intime, sono improntate alla logica del possesso e non del rispetto dell’alterità e della libertà individuale. La vita di una donna non vale nulla ed è sacrificabile, anche se si tratta della propria figlia, soprattutto se osa rifiutarsi di essere merce di scambio, utilità vantaggiosa non per se stessa ma per la propria famiglia, strumento nelle mani di un padre padrone che ne dispone senza limiti in nome di una tradizione islamica, di una reputazione da mantenere integra e tutelare e di cui ammantarsi all’interno della propria ristretta comunità. 

Parlare di questo crimine associandolo unicamente all’Islam sarebbe un gravissimo errore. Ogni generalizzazione è frutto di superficialità e finisce per etnicizzare il reato e alimentare il pregiudizio, soprattutto poi contro una minoranza come sono i musulmani nel nostro paese. Detto questo però non possiamo nascondere che fatti così orrendi sono anche possibili grazie alle ambiguità persistenti nel mondo islamico su letture e pratiche aberranti, alla protezione accordata troppo spesso a radicali intransigenti, estremisti e letteralisti attraverso innanzitutto omertà e coperture.

Da qualche anno l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane ha emesso una fatwa, ovvero una condanna religiosa contro i matrimoni forzati e la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Si tratta di una presa di distanza sicuramente rassicurante e positiva rispetto a pratiche aberranti appartenenti alle tradizioni di alcuni paesi, la negazione di una loro legittimazione sotto il profilo religioso, ma che a ben vedere rivela un limite sostanziale importante.  

La fatwa è un atto rivolto all’interno della comunità islamica e ha carattere strettamente interpretativo del diritto religioso. Le comunità islamiche non dovranno più ricorrere alle pratiche dei matrimoni imposti e delle mutilazioni genitali non perché gli iman riconoscono il primato della Costituzione della Repubblica e delle leggi civili dello stato democratico, ma perché il Corano a loro giudizio non deve avere quella interpretazione. In altri termini il femminicidio patriarcale non è condannato in sé, per l’aberrazione che rappresenta, e non vi è alcun richiamo al rispetto dei diritti umani, dell’autodeterminazione di ogni individuo e in particolare delle donne, anzi c’è la riaffermazione del primato della legge religiosa su quella civile, unica ad avere legittimità regolativa dei rapporti tra le persone.  

Il vero problema è che in questi anni c’è stata un’incapacità delle istituzioni del nostro paese a promuovere una seria politica di integrazione, soprattutto verso le popolazioni immigrate provenienti da paesi con tradizioni culturali e religiose assai distanti e diverse dalle nostre, come appunto quelle islamiche, sia perché si è confusa la libertà religiosa e di opinione personale con la tolleranza per il disprezzo dei diritti umani professato da alcune frange integraliste e tradizionaliste, sia perché si è preferito ignorare queste criticità per ragioni di convenienza politica spicciola e di consenso elettorale o puntare semplicisticamente sulla contrapposizione, sul contrasto propagandistico e parolaio del fenomeno migratorio, di fatto rinunciando a mettere in atto una efficace azione politica per governarlo. Il risultato rischia di essere devastante sotto il profilo sociale e le conseguenze saranno ancor più evidenti nei prossimi anni, dal momento che intere fasce di popolazione immigrata sono state spinte verso una dinamica di isolamento e ghettizzazione, che ha finito per accentuare la radicalizzazione delle tradizioni di cui sono portatrici, all’interno delle quali il patriarcato violento ha terreno fertile, e per innescare un processo di sempre maggiore rivendicazione identitaria in antitesi al contesto sociale in cui sono immerse e che considerano estraneo ed ostile. La mano degli assassini di Saman Abbas è stata armata all’interno di un simile quadro segregante ed escludente.

Il multiculturalismo non può ridursi alla tutela giuridica del multiconfessionalismo, per cui alle singole comunità religiose è riconosciuta non solo una libertà regolatoria dei comportamenti degli appartenenti, ma anche la possibilità di separarsi nettamente dagli altri individui appartenenti alla società e non praticanti quella determinata religione. Lo stato deve tutelare e garantire la piena libertà religiosa, componente essenziale dell’identità di ogni persona, ma deve altrettanto chiaramente riaffermare il primato delle regole comuni, che vanno rispettate da tutti ed a prescindere dall’appartenenza religiosa. È non più rinviabile l’attivazione di un percorso che porti rapidamente ed efficacemente al superamento della situazione descritta, altrimenti misogeni, sessisti e radicalismi colpiranno ancora chissà quante volte e i responsabili resteranno per lo più impuniti, grazie a coperture e complicità reciproche all’interno di queste comunità chiuse e autoreferenziali. Se continueremo ad avere uno sguardo etnicizzante, a non riconoscere come parte integrante del nostro paese intere generazioni di bambini, di ragazzi e di giovani, figli di immigrati nati in Italia o comunque arrivati da noi da piccoli, impregnati profondamente della nostra cultura e dei nostri valori, animati dai nostri stessi desideri di libertà e realizzazione, destinati però in tal modo a restare frustrati, determineremo una crescita a dismisura di pericolosissime sacche di emarginati, facili prede di estremisti e gruppi violenti, regaleremo uomini e donne all’illegalità e alla criminalità con ripercussioni gravi e imprevedibili per la tenuta sociale complessiva. L’obiettivo deve essere allora educarci ed educare al valore del pluralismo, raccogliere la sfida fondamentale della diversità e non aver paura della contaminazione reciproca.

 

Lidano Petrianni, l’infermiere di Sezze morto a soli 59 anni per aver contratto il covid sul proprio posto di lavoro lo scorso gennaio, è stato ricordato questa mattina presso i locali del Pat di Sezze alla presenza dei familiari, del direttore generale della Asl Silvia Cavalli, del consigliere regionale Salvatore La Penna e dei tanti colleghi del nosocomio setino. Una targa ricordo è stata affissa in quel luogo dove per anni Lidano è stato al servizio della comunità di Sezze. La decisione di ricordare la figura di Lidano era stata presa dal consiglio comunale di Sezze e voluta fortemente dagli ex colleghi di Lidano. Sezze oggi ha ricordato un grande professionista, un uomo dolce e disponibile, morto per aiutare gli altri in uno dei momenti più bui e tristi per tutti dovuti alla pandemia Covid. A Lidano riconoscenza e ricordo con stima da parte di tutta la comunità. Nella targa i colleghi hanno scritto: " Infermiere che ha donato la sua vita per aiutare gli altri, per fare il suo dovere, al servizio della sua gente". 

 

 

 

 

L'ex sindaco di Sezze, Sergio Di Raimo, interviene nella discussione accesa sui social sull'alto tasso di disoccupazione presente a Sezze. L'esponente dem risponde a chi si pone questa domanda: "Cosa hanno fatto questa e le precedenti amministrazioni per risolvere il problema?". Nella nota Di Raimo afferma che nonostante le difficoltà le passate amministrazioni hanno confermato servizi alla persona essenziali e che allo stesso tempo hanno creato anche occupazione. "Fermo rimanendo che il problema disoccupazione non può che essere risolto dallo Stato Centrale e dall'Europa e non è certo compito di un piccolo paese come Sezze che non ne avrebbe gli strumenti, chi si pone questa domanda, e tenta di far credere di avere la soluzioni per risolvere il problema, fa solo demagogia e discorsi da campagna elettorale, oltre a dimostrare una cecità politico/amministrativa particolarmente grave. Già da diversi anni - ricorda Di Raimo -  l'Ente sta fornendo servizi alla collettività che non sono obbligatori e per niente scontati, servizi che certamente hanno contribuito a combattere la disoccupazione creando e mantenendo posti di lavoro che hanno permesso a tante famiglie di sbarcare il lunario. Servizi che avevano e hanno uno scopo primario di tipo sociale ma che, chiaramente, hanno avuto riflessi positivi sull'occupazione. Mi riferisco al Centro Tamantini, all'assistenza domiciliare per anziani, all'assistenza scolastica, al trasporto scolastico e ad altri servizi che hanno avuto e hanno ripercussioni economiche negative sul bilancio per oltre un milione di euro e che questa amministrazione ha mantenuto nonostante le risapute difficoltà finanziarie. Quindi, questa amministrazione, come le precedenti, ha fatto la propria parte, nella consapevolezza, ripeto, che la problematica va risolta attraverso azioni e strumenti governativi nazionali e europei".

 

Paride Martella e Serafino Di Palma del gruppo Biancoleone di Sezze intervengono sullo studio di fattibilità approvato dalla Regione Lazio per una Rsa presso l’ospedale San Carlo di Sezze.

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“Pur non essendo contrari allo studio di fattibilità approvato dalla ASL di Latina e la Regione Lazio si fa rilevare – si legge nella nota -  il mancato coinvolgimento degli Enti Locali che fanno parte integrante della programmazione sanitaria territoriale. Per evitare che la realizzazione della RSA possa diventare l’ennesimo spot elettorale, è necessario che i cittadini vengano messi a conoscenza del cronoprogramma di inizio e fine lavori della Residenza Sanitaria Assistenziale presso l’immobile dell’ex Ospedale di Sezze dal costo complessivo di 5.3 milioni di euro. Il consigliere regionale Salvatore La Penna – prosegue la nota – fa cenno che nei prossimi mesi ci saranno importanti impegni programmati per il nostro territorio e per il potenziamento della Casa della Salute di Sezze. È necessario affrontare da subito in collaborazione con l’attuale Commissario Prefettizio, con la ASL e le autorità ecclesiastiche il problema della chiesa di Sant’Antonio, che da anni è a rischio crollo. La chiesa – concludono – costituisce parte integrante dell’ala vecchia dell’ex ospedale San Carlo che è anch’essa chiusa. Per l’incuria da anni assistiamo a preoccupanti infiltrazioni d’acqua piovana che sta procurando gravi danneggiamenti all’intera struttura della casa della Salute ai macchinari ed agli impianti. Il gruppo Biancoleone ritiene che lo Studio di fattibilità della RSA al San Carlo di Sezze necessità di approfondimenti prima che possa esserne avviata la realizzazione”.

Domenica, 06 Giugno 2021 05:33

Il senatore leghista Pillon e le donne

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Il senatore della Lega Simone Pilon è fenomenale. Confesso di nutrire per lui una ammirazione non comune. Passo i giorni, conto le ore in trepidante attesa delle sue esternazioni, autentiche perle di saggezza, pietre miliari del pensiero. Ogni volta mi illudo con me stesso che abbia toccato vette inarrivabili, raggiunto sublimità assolute e invece riesce sempre a stupirmi con nuovi interventi, a proiettarsi al di là dell’immaginabile, nell’empireo etereo, “luce intellettual piena d'amore” (Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXX, verso 40), nel quale la stupidaggine, l’inverosimile e l’ottusità acquistano imperitura significanza.  

Leggendo la sua ultima illuminata dichiarazione affidata ai social, ho strabuzzato gli occhi e per qualche interminabile momento ho pensato fosse la burla di qualche buontempone, una riuscita caricatura dell’autorevole senatore, opera di qualche comico dotato di fervidissima immaginazione. Rapidamente son dovuto tornare in me stesso, la realtà mi è si parata innanzi con tutta la sua tragicomica sembianza e allora la smorfia del riso si è tramutata in ghigno di ripugnanza.

Il senatore, sempre così attento a quanto capita da un capo all’altro della nostra amata Italia, ha commentato sul suo profilo Facebook l’odiosa, sgradevole e inqualificabile decisione dell’Università di Bari di incentivare l’iscrizione delle “femmine” in alcuni corsi di laurea, riducendo le tasse universitarie alle studentesse che scelgono facoltà di solito frequentate da maschi. Riportare integralmente un così memorabile intervento, vergato in pregiatissima e dotta prosa, è scelta quanto mai opportuna, onde evitare equivoci, e restare fedeli a tanto augusto pensiero dello stimatissimo senatore, sempre elegante ed impeccabile con il suo celeberrimo papillon. “L’università di Bari spinge per far iscrivere ragazze a corsi di laurea tipicamente frequentati in prevalenza dai ragazzi. È naturale che i maschi siano più appassionati a discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria per esempio, mentre le femmine abbiano una maggiore propensione per materie legate all'accudimento, come per esempio ostetricia. Questo però non sta bene ai cultori del Gender, secondo i quali ci DEVONO essere il 50% di donne nelle miniere e il 50% di uomini a fare puericultura. Ovviamente ognuno è libero, e ci sono le sacrosante eccezioni, ma è naturale che le ragazze siano portate verso alcune professioni e i ragazzi verso altre. Imporre ai maschi di pagare più delle femmine per orientare la libera scelta di un percorso universitario è un modo di fare ideologico, finalizzato a manipolare le persone e la società. La cosa divertente è che proprio sulla base della stessa ideologia Gender, orgogliosamente propugnata dal DDL Zan, agli studenti maschi basterà autopercepirsi come femmine per i pochi minuti necessari all'atto dell'iscrizione per poter beneficiare legalmente dello sconto... Già Manzoni insegnava che più le regole sono idiote, più è facile aggirarle...

  1. Chissà cosa ne pensa il ministro... Proverò a chiederglielo”.

Nel fantasmagorico mondo di Pillon esistono evidentemente professioni maschili e professioni femminili. A suo inoppugnabile giudizio le femmine (si badi bene non donne, ragazze, studentesse, ma femmine!) possederebbero una propensione per le materie legate all’accudimento. Cosa vuol dire davvero stento a capirlo e di certo per mio scarso acume intellettivo, ben poca cosa rispetto al suo. Suppongo dovremmo distinguere tra lauree maschili e femminili. Provo ad ipotizzare: ingegneria maschile e lettere forse femminile; medicina maschile e psicologia forse femminile…. Bontà sua, però, riconosce l’esistenza di possibili eccezioni, anche se in linea generale questa è la “normalità”. Insomma il senatore ritiene che esistano schemi precostituiti in cui inquadrare le persone. Il prevalere di uomini iscritti in alcuni corsi di laurea sarebbe imputabile alle naturali inclinazioni legate al genere e pertanto liquida l’iniziativa dell’Università di Bari con parole che riflettono il suo mondo ideale fatto di oscurantismo, discriminazioni e sessismo. Marie Curie, Rita Levi-Montalcini, Margherita Hack, solo per citarne alcune, avrebbero fatto meglio a dedicarsi ad altro e ritiene evidentemente irrilevante l’enorme contributo da queste dato al progresso della scienza. Chissà se mai qualcuno aiuterà l’illustre Pillon a compiere il decisivo passo verso il ventunesimo secolo, a destarsi dal sonno della ragione in cui è immerso e ad accorgersi che viviamo tempi in cui le donne hanno il diritto e la libertà di scegliere, di sognare e di fare ciò che vogliono della loro vita.

Ovviamente l’occasione era ghiotta e non poteva certo lasciarsela sfuggire anche per attaccare il Disegno di Legge Zan sulle discriminazioni di genere, in discussione in Parlamento, abbandonandosi a considerazioni a caso e fuori luogo contro i cosiddetti cultori del Gender. La sola frase “agli studenti maschi basterà autopercepirsi come femmine per i pochi minuti necessari all'atto dell'iscrizione per poter beneficiare legalmente dello sconto...” è sufficiente a comprendere la mediocrità di un ragionare inqualificabile. 

Ferma restando la libertà di espressione, garantita dalla Costituzione, che permette a tutti di dire quello che si pensa e frequentemente anche stupidaggini, meraviglia che un senatore della Repubblica ignori o quantomeno non ricordi che la scelta compiuta dall’Università di Bari si limita ad applicare la normativa europea e nazionale e non vuole certo fare lo sgambetto ai maschi o un piacere ai sostenitori dell’ideologia Gender o eliminare le differenze tra uomo e donna. Promuovere la piena parità di accesso allo studio, superare gli stereotipi sessisti ancora forti nel tessuto sociale e familiare, il pregiudizio di un’incompatibilità femminile con le materie scientifiche, che creano barriere psicologiche, portano le donne a sentirsi inferiori agli uomini e producono disparità e discriminazioni poi in ambito lavorativo, soprattutto per quanto attiene l’assunzione di posizioni dirigenziali, la parità retributiva e la tutela della maternità, evidentemente per Pillon non sono questioni meritevoli del suo interesse e del suo impegno politico e comunque preferirebbe che le donne si limitassero a fare i figli e ad accudirli e al più, se per limiti fisici o per disgrazia non possono diventare madri, ad occuparsi della famiglia allargata e della casa.      

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa firmato dai legati di Fausto Castaldi, l'ex custode indagato per la vicenda del cimitero di Sezze.

 

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COMUNICATO STAMPA

 

Gentili Giornalisti

Spett.li Redazioni

scrivo il presente comunicato quale difensore del sig. Fausto Castaldi unitamente ai colleghi Avv. Cesare Castaldi e Avv. Giuseppe Avvisati.

Non avremmo voluto produrre questa nota avendo deciso di adottare un basso profilo sin dalla divulgazione dei primi atti di indagine, concentrandoci esclusivamente sulla difesa tecnica del nostro assistito.

Nonostante i numerosi rilievi da muovere avverso l'ordinanza emessa dal GIP del marzo 2021 (che sono stati poi sottoposti all'attenzione del Tribunale del Riesame con i risultati che conosciamo), nonostante il gravissimo episodio di estrapolazione e diffusione su chat telefoniche di atti di indagine sottoposti ancora al segreto istruttorio ed a cui l'autorità giudiziaria non è riuscita, evidentemente, a porre argine, si è fatta una scelta precisa di non intervenire nel pubblico dibattito aperto da quasi tutti i mezzi di stampa, ritenendo che tale piano non dovesse interessare né Fausto Castaldi né i suoi difensori.

Pertanto, si è evitato ogni tipo di commento ai numerosi articoli pubblicati da due mesi a questa parte su quotidiani locali e nazionali, nonostante sia i titoli che il contenuto degli scritti rimandassero a fatti e circostanze totalmente avulsi dal contesto delle imputazioni alle quali gli indagati dovranno rispondere unicamente nelle aule di Tribunale.

Certo, si comprendel che il titolo ad effetto e roboante possa attirare attenzione e suscitare forti reazioni nel pubblico (molto spesso impreparato ad assorbire tale input) ma siamo anche consapevoli che, qualunque sia la scelta della linea editoriale, essa debba tendere a portare alla luce fatti ed interpretarli per quello che sono o per come sono stati analizzati dagli inquirenti senza aggiungere o distorcere tali informazioni al mero scopo di attirare a sé maggior platea possibile.

Se esclusivo obiettivo è il volume delle vendite o degli ascolti e non la qualità dei contenuti ne deriva, inevitabilmente, una distorsione del ruolo dell'informazione al di là dei legittimi compiti, funzioni e valore che le sono assegnati nella comunità.

Complice la moderna velocità di propagazione delle notizie e la massiva disponibilità in internet e attraverso i social, è avvenuto che privati cittadini, accecati dalla spettacolarizzazione operata, abbiano sentito la necessità di partecipare a tale dibattito, con l'effetto di alimentare una vera e propria “caccia al mostro”.

La gogna mediatica ha finito il più delle volte per scadere in commenti ridicoli e diffamatori, al limite della fantasia cinematografica horror e pornografica: se non avessimo a che fare con la vita e la libertà personale degli indagati si sarebbe liquidato il tutto con un sorriso.

Oggi non solo questa difesa percepisce che si è giunti ad un limite intollerabile, perciò, ci sentiamo di condividere i comunicati della CISL e del Commissario prefettizio del Comune di Sezze i quali hanno, giustamente, invitato gli organi d’informazione a “smorzare i toni”.

Ritenendo lecito che l'opinione pubblica sia informata e sia impegnata nel crearsi un proprio punto di vista rispetto alle vicende oggetto dell'attenzione giornalistica, la divulgazione dovrebbe essere sempre guidata da un corretto e leale spirito d'informazione; non può essere in alcun modo giustificata l'eccessiva componente di spettacolarizzazione condita di particolari e circostanze frutto esclusivo della fantasia del giornalista del momento che con tali artifizi vuole calamitare ancora più a se il pubblico.

Non deve passare inosservata, a questo punto, la notizia diffusa il 27.05.2021 dal titolo “Trovata una stanza degli orrori” (nota ripresa da molte testate giornalistiche anche online) che ha alimentato e scatenato nuovamente i commentatori seriali i quali, spesso poco avvezzi all’esercizio della logica ed ancor più della grammatica, si sono gettati in osservazioni al meglio surreali e strampalate intasando una volta di più la rete di commenti diffamatori finanche nei confronti degli avvocati.

Persone che invocano la legge terrena e divina ma che non riconoscono diritti costituzionalmente tutelati dalla comunità di cui fanno parte.

In particolare, l’articolo in questione racconta del ritrovamento di una “stanza degli orrori” ossia “una stanza che non esisteva e che sarebbe stata realizzata proprio con l’obiettivo di farla diventare un magazzino e di metterci dentro qualcosa che proprio non poteva essere distrutto” e che “agli occhi dei militari impegnati nelle operazioni a chiusura delle indagini non era sfuggita quella porticina di legno, in un’area dove oggettivamente non si riusciva a comprenderne l’utilità”.

Questo luogo, che si vuole far credere segreto, nascosto e di difficile accesso (secondo l'autore dell'articolo addirittura inesistente catastalmente) quasi un antro scavato nella roccia, servito per quelle attività di occultamento e distruzione di cadavere finora rimaste non provate, altro non è che un magazzino posto su uno degli accessi principali del cimitero di Sezze, facilmente visibile, facente parte di un enorme complesso edificato da oltre un cinquantennio: un magazzino chiuso con una porta in ferro e dotato di una grande finestra di aereazione che affaccia sulla pubblica via, con posti per la tumulazione in alto, in basso, ai lati oltre che affiancato da una cappella privata.

Uffici comunali, dirigenti e dipendenti della SPL oltre che tutti gli operatori che in diverse vesti sono autorizzati ad accedere all'interno del cimitero sono a conoscenza dell'esistenza di tale magazzino e dell'uso che se ne è fatto.

Qualche anno fa, a seguito dell’allagamento e conseguente parziale danneggiamento di una grande tomba secolare posta a terra, di proprietà di una nota famiglia del paese, all’interno del magazzino furono riposte le bare che erano precedentemente collocate all’interno della tomba, nell’attesa che gli eredi/proprietari s’impegnassero nel rifacimento della stessa, pienamente consapevoli sia della provvisorietà della collocazione sia dello stato dei luoghi in cui sarebbero state conservate momentaneamente le bare; sulle stesse questi, peraltro, annotarono i nominativi dei rispettivi cari.

Di questa circostanza furono edotti preventivamente gli uffici comunali, la SPL e l'agenzia che materialmente procedette allo spostamento.

Ad oggi per cause indipendenti dalla volontà di Fausto Castaldi la tomba anzi detta trovasi nella medesima situazione e, pertanto, non si è ancora consentito il ripristino delle condizioni precedenti la copiosa infiltrazione d'acqua.

Ora, il riferimento a questa fantomatica “stanza degli orrori” unita alle ridicole affermazioni di supertestimoni televisivi che hanno raccontato di riti e pozioni magiche, polvere d'ossa donne danzanti sulle tombe, droga, il ricorso alle figure dei bambini al solo fine di suscitare attenzione morbosa del pubblico fanno da corollario alla sceneggiatura che si è artatamente voluta costruire attorno alla figura del custode, protagonista assoluto, di ogni tipo di crimine o crudeltà.

Il limite di tale narrazione è rappresentato, però, dal fatto che quanto raccontato attiene spesso fatti totalmente inventati, addirittura inesistenti per gli stessi inquirenti.

Ma il pubblico, sobillato da questa narrazione, non si curerà di leggere atti e documenti ufficiali lasciando il campo aperto all’inquisizione giornalistica.

Per tutti questi motivi, invitando la stampa ad un clima più disteso e ad un racconto più conferente alla vicenda giudiziaria, al fine della tutela di tutti gli indagati e del diritto d'informazione del pubblico a cui ci si rivolge, si ribadisce che ulteriori atteggiamenti come sopra stigmatizzati non saranno tollerati ed inevitabilmente, d'ora in poi, si porteranno immediatamente a conoscenza della competente autorità giudiziaria.

 

Avv. Antonio Orlacchio

 

 

Latina 30.05.2021

La Repubblica, specchio dei suoi cittadini e, insieme, baluardo delle loro libertà, deve sempre sapere rinnovarsi, dotarsi di strumenti più efficaci e trasparenti, riconquistarne la piena fiducia, indebolita in anni di crisi economica, di minor fertilità del circuito democratico. La Repubblica resta lo spazio vitale. Resta un ponte. Verso l’Europa, che è il nostro destino e la nostra opportunità nel mondo globale. Verso uno sviluppo sostenibile, che deve legare insieme la qualità italiana, una migliore competitività del sistema e una maggiore equità sociale. Verso il futuro, per dar sicurezza alle speranze dei nostri giovani.

Non saper guardare oltre il presente costituisce uno dei limiti più grandi del nostro tempo. La scelta repubblicana fu, allora, il risultato di uno sguardo lungo. Sono convinto che disponiamo di tutte le energie per progettare insieme un futuro migliore”. (Sergio Mattarella, “La scelta repubblicana nella ricostruzione della democrazia italiana”, in “Italianieuropei”, n. 2-3/2016).

Il 2 giugno 1946 è la data simbolo della svolta democratica, segna l’inizio di una nuova epoca, a cui l’Italia giunge passando attraverso l’oscura notte della dittatura fascista che per vent’anni aveva negato libertà e diritti soggettivi, dell’occupazione tedesca, delle stragi nazifasciste, della guerra civile e dei bombardamenti. Il referendum tra Monarchia e Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente rappresentano uno spartiacque, una cesura netta sotto il profilo costituzionale rispetto all’esperienza del Regno di Italia, in cui il parlamento, il governo e le corti di giustizia traevano la propria legittimazione all’esercizio dei poteri loro concessi da una costituzione octroyée, elargita ai sudditi con un atto unilaterale del sovrano assoluto, nella cui persona continuava comunque a risiedere l’intera autorità.

Quel giorno i cittadini italiani si riappropriarono della titolarità della sovranità, auto-defininendosi e auto-rappresentandosi come unità politica consapevole di esistere e di avere capacità di autogoverno, la esercitarono con il voto e sancirono non soltanto la fine della monarchia, ma la nascita dello stato democratico, la repubblica, un nuovo ordinamento che trova la sua fonte di legittimazione nell’autodeterminazione, nella lotta partigiana di liberazione, nel sacrificio degli uomini e delle donne, di ogni credo e orientamento politico, che si riconobbero comunità unita nella condivisione degli ideali di libertà e giustizia e posero le basi della nuova Italia. 

Festeggiare la nascita della Repubblica significa evidenziare il carattere irreversibile e non mutabile sotto il profilo costituzionale del nostro paese, sancito solennemente nell’art. 139 della Costituzione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. La scelta compiuta non è quindi suscettibile di revisione, non è nella disponibilità della politica, la quale non può azionare procedure, legittime costituzionalmente, per metterla in discussione, riformarla o peggio trasformarla. L’unica strada per cambiarla è un sovvertimento, un rovesciamento violento della legalità costituzionale.      

Le madri e i padri costituenti dunque non hanno semplicemente indicato un passaggio normativo, ma hanno posto un principio irreversibile, un pilastro e un caposaldo del patto identitario della nostra comunità. Quanto scelto dai cittadini mediante il referendum è valido in sé, è il prodotto di un percorso storico dell’Italia a partire dall’8 settembre, del nostro secondo Risorgimento ed è stato determinato per la prima volta attraverso l’esercizio del suffragio universale e diretto, caratterizzato da un’ampia partecipazione. La titolarità della sovranità del popolo, che la esercitata nei limiti e nelle forme stabilite dalla Costituzione, condizione questa indispensabile per garantire e tutelare i diritti e le libertà di ciascuno ed evitare possibili soprusi, porta ad escludere che nel nostro paese possa mai esistere il governo di uno solo o la dittatura della maggioranza contro la minoranza. La partecipazione paritaria di ogni cittadino alla determinazione del bene comune è l’elemento qualificante il nostro ordinamento costituzionale e la fonte legittimante le istituzioni in cui si articola.  

La forma repubblicana non è un oggetto, ma un soggetto vivente, motore della promozione della piena parità nei diritti e nelle libertà di ogni persona, che deve dipanarsi mediante un’azione riformatrice continua e profonda all’interno del tessuto sociale, culturale ed economico, finalizzata a rimuovere differenze, diseguaglianze, ostacoli di qualsivoglia natura e a proiettarci nel futuro, all’interno di un quadro di riferimento più ampio, l’Europa e la comunità internazionale, per perseguire l’inclusione e la pace. Inoltre la forma repubblicana costituisce un limite invalicabile oltre il quale non possiamo spingerci neppure come cittadini. L’Assemblea Costituente, nel corso di un anno e mezzo di intenso lavoro, attraverso un confronto serrato tra posizioni politiche diverse e spesso contrapposte, carico di fermenti e aneliti alla libertà e alla giustizia, animato da una tensione ideale e culturale maturata nella Resistenza e dal rifiuto del fascismo è riuscita a disegnare nella Costituzione della Repubblica una democrazia avanzata sul piano dei diritti e delle istanze sociali, che supera la concezione per cui la libertà di ognuno finisce dove ha inizio quella dell’altro e riconosce ad ogni persona la titolarità di diritti inviolabili che preesistono allo Stato, sono antecedenti alla sua nascita, alla sua strutturazione ordinamentale e pertanto sono indisponibili e intangibili da parte delle istituzioni statuali medesime.

La scelta della Repubblica è un dono straordinario che abbiamo ricevuto da quanti si batterono per conquistarla e ci indica un orizzonte verso cui volgere il nostro cammino di cittadini.

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