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L’ammissione è di qualche settimana fa e, pur se passata sotto silenzio, è di quelle importanti: non si amministra una città come Sezze a suon di mi piace raccolti sui social.
 
È importante questa presa di coscienza da parte di quanti finora hanno pensato che per fare politica bastassero i social, il ricorso ad un linguaggio tranciante, l’autodefinirsi i migliori e il nuovo contrapposto al vecchio, additato come il responsabile di tutti i mali, la demonizzazione degli avversari e il prospettare soluzioni semplici a problemi complessi, all’insegna del populismo più stantio. Dopo aver ridotto il confronto politico ad uno scontro manicheo tra bene e male, trascurando idee, programmi e contenuti, l’imbarbarimento prodotto, in un fatale contrappasso, rischia di ritorcersi contro chi ne ha beneficiato per la propria affermazione.
 
Il tempo è galantuomo e alla fine sta presentando il conto al populismo in salsa setina. La speranza di un cambiamento di tanti cittadini che avevano ceduto alle sirene della demagogia e accordato una valanga di consensi a quanti si sono presentati come gli interpreti del buon governo, si è venuta trasformando rapidamente in disillusione, ancor più che fin da subito ha prevalso il trasformismo di chi, acquattato nelle retrovie, al momento giusto è tornato a prendersi scena ed incarichi, in una sorta di eterno ritorno del sempre uguale, cui si sono aggiunti l’impossibilità di mantenere le promesse strabilianti fatte e una distribuzione di incarichi e prebende mai vista in precedenza con tanta pervicace e scrupolosa scientificità.
 
Tuttavia le parole hanno un peso e la speranza è che questa conversione sia il frutto di un’attenta riflessione, di una presa di coscienza degli errori commessi e non una reazione furba e strumentale, finalizzata a tamponare il calo di consensi e a darsi un tono istituzionale. Certo ha il sapore di un’esplicita ammissione del proprio fallimento, dell’essersi arenati nelle secche dell’immobilismo, dove li ha sospinti il vento della presunzione, dell’assenza di visione politica e della scarsa progettualità amministrativa. A tutto ciò è poi da aggiungere che mentre si predicano buoni propositi e spirito di collaborazione, c’è chi non resiste alla tentazione di far ricorso ancora e sempre alla clava mediatica e continua imperterrito ad utilizzare i social per colpire sul piano personale quanti fanno sentire la propria voce dissenziente. Piovono le offese a catinelle, gli insulti e gli sguardi torvi vengono rovesciati a secchiate e a nulla rileva il merito delle questioni sollevate, la loro fondatezza e veridicità. Guai osare il dissenso o disturbare l’eletto, verso il quale si deve deferenza e al massimo è consentito unirsi al coro dei plaudenti. Una idea strana di democrazia, che ad onor del vero è patrimonio di molti politici, locali e non, di questi ultimi anni, a prescindere dagli schieramenti, e che ha come bersaglio quanti pensano in autonomia. Lo scadimento della classe politica, dai livelli più bassi fino a quelli più alti, ha generato autentiche mostruosità, ha fatto perdere il senso del bene comune, ha spinto verso una personalizzazione autoreferenziale e l’essenzialità di una dialettica tra posizioni diverse, che costituisce il sale della democrazia, è considerata un problema anziché una risorsa irrinunciabile.
 
Il richiamo ad un presunto riformismo trasversale, serio e non di facciata, che si trova non solo in una parte dello schieramento politico, in quanto le persone capaci e animate da propositi autentici di cambiamento si trovano dappertutto, esprime una visione straniante della politica, una idea approssimata della sua funzione e una confusione sul piano valoriale che finisce per disorientare piuttosto che essere da stimolo alla crescita democratica della comunità.
 
Riformismo è termine purtroppo abusato, ha finito per perdere qualsiasi pregnanza concreata, è divenuto un’etichetta vuota. Peraltro riformisti si definiscono tutti, di qualsivoglia schieramento, ma il punto è che ognuno è riformista a modo suo, cioè sulla base delle proprie convinzioni, dei propri valori di riferimento e le soluzioni ai problemi non sono intercambiabili e tantomeno univocamente giuste o sbagliate. Il riformismo di quanti si riconoscono nella destra possiede caratteristiche diverse, anzi opposte a quelle di quanti si identificano con la sinistra. E viceversa ovviamente. Non si tratta di dettagli irrilevanti ed in gioco è il senso stesso della politica, della visione del futuro di una comunità e degli obiettivi che si intendono perseguire attraverso i programmi concreti sui quali si chiede il consenso dei cittadini ad ogni passaggio elettorale.          
 
Il bene comune, lo sviluppo solidale, la risoluzione dei problemi possono e devono essere perseguiti senza annullare le diversità, senza ridurre tutto ad un calderone indistinto, ad una brodaglia indigeribile che finisce unicamente per allontanare i cittadini dalla partecipazione democratica, li fa rifugiare nell’astensionismo o li sospinge tra le braccia del primo avventuriero che passa.
 
Infine la politica vera, quella bella, che pensa agli interessi della comunità, non si pone come obiettivo l’abbattimento dell’avversario, non usa gli strumenti del potere a disposizione per colpirlo sul piano personale e consumare sordide vendette, non lo scredita gratuitamente per affermare se stesso e favorire i propri sodali, non manipola i fatti sacrificando la verità e la giustizia.  
 
Il dramma è che si scambiano il narcisismo privo di riferimenti ideali, gli interessi più o meno esplicitati, le consorterie unite dalla logica della fedeltà personale, la gestione dei pacchetti di tessere e consensi da parte dei cacicchi con cui si tengono in ostaggio partiti e movimenti per la politica, quando invece sono la sua totale negazione.
 
Se non si sciolgono questi nodi è difficile che la nostra comunità possa compiere passi in avanti e rendersi artefice di un futuro migliore del mediocre presente. La strada da percorrere è ardua, ma senza l’impegno di tutti e di ciascuno resterà una chimera, un orizzonte irraggiungibile.
Domenica, 28 Gennaio 2024 06:53

La Shoah è il nostro cuore di Tenebra

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27 gennaio 1945. 

Le truppe dell'Armata Rossa dell'Unione Sovietica liberarono il campo di sterminio tedesco di Auschwitz. Le sorti ormai segnate della guerra e l'avanzata degli eserciti alleati avevano spinto il comando nazista ad ordinarne l'evacuazione. Circa 60 mila prigionieri, in gran parte ebrei, furono costretti a mettersi in marcia in direzione della città di Wodzislaw, nella parte occidentale dell'Alta Slesia. Alcune migliaia di persone, non in grado di affrontare il viaggio perché troppo deboli o malate, furono trucidate. Prima che il campo fosse abbandonato, le SS cercarono in tutta fretta di distruggere le prove degli orrori commessi, riuscendovi solo in parte. 

Durante la Marcia della Morte le SS uccisero quanti stremati non erano in grado di proseguire il cammino, più di 15 mila persone. All'interno del campo di Auschwitz l'esercito sovietico troverà e libererà oltre settemila sopravvissuti, malati e moribondi. Si stima che tra il 1940 e il 1945 furono deportati ad Auschwitz circa 1,3 milioni di persone e di queste almeno 1,1 milioni vennero assassinate.

Dal 1933, quando venne realizzato il primo campo di sterminio a Dachau, al 1945 la dittatura nazista ei regimi suoi alleati e complici si resero responsabilità dell'assassinio di 6 milioni di ebrei, oltre ovviamente a tutti gli altri internati: omosessuali, disabili, rom , sinti, oppositori politici, testimoni di Geova, clochard, ecc..

La Shoah è il nostro cuore di Tenebra, non un incidente imprevisto e imprevedibile, ma una realtà che affonda le sue radici nel brodo di coltura dell'antigiudaismo e dell'antisemitismo che ha attraversato nei secoli, lungamente e con diverse forme, la cultura occidentale ed ha raggiunto il suo apice razzista nella pianificazione criminale dello sterminio del popolo ebraico e delle altre minoranze etniche e culturali in nome della purezza ariana.

La macchina dei lager, finalizzata all'eliminazione di quanti erano considerati sub-uomini e larve umane, indegne di vivere, l'obiettivo di far scomparire completamente dalla faccia della terra il popolo ebraico, l'arrogarsi il diritto di decidere chi doveva o non doveva continuare ad abitare la terra, spinto alle estreme conseguenze, ha costituito il carattere specifico di un piano diretto a modificare la configurazione stessa dell'umanità ed ha svelato alla radice il livello di crudeltà ed abiezione al quale l'uomo è capace di spingersi.

La Shoah pone domande abissali alla nostra umanità, mette in discussione i valori fondanti la nostra civiltà e in particolare interroga in modo radicale i credenti nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e di Gesù di Nazareth. Dov'era Dio, il Sommo Bene, Colui che ama l'uomo con un Amore senza eguali ed incondizionato, quando milioni di innocenti venivano sterminati? Si tratta di una domanda tanto essenziale quanto ineludibile, di fronte alla quale non bastano risposte di circostanza e tantomeno possiamo fingere che non ci tocca e ci riguarda. 

Elie Wiesel nel suo libro La Notte scrive: “Sia benedetto il nome di Dio? Perché, ma perché io avrei dovuto benedirlo? Ogni fibra di me si ribellava. Perché Egli aveva condannato migliaia di bambini a bruciare nelle Sue fosse comuni? Perché aveva continuato a far funzionare sei forni crematori giorno e notte, inclusi lo Shabbat ei giorni santi? Perché con la sua forza aveva creato Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? Come potevo dirgli: Benedetto sei tu, onnipotente, Signore dell'Universo, che ci hai scelto fra tutte le nazioni ad essere torturati giorno e notte, per vedere come i nostri padri, le nostre madri, i nostri fratelli finiscono nei forni? […] Ma ora, non ho più supplicato per nulla. Non ero più in grado di emettere un lamento. Al contrario, mi sentivo molto forte. Io ero l'accusatore, Dio l'imputato!”.

Numerosi teologi e pensatori hanno cercato di dare risposta a questi interrogativi, di trovare una via di uscita di fronte all'assurdità di quanto Auschwitz rappresenta.

Il teologo Jurgen Moltmann, tra i più importanti pensatori tedeschi, il quale ha riflettuto a lungo sulla tragedia dei campi di sterminio, ha proposto l'immagine di un Dio crocifisso, sofferente e protestante, che non si distacca dal dolore dell'umanità ma vi entra volontariamente dentro con compassione. “Dio in Auschwitz e Auschwitz nel Dio crocifisso”. Come la croce di Cristo, così anche il lager di Auschwitz si trova in Dio stesso, è stato assunto nel dolore del Padre, nella consegna del Figlio e nella forza dello Spirito. Ciò non comporta la minima giustificazione di quanto è accaduto nei campi di sterminio, delle atrocità sofferte dalle vittime, perché la croce stessa segna l'inizio della storia trinitaria di Dio. Dio è un Dio che protesta e si oppone agli “dei di questo mondo” di potere e di dominio, entra nel dolore umano e soffre sulla croce e sul patibolo di Auschwitz.

Il pensatore tedesco Johnann Baptist Metz, anche lui teologo, sposta il ragionamento: “La domanda teologica dopo Auschwitz non è solamente: dove era Dio ad Auschwitz? Ma è anche: dove era ad Auschwitz l'uomo? Come si potrebbe credere nell'uomo, o perfino nell'umanità, quando si dovette sperimentare ad Auschwitz di che cosa «l'uomo» è capace? Come continuare a vivere tra gli uomini? Che cosa sappiamo noi della minaccia all'umanità dell'uomo, noi che abbiamo vissuto voltando le spalle a questa catastrofe o che siamo nati dopo di essa? Auschwitz ha ridotto profondamente il limite di pudore metafisico tra uomo e uomo. A questo sopravvivono solo coloro che hanno poca memoria o coloro che sono riusciti bene a dimenticare che hanno dimenticato qualcosa. Ma nemmeno questi restano illesi. Non si può peccare quanto si vuole contro il nome dell'uomo. Non solo l'uomo singolo, anche l'idea dell'uomo e dell'umanità è profondamente vulnerabile. Solo pochi collegati ad Auschwitz l'attuale crisi d'umanità: l'insensibilità crescente di fronte a diritti e valori universali e grandi, il declino della solidarietà, la furba sollecitudine nel farsi piccoli pur di adattarsi a ogni situazione, il rifiuto crescente di offrire all'io dell'uomo una prospettiva morale, eccetera. Non sono tutte scelte di sfiducia contro l'uomo? La catastrofe che è stata Auschwitz costituisce forse una ferita inguaribile?”. 

Domande a cui siamo chiamati per trovare le risposte, sforzandoci di capire non solo ciò che Auschwitz è stato ma cosa è oggi la nostra umanità.  

 

 

Mancano i loculi e il sindaco di Sezze Lidano Lucidi ordina di requisire quelli già concessi e non occupati da salma. L’ordinanza sindacale è stata firmata ieri. “A seguito di una ricognizione operata all'interno del Cimitero Comunale – leggiamo nella ordinanza firmata dal sindaco - è emerso che la disponibilità di loculi liberi è praticamente terminata per cui insiste una grave carenza di loculi disponibili per la sepoltura individuale dei defunti che ne siano sprovvisti al momento del decesso. Che vi è carenza di loculi disponibili presso il cimitero comunale e che, allo stato attuale, la situazione sta creando dei disservizi relativi alla tumulazione delle salme”. Per tale morivo il sindaco ordina “l’immediata requisizione, in via contingibile ed urgente, ed a titolo temporaneo dei loculi concessi in diritto d'uso e non occupati da salma”. Si specifica inoltre che “risultano in essere le procedure per la realizzazione di nuovi corpi loculari, avviate con i seguenti provvedimenti”.

 

IL 10 marzo si eleggerà il nuovo consiglio provinciale, il decreto per il rinnovo del consiglio è stato firmato dal presidente Gerardo Stefanelli. Le liste dovranno essere composte da 12 nomi e andranno presentate entro il 18-19 febbraio. Fino al 2009 i consiglieri provinciali erano espressione dei cittadini perché eletti dagli stessi mentre dal 2014 ad eleggere i consiglieri provinciali sono tutti i consiglieri comunali dei 33 comuni, una novità che di fatto ha escluso la partecipazione popolare alle urne. In buona sostanza oggi conta solo gli accordi tra partiti e liste, una partita tutta politica dove pesa il voto ponderato, ossia basato su un indice che poi è quello del numero di abitanti di un Comune. Detto diversamente il voto di un paese piccolo vale una briciola rispetto ad un voto di una città grande. Ed ecco quindi il valzer degli accordicchi e delle elemosine politiche verso i big della politica per essere inserito nelle liste dei papabili e per avere magari un voto di un consigliere di un altro comune. Poi si resta in carica per due anni, dimissioni e subentri a parte. Vedremo come succederà, vedremo chi e come verrà appoggiato da questo o da quel partito, e vedremo quali saranno le conseguenze nelle rispettive sedi di appartenenza. Negli ultimi 20 anni in cui si è andato al voto popolare la Provincia di Latina è stata guidata sempre dal centrodestra, poi sono iniziati gli accordi trasversali tra partiti e civici fino alla storta e compagnia bella... A Sezze gli ultimi consiglieri provinciali eletti dai cittadini sono stati: l'ex assessore Vincenzo MatteiParide Martella presidente della Provincia, l'ex sindaco Andrea Campoli , l'ex sindaco Lidano Zarra , l'ex presidente del consiglio Enzo Eramo e  l' ex consigliere comunale Enzo Polidoro .

Domenica, 21 Gennaio 2024 06:52

Un cuore di pastore non chiude mai la porta

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La Dichiarazione  Fiducia supplicans , pubblicata dal Dicastero per la Dottrina della Fede, introduce uno sviluppo importante sul senso pastorale delle benedizioni. Il documento allarga l'orizzonte e invita al discernimento per verificare il sussistere delle condizioni affinché si possa conferire una benedizione paterna e non ritualmente fissata, senza configurare alcuna legittimazione morale, a stati e relazioni tra persone fuori dal matrimonio. Condizione indispensabile è riconoscersi peccatori (cfr FS 33), bisognosi di conversione e disponibili ad aprirsi alla volontà di Dio (cfr FS 20). Il cardinale Prefetto del Dicastero, Víctor Manuel Fernández, ha precisato nella presentazione che il documento non dà il via libera al matrimonio tra persone dello stesso sesso e non introduce cambiamenti della dottrina della Chiesa riguardo le relazioni fuori del matrimonio. Tuttavia l'innovazione è profonda, è anzi una vera rivoluzione che, come sempre accade nella storia della Chiesa, è un ritorno alla radicalità evangelica e si pone in piena continuità con un cammino che è fedele a sé stesso e insieme si evolvono continuamente. Alcune volte i passi suggeriti sono facili e veloci, altre volte sono meno agevoli e più esigenti.
 
La Dichiarazione è in continuità con il  Responsum di qualche anno fa, sempre  del Dicastero, i cui punti fondamentali erano la liceità di benedire ciò che è ordinato a servire i disegni di Dio, la possibilità di benedire le persone e non le sindacati, il fatto che Dio benedice i peccatori ma non il peccato ed infine l'individuazione di elementi positivi in ​​una relazione omofila non è sufficiente a renderla legittima e perciò oggetto di benedizione. La Fiducia supplicans, che proviene da una esplicita volontà del Papa, il quale ha sollecitato il Dicastero a compiere dei passi ulteriori rispetto a quanto già stabilito, conferma i primi due punti, approfondisce la comprensione del terzo ed offre un diverso intendimento del quarto. Dio non può benedire il peccato e quindi la Chiesa non può benedire “cose, luoghi o contingenze che siano in contrasto con la legge o lo spirito del Vangelo” (FS 10), ma il testo evidenzia come la persona, nella sua originale positività, è più grande di ciò che fa, non può essere totalmente definita e assimilata ai suoi errori e nelle sue relazioni, per quanto sbagliate, ci sono “elementi positivi” (FS 28) che nessun peccato, per quanto grave, può cancellare. Ogni persona è parte eminente della Creazione e, sebbene ferita dal peccato, rimane sana, positiva, destinata al bene. Pertanto va riconosciuta in essa la presenza di «un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato» (FS 33), un patrimonio di bene che, come una promessa incancellabile, ne testimonia la sostanziale positività.
 
In questa prospettiva la Dichiarazione apre lo spazio per un passo ulteriore, offre la “carità” di un gesto che non giustifica alcuno status o rivendicazione, ma apre e dispone ad accogliere la mano tesa di Dio verso i peccatori. È un atto di speranza che alimenta speranza, è riconoscere la necessità dell'aiuto di Dio, una forza più potente del male e del peccato. Attraverso la benedizione si apre una via per valorizzare ed indirizzare verso la purificazione e l'elevazione quegli elementi di bene presenti in “coloro che si rivolgono umilmente” a Dio anche in una condizione moralmente irregolare, perché Dio “non allontana mai nessuno che si avvicini a lui!” (FS 33). Il peccato esiste, ferisce la persona ma la misericordia di Dio, che ha il nome di Gesù Cristo, pone incessantemente un limite al maschio che non potrà mai essere assoluto e definitivo.
 
La benedizione, non ritualmente fissata e dal significato non riducibile ad una mera approvazione di quanto che viene benedetto, è invocazione dell'aiuto di Dio sulle persone e sulle relazioni, uno stimolo a mettersi in cammino per crescere e rimuovere quanto altrimenti scivolerebbe o rimarrebbe confinato nel peccato. Dio non dispera mai di nessuno, ci prende “come siamo”, “ma non ci lascia mai come siamo”, ci fa uscire da noi stessi, ci guida nell'esodo dalle nostre comodità, dalle nostre mediocrità e mezze sicurezze, ci fa incamminare verso i suoi orizzonti, verso i suoi disegni che sono molto oltre le nostre misere vedute e la portata dei nostri affetti.
 
La Dichiarazione Fiducia supplicans ha sollevato discussioni e contestazioni da più parti, soprattutto nell'area più tradizionalista della Chiesa, perché dà fastidio, perché non è una presa di posizione a favore o contro le coppie ei rapporti irregolari o omofili, ma ci costringe ad uscire dagli schemi consolidati e ad avere uno sguardo più ampio. Obbliga quanti vivono situazioni regolari a non considerarsi a posto ed al sicuro e quanti vivono invece situazioni irregolari a non considerarsi esclusi dalla salvezza ma ad accettare la sfida della conversione. La Grazia, che viene da Dio, è più di un premio per i giusti o una medicina per i malati, è una forza mobilitante offerta alla libertà umana, affinché il cuore di ogni persona si apra alla libertà che viene da Dio e al suo disegno di salvezza.
 
Papa Francesco, come gli altri papi prima di lui, non asseconda i desiderata umani e rilegge per il popolo di Dio il deposito della fede, mostrandone i nuovi aspetti che, in questi tempi complicati e incerti, suscitano in alcuni la reazione istintiva di fermarsi, provocano il rifiuto, il voltare le spalle e andarsene. Lo sdegno di chi si scaglia contro il Pontefice e il dissenso che scivola nell'aperta ostilità e nel dileggio raccontano la convinzione di chi credeva di possedere una verità trionfante, dalla forte caratterizzazione ideologica e oppressiva e si ritrova con una dottrina disarmata, paradossale, troppo faticosa da digerire e diversa dalle proprie aspettative.
 
La colpa di Papa Francesco è di aver ecceduto nella misericordia, di aver pronunciato una parola che accoglie e aver allungato una mano che incoraggia. Il magistero del Pontefice è graniticamente coerente con il Vangelo che chiama tutti alla conversione, un Vangelo che nelle mani di alcuni diviene un bastone agitato nel nome della verità, riduce la legge dell'amore a un giudizio preventivo, alimenta la presunzione di essere salvi, di avere il Regno di Dio in tasca, anziché aiutare a prendere coscienza del proprio limite.

 

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa a firma dei Consiglieri Comunali Quattrini, Di Palma, Di Raimo, Uscimenti.

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Il Presidente del Consiglio comunale di Sezze Pietro Del Duca, per la seconda volta nella storia politica del comune Lepino, si è trovato costretto ad annullare il Consiglio Comunale riservato al Question Time per assenza di interrogazioni da parte dei consiglieri comunali. La domanda sorge spontanea:" Quali motivazioni spingono i consiglieri di minoranza a non presentare interrogazioni rinunciando al principale strumento messo loro a disposizione per discutere le problematiche del paese, come il Question Time?"  I consiglieri Orlando Quattrini e Serafino Di Palma di Fratelli d'Italia, Armando Uscimenti e Sergio Di Raimo per il PD, spiegano a chiare note che quella che stanno portando avanti è una protesta che mira a far rispettare l'articolo 43 del regolamento del Consiglio Comunale, il quale stabilisce che in sede di Question Time, le interrogazioni ( istanze/ voce dei cittadini, presentate cinque giorni prima della convocazione della stessa) ricevano risposta diretta da parte del Sindaco o Assessori delegati , diritto che nel Question Time di novembre è non è stato rispettato, ed è stata negata la democratica discussione su problematiche importanti, spesso bisognose di celeri interventi. Interrogazioni quelle di Novembre, definite poco rilevanti sotto il profilo politico e rimandate a risposta scritta verso gli uffici, dallo stesso Presidente del Consiglio Pietro Del Duca. Premesso che Il Presidente del Consiglio dovrebbe garantire la discussione di ogni istanza presentata dai rappresentanti eletti dal popolo senza selezione alcuna, va ricordato che le interrogazioni in questione, trattavano, o per meglio dire avrebbero trattato, tematiche importanti come, sicurezza, scuola, servizi sociali, atti amministrativi. Va inoltre sottolineato, affinché vi sia una maggiore chiarezza, che le stesse, seppur rimandate a risposta scritta, non hanno comunque trovato risposte, consumandosi di fatto, un azione di bavaglio alla voce dei cittadini, alla democrazia stessa. Era doveroso spiegare ai cittadini le ragioni che ci portatno ad agire in questo modo, perché crediamo che le problematiche dei cittadini debbano essere tutte ascoltate e non selezionate a piacere come accaduto. La politica ha il dovere di ascoltare e dare risposte, se ciò non accade gli amministratori dovrebbero solamente percorrere una strada, quella delle dimissioni. Così concludono i Consiglieri Comunali Quattrini, Di Palma, Di Raimo, Uscimenti.

 

 

"In occasione della Giornata nazionale del Dialetto anche l’amministrazione comunale di Sezze scende in campo per difendere la tradizione e diffonderla a tutte le generazioni. Il dialetto è un patrimonio inestimabile di tutta la comunità e il Comune di Sezze pone una grande attenzione sul tema.
Grande soddisfazione da parte dell’assessore alla cultura e vicesindaco Michela Capuccilli: “Sono iniziative fondamentali per tramandare la nostra storia e farla conoscere tutte le nuove generazioni. Siamo orgogliosi del nostro dialetto e vogliamo farlo conoscere a quante più persone possibile. Gli incontri di questa settimana dimostrano l’attenzione dell’amministrazione comunale a un tema delicato come quello delle nostre origini e dell’appartenenza al territorio”.
A tal proposito, saranno due gli eventi in programma durante la settimana. Si comincia mercoledì 17 gennaio, quando a partire dalle 17:45, al Museo Archeologico Comunale, si terrà l’incontro “Dialetto Setino retrospettive e prospettive”, dove interverranno i professori Luigi Zaccheo e Fausto Orsini insieme all’avvocato Cesare Castaldi. 
L’iniziativa è organizzata allo scopo di valorizzare il dialetto setino e tramandarlo come legame tra passato presente e futuro. Nel corso dell’evento verranno letti brani, dialoghi e contribuiti a cura di Isabella Baratta, Arianna Bernasconi, Annamaria Bovieri e Franco Abbenda.
Il secondo evento, invece, è in programma sabato 20 gennaio alle ore 16. Si tratta di due tavole rotonde promosse e organizzate dall’amministrazione comunale, che si terranno rispettivamente presso il Centro Sociale di Sezze e quello di Sezze scalo.
Sarà un’occasione per far incontrare diverse generazioni che potranno confrontarsi allo scopo di tramandare il nostro dialetto setino ai più giovani. Uno scambio intergenerazionale dove sono invitati tutti i cittadini più giovani e meno giovani, oltre a chiunque abbia il piacere di condividere il proprio interesse per il dialetto setino in questo dialogo aperto. A coordinare i due incontri ci saranno due associazioni setine che ormai da tempo si occupano tra l’altro di teatro dialettale e che ringrazio per la loro disponibilità, l’associazione Nemeo e l’associazione Arcadia."

 

 

 

Con Determinazione n. 13 del 12.01.2024 Lazio Crea ha approvato l’elenco degli assegnatari dei contributi per la Valorizzazione della Regione Lazio, il bando dedicato alle associazioni della Regione Lazio, mirava a contribuire a tutte le attività culturali che valorizzassero le tradizioni regionali nel periodo dal 1° giugno 2023 al 31 dicembre 2023, e che con soddisfazione di tutti gli addetti ai lavori ha visto il finanziamento della Pro Loco di Bassiano per € 20.000,00. Con soddisfazione prendiamo atto del finanziamento del Progetto “Senza Confini, Bassiano nel Lazio: collage territoriale di cultura e tradizioni” - esordisce la Presidente Anna Botta - , grazie alla collaborazione e alle competenze dei soci dell’Associazione, con i quali abbiamo realizzato eventi che hanno permesso di far risaltare le bellezze materiali e immateriali di Bassiano. La cosa che più mi rende contenta è il fatto che questa assegnazione testimonia lo spessore e l’importanza del lavoro svolto dall’Associazione durante l’intero arco dell’anno con  eventi, conferenze, incontri, mercatini manifestazioni e concerti, attraverso cui i visitatori del nostro Borgo, una volta raggiunto, hanno avuto la possibilità di rimanere affascinati dalla storicità e dal contorno naturalistico che lo contraddistingue. MI auguro che questo risultato sia da stimolo per tutti i nostri soci e sostenitori e per tutta la comunità affinché anche per l’anno in corso ci sostengano con entusiasmo nelle iniziative che abbiamo in progetto che ci permetteranno di consolidare e superare i traguardi fin qui raggiunti promuovendo  la bellezze di Bassiano e le tradizioni della sua gente.”

 

 

Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Dott. Pietro Del Duca, ha revocato il question time previsto per venerdì 19 gennaio “ in quanto non sono pervenute al protocollo all’Ente interrogazioni da parte dei consiglieri comunali di opposizione”.  E’ la seconda volta nel giro di poco mesi che una seduta di question time viene annullata per il medesimo motivo. C’è da parte dei consiglieri comunali di opposizione quello strascico alla polemica contro il presidente del consiglio comunale perché in passato  - secondo le minoranze - non sono state date risposte alle interrogazioni presentate? C’è la polemica nata sulla mancata trasparenza degli atti e della documentazione richiesta? Probabilmente sì, stando ai silenzi da parte di qualcuno che siede all’opposizione mentre chi, sempre in silenzio, sembra essere già passato in maggioranza.

 

Questa raccolta di poesie dialettali, nata da trastullo poetico , è ispirata tuttavia alla poesia di un noto poeta dialettale romanesco , di fama nazionale ed internazionale : Gioacchino Belli.  Questo grande poeta romano, dissacrato e rifiutato da molte persone di fede cristiana, dovrebbe in realtà essere riabilitato assolutamente da tutti non fosse altro perché, tra i suoi 2279 sonetti, ne ha composto ben 73 di puro argomento biblico. In questi, come peraltro in tutti i suoi sonetti, appare che questo poeta dimostra una minuziosa conoscenza biblica e degli usi e costumi religiosi cristiani.

Le poesie dialettali in sezzese, da me composte perlopiù durante l’anno giubilare del 2000, sono state riviste e corrette nel corso del dicembre 2001 e rivisitate nel 2008 e in quest’ultimo periodo di tempo che và dal novembre 2023 al gennaio 2024 , in verità non sono la semplice traduzione delle poesie religiose del Belli trasportate dal dialetto romanesco a quello sezzese. Infatti queste poesie sono state ricomposte con  una struttura peculiare setina : la rima e l’assonanza di termini sono state tutte rimodellate in dialetto setino.

Oltre a questo aspetto linguistico le poesie sezzesi risentono molto della cultura setina religiosa di un passato non molto remoto , offrendo al lettore spunti di riflessione su usi e costumi locali tramite anche la funzione esplicativa di alcune puntuali note di commento che mano a mano porrò in calce ad  ogni poesia.

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I vuinchicingo di nuvémbro

 

Fra otto dì , a Santa Catarina

le case ricche mettono le stòle pi'lle scale

da gli létto si levua la cupèrta fina

s'appicciano i fucugni drént' a lle sale.

I témpo che ffarà quélla dumano

Nnatalo lu téta fà talo i qualo.

I lunario, buciardéglio, chi ripòrta ?

La bbrina?

I la bbrina vidarai puro a Nnatalo !

I cuménzono ggià i sunaturi

a ccalà dalle muntagne allo piano

'mbuttichi cu quigli mantégli rattuppachi.

Chi bbelle canzuncine ! Chi bbelle nènie !

 

Pinzate cha i pasturi di Bèttalèmme

li cantòrno spiccicate, tali i quagli

dinanzi a gli prasèpio di Ggiasù Bambino

'n zéme a gli'angiulicchi cu' lli agli.

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

I' primo di dicémbro

 

 Finito è oramai i méso di nuvémbro

stanotte la Madonna aropre dicémbro!

pinsate ca fra quinici iurnate , bèno o malo

cuménza n’chiesa

la nuvèna di Natalo!

 

dapò, sintéte na cica, che succede:

finiscono di sunà i pifferai

e teccote le cummedie e gli carnovalo.

accusì si va nnanze a stu paéso!

 

I dapò quaresima...i dapò Pasqua

cu’ gli ovuo:

i a malapena finisce i ’uttavario

aricumincia la cummèdia, i scinario nouo!

 

Chiappa, n’zomma, i librétto

di gli lunario

i t’accurgi c’a tutto i’anno

tocca méso a Pulicinèlla e méso A Ddio,

senza divario!

 

 Carlo Luigi ABBENDA

 

I otto di dicembro

 

   Solo pi oi , Minicuccio méio,

nun sfutticchiamo;

nun sfutticchiamo , no,

facémo orazzione.

  Nun sai oi che festa celebramo?

la Santa e  Immacolata  Cuncezione.

Tèta pinzà che quando padro Adamo

nun séppe vénce la tintazzione

i si magnaue la mela di quiglio ramo

n’paradiso si sprangaue i’ purtono.

 

Da quel dì madre natura

rimase sempre sotto la cundanna

i n’arisciue pura i santa manco mèsa criatura.

 

Tra tutte li uniugni che Ddio manna

n’ci stètte mai  nu matrimognio casto i puro

si non quiglio di San Giuacchino  i di Sant’Anna.

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

Santa Lucia (tricidi di dicémbro)

 

ôi è Santa Lucia, ôcchi i cannéle!

Urbi et Orbi fào granne alligria.

Le fémmene chi si chiamano Lucia

ôi si magniano zucchero i  mmièle!

  dóppo musudì sor Caio offre a tucchi ‘nu pranzo

pi ddivuzzione a ‘sta santa

cu ppasta , vuino i carne di manzo ;

pi fistiggià la guariggione séia ,

pi rimettise dall’ittirizzia ,

da ‘na mmalatia di gli occhi , sèria sèria.

 

Pare che Ddio quattr’occhi ci abbia fatto

a ‘sta santa avucata di gli guèrci :

doua i porta ‘n fronte i doua a gli piatto.

 

Ma pirchémmai, dàpÓ , ni venne

i doua occhi chi ci avanzino a gli piatto

i chi stò pittachi a gli ritratto?

 Teneta sapé : 4 Lucie pi 4 Cantugni,

ogni tridici di dicémbro su prucissiugni.

  

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

La nuvena di Natalo

 

Eh , è propéta vero

a siconda ‘gli guschi, Filumèna !

si fao vuénì i ciechi zampugnari a cantà nuvèna !

Mariuccia i Maddalena

chiamino sempre i carciuffulari

cu gli mucchi ciechi i amari.

Ti dirò ch’a ‘mmì nun mi pare nuvena

si nun sento di gli pifferai  ‘sta cantilena

i ppuro cÓstono assai:

tutta ‘sta musica i tutta ‘sta canzone

cÓsta accomme a ‘na pirdiscione! 

Quando arriva la dì di Santa Catarina

( cioè i 25 di nuvémbro)

che s’arisènte ‘sta manfrina

io arinasco quasci a gli munno

i mi pare d’èsse di’lla terra la riggina.  

Pinzate ‘mpò:

ci stao cèrchi povueri scemi

che i pasturi di notte nu ' volo.

Puvueracci loro!  

Io  ‘nvece, a gli létto mi giro i m’arivuòto

i tra la vueglia i gli sonno mi i gòdo!

 

Carlo Luigi ABBENDA


 

La viggilia di Natalo

 

Lillò, la viggilia di Natalo

micchite di guardia a gli purtono

di cache munsignoro o cardinalo

i vidarai intrà ‘sta purdiscione.

 

Mò entra ‘na cassetta di turrono,

mò entra ‘nu barilozzo di cavialo,

mò i porco, mò i pullastro, mò i cappÓno,

i mmò ‘nu fiasco di vuino ginuino i bbÓno.

 

Doppo ‘mpò entra i gallinaccio,

apprésso i’abbacchio,

le livue duci , i péscio di Fugliano,

l’oglio di livua, i tonno i l’anguilla di Cumacchio.

 

‘Nzomma fino a nnotte , magni mano,

tu t’accurgiarai, Lillotto caro,

quant’è ddivuòto i popolo cristiano.

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

La fine di gli anno

 

Oi sémo alle trentuna di dicémbro

i ha finito i anno, caro Mattèo,

i  a ogni chiesia tutto i popolo cristiano

pi renne grazzie a Ddio canta i Tadèo.

 

Addumano, dapò, si Cristo ci dà vuita ,

alla stessa cchiesia cu ‘gli prèto

s’intòna n’atra antifona gradita

a  Sa’ Spirto Paraclèto.

 

Ma a cché seruono doppo tutte ‘ste funziugni:

i ogn’anno nòvuo porta cu’ ssé

tanchi atri trugni!

 

Addifacchi , putete puro cantà voi

che ggià Ddio Santo tè , ‘n paradiso,

atre cose da penzà piuttÓsto che ssentì a vvoi!

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

La sculatura di gli 2001

 

Oi , trentuna di dicembro, c’ha ffinita

st’annata negra di BinLadeno,

la cumpagnia fratesca ggiasuita

pi renne grazzie a Ddio canta i Tadèo !

 

Addumano, dapò, si Cristo ci dà vuita ,

a gli stesso cunvènto farisèo

s’intòna n’atra antifona gradita

a  Sa’ Spirto Paraclèto.

 

Ma a cché seruÓno dÓppo tutte ‘ste funziugni:

i distino, arammai, pare già diciso!

ca ogni anno nòvuo è peggio di gli vuecchi!

 

Addifacchi  pu cantà ccquanto tu vvuoi

che ggià Ddio Bbiniditto tè ‘n paradiso

atri iacchi da pilà piuttÓsto che ssentì a vvoi!

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

I bbóno Capo d’anno

 

Bbon capo d’aglio , a llei, sòra Maria!

Accummè! nun s’arisponne ? Le creste vi fanno ?

Eh, oi si téta campà in alligria

senza farese attaccà da niscun malanno.

 

Anzi , i’ stéua a pinzà, senza dice bbucia ,

che facessimo ‘nzéme ‘nu cuntrabbanno:

ca quello che ôi si cumbina , cummare mia

ddapò si seguita a ffà ppi tutto i’anno !

 

Tucchi i guschi tètano èsse missci a coppia

‘sta bella dì; i  pirfino ‘n paradiso

agli sanchi si sèrue piatanza dÓppia.

 

I , lu sai , dapò , pirché i papa ha criato i ggiubbileo?

Pirché Ggiasù Bambino s’a circunciso ,

i Figlio di Ddio s’ha fatto Abbrèo!

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

 La viggilia di Pasqua BBifania

 

La Bbifana , a gli figli , è nicissario

di farcila addumano , eh , sòra Tòlla ?

‘N giro a ccumprà ci stà tanta fòlla.

A quigli mei ci la faccio tra otto dì, a gli ‘ uttavuario.

 

‘Ste di’ adecco , addÓ m’accòsto accòsto, quiglio mi bÓlla:

alle Piaggie Marine o a gli Piazzalo.

  Accusì , pi Ótto dì ci pènzo i nun faccio malo

i alla fine si sa , chi vuenne cede i ammolla.

 

Pinzate ‘n pò che prezzi: a ‘nu giuchino

oi cétto quanto vulevano? otto scuchi !

I a ‘na pupazza ? ‘Nu béglio zicchino!

 

Mò ognuno che vuò vuenne

cérca di cacciarivu ‘ i ‘occhi.

Ma quando stà pì cchiude i buttechino

i clienchi i cercheno cu gli lanternino:

la mèrce vi la dauo pi ddò bbaiocchi !

 

Carlo Luigi ABBENDA


 

La nuttata di pasqua  Bbifania

 

-         Mà ! Mà !

-         Addurmite!

-         Nun ténco sÓnno!

-         I ffà ‘mpò addurmì chi i tè, dimonio dimoniétto!

-         Mà , mi vuoglio arizzà !

-         Ggiù , ggiù , statte a gli létto !

-         N’ ci arisisto ppiù , mò mi sprufonno.

-         I nun ti vuesto , io mÓ chiamo Nonno !

-         Ancora nun è iorno.  I chi mi su detto :

chi ci mancaua poco ?

I ‘mbè t’aspetto.

  -         Uffa , chi su scucciante ; su scucciante assai !

-         Mà , guarda ‘m pò si s’ha fatto giorno allòco drèto.

-         Durmi ! ch ‘ancora è notte ! Ohia ! ch’ ha succésso ?

-         Oh Ggiassummio ! E’ ‘nu granchio a gli pèdo!

        -         ‘N ‘zomma , statte zitto , mò appiccio i lumino.

-         Finalmente:

Vichi ‘mpò cche m’ha purtato

la Bfifana a la cappa ‘gli cammino !

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

La dumano di pasqua  Bbifania

 

E’ pramente bbéglio vidène ‘ngiro ‘schi funghecchi,

‘sci mammòcci , ‘schi furbi ciumachégli ,

mméso a ‘na muntagna di giucarégli

zumpéttà accomme a spirichi fullécchi !

 

Arlicchigni  , trumbétte , pulicinégli ,

cavagliucci , ssidiòle , cifalicchi ,

carittigni , ccuccù , schiÓppi i archicchi ,

sciabbule , bbirrittigni i tamburégli...

 

Quisto pòrta la còtta i la suttana ,

quiglio è vvuistito ‘n camicio i ppianéta

i quigli’atro è ufficialo di la Bbifana.

 

I ‘ntanto , o prèto , o chierico , o ufficialo,

le cose dduci cì tireno le déta ;

I mamma striglia che ffinisce a mmalo.

 

Carlo Luigi ABBENDA

 

 

Alle 17 di génnaro

(La Festa di Sant'Antògno Abbato)  

 

Ieri, ch'era festa di Sant'Antògno Abbato

cu' moglima mi ni sò ito

a prisinzià di gli aglimari la bbinidizziòne.

Da Santa Parascevue a Ferro di Cavallo

finèntite alla cchiesia di gli Cappuccigni

è stata la nostra pirdiscione.

I' prèto era quiglio pézzo di dimonio

di' gli figlio Bbuttarazza:

dun Antonio era i prèto chi bbenidicevua

di gli aglimari la razza.

Ritto 'mpéchi,  cu 'mmagni  i' aspersorio

si ni stévua ad aspittà li bbèstie pi ggli mercimonio.

Porci, sumari, pecure i cavagli

s'accalcavuano, stricchi , bardagni

di fiòcchi bbianchi, rusci i ggiagli !

I dun Antonio, pitènne i raccullènne 

di quatrigni 'na tòppa,

ha strigliato a tutta la ciurma :

" Figliogli méi, la Carità divuòta

nun è mmai tròppa ! "

 

 Carlo Luigi ABBENDA

 

Libri dell'autore in vendita

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"Il Lazio e la Campagna Romana" pubblicato nell'anno 2000. 

Per tutti gli interessati sono ancora disponibili decine di copie in vendita al prezzo di 13,00 €.

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