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Domenica, 24 Marzo 2024 07:37

Per amore del mio popolo

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Sono trascorsi trent’anni dall’assassinio di don Peppe Diana, parroco a Casal di Principe, ucciso dai clan camorristi, che misero a tacere questo giovane sacerdote che parlava di giustizia, denunciava i soprusi, incoraggiava fedeli e preti ad uscire dalle comode e sicure sacrestie, a ribellarsi al sistema mafioso e a lottare per il riscatto dei propri territori e della propria gente.
 
A me non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta”. Parole provocatorie quelle di don Peppe, pronunciate durante un funerale, uno dei tanti, celebrati in quella terra insanguinata dalla violenza dei clan.
 
Nessun dubbio che Dio era al suo fianco quella mattina del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, quando nella sua parrocchia, rivestito con gli abiti liturgici si apprestava a celebrare l’Eucarestia e venne freddato da cinque colpi di pistola, tutti al volto. Una violenza infame rivolta contro un uomo mite, colpevole soltanto di essersi schierato al fianco del suo popolo contro la camorra che asfissiava la sua città, distruggeva vite e cancellava ogni speranza di futuro. Cinque colpi di pistola per soffocare quel grido alzato tre anni prima da don Peppe: “per amore del mio popolo non tacerò”.
 
Sacerdote vero, vicino ai più fragili, ai disabili, agli immigrati, tra i primi ad aprire le porte della sua comunità cristiana ai fratelli africani e alle donne vittime di tratta e prostituzione, non ebbe paura di esporsi e pronunciare la parola camorra, di denunciare la criminalità organizzata nella sua attività di pastore e negli articoli pubblicati sul mensile Lo Spettro.
 
La camorra chiama ‘famiglia’ un clan organizzato per scopi delittuosi, in cui è legge la fedeltà assoluta, è esclusa qualunque espressione di autonomia, è considerata tradimento, degno di morte, non solo la defezione, ma anche la conversione all’onestà. La camorra usa tutti i mezzi per estendere e consolidare tale tipo di famiglia, strumentalizzando perfino i sacramenti. La camorra pretende di avere una sua religiosità, riuscendo a volte a ingannare, oltre che i fedeli, anche sprovveduti o ingenui pastori di anime”. Parole inequivocabili e dure, rivolte contro collusi e fiancheggiatori della camorra, annidati anche all’interno della stessa Chiesa.
 
Un eroe? Un santo? Probabilmente don Peppe Diana si sarebbe fatto una risata al solo pensiero. Eppure può accadere e spesso accade, senza neppure pensarci e rendersene conto. Si fanno scelte di campo, ci si incammina con coraggio lungo la strada faticosa della verità, della giustizia e della libertà. Si crede nei valori, si prendono sul serio al punto da infastidire potenti e delinquenti, da spingerli all’omicidio pur di far tacere, d’imporre la logica normalizzante del servilismo e della sottomissione.
 
La tragedia assume contorni ancor più assurdi e abnormi quando sulle opposte barricate si ritrovano non estranei, ma persone con cui si sono condivise amicizie e giochi, scampagnate e banchi di scuola, la fatica di guadagnarsi da vivere e le passioni. Accade che le strade si dividano, le scelte personali portino ad approdi esistenziali differenti, si combatta su sponde opposte, si ingaggi un braccio di ferro tra bene e male e una battaglia senza esclusione di colpi.
 
Don Peppe Diana lottava a mani nude e la sua unica arma era il Vangelo. Non aveva a disposizione killer e guardaspalle, non ricorreva a minacce e violenze per imporsi. Eppure non era don Peppe a temere i camorristi, ma costoro a tremare di lui. Sebbene fossero armati di pistole e mitragliette, girassero con macchine di lusso e avessero cospicui conti in banca, vantassero agganci con la politica e la mafia siciliana, erano tanto apparentemente duri quanto di fatto fragili, tanto spavaldi quanto intimoriti da un prete, un piccolo Davide che osava ancora una volta sfidare il gigante Golia.      
 
Don Peppe Diana era un semplice prete, un vero prete, un vero Casalese, un vero italiano, ma non di quelli che insozzano, calpestano, insanguinano le strade, le case, la vita di Casale e di qualunque altra nostra città.
 
 “Diana non fu ucciso per caso ma perché prete e organizzatore di una seria azione di denuncia dell’attività criminale della camorra, dell’illegalità sociale sistemica e della gestione politica clientelare, oltre al sacerdotale impegno per la formazione delle coscienze, soprattutto dei giovani, all’interno di una precisa scelta pastorale ispirata alla Sacra Scrittura e tesa tra evangelizzazione e profezia”. (S. Tanzarella, Don Peppino Diana. Un prete affamato di vita, Il pozzo di Giacobbe).
 
Il messaggio di don Peppe non si è spento con lui, la sua eredità morale e spirituale, il suo sguardo sull’umanità e sulle cose trovano terreno fecondo nella sua fede in Cristo e nella sua storia per rigenerarsi e rinnovarsi incessantemente nel presente e nel futuro.

 

Comunicato stampa

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“Il Comune di Sezze ha reso ufficiale la sua intenzione di costituirsi parte civile nel processo contro la cooperativa Karibu e il consorzio Aid che vede imputati i vertici delle stesse”. A sostenerlo in una nota è il sindaco di Sezze, Lidano Lucidi, che ha confermato come nella giornata di ieri la giunta da lui presieduta ha deliberato la costituzione come parte civile nel processo, indicando l’avvocato Emanuele Ceccano di seguire tutte le pratiche propedeutiche a questa iniziativa. Lo stesso sindaco ha spiegato per quale motivo il Comune di Sezze non aveva presentato la richiesta al Tribunale di Latina nel momento dell’udienza preliminare insieme ad altri enti e soggetti che si sono costituiti: “Si è trattato di una serie di circostanze che, di fatto, hanno creato un problema di carattere tecnico, con un cambio di organigramma all’interno del Comune che, sostanzialmente, ha tenuto in una sorta di limbo la questione che era stata comunque già affrontata dalla maggioranza. Come accaduto sulla vicenda del cimitero e sullo scandalo successivo – ha spiegato ancora il primo cittadino di Sezze – l’ente non ha avuto alcun dubbio a costituirsi parte civile, cosa che oggi abbiamo messo nero su bianco deliberando in giunta questa decisione”. Il sindaco di Sezze ha anche spiegato i motivi di questa decisione: “Ci è sembrata una scelta logica e in linea con il nostro mandato, nel rispetto dei cittadini e della città. Come per la questione cimitero così come sulla vicenda che ha interessato la cooperativa Karibu, questa amministrazione non ha in alcun modo avuto alcun coinvolgimento. Però ci troviamo a doverne rispondere e a guardare la nostra città essere elevata a modello negativo, anche sulla stampa nazionale. Sezze, invece, è tanto altro e questa azione si è realizzata proprio per questo scopo, per dimostrare che episodi del genere possono minare la credibilità di un’intera città e di tanti cittadini che guardano con speranza alla giustizia e alla legalità, comportandosi di conseguenza”.

 

 

Basta con il teatrino del botta e risposta. Basta con lo scadere nelle discussioni che non rispettano i punti all’ordine del giorno e non fanno altro che alzare i toni della discussione. Basta con le battute fuori campo e altro. Ancora una volta ieri il presidente del consiglio comunale Pietro Del Duca ha dovuto riportare ordine e disciplina durante la seduta del consiglio comunale di Sezze. Questa volta ad essere stato più volte ripreso lo stesso sindaco Lidano Lucidi che intendeva replicare al consigliere comunale Armando Uscimenti intervenuto poco prima. Il primo cittadino e il presidente del consiglio comunale sono stati protagonisti di un battibecco dai toni alti, subito rientrato, ma la scena non è passata inosservata mettendo in mostra uno dei lati peggiori della politica. Non è la prima volta che Del Duca invita l’assise al rispetto del regolamento e delle istituzioni.

 

 

La pericolosità dell’incrocio  della SP via Murillo con Via Migliara 45 nel territorio del Comune di sezze finisce sul tavolo della provincia di Latina grazie ad una segnalazione inviata dal coordinamento locale di Fratelli d’Italia di Sezze. “L’incrocio risulta essere carente di segnaletica orizzontale e verticale e privo di illuminazione notturna perché non funzionante. Per quanto di competenza e responsabilità chiediamo la messa in sicurezza dell’incrocio – si legge nella nota – con interventi risolutivi nel più breve tempo possibile al fine di evitare ulteriori tragiche conseguenze”.  Nella segnalazione inviata all’amministrazione provinciale di Latina si ricorda che nel 2016 sono state raccolte firme per la messa in sicurezza dell’intersezione viaria, che sono state presentate numerose interrogazioni al Comune di Sezze e che l’incrocio è stato teatro di recentissimi incidenti mortali.

 

 

Tredici racconti, il cui protagonista è sempre lo stesso: Flavio. Ecco perché “Il sapore dei ricordi” di Roberto Campagna (Edizioni del Roveto) potrebbe essere considerato anche un romanzo e gli stessi racconti i suoi capitoli. Ma non lo è. Per farlo diventare tale, Campagna avrebbe dovuto cambiare la tecnica narrativa. Certo, non avrebbe avuto problemi, ma ha scelto un’altra strada per raccontare alcuni aspetti della vita di Flavio. E lo ha fatto per dare maggiore forza alle storie narrate. A differenza del romanzo che ha una trama orizzontale, quella del racconto è verticale, va diritta alla mettendo , senza altre divagazioni letterarie. Da precisare però che la trama di questi tredici racconti, come un per l’appunto romanzo, è di tipo orizzontale perché contengono sconfinamenti, personaggi secondari, sottotrame  e fatti estranei alla stessa storia principale, che l’autore comunque è capace di intrecciare   con una certa abilità. Ogni racconto gira intorno a un piatto o a un prodotto tipico, il cui sapore è impresso nella memoria di Flavio. Da qui il titolo dello stesso libro. La letteratura popolare e in particolar modo il racconto orale, in questo libro, si coniugano insieme in uno squisito pamphlet di ricordi pseudo autobiografici. Campagna, giornalista e sociologo, è un vero scrittore “popolare”, se con popolare si intende il lascito che la memoria imprime nella tradizione del saper narrare, con ironia e arguzia, episodi cruciali, in grado di sintetizzare una comunità e le sue tradizioni, i suoi sapori tipici e trasformarli in emozioni viventi, immortali. I luoghi dei racconti di Campagna sono alcuni paesi dell’Agro Pontino, alcune zone della provincia di Roma e delle Marche, che tracciano l’anima e cristallizzano gli stessi ricordi, tra favola e cruda realtà, come ne “La strada” di Federico Fellini. Perché “Il sapore dei ricordi” è un libro pseudo autobiografico? Perché Flavio, il protagonista, è il riflesso nostalgico dello stesso autore: è infatti negli occhi di Flavio che Campagna ripercorre luoghi, fatti e sapori passati, forse scomparsi o in via di sparizione, ma indelebili nel suo palato. I ricordi sono fatti di odori e gusti sopiti nel tempo e Campagna, con la sua verve narrativa frizzante e ironica – l’autore ha la capacità di scrivere una lingua corrente, colloquiale, senza risultare volgare – impasta le sue storie, usando lo stesso timbro scanzonato di un Balzac e lo fa trasportando il lettore nel suo mondo di nostalgiche disillusioni politiche, di scorribande canagliesche, di scherzi e alambicchi giovanili, di ripicche e fughe e amorazzi scollacciati. Scrive nel racconto “La ricomparsa della gassosa”: “Senza pensarci su Carmine mette giù il tre. Ma Flavio aveva proprio l’asso. Lo tira sbattendo il pugno sul tavolo e la gassosa che sorseggiava finisce su un braccio e sulle gambe di Gina. Belle gambe che Gina metteva in mostra indossando sempre e solo minigonne. Aveva quindici anni. Piccolina, con i capelli lunghi e neri e una quarta di seno. Più di una volta Flavio ci aveva fatto un pensierino sopra. Ma era la ragazza di un suo amico! (…) E con il lembo della maglietta che indossava, le asciugò il braccio e le gambe. Restò fulminato da quel contatto, come se avesse toccato un filo scoperto dell’alta tensione. Fu così che il suo pensierino si trasformò in chiodo fisso. Ma Gina era una ragazza a modo. Sfrontata solo nell’abbigliamento, ma timida, di sani principi, innamorata persa di Carmine. Ci mise quasi un anno Flavio per farla capitolare”. Leggendo dunque “Il sapore dei ricordi” non si può non pensare a una tenerezza antica – ma come fa la tenerezza a non essere anche gioia rabbiosa per un tempo ormai perduto? – e soprattutto a una operazione di recupero sociale e culturale, a un “amarcord” che vuole farsi scatola magica, scrigno di ricordi, perché il vero miracolo dell’uomo è sapere di appartenere ad un luogo e di portarselo sempre dentro.

 

Nella foto Roberto Campagna

 

"Ho già protocollato la mie dimissioni dal gruppo consiliare di Identità setina. Esco dal movimento perché ormai non mi riconosco più nella linea intrapresa da Identità Setina. Non è più un movimento autonomo e indipendente e di civico resta solo il nome. Resto in maggioranza perché devo onorare il mandato che mi hanno dato i miei elettori, ed è proprio per questo che non intendo tradirli. Siamo nati come lista civica indipendente mentre oggi si è andati a elemosinare voti e a fare alleanze con un partito che non ha nulla a che fare con la mia storia politica”.  Il consigliere comunale Gianluca Calvano lascia così il gruppo ed il movimento di Identità Setina, ormai diventato un'appendice di Forza Italia. Calvano, non ci sta e con questo passaggio, seppur doloroso, vuole mandare un segnale al sindaco Lucidi, ultimamente deciso a cambiare rotta e a trasformare la sua maggioranza in qualcosa di diverso rispetto al progetto civico originario. La goccia che ha fatto traboccare il vaso le elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale di Latina, dove quasi tutta la maggioranza ha sostenuto Forza Italia che vedeva il consigliere comunale Pasquale Casalini in lista. Calvano non è l'unico in maggioranza a non aver digerito la svolta del gruppo Identità Setina, ormai snaturata; ci saranno altri scossoni e altri segnali che già da oggi pomeriggio verranno inviati al primo cittadino affinché si rimetta sui binari del civismo, l'unico progetto votato dai cittadini. Calvano in aula resterà indipendente.

 

 

 

Il coordinatore locale del circolo Fratelli d'Italia di Sezze, Mario Sagnelli, mette i puntini sull i relativamente alla fuoriuscita dal gruppo Fdi del consigliere comunale eletto nella lista Orlando Quattrini. "Desidero prendere una posizione chiara e trasparente al riguardo - afferema Sagnelli - È innegabile che questa decisione abbia generato molte discussioni nel contesto politico locale, e sento il dovere di chiarire alcuni punti fondamentali. In primo luogo, è importante sottolineare che il Consigliere Quattrini ha preso questa decisione in modo autonomo, senza alcun confronto con il direttivo del partito o con gli elettori che lo avevano eletto e sostenuto come nostro rappresentante. Tale mancanza di dialogo è stata deludente e non in linea con i principi democratici che difendiamo. Questa situazione ci ricorda un principio fondamentale della politica: nulla è per sempre. La dinamicità e la mutevolezza sono parte integrante della nostra realtà politica, e dobbiamo adattarci di conseguenza. Tuttavia, è fondamentale mantenere un dialogo aperto e rispettoso, specialmente nei momenti di difficoltà. Per rassicurare i nostri sostenitori e mantenere salda l'unità del partito, ci siamo riuniti come Direttivo per valutare la situazione. Dalla riunione, siamo usciti più forti e coesi di prima, ma resta aperta la questione delle giustificazioni politiche del Consigliere Quattrini, il quale, fino ad oggi, si è dimostrato irraggiungibile e poco propenso al dialogo. Dal mio punto di vista politico, non mi reputo uno sprovveduto. Era evidente da un po' che il Consigliere Quattrini stesse valutando alternative e non si sentisse più coinvolto nel progetto del nostro partito. Le decisioni all'interno del nostro gruppo vengono prese collettivamente e devono essere sostenute da tutti i membri. Chi decide di agire in modo unilaterale e non condiviso  - aggiuge - non rispetta questi principi e dovrà affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Mi rammarica profondamente il modo in cui sono state presentate le dimissioni del Consigliere Quattrini. Mi aspettavo almeno un confronto chiarificatore anziché una fuga notturna". Per FdI resta "essenziale mantenere un dialogo aperto e rispettoso, anche quando ci troviamo di fronte a divergenze di opinione, esiste la necessità di rispettare i principi democratici all'interno del nostro gruppo".  Per Sagnelli comunque "certi comportamenti non saranno più tollerati. Come ex atleta, sottolineo l'importanza di affrontare le vittorie e le sconfitte insieme, come un vero team. Non posso negare che questa situazione mi rammarichi, ma sono fiducioso che il nostro gruppo sia composto da individui capaci che sapranno affrontare questa sfida con determinazione e resilienza. È importante cogliere il lato positivo e politico di questa vicenda, continuando a lavorare per il bene della nostra comunità. Personalmente, auguro al Consigliere dimissionario una buona vita, ma come politico spero che la sua decisione sia stata presa con saggezza e lungimiranza. Restiamo in attesa di una sua eventuale giustificazione politica, seppur attualmente poco probabile. Ad oggi, assistiamo, infatti, ad una totale assenza della politica nel nostro paese che, a mio modesto parere, stiamo cercando di colmare come partito di Fratelli d’Italia, idea condivisa con lo stesso consigliere e che non vedo con quale altra compagine politica locale possa oggi coltivare. Fratelli d'Italia a Sezze è stato, è e sarà un pilastro della politica locale. Avanti tutti, patrioti!"

 

L'astensionismo elettorale è un fenomeno in crescita in tutte le democrazie.
 
Nel nostro Paese ha una lunga storia e negli anni ha cambiato fisionomia e caratteristiche. Iniziato come fenomeno fisiologico, gradualmente si è accentuato a causa dell'indebolimento della presa ideologica dei grandi partiti di massa e, con la nascita della seconda repubblica, si è trasformato in una patologica disaffezione civica, alimentata dal disimpegno, dalla delusione, dal distanziamento e dalla protesta verso i partiti e l'intera classe dirigente. 
 
Ma l'astensionismo rappresenta davvero un problema per la politica?
 
L'impressione è che al di là degli immancabili commenti “rattristati”, dell'amara constatazione del fenomeno, archiviata l'analisi del voto che li riguarda, i politici sono interessati soltanto a quanti vanno a votare: sono loro che determinano vittorie e sconfitte , seggi conquistati e maggioranze di governo. Pertanto ad essi si rivolgono, dato che da essi dipendono e non si pongono il problema di comprendere le ragioni degli astenuti né di rappresentarli.
 
In Italia la deideologizzazione della politica e la fine dei grandi partiti hanno ridotto il peso dell'appartenenza identitaria e il voto è visto sempre meno come dovere e sempre più come diritto, esercitabile liberamente, ivi compresa la possibilità del suo non esercizio. Tale scelta, a lungo intesa non come contestazione ma come forma di fiducia verso il sistema, per cui l'astenuto delegava a scegliere al posto proprio chi votava, ha smesso di essere considerata in tal modo quando l'astensione ha assunto proporzioni patologiche ed ha rivelato la crisi della democrazia.
 
La delusione, effetto della fine delle vecchie identità politiche, il non riconoscersi più in nessuna proposta, il declino della partecipazione per la chiusura autoreferenziale della classe politica e il suo essere relegato al solo momento elettorale, la disaffezione verso le istituzioni, percepite come incapaci di dare risposte adeguate e tempestive ai problemi dei cittadini stanno mettendo in discussione la tenuta del sistema democratico.
 
L’uscita dal circuito della rappresentanza di parti crescenti di elettorato determina l’uscita dei suoi bisogni dalla sfera politica e ne impoverisce le proposte, vengono meno importanti temi sociali e la sfera dei diritti e delle libertà si restringe.
 
La politica dovrebbe interrogarsi sulle strade da percorrere per arrestare l’astensionismo patologico, ma soprattutto per invertire la tendenza e stimolare la re-inclusione dei cittadini nelle strutture partecipative dello stato democratico.
 
Certamente una democrazia meno partecipata è più comoda e agevole per chi esercita il potere, poiché riduce il lavoro e la competizione. È più facile spartirsi una fetta definita che stimolare una partecipazione più ampia dagli esiti ignoti e imprevedibili. Inoltre meno sono le persone che partecipano, meno sono i potenziali candidati a ricoprire le cariche. L’astensionismo dunque fa comodo, almeno fino a quando la massa nascosta non riemerge e non produce cambiamenti radicali.
 
È urgente affrontare le cause dell’astensionismo, restituendo il senso alla politica, intesa come impegno a favore dei cittadini e per la costruzione di una società più avanzata e giusta.
 
L’idea dello Stato minimo, sostenuta dagli ultraliberali, che hanno portato all’estremo l’idea lockiana della politica come male necessario, affermatasi non solo in rapporto al primato dell’economia di mercato, ha finito per minare il senso dell’appartenenza alla comunità dei cittadini, sia di quanti stanno bene e possono provvedere da soli ai propri interessi, sia di quanti della politica hanno bisogno in termini di sostegno pubblico. Per sopravvivere, riscattarsi e trovare aiuto molti si affidano alle reti di solidarietà, ai rapporti personali, a nuove forme comunitarie e non allo stato. Insomma c’è una politica non-politica che nasce e cresce fuori dai canali istituzionali e dà risposte più efficaci alle domande e ai bisogni quotidiani.
 
La politica dovrebbe tornare a dare risposte ai valori prioritari delle persone, a riacquistare il primato rispetto all’economia, alla scienza, alla tecnica, ma questo può avvenire solo se sarà capace di mettere in discussione se stessa e liberarsi da incrostazioni e velleitarismi.
 
In una società postmoderna, pluralista, multiculturale è sempre più difficile sentirsi rappresentati da un unico gruppo, partito o movimento. I programmi elettorali, spesso generici e superficiali, difficilmente sono integralmente condivisi e questo provoca un’alta volatilità elettorale e anche l’astensione perché, non identificandoci in nessun progetto e valutando inutile il voto, tanti cittadini decidono di passare la mano.
 
In questo modo viene erosa la base della democrazia.
 
Al di là degli schieramenti, servirebbe un dibattito aperto e senza pregiudizi, ricercare nuovi strumenti di partecipazione, avanzare proposte alternative a quelle semplicistiche di ulteriore riduzione della rappresentanza facendo ricorso a modelli monocratici come il presidenzialismo, prendere sul serio l'essenzialità del pluralismo delle idee e offrire la possibilità di promuovere e approvare proposte concrete senza tenere oltremisura in conto la loro provenienza da partiti e schieramenti.
 
È sbagliato difendere il sistema a prescindere, ma non servono scorciatoie e fughe in avanti, mentre è imprescindibile rimettere al centro della politica il bene comune.


Si rinnova per il secondo anno consecutivo il riconoscimento di comune Plastic Free per Maenza. Il Comune Lepino è tra i sei Comuni del Lazio e tra i 111 italiani che lo scorso 9 marzo hanno ricevuto il prestigioso premio a Milano nella splendida e suggestiva cornice del teatro Carcano. Il  sindaco Sperduti si ritiene più che soddisfatto:” Ritirare il premio su quel palco assieme a città importanti come Milano Torino Verona Vicenza - ha affermato - è stata una grande emozione. Sentire nominare il nostro paese davanti ad una platea di 600 persone provenienti da tutta Italia è motivo di orgoglio per tutti e dico tutti noi maentini”. Il comune Lepino si è distinto in termini di virtuosità grazie all’ordinanza che vieta il lancio di palloncini ad elio, al passaggio dal monosuso a stoviglie in acciaio, piatti di ceramica e bicchieri di vetro nella mensa scolastica e ai numerosi eventi con i bambini e ragazzi messi realizzato in collaborazione con la Consulta Giovanile di Maenza! Eleonora Rossi, referente di Maenza aggiunge: ” Sono orgogliosa di aver insieme ad ogni maentino raggiunto questi traguardi e sento sempre più  il dovere morale di portare sempre piu in alto quello che è ormai diventato mio paese”; mentre per Gianfranco Iagnocco, referente di Maenza e vice provinciale di Latina, “ Plastic free è ormai diventata una grande famiglia  dove ognuno con un sorriso aiuta l’altro, dove tra di noi c’è stima e rispetto, dove mi sono sempre sentito uno di casa, dove stanno nascendo dei veri e propri rapporti di amicizia. Stiamo già lavorando a tanti progetti ed eventi in collaborazione anche con altri paesi perché lavoriate insieme è più bello, siamo infatti tutti responsabili del cambiamento e ogni cambiamento parte da noi, cerchiamo di essere la parte buona di questo mondo, per essere un esempio di chi non lo è ”.

 

 

 

Nei giorni 13, 14 e 15 marzo 2024 a Bassiano si gireranno alcune scene del cortometraggio “il maritozzo”, una storia d’amore platonica ambientata nel 1943 nel pieno delle deportazioni degli ebrei dal ghetto di Roma, tra una ragazza giudea ed una guardia fascista.  L’esplosione di questo amore platonico, in questo parallelismo con il dolce “Il maritozzo” è il connubio di questa antica ricetta giudea che la cucina romana in seguito ha farcito con la panna creando una esplosione di gusto. Il progetto cinematografico vede nomi di spicco come la regia di Nicola Barnaba, la partecipazione di Paolo Conticini, Gabriele Rossi, Francesca Rettondini, Bruno Bilotta e la partecipazione della giovane ma ormai veterana di origine lepina Elisa Campagna come Segretaria di Edizione.

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