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Il Pd di Sezze cade e poi ricade, ma ha la volontà (bisogna vedere se ha la forza, ndr) di rialzarsi sempre. Il prossimo 20 maggio, alle ore 18 presso il centro sociale Calabresi, è stata organizzata una assemblea pubblica dal titolo “Sezze Domani, le tue idee per la nostra città con il partito democratico”. L’incontro è aperto ai tesserati, a chi ha votato per le primarie e ai simpatizzanti dem. La segreteria dimissionaria (ad un anno dal congresso smart svolto presso i campi da tennis) sta a dimostrare l’inconsistenza di quella proposta politica che non è riuscita a fare breccia dopo la batosta delle ultime amministrative, sta a dimostrare il disorientamento della maggior parte degli iscritti e degli stessi dirigenti dem, e sta a dimostrare che le scelte calate dall’alto lasciano il tempo che trovano. La nuova sfida del Pd era partita, quindi, mezza zoppa, con storici dirigenti che poco dopo avevano fatto le valigie dal direttivo e altrettanti che erano ancor più demotivati. Al presidente del partito setino, Luigi De Angelis, promotore e organizzatore dell’assemblea in questione, oggi le redini del partito e il ruolo di rimettere insieme i cocci dopo le dimissioni di Francesca Barbati, a cui va dato comunque il merito di essersi messa in gioco e il coraggio di averci messo la faccia rispetto a chi non lo ha mai fatto.

Ecco cosa pensa Luigi De Angelis del Pd di oggi e del Pd che si vuole ricostruire per domani.

Ad un anno di distanza dalla sconfitta elettorale cosa è cambiato dentro il partito?

“Il PD ha subito una sconfitta dura alle ultime elezioni comunali e questi sono stati mesi difficili. I cittadini hanno scelto di affidare la guida della nostra amministrazione ad una coalizione civica. Il partito ha faticato un po’ a metabolizzare la sconfitta e a prendere consapevolezza del proprio ruolo di opposizione. Ora serve un cambio di passo e l’abbandono definitivo di certe posizioni cristallizzate che si sono rivelate deleterie”.    

Perché questa assemblea pubblica? Che importanza ha per il PD?

“L’assemblea pubblica del 20 maggio è una occasione importantissima per segnare una ripartenza del Partito Democratico di Sezze. Abbiamo bisogno di energie nuove, del contributo di idee ed impegno concreto di quanti finora sono rimasti ai margini dell’impegno politico. Per questo motivo l’assemblea avrà come protagonisti non i dirigenti del partito, ma quanti concretamente operano nella nostra città nei diversi campi, dalla cultura all’imprenditorialità, dai servizi sociali all’associazionismo e non ultimo vivono il dramma della disoccupazione e del precariato senza diritti e senza tutele”.

Il PD, negli ultimi anni, ha completamente perso i contatto con la realtà. C’è consapevolezza di questa situazione dentro la segreteria e il direttivo del partito?

“La perdita del contatto con la parte viva e dinamica della città sta alla base della sconfitta elettorale. Sarebbe ridicolo nasconderlo. D’altra parte se il PD ha perso le elezioni amministrative è perché il suo progetto è stato ritenuto distante dalle domande dei cittadini, che hanno preferito affidarsi ad altro. E questo senza nulla togliere al valore di chi quella proposta l’ha rappresentata e a cui va il ringraziamento del partito. Recuperare il terreno perduto richiede fatica, impegno quotidiano e soprattutto un bagno di umiltà. Dobbiamo smetterla di credere che siamo sufficienti a noi stessi”.

Da dove bisogna ripartire?

“Vogliamo che il PD torni ad essere il partito dei cittadini, di quanti si riconoscono nei valori della sinistra democratica e progressista. Dobbiamo ripartire dagli iscritti, dal popolo delle primarie, da quanti hanno scelto Elly Schlein, ribaltando completamente il voto dei circoli, anche del nostro. Sarebbe impensabile fare finta di nulla. Il PD deve riconnettersi sentimentalmente con i cittadini che si riconoscono nei suoi valori. E questo vale anche per Sezze, direi anzi soprattutto”. 

Il PD oggi gode di buona salute?

“Siamo ammaccati ma vivi. È sicuramente un buon punto di partenza. Abbiamo una classe dirigente straordinaria, spesso relegata ai margini, che dobbiamo e possiamo spendere sul mercato politico per riconquistare consensi e credibilità e soprattutto dobbiamo aprirci alle tante persone nuove che hanno voglia di impegnarsi per Sezze con il PD e il centrosinistra”.

Il PD di Sezze sembra isolato a livello provinciale e regionale. È veramente così?

“È una grossolana stupidaggine. Il PD di Sezze esprime un Consigliere Regionale, Salvatore La Penna e una importante dirigente a livello nazionale, Sesa Amici. Certe speculazioni lasciano il tempo che trovano e personalmente ritengo che sia inutile stare a ribattere a queste affermazioni false e stucchevoli. Piuttosto dobbiamo impegnare le nostre energie per restituire forza e centralità al PD”.

Quale ricetta per il futuro?

“Dobbiamo uscire da noi stessi e rimetterci in cammino. L’assemblea del 20 maggio è solo la prima tappa di un percorso più complesso e articolato. L’ascolto dei cittadini, delle loro domande, la conoscenza delle criticità, la costruzione di un progetto politico e amministrativo innovativo per Sezze, partendo dalla concretezza, devono essere la bussola del nostro impegno nei prossimi mesi. Abbiamo intenzione di tornare sul territorio, di riappropriarci degli spazi della partecipazione democratica attraverso assemblee tematiche e di quartiere. Sezze ha bisogno di un PD rinnovato, capace di coniugare esperienza e sguardo rivolto al futuro, visione politica e inclusività. Il nostro territorio ha grandi potenzialità e ricchezze, dobbiamo metterle a sistema, renderle funzionali affinché si creino sviluppo e occupazione per i giovani, un miglioramento complessivo delle condizioni economiche, sociali e culturali”.

Esiste un raccordo tra partito e gruppo consiliare? Spesso si ha l’impressione che non ci sia.

“Abbiamo una rappresentanza consiliare di grande spessore politico, persone competenti, di grande esperienza e affidabilità. C’è condivisione e raccordo tra partito e gruppo consiliare, ma anche differenza di funzioni e autonomia. Il gruppo consiliare ha il compito di incalzare la maggioranza all’interno del Consiglio Comunale, il partito quello più grande di costruire le condizioni per una alternativa politica e programmatica a questa amministrazione, rispetto alla quale il mio giudizio è complessivamente negativo”.

 

 

Francesco Cardarello è il nuovo presidente di ANFFAS Monti Lepini, l’associazione che si occupa di supporto alle persone con disabilità intellettiva e del neurosviluppo. Il direttivo si è riunito dopo le dimissioni del presidente Antonio Petricca e ha eletto i nuovi vertici del sodalizio nato lo scorso anno a Sezze. 42 anni, laureato in Servizi Sociali, Cardarelo da più di vent’anni collabora con Anffas Roma come Assistente Educativo presso le varie Residenze dislocate sul territorio romano, acquisendo una notevole esperienza riguardo al delicato tema del Durante noi / dopo di noi. "La fiducia che mi è stata data dai soci mi onora e mi incoraggia ad assumere il peso delle responsabilità che l’incarico richiede - dichiara Cardarello - Ringrazio chi con fiducia e voglia di intraprendere questo percorso si è messo a disposizione e camminerà al mio fianco. Il mio impegno sarà mantenere la già avviata rete di relazioni sul territorio e cercare di far fiorire ciò che si sta seminando, pur nella consapevolezza di tante difficoltà". Intento del neo Presidente è "perseguire finalità di solidarietà e di aiuto sociale, sensibilizzando maggiormente gli organi politici, gli amministratori e gli operatori sanitari al fine di migliorare l’assistenza e le condizioni di vita delle persone con disagio psichico e dei loro familiari". Molte le idee concrete da portare avanti: "Mi impegnerò per portare avanti percorsi innovativi, come nel caso del Progetto “MATRICI” , strumento che punta a cambiare il modo di approcciarsi alla Vita Indipendente e al “Dopo di Noi”  nell’ottica di una maggiore autonomia delle persone con disabilità coinvolte elaborando progetti individuali ex art. 14 L. 328/00 e per il “Dopo e Durante Noi” Legge 112/16". MATRICI è un software che rappresenta una guida interattiva alla progettazione individualizzata. La raccolta di informazioni, l’assessment e valutazione multidimensionale, la pianificazione, programmazione, gestione e valutazione dei sostegni e dei loro esiti divengono un processo guidato e allineato ai diritti, ai desideri ed aspettative della persona stessa e della sua famiglia, alla necessità di sostegno e del suo contesto di vita ed è volto al miglioramento della sua Qualità di Vita ". MATRICI permette dunque la realizzazione del Progetto Individuale di Vita non solo ai sensi dell’art. 14 della L. 328/00 ma anche con le misure progettate e finanziate secondo la Legge 112/16. "In tal senso stiamo programmando un incontro  che vuole presentare Matrici  - conclude Cardaello-  avanzando proposte, sottoforma di raccomandazioni ai vari decisori politici per implementare la Legge 112/16, tenendo conto delle criticità applicative fino ad oggi rilevate".

Domenica, 14 Maggio 2023 06:05

Perché dico no al presidenzialismo

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Il presidenzialismo è un tema carsico che attraversa l'intera storia della Repubblica e riemerge al verificarsi di particolari congiunture o passaggi politici. Avendo trovato sostenitori a destra come a sinistra, non è patrimonio esclusivo di un'ideologia o di una parte politica.
 
La proposta presidenzialista, unita al federalismo, ispirati al modello americano, fu avanzata nell'Assemblea Costituente dal Partito d'Azione. Piero Calamandrei riteneva questa soluzione una garanzia per la tenuta democratica dell'Italia, che nella sua visione era scivolata nella dittatura a causa non di governi forti ma deboli. In sede di elaborazione della Costituzione a tale proposta fu preferito il sistema parlamentare, dal forte impianto garantista e pluralista, ritenuto più idoneo per un Paese segnato da tensioni e fratture sociali, rispecchiate nella disomogeneità e frammentazione dei partiti. Il presidenzialismo scomparve dalla discussione politica fino alla fine degli anni '70, quando tornò in auge con il disegno della  grande riforma costituzionale del PSI di Bettino Craxi, il cui obiettivo era garantire la  governabilità  e rafforzare l'esecutivo, superandone instabilità e inefficienza. Il dibattito porterà all'adozione nel 1993, dopo un referendum, di una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, tesa a favorire il bipolarismo e l'alternanza al governo.
 
Negli anni la discussione è proseguita e sono state anche istituite delle commissioni parlamentari bicamerali, incaricate di predisporre proposte di riforma della Costituzione. Sul presidenzialismo il progetto più organico è stato elaborato dalla Commissione presieduta da Massimo D'Alema, che cercava di coniugare il semipresidenzialismo di stampo francese con la tradizione parlamentare italiana. I vari tentativi non sono giunti ad un approdo concreto perché è mancata una visione condivisa e perché viziati dall'errore di fondo di voler rimediare al malfunzionamento e all'inadeguatezza della classe governante modificando la Costituzione. Il difetto non sta nella macchina costituzionale, ma nella cattiva qualità del carburante politico.
 
Dopo anni di silenzio, la proposta presidenzialista è stata ripresa con il disegno di legge costituzionale presentato in Parlamento nel 2018 da Fratelli d'Italia e respinta dalla Camera dei Deputati nel maggio del 2022. Il progetto è tornato oggi al centro dell'attenzione politica ( in questi giorni si parla invero di elezione diretta del Premier, un  unicum  italico sotto il profilo costituzionale) e, rappresenta poiché uno degli obiettivi fondamentali del governo di Giorgia Meloni, ha considerato la maggioranza parlamentare di cui gode, l'approvazione in teoria potrebbe essere possibile .
 
Concretamente il disegno di legge costituzionale depositato in Parlamento dal partito della Meloni è composto da tredici articoli che toccano diverse norme della seconda parte della Costituzione, riguardanti il ​​Presidente della Repubblica, il Governo e il Consiglio Superiore della Magistratura. Prevede che il Capo dello Stato venga eletto a suffragio universale e diretto, resti in carica cinque anni, possa essere rieletto una sola volta, presieda il Consiglio dei Ministri, diriga la politica generale del Governo, abbia poteri ampi e rilevanti che in parte ricalcano gli attuali poteri presidenziali e ne acquisti di nuovi. L'unico potere vigente sottrattogli è la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, affidata al Presidente della Corte di Cassazione. sfiducia costruttiva , con l'obbligo per il Parlamento di indicare al Capo dello Stato il nuovo Presidente del Consiglio. Il progetto di riforma presenta numerosi difetti tecnici, combina elementi inconciliabili, come per esempio l'elezione diretta del Capo dello Stato, avente compiti di governo, con la sfiducia costruttiva, che consente al Parlamento di vincolare la scelta del Primo Ministro ed ha suscitato molte critiche sia nel mondo della politica che della scienza costituzionale.
 
Al di là di limiti e difetti sempre emendabili, la domanda fondamentale è se il presidenzialismo, nella forma di tale progetto o di altri aventi contenuto analogo, risponde alle condizioni attuali del nostro sistema politico.
 
La finalità che emergono, al di là dell'obiettivo dichiarato di voler rafforzare la stabilità dei governi, è recidere, con l'elezione diretta del Capo dello Stato, le radici stesse dell'impianto repubblicano, nato su una larga e comune piattaforma antiautoritaria, e di innestarne altre di segno opposto, in grado di oscurare in nome della democrazia decidente, la vocazione personalista, pluralista e garantista della Costituzione. Con l'elezione diretta, viene cancellata la funzione di garante dell'unità nazionale del Presidente della Repubblica, le minoranze perdono una delle loro maggiori linee di difesa, si concentra nelle mani di una sola persona un potere esteso e penetrante, si demolisce uno dei due pilastri basilari chiamati a svolgere la funzione di controllo costituzionale, contrapposta a quella di indirizzo politico di Parlamento e Governo, affidati dalla Costituzione al Presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale, a fronte di un Parlamento, fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. fortemente ridimensionato nella sua rappresentatività da leggi elettorali aberranti e nelle sue funzioni dall'appropriazione del potere legislativo da parte del Governo. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma. La crisi dei partiti come soggetti collettivi rappresentativi di esigenze sociali verrebbe accentuata e potrebbe essere ridotta a comitati elettorali operanti a sostegno del candidato alla presidenza che se eletto ne avrebbe il pieno dominio. Nel caso di elezione del Presidente del Consiglio a tutto questo si aggiungebbe l'innescarsi di un dualismo conflittuale tra due figure aventi diversa legittimazione democratica e costituzionale. Una aberrazione insomma.
 
Il nostro modello parlamentare presenta difetti che vanno riformando la legge elettorale ei regolamenti parlamentari, superando il bicameralismo paritario, disciplinando i partiti e il loro finanziamento, promuovendo tecniche di selezione e formazione della classe governante. La fragilità della politica, un bipolarismo fondato su coalizioni eterogenee, buone per vincere ma non per governare, e la volatilità del voto rendono assai rischioso passare al modello presidenziale, per sua natura più divisivo e meno aperto alle intese di quello parlamentare. Il presidenzialismo, nel quale chi vince prende tutto, avrebbe un effetto dirompente, come dimostrano la conflittualità e la radicalizzazione verificatesi negli USA, in Francia ed in Brasile. Abbiamo una Costituzione forte, ben radicata socialmente, e dobbiamo evitare di trasformare la fragilità della politica in uno strumento di rottura del tessuto istituzionale e sociale, disfacendo il quadro delle garanzie in essa contenute. Meglio perciò la forma di governo parlamentare, certo da affinare ma non da abbandonare.

 

 

Assegnato ad ALI – Autonomie Locali Italiane  - il progetto green and Social Hub (GSHub) a valere sul bando europeo Social innovations for a fair green and digital transition. Il progetto mira a integrare le azioni locali a sostegno dei cambiamenti verso la transizione verde nella strategia generale per rimuovere le disuguaglianze e la povertà, con un focus specifico sulle famiglie più svantaggiate, sia monoparentali che con nuclei numerosi, oltre ad anziani e giovani NEET. Il centro promuoverà attività nazionali e internazionali di sviluppo delle capacità e di fare rete, per sensibilizzare e condividere esperienze e pratiche per supportare i gruppi svantaggiati nell'accesso e nel contributo alla transizione verde. L’Hub inoltre promuoverà interventi in tre sedi in Italia, nei comuni di Avezzano (Abruzzo) Bassiano (Lazio) e Crispiano (Puglia). L'intervento promuove la diffusione di conoscenze, abilità e attività di supporto all'esercizio dei diritti di cittadinanza, per diventare cittadini attivi e consapevoli rispetto ai temi della transizione verde (energia, mobilità, economia circolare, comunità energetiche, reddito energetico etc.). Nel corso del progetto saranno coinvolti attivamente gli attori locali (enti pubblici, imprese, organizzazioni della società civile, cittadini), garantendo il coinvolgimento attivo dei soggetti più svantaggiati in questa azione.
Green & Social Hub inoltre si pone l’obiettivo di migliorare le conoscenze e le competenze degli amministratori locali, fornire strumenti e strategie per affrontare la povertà energetica e rendere le comunità locali più sostenibili, sostenendo i comuni e i cittadini nel processo di formazione di tre comunità energetiche nei comuni interessati, anche grazie al recente accordo stretto da ALI con FAI e Tesla per supportare i comuni nell’accesso ai fondi e alla realizzazione delle infrastrutture necessarie.

 

 

Tra le novità che la casa editrice Ensemble presenterà al Salone del Libro di Torino, in programma dal 18 al 22 maggio, ci sarà anche “Amen - Miracoli, misteri e sacre vendette” di Roberto Campagna. Il libro dello scrittore pontino è una raccolta di racconti sul mondo religioso. Racconti che lo stesso autore ha dedicato “ai credenti, ai miscredenti e agli indifferenti”. Così come in altri suoi libri, Campagna ricorre alla metanarrazione: narra fatti realmente accaduti mischiandoli con altri inventati da lui stesso. Ciò per rendere gli stessi fatti accaduti più credibili e quelli inventati più veritieri. Ma, rispetto per l'appunto ad altri suoi precedenti libri, questa tecnica qui è più marcata perché  il  racconto, a differenza del romanzo che  ha perlopiù una narrazione orizzontale, è auto conclusivo. Quindi, per dare più forza alle sue storie, lo scrittore pontino ha cercato di privilegiare i fatti realmente successi, anche se in alcuni casi la stessa  narrazione è di tipo orizzontale, permettendogli così di  liberare di più la fantasia. “Ogni libro di finzione di Roberto Campagna - ha affermato il poeta Antonio Veneziani - è, in qualche modo, una sorpresa; infatti, pur continuando il suo personale discorso politico-narrativo, ogni volta aggiunge un tassello diverso, in questo caso è quello di una spiritualità agricolo-contadina, una spiritualità profonda e agra, autentica fino al cinismo e talmente vera da agguantare il miracolo. I personaggi di Campagna sembrano dire: ‘Non c’è felicità e realizzazione se non attraverso la perdizione, non si può assaporare la libertà se non si è passati per la prigione’ ”. Oltre ad “Amen”, la casa editrice Ensemble presenterà altre novità, tra cui “La geografa dell’esilio” di Nicolás Bernales, “Figlia di frontiera” di Virginia Farina e “Ai piedi del monte” AA.VV.. “La geografia dell’esilio” è un viaggio vertiginoso attraverso gli ultimi cinquant’anni di storia cilena, dalla Presidenza Allende ai giorni nostri. Invece “Figlia di frontiera” è una storia di montagna in cui l’autrice mescola all’antico profumo del fieno e del letame, il suono cupo di passi in fuga sulla neve. Mentre  “Ai piedi del monte”  gli autori raccontano Torino e il Piemonte.

Tornando ai racconti di Campagna, non tutti i fatti narrati sono realmente accaduti, alcuni sono leggende. Ma le leggende, a forza di raccontarle, diventano reali.   Tutti i racconti sono ambientati in altrettanti borghi del centro sud Italia. I loro nomi sono di fantasia per un motivo molto semplice: perché ogni borgo italiano conta fatti simili a quelli da cui è partito l'autore per inventarne la  narrazione. Anche i nomi dei personaggi sono di fantasia.  Quella dello scrittore pontino  è  una scrittura fluida, il giornalismo e la sociologia, sue “specializzazioni” sono in sottofondo ma mai preponderanti. Nessun cedimento al folkloristico, nessun gioco a nascondino, i personaggi del libro hanno caratteristiche chiare, pochi “svisamenti” se non per incidere più a fondo nell'intimità della narrazione. Insomma un libro che si legge con piacere, che fa venire qualche groppo alla gola e strappa qualche risata, e soprattutto che si ha voglia di rileggere e di condividere. Nato nel 2004, il Salone del Libro di Torino è giunto alla XIX edizione. Si svolgerà come sempre al Lingotto Fiere.                                                                                  

 

Vivissimi complimenti al prof. Giancarlo Mancini, presidente dell’Associazione Culturale No Profit Araba Fenice, che oggi ha partecipato alla Cerimonia del Giorno della Memoria alle vittime del terrorismo, tenutasi presso il Palazzo del Quirinale alla presenza delle più alte cariche dello Stato e del Governo italiano. Il Prof. Mancini ha ricevuto l’invito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’impegno profuso dal sodalizio setino quale organizzatore del Premio Nazionale Luigi Di Rosa, giovane militante setino ucciso a Sezze nel 1976 dopo un comizio del missino Sandro Saccucci. Il Premio Di Rosa, giunto quest’anno alla decima edizione, inizierà il 12 maggio e in questa occasione sarà inaugurata la sede del Centro Studi di Storia Contemporanea presso i locali della Biblioteca comunale.

45 anni fa, il 9 maggio del 1978 fu ritrovato a Roma, in via Caetani, simbolicamente a metà strada tra le sedi delle Dc e del Pci, il corpo senza vita di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e più volte presidente del Consiglio, ucciso dalle Brigate rosse. Dal 2007, in questa data, si celebra il "Giorno della Memoria  dedicato alle vittime del terrorismo". Il corpo di Moro venne fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4.

 

 

I lavori sono ripresi. L’ordinanza sindacale ha avuto i suoi effetti. Ma non si deve abbassare la guardia. Il sindaco di Sezze Lidano Lucidi, nell’ultimo question time, ha comunicato la ripresa dei lavori sulla condotta Muti-Petrara da parte di Acqualatina, nelle more dell’ottenimento di tutte le autorizzazione e deroga in materia urbanistica. Nel botta e risposta il primo cittadino ha ribadito che quando la politica è unita si hanno delle risposte e su questa strada si deve proseguire. “I lavori sono ripresi dopo l’ordinanza e per i primi di luglio dovrebbero essere ultimati almeno i primi 600 metri, quelli più difficili da realizzare. Oggi  - così Lucidi - Acqualatina sta investendo sul nostro territorio grazie all’unità di tutto il consiglio comunale. Quando la politica è unita riesce a pretendere gli investimenti necessari. Non dobbiamo mollare la presa – ha aggiunto il sindaco Lucidi -  la battaglia va fatta insieme, deve essere condivisa affinché la società adempia ai propri obblighi. La nostra intenzione è quella di ragionare tutti insieme perché dobbiamo pretendere che ci sia un servizio sempre più efficiente e che i lavori sulla tratta mole Muti Petrara siano completati definitivamente. Insieme dobbiamo prendere l’esigenza primaria dei cittadini, e cioè quella di avere l’acqua corrente in casa. Se dovessero esserci problemi chiedo a tutti i consiglieri comunali, di maggioranza e opposizione, di fare una azione comune come è stato fatto per il tratto Muti-Petrara, per differente l’interesse pubblico. In questi casi non esiste maggioranza e opposizione ma solo il bene comune”.

 

 

Domenica 7 maggio scorso i volontari di Plasticfree hanno ripulito ripulito boschi, città e spiaggie in collaborazione ai detenuti che hanno aderito al progetto "Seconda Chance". Tre gli eventi che hanno riguardato le città di Palmi , Bologna e Priverno. A Priverno, con grande partecipazione, è stato ripulito il lungo fiume dell'Amaseno. Dopodiché il gruppo ha fatto visita all'abbazia di Fossanova e concluso la giornata con un piccolo rinfresco offerto dall'amministrazione di Priverno. Intervenuti all'evento di raccolta anche il sindaco Anna Maria Bilancia e gli assessori del comune di Priverno, oltre che il referente regionale di Plasticfree Emanuele Pirrera e il ref provinciale Adriano Salvatori.  


A Pontinia, sempre ieri, è andato in scena uno spettacolo di danza al teatro Fellini. Dopo due anni di intensa collaborazione, Plasticfree e DanzArte hanno dato vita ad uno spettacolo unico nel suo genere: danza e rispetto per l'ambiente in una serata all'insegna del vivere ecosostenibile. Gli organiizzatori ringraziano il comune di Pontinia per il patrocinio e tutta l'amministrazione per aver collaborato attivamente alla riuscita dell'evento. Il ricavato dellla serata verrà dato devoluto all'associazione Plasticfree. Hanno partecipato all'evento il referente provinciale Salvatori Adriano e la ref per il comune di Pontinia Daniela Lombardi e l'associazione DanzArte di Margherita e Benedetta Catone.

 
 
Il 9 maggio 1978 è una data che ha cambiato la storio dell'Italia.
Quella mattina a Roma, all’interno di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra Piazza del Gesù, sede nazionale della Dc, e via delle Botteghe Oscure, quartier generale del PCI, venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro. Il Presidente della DC era stato rapito in via Fani dalle Brigate Rosse, dopo aver trucidato tutti gli uomini della sua scorta, e tenuto recluso per 55 giorni nella cosiddetta “prigione del popolo”. I brigatisti lo consideravano un nemico in quanto ideatore e artefice della “strategia dell’attenzione” verso il PCI. Attraverso le cosiddette “convergenze parallele” e il “compromesso storico” lo statista democristiano mirava a realizzare una collaborazione politica e di governo fra i grandi partiti popolari d’ispirazione comunista e socialista e cattolico-democratica, finalizzata a dar vita a uno schieramento in grado di portare a termine un programma di profondo risanamento e rinnovamento della società e dello Stato, fondato su un ampio consenso di massa, e a creare le condizioni anche in Italia per la democrazia dell’alternanza al pari di tutti gli altri paesi europei. La piena legittimazione del più grande partito comunista dell’Occidente come forza di governo avrebbe inoltre consentito di contrastare più efficacemente la cosiddetta “strategia della tensione”, un piano sovversivo messo in atto dalle forze più retrive e reazionarie, con la complicità di interi apparati dello Stato, finalizzato a destabilizzare la situazione politica e a influire sul funzionamento delle istituzioni democratiche mediante una serie preordinata di atti terroristici volti a diffondere nei cittadini uno stato di insicurezza e paura, tali da far giustificare, richiedere o auspicare svolte politiche di tipo autoritario e un restringimento degli spazi di libertà e democrazia. A segnalare la presenza del cadavere di Aldo Moro fu una telefonata del brigatista rosso Valerio Morucci.
 
Appena qualche ora prima a Cinisi, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, a centinaia di chilometri di distanza da Roma, veniva barbaramente assassinato l’attivista politico e giornalista siciliano Peppino Impastato. Personalità meno conosciuta al grande pubblico, sicuramente di grande spessore politico e culturale, Peppino Impastato era noto nella sua terra per aver rotto con la famiglia di origine, nella quale figuravano anche alcuni mafiosi, e aver scelto di lottare contro le cosche, denunciandone gli affari loschi e le azioni criminali dai microfoni di “Radio Aut”. Dagli studi dell’emittente radiofonica si scagliava, in maniera spesso ironica, contro i clan criminali locali ed in particolare contro il boss Gaetano Badalamenti, da lui ribattezzato “Tano Seduto”. Il corpo di Peppino Impastato, imbottito di tritolo, fu fatto saltare sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani. Inizialmente stampa, forze dell’ordine e magistratura sostennero che Peppino Impastato stesse architettando un attentato nel quale sarebbe rimasto ucciso e successivamente che si era trattato di un suicidio, arrivando a tale conclusione sulla scorta del ritrovamento di una lettera in casa della zia, che però non conteneva alcun riferimento al proposito di togliersi la vita. In realtà l’omicidio di Peppino Impastato fu commissionato da Cosa Nostra con l’obiettivo di mettere a tacere un uomo scomodo, il quale con le sue continue denunce e il suo impegno politico, prima nel PSIUP e poi in Democrazia Proletaria, era divenuto il più acerrimo nemico della mafia locale.  Solo grazie alla determinazione della madre di Peppino, Felicia (morta nel 2004 a 88 anni), e del fratello Giovanni, è emersa la matrice mafiosa dell’omicidio, sancita nel maggio del 1984 dal Tribunale di Palermo. Tuttavia nel maggio del 1992 i giudici decisero l’archiviazione del caso e soltanto nel 2002, in seguito alla riapertura delle indagini chiesta dal Centro di Documentazione di Palermo, venne istruito un nuovo processo al termine del quale Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Peppino Impastato.
 
La casualità o il destino hanno voluto che due vite e due tragedie assai diverse tra loro si siano intrecciate nello stesso giorno, unendo in un afflato ideale il Nord e il Sud, la Capitale, simbolo del governo nazionale, e la provincia profonda, l’Italia insanguinata degli Anni di Piombo e della lotta contro la mafia.
 
In un solo giorno, 45 anni fa, il nostro Paese ha perso due figure simbolo della sua Storia, due coraggiosi testimoni dei valori della nostra democrazia per mano di due forze diverse ma in ugual misura bestiali e terrificanti. Ad una analisi superficiale sembrerebbe difficile, anzi impossibile, trovare elementi di analogia e convergenza tra loro. Tuttavia se osserviamo in maniera approfondita, se ci liberiamo dagli stereotipi e concentriamo la nostra attenzione sugli aspetti qualificanti delle loro esistenze, possiamo constatare che entrambi hanno rappresentato la parte giusta dell’umanità, hanno incarnato, ognuno ovviamente con le proprie peculiarità ideali e culturali, i principi della nostra Costituzione, dando voce e rappresentanza alla parte migliore dell’Italia, quella non corrotta, non malata di nichilismo, non ossessionata dalla ricerca del potere fine a se stesso e non compromessa con il cancro mafioso, mali assoluti da combattere e debellare ad ogni costo.
 
Aldo Moro fu assassinato per la scelleratezza di un sistema malato e terroristico. L’obiettivo dei brigatisti e delle forze oscure che li hanno manovrati e usati era coartare la libertà insindacabile di ognuno di fare politica, impedire la piena affermazione dei diritti personali e sociali e fermare il processo di democratizzazione dell’Italia, eliminando uno statista lungimirante e costruttore di futuro.
 
Peppino Impastato, un uomo che ha combattuto con coraggio e a mani nude il cancro mafioso che da troppi anni affligge intere regioni del nostro paese, fu messo a tacere perché rivendicava il diritto di parlare e protestare contro le ingiustizie, impegnandosi concretamente per una società di eguali, libera e giusta. La speranza dei mafiosi che potesse aggiungersi ai tanti morti di mafia, i cui responsabili sono rimasti impuniti non si è realizzata, anche se hanno proseguito i loro turpi traffici giovandosi delle collusioni e delle complicità della politica e degli apparati dello Stato.
 
Dopo 45 anni siamo vicini a conoscere la verità, ma ancora lontani dall’ottenere giustizia. Non possiamo arrenderci e dobbiamo continuare a lottare affinché sia fatta piena luce. 
Lunedì, 01 Maggio 2023 06:09

Lavoro e dignità sono inscindibili

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Il 1° maggio è la festa dei lavoratori, di tutti i lavoratori, è la festa del lavoro ma non di tutto il lavoro, perché non tutti i lavori sono degni e meritano di essere festeggiati. La civiltà di un paese si misura, o dovrebbe misurarsi, con la capacità di offrire non semplicemente un lavoro a tutti, ma un lavoro degno, cioè rispettoso della dignità personale. Ogni qualvolta un lavoro non lo è, ha evidenti punti di contatto con l’asservimento, calpesta la dignità delle persone e viola i fondamentali diritti umani e la Costituzione della Repubblica.
 
Insomma avere un lavoro e basta non è accettabile, servono lavori che non siano strumenti di sfruttamento e espropriazione esistenziale. Se lavorare è fondamentale, ancor di più è sentirsi utili, indispensabili, una condizione di cui sono privati non solo i disoccupati, ma anche quanti sono intrappolati in lavori socialmente inutili o perfino dannosi per gli altri e per se stessi, come accade quando si inquina l’ambiente, mettendo a repentaglio la salute delle persone, e con lo stillicidio quotidiano di incidenti e morti sul lavoro a causa del mancato rispetto delle regole di sicurezza.
 
 
La nostra è una civiltà alla ricerca di senso in ogni campo e questo vale anche per il lavoro, forse soprattutto per il lavoro. In Memorie da una casa di morti, Dostoevskij scriveva: “Una volta mi venne il pensiero che se si volesse schiacciare del tutto un uomo, annientarlo, punirlo con il castigo più terribile (…) basterebbe soltanto conferire al lavoro un carattere di autentica, totale inutilità e assurdità”. Soltanto senso e scopo rendono il lavoro, anche quello durissimo, tollerabile e appassionante. Può sembrare un paradosso ma non lo è affatto.
 
Il lavoro degno e sensato è quello non primariamente qualificabile come merce di scambio, ma come mezzo di umanizzazione, di realizzazione piena della persona, di crescita individuale e collettiva. Un simile obiettivo deve avere portata generale e non può costituire prerogativa di pochi privilegiati.
 
Il 1° primo maggio è memoria delle battaglie civili e politiche combattute per rendere il lavoro un’attività umana degna, per cancellare le condizioni di lavoro e quei lavori che somigliavano, e ancora oggi somigliano, alla schiavitù e ci ricorda che il lavoro è soprattutto una questione politica, che ha a che fare con i rapporti di potere all’interno della società. Se poi consideriamo il lavoro una faccenda individuale, un contratto come gli altri dissipiamo un patrimonio di conquiste costate sacrifici e sofferenze, mettiamo in discussione i cardini stessi del nostro vivere comune e provochiamo forti squilibri tra le varie componenti sociali.
 
Nella storia della nostra civiltà c’è stata una progressiva evoluzione del lavoro, delle sue caratteristiche essenziali e la distruzione di talune sue forme inaccettabili, ma tale processo è tutt’altro che concluso. Tanti lavoratori oggi prestano la propria attività in condizioni riprovevoli, lesive della propria dignità e dei propri diritti, ricattati dai padroni o dai loro bisogni primari e per questo non fanno festa il 1° maggio. È fin troppo facile pensare o perfino pretendere che quanti si trovano intrappolati dentro lavori indegni, oltre che porsi la domanda sulla dignità del proprio lavoro, debbano agire di conseguenza e lasciarli: è un lusso impossibile. Le condizioni materiali e sociali nelle quali le persone vivono condizionano le loro coscienze e le loro scelte, le plasmano e impediscono spesso l’esercizio della piena libertà di ribellarsi alla non-dignità del lavoro svolto. È per questo che il livello morale, culturale e civile di una società si valuta dalla capacità di non obbligare i lavoratori a scegliere tra coscienza e sopravvivenza, tra eroismo etico individuale e appagamento dei bisogni primari propri e della propria famiglia.
 
Nel nostro Paese molti, troppi, lavoratori svolgono lavori sbagliati, incivili e indegni. Il loro numero è venuto progressivamente aumentando a causa della crisi economica, della pandemia e, circostanza ancor più grave, di leggi sul lavoro sbagliate e lesive dei diritti. I lavoratori veramente poveri, non solo di reddito ma anche di libertà, sono cresciuti in modo esponenziale.
 
È necessaria una nuova coscienza collettiva, attenta al lavoro e alla sua dignità. Accanto alla globalizzazione dei mercati vanno dilagando indifferenza ed egoismo. Il mondo del lavoro è il principale ambito dove si esplica la nostra vita, ma siamo civilmente ed eticamente distratti e miopi. La nostra attenzione si concentra sulle etichette dei prodotti alimentari per conoscerne le calorie e inseguiamo gli strumenti tecnologici più avanzati ed efficienti, ma non badiamo alle loro "etichette morali", alle ingiustizie consumate per procurarsi le materie prime e per produrli, allo sfruttamento indiscriminato delle risorse e delle persone.
 
In questi ultimi decenni l’errore gravissimo compiuto è esserci lasciati convincere che l’economia, la produzione e lo scambio delle merci potessero, anzi dovessero, essere lasciate agire senza controlli, autoregolandosi e perseguendo i propri fini a prescindere dai principi e dalle regole della democrazia. Fabbriche, uffici, banche, campi, supermercati e shopping on-line si sono trasformate in zone franche, dove vengono spesso sacrificati i diritti e le libertà dei lavoratori e il profitto è l’unico obiettivo, anche a costo di alimentare conflitti tra le varie componenti sociali ed arrivare alla guerra tra i popoli per avere il controllo delle fonti energetiche e in futuro dell’acqua.
 
Non è più possibile continuare lungo questa strada, abbandonare alla povertà intere fasce di popolazione, non consentire loro di potersi costruire il futuro, aumentare il divario tra una minoranza privilegiata e una maggioranza sempre più marginalizzata ed esclusa dalle dinamiche di benessere e realizzazione. Dobbiamo costruire il futuro, principalmente per le nuove generazioni, senza intrappolarle in rigidi compartimenti e gabbie esistenziali dalle quali è impossibile liberarsi. La politica spesso miope ed incapace di visioni lunghe, le associazioni di categoria, datoriali e dei lavoratori impegnate prevalentemente su altri fronti sono chiamate a un profondo ripensamento di metodi e contenuti, a compiere un salto di qualità urgente per rimettere al centro della politica e dell’economia l’uomo e la sua dignità.
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