E’ una sorta di lettera di Natale imprevista ma non imprevedibile quella recapitata al Comune di Sezze dalla Banca Farmactoring. L’Ente creditizio, consociato a livello legale in un gruppo che comprende BFF Finance Iberia SA, BFF Polska S.A., FF Capital S.A., chiede al Comune il pagamento di circa 100 mila euro. La cifra viene richiesta da Banca Farmafactoring in forza di cessioni di credito intervenute con le società Schindler SpA, Eni Spa, Enel Energia SpA, Gima Water SpA e Giomi RSA Lazio Srl, nei confronti delle quali il Comune di Sezze era creditore in virtù di fatture emesse dalle suddette società nei confronti dell’Ente, attualmente non onorate. Per vedere riconosciute le proprie ragioni, il sodalizio ha presentato un atto di citazione per cui lo stesso Ente ha dovuto provvedere a nominare anche un legale, individuato nell’avvocato Giacomo Mignano che ha presentato un preventivo di spesa di 5867 euro. L’ammontare della cifra richiesta dalla Banca è la somma di 6.300 euro, in virtù delle fatture cedute da Schindler SpA; 3.136,16 euro in virtù delle fatture cedute da Eni Spa; 1.210,98 euro in virtù delle fatture cedute da Enel Energia; 56.367,37 in virtù delle fatture cedute da Gima Water SpA; 1.110,41 euro in virtù delle fatture cedute da Giomi Rsa Lazio. Al totale di 68.124,92 euro si aggiungono 9.188,56 euro per il mancato pagamento delle NDI, 19.280 euro di risarcimento del danno dovuto e poi le spese del giudizio e rimborso forfettario.
Si è svolta questa mattina in diretta streaming dall’aula consiliare del Comune di Cisterna di Latina la cerimonia di proclamazione della prima edizione del Premio Letterario Invictus, organizzato da LabDFG. È stata la giornata in cui la letteratura sportiva è tornata a occupare il posto che merita: un posto da protagonista nella storia della narrazione e dell’editoria. È stata la giornata del Premio Invictus.
L’evento, condotto da Gabriele Brocani, Direttore artistico, e Giovanni Di Giorgi, ideatore del Premio e Direttore editoriale di LabDFG, ha visto la partecipazione di un ricco parterre di ospiti: Giancarlo Vinacci, Presidente di giuria, maestri del giornalismo sportivo nazionale come Italo Cucci, Riccardo Cucchi, Sandro Fioravanti, Xavier Jacobelli e campioni del mondo sportivo come Daniele Masala, Mara Santangelo, Davide Tizzano e Daniele Sottile, che hanno consegnato “personalmente” (anche se virtualmente) i premi ai 7 finalisti. In rappresentanza del Sindaco di Cisterna di Latina Mauro Carturan, era presente il Vicesindaco Vittorio Sambucci. Al termine della Premiazione il direttivo del Premio Invictus ha consegnato la targa “Premio Generazione Z” anche a Lorenzo Pecorilli, giovanissima promessa del motocross.
«Vorrei sottolineare ancora una volta quanto il premio sia legato con un doppio vincolo alla città di Cisterna di Latina. Ormai è impossibile scindere il nome di Invictus da quello della città, come si evince anche dalla fascetta che da domani sarà sugli scaffali di tutte le librerie d’Italia ad abbellire il libro vincitore – ha dichiarato Giovanni di Giorgi al termine della premiazione, per poi aggiungere «ci tengo a ringraziare il sindaco Mauro Carturan e tutta l’amministrazione comunale per aver creduto nel progetto. Cisterna è la casa del Premio Invictus e da domani inizieremo a progettare insieme la seconda edizione. L’obiettivo è far diventare la città la capitale della letteratura sportiva italiana».
E veniamo alle premiazioni:
Si è aggiudicato Il Premio Invictus di 5.000 euro, quasi all’unanimità, La via Perfetta di Alessandra Carati e Daniele Nardi (Einaudi) un libro che racconta la vita e le gesta di Daniele Nardi, l’alpinista italiano morto sul Nanga Parbat il 25 febbraio del 2019. La giuria ha deciso di assegnare questo premio «per la sua capacità di parlare dei contrasti degli uomini del nord, per la forza con cui l’autore descrive la costanza con cui ogni sportivo cerca di raggiungere i propri obiettivi anche a costo della vita».
Queste le parole a caldo dell’autrice: “Voglio ringraziarvi e sono certa che Daniele sarebbe stato felicissimo di questo premio nella sua città. L’esperienza con Daniele è stata molto forte e in questo libro ho raccolto il mandato che mi ha lasciato senza essere troppo gentile nei suoi confronti e dell’ambiente. Gentilezza nel senso lato del termine. Senza remore nel raccontare l’autenticità di quella storia. Grazie alla sua famiglia che ha deciso di raccontarmi chi era Daniele. Questo premio è per lui”.
Ecco tutti gli altri premi assegnati:
Il Premio Grandi Lettori per un valore di 1.500€ è stato assegnato a Il mio amico Nepal di Andrea Scherini (Harper Collins), «Per la sua capacità di raccontare la montagna e l'amicizia incredibile tra l'uomo e un animale, e quindi la natura, per aver raccontato cose vissute ma con una grande fantasia».
Il Premio Financial & Capital Advisor per un valore di 1.500€ lo ha vinto Gianluca Morassi con La corsa di Shorter (Bolis Edizioni), «per la sua capacità di raccontare lo sport con una fantasia particolare e in modo fresco e pop, come dice il titolo stesso».
Il Premio Guerin Sportivo per un valore di 500€ è stato assegnato a Fabrizio Gabrielli autore di Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale (66thand2nd), «per la sua capacità di raccontare un grande calciatore nei suoi risvolti umani e per l’umanizzazione di un campione a volte troppo simile a una macchina».
Il Premio Rai Radio1Sport per un valore di 500€ è stato assegnato a La Piscina dei misteri di Paolo Foschi (Risfoglia – Curcio), «per la sua capacità di trattare temi legati non solo allo sport ma anche al difficile mondo dell'adolescenza».
Il Premio Corriere dello Sport-Stadio per un valore di 500€ è andato a Maurizio Crosetti autore di Il suo nome è Fausto Coppi (Einaudi), «per aver raccontato un personaggio unico in modo originale, più dalla voce di chi l’ha conosciuto che dalle biografie e dalle narrazioni istituzionali».
Il Premio Tuttosport per un valore di 500€ lo ha vinto Guy Chiappaventi autore di Mare Fermo (Ensemble), «per l'attenzione all'impegno sociale e all'integrazione di coloro che sono il più delle volte emarginati dalla società, attraverso i valori dello sport».
A primavera ci sarà una coda dell’evento per celebrare in presenza tutti i vincitori, e per permettere loro di incontrarsi e conoscersi e confrontarsi con i giurati rendendo omaggio a una grande città come Cisterna di Latina.
Da questo pomeriggio sarà online il regolamento per aderire all’edizione 2021 con cui partirà ufficialmente una nuova avventura per raccontare storie, vite e sport.
Il Premio Letterario Sportivo Invictus è realizzato da LabDFG grazie al Comune di Cisterna di Latina. Media Partners: Radio1Sport, Tutto Sport, Corriere dello Sport, Guerin Sportivo.
Truppe della Rai a Sezze. Da questa mattina operatori e cameraman del programma televisivo Linea Verde stanno registrando filmati all’interno del centro storico di Sezze per una puntata del noto programma che andrà in onda nelle prossime settimane (dovrebbe andare in onda il 20 gennaio). Sezze e altri paesi dei Monti Lepini quali perle di centri storici medievali della Provincia di Latina. Tra i luoghi visitati dalla troupe della Rai a Sezze via dei Templi, Piazza dei Leoni, Piazza Santa Maria, il Guglietto e altri vicoli del cuore della nostra città. Nonostante tutto Sezze conserva tanti luoghi affascinanti e vestigia di un passato straordinario che dovremmo preservare e riqualificare.
Il diffondersi del coronavirus in Italia ha messo ulteriormente a nudo lo stato di estrema sofferenza in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale, riaccendendo i riflettori sui pesanti tagli che, in particolare negli ultimi 10 anni, hanno colpito la sanità pubblica, facendola scivolare in uno stato di disservizi e carenze ormai cronico. Disagi purtroppo in cui i cittadini sono costretti da molto tempo a fare i conti e che sono il risultato della sottrazione, dal 2010 ad oggi, di ben 37 miliardi alla Sanità. Azione, questa, che si è conseguentemente tradotta in un enorme calo del livello di assistenza a tutti i livelli tra cui la chiusura di tanti piccoli efficienti e produttivi ospedali, come il nostro Presidio Ospedaliero che, con i suoi reparti, è stato per tanti anni il punto di riferimento di parte della popolazione provinciale e soprattutto dei Monti Lepini. Il fatto è che, alla chiusura di tanti ospedali territoriali come il nostro, o come quello di Priverno e di Cori, come d’altronde quelli di tante realtà territoriali della Regione Lazio, non è seguito un miglioramento dei presidi sanitari provinciali. Cosa ancora più grave ed evidente, non è seguito un miglioramento dei servizi territoriali, in alcuni casi inesistenti o poco funzionanti, servizi tanto invocati da più parti per evitare il sovraffollamento, come si sta invece verificando, dell’ospedale Santa Maria Goretti, a discapito dei tanti malati per covid e per altre patologie. E’ evidente che l’emergenza COVID che si sta vivendo ha scatenato in tutte le Regioni d’Italia questi movimenti per la “riapertura” degli ospedali che con tanta fretta sono stati chiusi. L’adozione di misure di (s)fortuna come ospedali da campo (a volte più motivati da esigenze di immagine che non da forti esigenze organizzative) o addirittura di terapie intensive in spazi dedicati ad altre funzioni, deve spingerci comprensibilmente nella direzione di riappropriarci di servizi strettamente necessari per la salute pubblica. Se sei costretto a soluzioni così arrangiate perché non riqualifichi quello che hai dequalificato?
La convinzione che le “chiusure” fossero state frutto di tagli e non di scelte è molto radicata e, adesso, che si sa che sulla sanità si torna ad investire, quei tagli devono essere messi in discussione, al fine di dare risposte alla cittadinanza sull’emergenza che si sta vivendo e sul futuro che non può essere certamente tranquillo in chiave di assistenza territoriale. Sempre più spesso, in questo clima di paura e di incertezza, per il propagarsi del contagio da covid, molti, in queste settimane, cercano di essere rassicurati circa il ritorno alla normalità, sul fatto anche che le poche strutture sanitarie presenti nella provincia di Latina riprendano a funzionare anche per le altre patologie, e che le stesse non verranno depotenziate e impoverite di funzioni rispetto ad altre maggiori. Da ciò allora si pone l’imperativo e l’urgenza di richiedere ad alta voce e con forza, a tutte le istituzioni preposte, Provincia, Regione, Ministero della Salute, la riapertura dell’Ospedale San Carlo di Sezze, con i suoi reparti, quelli che si ritengono necessari quali integrazione di quelli presenti nell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina, evidentemente anche con uno sguardo ad una politica comprensoriale, che contempli quindi anche l’esigenza dei Comuni limitrofi. Da ciò può anche ripartire una giusta politica sanitaria territoriale, finora inesistente e tanto sbandierata e richiesta, come necessaria, in questo periodo di emergenza sanitaria.
Certamente a questi grandi interventi devono accompagnarsi, a livello regionale e nazionale, delle diverse politiche, che costano grossi sforzi economici, e vedute anche lungimiranti, non solo quindi per soluzioni solo oggi urgenti, ma che tengano conto anche del futuro per non trovarsi impreparati come per quello che stiamo vivendo. Certamente l’auspicata riapertura di questi ospedali, Sezze e tanti altri chiusi per le note questioni legate alla spending review, ripropone il problema della mancanza del personale, tanto evidente nel momento critico che stiamo vivendo. Ma è chiaro che in questo caso, per la soluzione di queste problematiche, non solo legate al momento covid, non è più possibile il permanere del numero chiuso delle facoltà con indirizzo sanitario, o di limitati posti nelle scuole di specializzazione sempre per i laureati in medicina. Così come, a livello regionale continuare a limitare i posti a concorso per la medicina generale. Basti pensare che quest’anno la Regione Lazio, per i medici candidati per la Medicina Generale ha emanato un bando per 101 posti, a fronte di un collocamento a riposo, solo nella provincia di Roma di più di 500 medici. In questo momento non si tratta soltanto di rispondere ad una emergenza che si è verificata, a cui chiaramente bisogna trovare le soluzioni più adeguate e necessarie, ma bisogna porsi il problema di come reimpostare una politica sanitaria, non guardando solo all’aspetto economico, ma alle reali esigenze della popolazione a cui bisogna garantire sempre e in ogni modo il diritto alla salute.
A tutti i livelli si deve chiedere un grande sforzo politico ed ideologico (MES si MES no), al fine di superare in questo momento, ma non solo, la critica situazione sanitaria che permarrà se le varie istituzioni non sapranno cogliere tutte le istanze che il fenomeno della pandemia ha evidenziato. Il superamento si di tutti gli aspetti che si sono presentati dal mese di febbraio ad oggi, ma nel contempo cominciare da subito ad impostare un discorso progettuale diverso che a tutti i livelli sia in grado di organizzare e realizzare tutti quei servizi capaci di evitare, per il futuro, tutte le tragedie che stiamo vivendo e garantire invece condizioni di vivibilità efficienti ed efficaci.
Quindi, accanto alla riapertura degli ospedali chiusi in tempi pre-covid, c’è bisogno di un cambio di mentalità dove i vari governi necessariamente comincino da subito a modificare lo status quo soprattutto nel campo della formazione sanitaria, eliminando da una parte certi privilegi che si sono instaurati a livello di una certa classe medica, e dall’altra parte, garantire il pieno diritto alla salute a tutti i cittadini e una giusta occupazione dei giovani professionisti che si affacciano degnamente nel mondo lavorativo nel settore sanitario. IL Sars-Cov-2 ci ha sorpresi e costretti quindi a inseguirlo. Non possiamo permetterci di correre questo rischio per la seconda o adesso per la terza volta. Per evitare di trovarci nuovamente in questa condizione bisogna muoversi in anticipo da subito non dimenticando che la pandemia ci ha sbattuto in faccia la nostra vulnerabilità e questo ci deve spingere a comprendere la ragione per cui l’abbiamo dimenticato. È chiaro quindi che le casse dello Stato potranno e dovranno riorganizzare il Servizio Sanitario Nazionale, dotandolo di tutto ciò di cui ha bisogno in termini di risorse finanziarie e umane. Questa è la sfida che ci aspetta e per cui tutti dobbiamo lottare, essere attori non solo di ciò che oggi può sembrare un sogno, ma tendere tutti a realizzare questa grande impresa.
L’indecenza attira l’attenzione, prevarica il bello e il buono, si fa credere totalizzante e tenta di trascinare tutto e tutti nel gorgo dell’indistinto. Il degrado nel linguaggio e nei comportamenti dei politici è innegabile, ma sarebbe ingiusto non discernere e distinguere. Le persone per bene, i bravi amministratori della cosa pubblica sono la grande maggioranza, ma a far notizia è la strumentalizzazione di ruoli e funzioni pubbliche da parte di una minoranza. L’aspetto più allarmante non è tanto il ricorso al linguaggio greve, volgare, a parolacce e insulti, quanto piuttosto i contenuti e le scelte dei leader nazionali e soprattutto dei sottopancia, di cacicchi e luogotenenti locali, di candidati ed eletti nelle assemblee rappresentative ad ogni livello, nei consigli comunali in particolare, i quali persuasi di poter fare tutto, compreso dare sfogo impunemente alle bassezze più becere in forza della sacra investitura popolare, fanno di barbarie e turpitudine il loro stile e la loro regola. Senza contare poi che ha preso sempre più piede la convinzione che sottrarsi alla sarabanda del cinismo e delle affermazioni scioccanti, gratuite, insensate e senza fondamento, equivalga a rinunciare ad avere ruolo e rilevanza di fronte alla pubblica opinione, ad essere cancellati dal teatrino imperante e finire per non contare niente.
In questi giorni comportamenti estremamente gravi, di cui si sono resi responsabili i consiglieri comunali di alcune città, hanno guadagnato l’onore della cronaca. Tuttavia i media li hanno accantonati rapidamente, stimandoli evidentemente trascurabili, irrilevanti e non una occasione da cogliere per approntare una seria riflessione. L’interesse è stato indirizzato altrove in ossequio all’incessante rincorsa alla novità e al sensazionalismo che spesso purtroppo caratterizza l’informazione, tralasciando così di cogliere i segnali allarmanti di degrado valoriale e senso civico che vanno ripetendosi nella società, che indeboliscono fino a distruggere il substrato sostanziale che sta alla base del vivere comunitario e impediscono di fronteggiare efficacemente i colpi micidiali inferti ai principi e ai diritti irrinunciabili delle persone sanciti dalla Costituzione Repubblicana, alla sacralità delle istituzioni democratiche che devono essere preservate da qualunque abuso o sfregio. Nessuna storia di ruberie, approfittamenti e tangenti, ma qualcosa di assai più pericoloso, in grado di disonorare le istituzioni ed emblematico di una classe politica nella migliori delle ipotesi raffazzonata, grottesca e inadeguata sotto il profilo culturale e democratico.
Il consigliere comunale di Bagno a Ripoli, Gregorio Martinelli Da Silva, della Lega, ex capogruppo in consiglio per il Carroccio, ha presentato un’interrogazione in cui chiede al sindaco di istituire una giornata per i cattolici eterosessuali in quanto vittime di discriminazioni, così motivando la richiesta: “La società con la complicità delle istituzioni e di politici incapaci sta commettendo nel nome della lotta alla discriminazione la peggiore delle discriminazioni possibili, quella contro i suoi valori e le sue origini. Con l’avanzamento di proposte come quelle della mozione della commissione pace, o come la legge Zan, si puniscono e discriminano le persone che seguono la Dottrina Cattolica. Con l’avanzamento di questa ideologia arriveremo anche al punto di penalizzare tutta la categoria degli eterosessuali, soprattutto maschi”. Il consigliere leghista ha sostenuto che la proposta di legge contro omo e transfobia ha come “unico scopo quello di incentivare e favorire l’omosessualità”, che le relazioni omosessuali sono “gravi depravazioni”, ha definito l’omosessualità “atteggiamenti” da “condannare”, precisando (bontà sua!) che “condannare non vuol dire punire” e ha concluso dicendo che l’omofobia è qualcosa “che in realtà non esiste”. Un rappresentante eletto nelle istituzioni definisce discriminatoria una proposta di legge che ha il solo scopo di tutelare i più deboli e punire quanti rivendicano la libertà di aggredire altre persone semplicemente per quello che sono e per chi amano. Parole che fanno inorridire, da non confondersi assolutamente con la libertà di opinione che non è mai libertà di umiliare gli altri e giustificazione della violenza.
Nicolò Fraschini, consigliere della maggioranza di centrodestra di Pavia, presidente della Commissione Bilancio, ha scritto sul proprio profilo Facebook come commento ad una discussione da lui stesso avviata sulle problematiche legate alla pandemia: "Ormai questo piagnisteo sulle vittime penso che abbia stufato tanti italiani, per salvare poche migliaia di vecchietti stiamo rovinando la vita, nel lungo termine, a un sacco di giovani…..Tutta questa vicenda ha dimostrato ancora una volta che l’Italia dà la precedenza sempre e solo agli anziani. Adesso è tempo di cambiare il passo, di sacrifici ne abbiamo già fatti fin troppi, abbiamo già fatto due tentativi, direi che Conte e i suoi sgherri hanno la coscienza pulita, adesso si può riaprire". E per rimarcare meglio il suo pensiero ha concluso: "e poi, ripeto, viva Darwin!". Insomma evviva la selezione naturale: sopravvivano i più forti e i più deboli soccombano!
Priamo Bocchi, coordinatore di Fratelli d’Italia di Parma e consigliere comunale, mentre si svolgeva in streaming il Consiglio Comunale, convocato sul tema della violenza sulle donne, ha postato su Facebook la foto “senza veli” di un sedere maschile, accostata a quella dei consiglieri comunali. Un gesto derisorio, un modo per dire che della violenza e delle discriminazioni sessuali se ne frega, si cala le braghe e mostra il sedere. Scoppiata la bufera per questo suo gesto squallido e vomitevole, ha cercato di giustificarsi dicendo che un hacker avrebbe fatto irruzione nel sistema informatico del Consiglio Comunale a distanza di Parma.
È giusto dare atto che i partiti di appartenenza di questi personaggi beceri e inqualificabili sono intervenuti censurandoli e prendendo le distanze da parole e comportamenti dei propri eletti.
Tuttavia questa sequenza di deliri, luoghi comuni violenti, linguaggi aberranti e pericolosi, che vanno oltre i limiti della ragione, raccontano la deriva di una certa parte della politica senza distinzioni di partiti e schieramenti, che da troppo tempo opera una selezione alla rovescia, promuove i peggiori purché fedeli al capo, discrimina e allontana quanti possiedono un profilo culturale e umano rimarchevole, oltre a competenze, capacità e autonomia di giudizio. Il dramma vero è questo e come cittadini ne portiamo la nostra parte di responsabilità ogni qual volta lo accettiamo supinamente, non ci ribelliamo all’indecenza e non usiamo in modo intelligente l’arma democratica più potente che possediamo: il nostro voto!
Un caldo abbraccio è il simbolico messaggio che hanno voluto lanciare le Donne del Cif sezione di Sezze in occasione del 25 novembre, giornata di commemorazione dedicata alle donne vittime di violenza. E proprio quell'atto d'amore, rappresentato dall'abbraccio, è stato narrato da sciarpe di lana colorate realizzate dalle associate. Un filo tessuto per cucire e rimarginare ferite profonde che ogni giorno si consumano tra le mura domestiche con atti di violenza. Dati che non rassicurano ma allarmano sempre più. Le sciarpe sono state intrecciate nei trochi di alberi presso Ferro di Cavallo e resteranno lì per tutto il periodo natalizio.
Conto alla rovescia per il cantiere sul Belvedere di Santa Maria. Lunedì sul tavolo della Giunta comunale presieduta dal sindaco Di Raimo ci sarà la deliberà che autorizza l’ufficio tecnico comunale a dare corso alla demolizione dei manufatti realizzati sul murodellatèra di Sezze. L’ufficio tecnico dopo l’ok della Giunta darà quindi mandato ad una ditta di ripristinare lo stato dei luoghi e liberare dopo 18 mesi l’area del belvedere. Il provvedimento arriva dopo il rigetto da parte del Tar del ricorso presentato da Don Massimiliano Di Pastina, committente dei lavori per la realizzazione su suolo pubblico di un monumento dedicato a San Lidano. Si tratta di una vicenda ormai nota a tutti che ha messo in tutta evidenza la discutibile procedura che ha portato all’avvio dei lavori senza alcuna discussione politica dell’opera e senza alcun concorso di idee o condivisione di quanto si voleva realizzare e donare su una pubblica piazza. Se non ci saranno altri intoppi legali, presumibilmente prima di Natale il belvedere tornerà libero cosi come da secoli e secoli il popolo setino lo conosce. Si spera che questa vicenda sia l’occasione per riqualificare l’intero complesso conservando però l’aspetto naturale e architettonico della piazza.
Le luminarie del Parco che ci riscaldano e ci uniscono
Scritto da Alessandro Mattei
L’amministrazione comunale di Sezze, per la gioia di molti cittadini e soprattutto dei bambini della nostra città, ha voluto illuminare queste tristi giornate contrassegnate dai bollettini Covid con l’installazione di luminarie nelle vie principali del paese. E’ una tradizione che si ripete da anni ma l’idea di accendere di colori e luci il Parco della Rimembranza è una iniziativa sicuramente nuova. E’ dallo scorso anno, infatti, che il Comune di Sezze ha pensato bene di installare delle luminarie nel monumento dedicato ai caduti e di rendere così la passeggiata “Fabrizio De Andrè” suggestiva e coinvolgente. Sappiamo tutti che purtroppo questo sarà un Natale diverso, segnato dalle distanze sociali e dalle difficoltà di spostamenti. Mancherà per molti il calore umano e la condivisione di momenti che pensavano tutti fossero scontati e infrangibili. Non ci saranno eventi natalizi particolarmente rilevanti ed il palinsesto del Natale Setino, come altri, sarà scarno di iniziative. Sforziamoci quindi di dare maggiore forza al buon senso, evitando polemiche sterili anche sulle luci natalizie, sperando che possano dare conforto e speranza a tutti coloro che stanno vivendo momenti bui e di tristezza. Viviamole come un momento di unità e calore.
23 Novembre 1980: terremoto in Irpinia. Il resoconto delle sedute del Consiglio Comunale di Sezze
Scritto da Vincenzo Mattei23 Novembre 1980
Terremoto in Irpinia. Il sisma provoca quasi tremila morti, oltre 8mila feriti e 280mila sfollati. Come per il Friuli, il Comune di Sezze è tra i primi a intervenire e a soccorrere.
25 Novembre 1980
Il Consiglio comunale delibera all’unanimità la somma di 5 milioni di lire per l’acquisto di generi alimentari di prima necessità. Affida il coordinamento di tutte le operazioni all’assessore anziano Titta Giorgi, con il sostegno dell’assessore ai servizi sociali Vincenzo Mattei. Si raccolgono 2 camion di vestiario, 20 quintali di mangime e 40 quintali di fieno per gli animali; un camion di viveri per la popolazione. Ogni socio della cooperativa Gramsci versa il prezzo di 1 quintale di pomodori; vengono raccolti libri, quaderni, penne e matite; viene inviata una squadra di tecnici (idraulici ed elettricisti) per la durata di 10 giorni; viene inviata una squadra di operatori sanitari e infermieristici; l’animatore dott. Jeph Anelli, dipendente comunale, viene inviato in loco a coordinare il lavoro degli operatori sociali e culturali; viene disposta una somma di 15 milioni per la ricostruzione e la ristrutturazione della biblioteca di Lioni, uno dei paesi più colpiti dal terremoto; alcuni funzionari del Comune, con a capo il vicesegretario Franco Federici, vengono inviati a ricostruire gli uffici anagrafici e demografici di Lioni.
Il 27 Novembre 1980
La quadra dei soccorritori, tutti volontari, si trova a Pontecagnano, con un convoglio carico di viveri e di vestiario. Il giorno dopo la squadra si dirige verso Solofra e Lioni, che diventa il punto di raccolta. Qui si allestisce un impianto idrico provvisorio e si prendono contatti con il Sindaco del paese. Il 30 Novembre , grazie al dottor Zarra e ad altro personale medico e infermieristico, si presta il primo soccorso ai feriti. Si creano punti luce nelle tende da campo. Si collabora a dare onorata sepoltura ai deceduti sotto le macerie nel Cimitero del paese; si sistemano e si istallano bagni e docce nel campo occupato dai Vigili del Fuoco.
Domenica 29 Novembre 1981
Si riunisce il Consiglio Comunale di Sezze in seduta straordinaria per il Gemellaggio tra Sezze e Lioni. È presente il Sindaco di Lioni Angelo Colantuono, i magistrati Alfonso De Paolis, Ottavio Archidiacono, Francesco Lazzaro, il vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio on. Mario Berti e una folta delegazione del Comune terremotato. Dopo la commossa introduzione del sindaco di Sezze Alessandro Di Trapano che si impegna, a nome della intera cittadinanza, per la ricostruzione e la rinascita di Lioni, prende la parola il sindaco di Lioni Angelo Colantuono che esprime profonda gratitudine ai cittadini di Sezze che si sono particolarmente distinti per la loro umanità e disponibilità. Una gratitudine che resterà per sempre e che non sarà mai cancellata nella storia di Lioni perché, oltre all’aiuto materiale, è stato il senso profondo di solidarietà e di amicizia dei sezzesi che ha aiutato la cittadina irpina ad uscire dalla fase più drammatica. A conclusione della seduta i Sindaci di Sezze e di Lioni si sono scambiati una targa ricordo e il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità il Gemellaggio tra i due Comuni. Una gara di solidarietà che resterà impressa nella storia di Sezze e dei sezzesi. Per non dimenticare!
Il segretario del Consiglio comunale. Dott. Vittorio Pelagalli
Il sindaco Alessandro Di Trapano
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Rientro graduale per le scuole di Sezze. Così è stato deciso dall’amministrazione comunale. A breve sarà pubblicata ordinanza del sindaco. Lunedì rientrano a scuola asili nido, scuole dell’ infanzia e scuole primarie, sia pubbliche che private. Da lunedì 30 novembre rientreranno le scuole secondarie di primo grado.
Fortunatamente la ragionevolezza resta uno dei principi su cui si lega la razionalità, la logica ed il buon senso, soprattutto in momenti difficili e delicati per tutti. Tenere fermo il timone e schiena dritta se si naviga in cattive acque e su fragili vascelli, senza pensare di cercare soluzioni pescandole con la canna di Sampei. Il presidente del consiglio comunale di Sezze, Enzo Eramo, interviene in merito alla difficile gestione dei contagi da covid19. Propone di ragionare e valutare caso per caso, anche sulla chiusura o riapertura delle scuole. “Nella nostra comunità la morsa del contagio non si attenua. Dobbiamo cercare tutti di gestire questa difficile situazione – afferma Eramo - la soluzione passa solo attraverso le azioni individuali. Non pochi nostri concittadini hanno già pagato il prezzo più alto: la vita. I casi anche nella nostra provincia sono tanti e ricostruire la mappa del contagio è difficile per questo diventa fondamentale collaborare e aiutare chi è preposto a farlo. È un elemento prioritario per spezzare la catena. Oggi dobbiamo "salvare" la nostra comunità stando uniti e limitando i contatti a quelli strettamente necessari, altrimenti non se ne esce! A proposito di scuola, tema delicato e non facile. Penso che sia opportuno pensare e stabilire dei criteri di riferimento, condivisi con Scuole e Asl, per eventuali ed eccezionali chiusure. Altrimenti rischiamo di passare l'anno con un dibattito perenne che logora istituzioni e comunità. È l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento”.
“Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via” (Luciana Littizzetto)
Vorrei tanto non scrivere della violenza sulle donne.
Mi piacerebbe che il 25 novembre fosse una ricorrenza anacronistica, obsoleta, memoria di una barbarie definitivamente sconfitta, retaggio di un’epoca tramontata, contrassegnata dal sigillo dell’incomprensibile e dell’assurdo, espressione di una malvagità che l’umanità si è lasciata per sempre alle spalle.
Mi piacerebbe non sentire pronunciare nei notiziari televisivi e non leggere sulle pagine dei giornali la parola femminicidio, non ascoltare racconti di carneficine domestiche. Purtroppo l’umanità continua a segnare il passo. La realtà ci costringe a fare quotidianamente i conti con brutalità assurde e inaccettabili compiute da autentici mostri ai danni delle donne e sempre più frequentemente, in un delirio distruttivo che non risparmia niente e nessuno, anche dei figli, agnelli sacrificali funzionali ad infliggere la sofferenza inaudita della perdita più atroce a colei che ha osato sottrarsi al proprio potere e rivendicare spazi di autonomia, a misurarci con storie di umiliazioni e soprusi che si consumano soprattutto nel chiuso delle mura domestiche e restano avvolte nel silenzio e nell’indifferenza. Le violenze conquistano l’onore della cronaca solo quando assumono vesti eclatanti e sfociano in gesti estremi e nell’omicidio, impossibili da nascondere o mascherare, ma ordinariamente presentano le sembianze della prevaricazione sottile e subdola, si nascondono nelle pieghe e nei dettagli apparentemente irrilevanti, nei piccoli gesti che raccontano una malevolenza radicata e un disprezzo profondo per la donna. Uomini orrendi, che osano chiamare amore quello che in realtà è l’esaltazione del proprio egoismo e la sua assoluta negazione.
È duro incrociare e sostenere lo sguardo di una donna violata ed abusata, che ha creduto nell’amore e ha messo in gioco se stessa, pensando di poter costruire un percorso di vita, di ritagliarsi spazi di serena realizzazione a fianco della persona amata e si è scoperta invece vittima di una possessività asfissiante, considerata alla stregua di un oggetto, privata di dignità e rispetto, precipitata in un incubo, in un inferno di sofferenze e degrado, soggiogata fisicamente e psicologicamente al punto da ritenersi sbagliata, esclusiva responsabile dei maltrattamenti subiti, colpevole della propria condizione, carnefice insomma di se stessa e non vittima. Frequentemente la sua colpa più grande è l’illusione di poter cambiare il proprio uomo, di poterne guarire l’ego malato, di poterlo aiutare ad uscire dal pantano popolato di incubi e ossessioni in cui è rintanato.
“Come hai fatto a non accorgertene?”.
“Come mai non te ne sei andata prima?”
“Perché non hai chiesto subito aiuto?”.
“Se hai accettato di restare in fondo così male non doveva essere….”.
“Sei fuggita da una prigione nella quale stavi per tua volontà e dunque che prigione era? Nessuno ti obbligava”.
Chissà quante volte abbiamo sentito ripetere queste parole, trasudanti scetticismo e prive di umana empatia e comprensione. Parole e domande come lame affilate capaci di ferire e umiliare ancora una volta le donne che, con grande sofferenza, si affrancano dalle catene e riescono a raccontare la loro esperienza sconvolgente. È difficile spiegare a chi non lo ha vissuto sulla propria pelle come sia stato possibile arrivare fin lì, spingersi al limite ultimo e perfino superarlo, capire che la sottomissione è una trappola, un gorgo in cui si viene risucchiati poco alla volta e spesso dolcemente attraverso una gentilezza formale al limite dell’irritante, una cortesia di linguaggio che è solo inganno, una attenzione affettata e insidiosa e una volta catturate è complicato divincolarsi, uscirne, liberarsene, superare quella barriera che impedisce persino di mandare segnali all’esterno, di comunicare quello che si sta subendo agli altri, i quali peraltro molto spesso nemmeno vogliono sapere.
Lungamente la violenza sulle donne è stata ritenuta socialmente accettabile, anzi normale, solo perché in moltissimi casi veniva subita supinamente e pertanto era invisibile o quantomeno è stato un tema ignorato, stimato irrilevante, non meritorio di attenzione, considerato da alcuni un tabù. Un mondo sommerso, nascosto e negato, nel quale reticenza, menzogna e neutralità l’hanno fatta da padrone e il silenzio ha aiutato oppressori e carnefici. Accettare e sopportare tacendo è stato l’imperativo per le donne: altre soluzioni o vie di uscita non erano possibili o immaginabili.
Nonostante gli sforzi e le lotte portate avanti per abbattere la concezione patriarcale delle relazioni familiari, il furore padronale e il senso del possesso maschile radicato e condiviso, il retaggio consolidato di un’idea della donna come oggetto di cui disporre a piacimento e della sua sottomissione all’uomo ancora resiste, come anche il muro dell’omertà che spesso circonda soprusi e violenze. Disinnescare un simile pensiero è indispensabile, ma purtroppo il solo deterrente della punizione non riesce a fermare la mano di chi usa violenza, strangola, soffoca, brucia e uccide. Molte donne vengono massacrate dopo aver denunciato e tante altre non sanno, possono o riescono a farlo. Pertanto contestualmente alla repressione è necessario investire in cultura e formazione, farmaci che non producono effetti immediati ma a medio e lungo termine: educare al rispetto della donna, proporre un modello relazionale improntato all’accoglienza in cui l’altra non è un possesso, un oggetto da controllare e dominare perché nessuno è mio o tuo….. Ci vorrà del tempo, ma ogni minuto di ritardo costerà molto in termini di traumi indelebili e vite.
Può sembrare irrispettoso il titolo di questa riflessione. Ma Papa Francesco ci sta abituando a queste sorprese e non finisce mai di stupire. Il Pontefice, “venuto dalla fine del mondo”, è soprattutto un pastore che ha ben presenti le condizioni di smarrimento e le esigenze di cambiamento dell’uomo moderno. La Chiesa, per lui, non è più un fortino da difendere con le armi e le scomuniche ma una casa aperta a tutti e che vuole difendere la propria identità teologica e morale costruendo ponti e non muri. Ciò non significa rinunciare ai propri convincimenti ma pensare che la verità è figlia della storia e del confronto, è il prodotto di una ricerca comune, fatti salvi alcuni princìpi non negoziabili. Con questo spirito missionario e pastorale, il Papa affronta di petto le questioni, anche quelle più spinose e delicate, avendo i piedi ben saldi piantati nella realtà di oggi. Egli non nasconde a se stesso e alla Chiesa che governa il dramma, gli orrori ma anche le infinite risorse di misericordia e di bontà dell’uomo moderno. Il passaggio incriminato sulla omosessualità, oggetto di questo breve articolo, è contenuto in un film-documentario intitolato "Francesco”, sollevando aspre critiche e facendo gridare allo scandalo. In esso il Papa sembra voler benedire le famiglie sessuali, con tanto di prole, quasi fossero uguali a quelle composte “regolarmente” da mamma e papà. Il documento risale a una intervista rilasciata nel maggio 2019 a una giornalista messicana ed ha come sfondo l’esperienza pastorale dell’allora arcivescovo argentino, José Mario Begoglio. Ne è seguito un dibattito che ha assunto le pieghe di un giallo, su cosa volesse dire realmente Papa Francesco. Non è la prima volta che questo accade in sette anni e mezzo di pontificato. Le riforme all’interno della Chiesa di Roma non sono state mai benedette e accolte con favore. A maggior ragione in questo periodo in cui, grazie al Papa argentino, si tenta di mettere argine e riparo al malcostume che si è annidato in parte della Curia Romana. E allora veniamo al dunque: il Papa, rispetto alla omosessualità, ha cambiato la dottrina della Chiesa o è vittima dell’ennesimo attacco da parte dell’ala conservatrice molto presente tra i Porporati? In questi casi occorre andare alla fonte ed essere estremamente fedeli e imparziali rispetto alle parole, allo spirito e al contesto dell’intervista. Fermo restando l’impianto missionario di ricerca dell’unità degli opposti, tipica della dottrina del gesuita Papa Francesco, basata sulla consapevolezza della drammaticità della storia umana e della natura paradossale della Chiesa Cattolica, fondata sulla tragica polarità tra la libertà dell’uomo e la Grazia divina culminante nel paradosso della figura di Cristo, Uomo e Dio. Nell’intervista sopra citata il Papa conferma quanto già affermato nella Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” di quattro anni fa. E cioè che i giovani omosessuali devono poter essere riconosciuti dalla propria famiglia come persone, non devono essere allontanati, né espulsi, né discriminati. Le persone omosessuali devono avere una famiglia e non devono costituire una famiglia. Questo è il punto non soggetto a equivoci e a fraintendimenti. Il Pontefice considera le persone omosessuali figli e figlie di Dio, amati da Dio e che, sul piano giuridico, devono avere la possibilità di poter godere di una adeguata tutela. Di conseguenza papa Francesco esorta i legislatori a promulgare “leggi di convivenza civile”, proprio per evitare che le unioni omosessuali possano essere equiparate ai matrimoni. Non c’è dunque nessuna svolta della dottrina della Chiesa ma il riconoscimento della pienezza dei diritti di ogni persona, a prescindere da suo orientamento sessuale. Certo, ciò non è poco! Cade un vecchio tabù per la Chiesa cattolica che fin dal 1568, con papa Pio V, aveva dichiarato l’omosessualità un grave peccato e un reato da perseguire penalmente. Stiamo scoprendo solo adesso quali e quante tragedie umane abbia provocato questa norma. E quali e quante disumane e aberranti consuetudini, spesso insabbiate e nascoste, abbia tollerato fino ai numerosi reati di pedofilia e di aborti clandestini da parte di uomini e donne di chiesa. Cose orrende! Dice San Luca nel Vangelo, riportando le parole di Cristo, a proposito delle violenze contro i bambini:” …sarebbe meglio per lui che una macina da mulino gli fosse messa al collo e fosse gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli …”. Con Papa Francesco è giunta l’ora di porre fine a queste piaghe e di cacciare il diavolo che si nasconde in Vaticano. Nonostante la mia scarsa competenza in merito e la mia laica religiosità, non è possibile non riconoscere coraggio e purezza di cuore a questo Pontefice! Il papa sa anteporre la verità ai pregiudizi, la misericordia alla condanna, il perdono alla scomunica. “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”, (-Vangelo di Luca).