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Domenica, 13 Dicembre 2020 07:47

Ciao Pablito!

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Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei goal. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. Il calcio che esprime più goal è il calcio più poetico”. (Pier Paolo Pasolini)

Il calcio è un amore strano, ma è amore.

L’amore ha sembianze differenti, lo comprendiamo solo facendogli spazio, assaporandolo nella concretezza del suo imprevedibile manifestarsi, nel suo intrecciarsi intimamente e indissolubilmente con le nostre vite, si declina anche nel rincorrere una palla in un rettangolo erboso di gioco.

Il calcio è passione che ti afferra e ti imprigiona, ti fa ardere di desiderio, è gioco e appartenenza, genio e talento, tecnica e impegno, sacrifico e lealtà. Solo in apparenza è semplicemente correre dietro una palla. Quella palla ricercata, inseguita, sottratta all’avversario e calciata racconta l’essenza della vita, intessuta dei sogni più audaci, delle aspettative più forti e delle emozioni più sentite. Se poi a quella palla riesci a dare il calcio giusto, a infilarla nella porta avversaria portando la tua squadra alla vittoria, ti sembra di spiccare il volo, di viaggiare lontano, assai più lontano di quanto tu abbia mai potuto immaginare, di raggiungere traguardi che ti riempiono di ebbrezza inesprimibile. 

Il calcio è uno degli sport più completi, impegna dal punto di vista tecnico, atletico e tattico, richiede energie e intelligenza, il sapersi disporre in campo nel posto giusto e muovere anche senza il possesso della palla, la capacità di indovinare il momento per difendere o attaccare, la perspicacia di accorgersi dei pericoli o dei punti deboli dell’avversario, la prontezza a predisporre le contromisure per arginarne e annullarne le strategie di gioco. Il fascino del calcio è il suo essere una sfida non solo tra le due squadre avversarie, ma anche tra i singoli giocatori e, a ben vedere, con sé stessi, con le proprie forze e i propri limiti, con la fortuna e il destino, finanche con gli stessi compagni di squadra per assicurarsi la migliore prestazione. Forza fisica e vigore atletico sono essenziali, ma nulla valgono senza intelligenza, creatività, fantasia, acume tattico, slancio generoso, correttezza nel riconoscere valore e dignità dell’avversario, più forte o più debole poco importa.

Il calcio insegna l’importanza dell’essere squadra, del reciproco sostegno, dello stare e convivere con gli altri, riserva gioie grandi, come la vittoria in campionato o in coppa magari segnando il gol decisivo, o più semplici e apparentemente marginali come i progressi in allenamento e i frutti del lavoro svolto con passione e intensità. Spesso però ci riserva emozioni negative, brucianti e dure, come una prestazione pessima, sbagliare un rigore decisivo, perdere una partita fondamentale. L’importante è non lasciarsi abbattere dalla sconfitta, imparare a misurarsi con le contrarietà, ripartire dagli errori, coltivare il senso del limite considerandolo uno stimolo a fare di più e meglio, a superare se stessi con coraggio e determinazione, a faticare e penare, sorridere e gioire, ossia a vivere la profonda duplicità della vita.

L’amore per il calcio può sbocciare in ogni momento, ma solitamente accade da piccoli, quando guardando le meraviglie sul campo dei campioni che giocano nella squadra del cuore, scatta la scintilla, esplode il desiderio irresistibile di emularne le imprese, di provare a diventare come loro o più semplicemente lasciandoti travolgere dalla passione e ritrovandoti i a tifare sugli spalti dello stadio o davanti allo schermo del televisore, in preda all’adrenalina e alla tensione.

Ricordo bene l’estate del 1982. Ero un adolescente che si affacciava alla vita con il cuore in subbuglio e la testa piena di sogni. La nazionale di Enzo Bearzot arrivò al mondiale di Spagna accompagnata da critiche e perplessità, non ultimo per la convocazione di Paolo Rossi, il quale aveva finito da qualche mese di scontare la squalifica di due anni inflittagli per lo scandalo del calcio scommesse (rispetto al quale ha sempre rivendicato la propria estraneità e innocenza). Tutti erano convinti che la squadra avrebbe fatto poca strada. L’inizio stentato sembrò confermare il timore: tre pareggi scialbi e la qualificazione arrivata grazie ai ripescaggi. Paolo Rossi era il centravanti e giocò male le tre partite iniziali. Nei bar e nei conciliaboli dei tifosi ci si domandava perché il CT insistesse nello schierarlo. Enzo Bearzot tirò dritto. La squadra si trasferì a Barcellona per la seconda fase e qui avvenne la sua metamorfosi e con essa quella di Paolo Rossi. Pablito esplose e divenne il simbolo della nazionale. Rifilò tre gol al Brasile, due alla Polonia, uno alla Germania in finale e così conquistò il titolo di capocannoniere del torneo e per l’Italia il terzo titolo di campione del mondo. In quel magnifico 1982 vinse anche il Pallone d’Oro.

Paolo Rossi era un centravanti da area di rigore con un innato senso del gol: piccolo, agile, sgusciante, un ragazzo umile e perbene, senza tanti grilli per la testa. Nulla a che vedere con i giocatori palestrati e sempre sulla copertina dei rotocalchi del calcio odierno. Toscano di Prato, esplose nel Vicenza, passò al Perugia, alla Juventus, al Milan e, ancora giovane a causa della fragilità fisica, chiuse la carriera al Verona. Tuttavia se penso a lui non riesco ad associarlo a nessuna squadra di club, lo vedo con indosso unicamente la maglia azzurra e lo immagino la sera dell’11 luglio 1982 appoggiato a un cartellone pubblicitario del Bernabeu di Madrid. Lo stadio è una bolgia, un mare di bandiere, un’onda che lambisce il serpen­te azzurro che si snoda intorno al cam­po, guidato da una figura divenuta mitologica: metà Zoff, metà coppa del Mondo. Paolo Rossi non c’è. Dopo aver concluso il giro d’onore si ferma a contemplare quella baraonda e si scopre triste. Pablito racconta: “Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza. - Adesso dovete fermare il tempo, adesso -, mi dicevo - Non avrei più vissuto un momento del gene­re. Mai più in tutta la mia vita. E me lo sentivo scivolare via. Ecco: era già fini­to”.

No Paolo, non è finito affatto. A 64 anni, nel cuore della notte, la morte ti ha strappato all’affetto della tua famiglia e di tutte le persone che ti hanno ammirato ed amato, ma ha reso eterno quel sogno che ci hai fatto vivere.

 

 

Mentre finalmente si sta concretizzando l’attivazione della Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) anche a Sezze, gli appelli per ridare vita al nosocomio San Carlo di Sezze si moltiplicano. Molti locali della grande struttura di via San Bartolomeo da molti anni sono abbandonati, un’ala dell’ospedale è praticamente distrutta e oggetto di atti vandalici. Le foto choc che ci giungono sono a dir poco impressionanti. Interi spazi diventati dei magazzini, vecchi reparti che gridano vendetta per lo stato di abbandono e incuria che presentano. Quello che è stato il più importante ospedale dei Monti Lepini, per buona parte è ridotto a deposito selvaggio e luogo di vandalismo. Al piano terra nell’ala del chiostro sembra che siano passati vandali che hanno distrutto tutto, il vecchio reparto di radiologia si presenta alla stessa maniera, distrutto. Una vera vergogna insomma, in un momento delicato nel quale la ricerca di locali per pazienti covid e non è diventata sacrosanta. Il San Carlo potrebbe ospitare come il Fiorini di Terracina pazienti non covid e diventare così un presidio specialistico e offrire servizi e prestazioni sanitarie di eccellenza lì dove altri nosocomi soffrono e non riescono più ad offrirli perché congestionati. Vedere così ridotta una grande struttura ospedaliera che potrebbe ospitare ammalati di media e lunga degenza fa male ancor più e infetta le ferite di un sistema sanitario malato e abbandonato.  

Gli interni al piano terra

 

 

Non sembra più esserci feeling tra Sezze e il suo San Lidano, santo patrono, almeno a livello nominale; se la vicenda legata alla statua del Santo al Belvedere di Santa Maria è arcinota, c’è un’altra vicenda che riguarda un San Lidano e lo stesso Comune, in cui ci sono in ballo 50 mila euro. A tanto ammonta l’IMU relativo all’anno 2013 richiesto dall’Ente alla Cooperativa Ortofrutticola che porta il nome del santo nato ad Antena, ma divenuto santo a Sezze. Il sodalizio di via Migliara 46, dal 2019, sta presentando ricorso per non pagare il dazio tributario recapitato dall’Ente. Prosegue a distanza di anni il braccio di ferro tributario iniziato nel 2017 tra il Comune di Sezze e la Cooperativa Agricola San Lidano. L’Ente ha infatti dovuto ricorrere alle prestazioni dell’avvocato Angelo Cardinale per opporsi al ricorso in appello presentato dalla stessa Società Cooperativa alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, rispetto ad una sentenza che nel febbraio 2019 aveva condannato il sodalizio a pagare l’importo richiesto dal Comune. Nello specifico, la San Lidano Società Cooperativa Agricola aveva già proposto ricorso contro il Comune di Sezze, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, avverso l’avviso di accertamento n. 2144 del 14/11/2017 relativo al pagamento del complessivo importo di € 50.060,00 a titolo di IMU per l’anno 2013. Il Comune di Sezze si è costituito, conferendo incarico all’Avvocato Angelo Cardinale, chiedendo il rigetto del ricorso e la stessa Commissione Tribunale Provinciale di Latina ha emesso in data 01/07/2019 la sentenza n. 636/02/19 che rigetta il ricorso presentato dalla Cooperativa, condannando la stessa al pagamento delle spese di giudizio. La San Lidano però non ha desistito e ha presentato ricorso in appello, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sezione staccata di Latina, con il quale chiede l’integrale riforma della sentenza n. 636/02/19 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, acquisito in data 04/02/2020 con prot. n. 3072. Ovviamente, anche in questo caso, l’Amministrazione ha ritenuto giusto resistere in giudizio avverso il ricorso presentato dalla coop. San Lidano Società Cooperativa Agricola, avvalendosi del medesimo professionista che ha già curato la difesa tecnica nel contenzioso, per evidenti ragioni di consequenzialità, al fine di salvaguardare i suoi diritti. Per difendersi, l’Ente dovrà impiegare 2601,90 euro, tanti quanti richiesti dal professionista; cifra che, in caso di vittoria dell’Ente, saranno addebitati a chi ha presentato il ricorso. Non è dato sapere se dopo l’accertamento Imu relativo all’anno 2013, da parte del Comune sia proseguito iter analogo anche negli anni a seguire considerando che dopo cinque anni, eventuali irregolarità non sono più perseguibili a fini tributari.

IL comitato Murodellatèra di Sezze, costituito da oltre 100 cittadini nel maggio del 2019 a tutela del Belvedere di Santa Maria, dopo mesi di attesa e rispettoso silenzio, riaccende i riflettori sulla vicenda dei lavori con una lettera che pone 5 domande ad oggi senza alcuna risposta. Ecco il comunicato integrale del Comitato.

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Se ci si sofferma più attentamente sugli atti pubblicati nell’albo pretorio online del Comune di Sezze, emerge qualche dettaglio. Don Massimiliano Di Pastina, con nota del 12.04.2018, ha indirizzato al Sindaco di Sezze una richiesta di autorizzazione per la realizzazione del monumento di San Lidano d’Antena presso Piazza Duomo, nell’area ad uso belvedere della piazza, precisando di rimanere “donatore e proprietario della statua” e allegando una serie di documenti tecnici. Nella stessa nota, in coda, lo stesso sacerdote setino ci tiene a precisare che: “Da ultimo, il sottoscritto anticipa di aver già avviato le procedure per il rilascio del nulla-osta da parte della competente Soprintendenza archeologia-belle arti e paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti”. Subito dopo, il settore urbanistico del Comune di Sezze, ricevuta la documentazione, chiede ad un Architetto esterno un primo parere paesaggistico sul progetto presentato, poi rilasciato con esito favorevole in data 19.04.2018 L’Ente comunale, con nota del 23.4.2018, trasmette il fascicolo per competenza alla Soprintendenza di Latina, onde acquisire il previsto parere. La Soprintendenza di Latina, con nota datata 24.04.2018 esprime parere favorevole, con prescrizioni, precisando “in merito alla compatibilità paesaggistica delle opere da realizzare”. Dal 12 al 24 aprile sono passati in tutto 12 giorni. Considerando che il 14 e il 15 aprile erano sabato e domenica, così come il 21 e il 22 aprile, dalla prima lettera del sacerdote al Sindaco fino al rilascio del parere paesaggistico favorevole della Soprintendenza intercorrono esattamente 8 giorni lavorativi. In attesa di valutare attentamente gli ulteriori sviluppi della vicenda, attualmente oggetto di valutazioni del TAR e del Consiglio di Stato su ricorsi presentati dal sacerdote, il Comitato Belvedere di Sezze si pone, e pone a tutta la cittadinanza, oltre che agli interessati, le seguenti domande:

 

  1. A che titolo Don Massimiliano Di Pastina, privato cittadino ancorché sacerdote e direttore dell’Archivio capitolare della Cattedrale di Sezze e del Museo diocesano d’arte sacra di Sezze - come da egli stesso precisato nella prima lettera al Sindaco di Sezze - ha avviato le procedure per la richiesta di nulla osta alla Soprintendenza per il progetto al Belvedere?

 

  1. Esisteva già un accordo preordinato tra sacerdote e Sindaco Sergio Di Raimo - eventualmente anche con il consigliere comunale di maggioranza Ernesto Carlo Di Pastina, fratello del sacerdote - finalizzato ad erigere il monumento a San Lidano?

 

  1. Perché il Sindaco ha ritenuto di non dover informare fin da subito ed ufficialmente dell’importante iniziativa - nonostante il progetto comportasse la concessione definitiva di quello spazio pubblico così centrale e storico ad un privato - il Consiglio comunale, optando per il solo passaggio in Giunta?

 

  1. Gli Uffici comunali, nella loro attività tecnica di competenza preliminari alla delibera autorizzativa della Giunta comunale del 1° giugno 2018, ed a quella successiva dell’8 giugno 2018 – che ha precisato che la statua sarebbe rimasta di proprietà del sacerdote – hanno agito nel rispetto rigoroso di quanto previsto dalle normative vigenti e dal Piano Regolatore Generale (PRG), liberi da pressioni o influenze politiche di ogni sorta?

 

  1. Il Vescovo della Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno Mons. Crociata ha condiviso l’idea e il progetto di installazione di una statua privata di San Lidano al Belvedere di Sezze? Quando ne è stato informato da Don Di Pastina, direttore dell’Archivio capitolare della Cattedrale di Sezze e del Museo diocesano d’arte sacra di Sezze?

 

Mentre si aspettano gli attesi verdetti dei giudici amministrativi, sarebbe doveroso che chi di dovere, prendendo posizione in maniera chiara e pubblica, per quanto di rispettiva competenza, rispondesse a queste domande che potrebbero sembrare scortesi ma che riteniamo invece legittime e fondamentali per consentire alla cittadinanza di valutare compiutamente tutti i passaggi di questa lunga e per certi versi incredibile vicenda.

 

 

 

Maltempo e disagi in tutto il territorio di Sezze. Molto colpita località Casali dove oltre a diversi alberi caduti nella mattina, nel primo pomeriggio in via Casali 4° Tratto un pezzo di strada è crollato a causa delle forti precipitazioni. Ben 8 famiglie sono isolate, sul posto sono intervenuti i volontari della Protezione Civile e gli agenti della Polizia Locale. Si tratta di un vero e proprio smottamento improvviso del terreno.  

 

 

Il direttore della ASL di Latina Giorgio Casati ha scritto una lettera al sindaco di Sezze Sergio Di Raimo per confermare l’intenzione della Asl di attivare le Usca a Sezze. Nella nota Casati scrive: “A seguito della richiesta di attivazione delle Usca ti confermo l’intenzione della Asl di Latina di renderle operative quanto prima. Stiamo completando i necessari protocolli di funzionamento, così come gli accordi necessari per le attivazione delle stesse. Presumibilmente l’operatività delle Usca è prevista entro la fine della settimana prossima”. Stando quindi alla nota del direttore della Asl le Unità Speciali di Continuità Assistenziale dovrebbero essere attivate già tra una settimana. Speriamo che non ci siano altri ritardi e che le richieste del consiglio comunale di Sezze siano così accolte. I consiglieri comunali, in primis Serafino Di Palma, sono stati determinati a chiedere l’attivazione delle Usca a Sezze, pronti anche a firmare un esposto e a fare battaglia se non fossero state attivate.

Martedì, 08 Dicembre 2020 07:14

Natale: “A che ora è nato Gesù ?”.

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Molti parlamentari (per fortuna non tutti!) non sanno come passare il tempo e si divagano in argomenti e disquisizioni inutili e ridicole, per non dire tragicomiche. Come i vecchi sofisti nell’antica Grecia, si pongono quesiti capziosi, inconsistenti, usando tecniche di persuasione al solo scopo di attirare l’attenzione. Denotano così una leggerezza e una insostenibilità  democratica a causa del loro infantilismo politico di cui offrono ampia e deludente dimostrazione, insopportabile in questo drammatico periodo di pandemia. Un infantilismo affetto da eccessivo personalismo, da una retorica insistente da campagna elettorale permanente e, per contro, da una manifesta ignoranza e inadeguatezza  a svolgere il loro compito istituzionale. Alcuni di questi signori, in prossimità del Natale, si stanno ponendo domande inqualificabili e prive di ogni fondamento: “ Ma Gesù è nato davvero il 25 dicembre? È nato davvero a mezzanotte?” e via di seguito.  Siccome la questione riguarda il Padreterno e può generare dubbi in molti di noi, è opportuno precisare che nei Vangeli non è indicato né il giorno né l’ora della nascita del Bambinello. I riferimenti storici su una datazione del Natale risalgono ad autori successivi  all’epoca degli Apostoli. La celebrazione della nascita di Gesù, secondo gli storici più accreditati, è stata una scelta della Chiesa di Roma che ha fatto propria la festività pagana del Natalis solis invicti, cioè della nascita del Dio Sole, in coincidenza con il solstizio d’inverno (21 Dicembre). Detto ciò, la proposta del Ministro Francesco Boccia, tesa a far celebrare la Messa di Natale qualche ora prima della mezzanotte per evitare il contagio del virus (a che pro?) ha scatenato il putiferio, ha fatto gridare allo scandalo e ha dato fiato alle trombe. ” Si vuole far nascere Gesù due ore prima! Non rubate il Natale ai bambini! Lasciateli in pace! II Ministro Boccia si occupi delle Regioni! Vogliono far nascere un Bambinello prematuro!!!”. Non è difficile capire che si è toccato il fondo della demenza politica e religiosa! Occorre ricordare a questi signori che non c’è nessun comandamento che impone la celebrazione della Messa del Natale alle ore 24 in punto. Che molte chiese, per motivi diversi, hanno da sempre anticipato la celebrazione. Che il Papa ha celebrato la Messa sempre alcune ore prima della mezzanotte. Ma la cagnara, purtroppo, non è finita qui. “Di che colore era la pelle di Gesù? aveva davvero i capelli biondi e gli occhi azzurri?”.  Che il povero Bambinello, nato tra la Giudea e la Galilea, regione corrispondente alla attuale Palestina, non fosse biondo, è molto probabile. Ma allora, l’insistenza volgare su questi dettagli del tutto marginali e impropri, servono davvero a sottolineare e far rivivere il significato del Natale?  Lasciamo agli stolti le cose stolte! Gesù è nato più di 2000 anni fa e non è che lo si debba far nascere oggi.  Per tutti gli uomini di buona volontà la novella del Natale è un messaggio di condivisione di affetti e della cura verso il prossimo, una rinascita dell’animo e della speranza. Non una festa di consumi, di regali che mette in secondo piano  il messaggio evangelico. La festa cristiana sta perdendo il suo significato. Occorre invece saper riscoprire la magia del Natale per riassaporare il gusto della intimità e della pace interiore.  Riscoprendo il fanciullino e l’innocenza che è in tutti noi!

 

 

Il setino Paolo Di Capua continua la sua protesta, anche in solitaria, contro le assenze di risposte al sistema sanitario locale e provinciale. “Mentre l’ospedale Santa Maria Goretti di Latina è stracolmo e congestionato di pazienti – afferma Di Capua – 60 camere dell’ospedale civile San Carlo di Sezze restano stravuote e gridano vendetta. Il direttore Casati dovrebbe utilizzare le camere del nosocomio San Carlo come covid hotel o per quei pazienti non covid. Sono arrivati addirittura a trasformare la cappella all’interno del Santa Maria Goretti in luogo di terapia intensiva e lasciano deserte grandi strutture come il nosocomio setino”. Nei tanti cartelli di protesta affissi in Piazza Ferro di Cavallo a Sezze, il portavoce del comitato Acqua Pubblica, si considera indignato come molti cittadini che stanno assistendo ad  “ad una pura ipocrisia e ad una offesa della dignità umana”.  Di Capua andrà avanti con la sua protesta e continuerà a chiedere di ridare vita alla grande struttura del San Carlo di Sezze, soprattutto in un momento delicato e di emergenza che tutti stiamo vivendo.

 

 

“In arrivo ancora una scadenza fiscale per i contribuenti alle prese con l’emergenza epidemiologica e da una crisi economica disastrosa anche in virtù di forti cataclismi”. Lo annuncia Vittorio Accapezzato in una nota riferendosi alla scadenza relativa al saldo della nuova Imu prevista per il 16 dicembre. “Stiamo attraversando la peggiore crisi dal dopoguerra. Non ci troviamo di fronte a tradizionali lamentele della gente ma a una realtà seria e preoccupante. Si spende meno e le attività, i commerciali, di ristoro e alberghiere ecc-sono costrette ad abbassare le serrande per mancati incassi.  La crisi colpisce tutti. Si registra soprattutto un calo dei consumi alimentari, sia dal punto di vista della quantità che qualitativo. L'economia italiana non cresce, anzi è in grave stagnazione. Il settore agricolo, in tutti i suoi comparti, soffre da qualche tempo di una complessa difficoltà.  L’esiguo prezzo del latte, la mancanza di tutela dei prodotti tipici, il costo del prezzo dei carburanti, il calo dei costi per alcuni dei principali comparti, come cereali, frutta, le difficoltà di accesso al credito, e ancora gli alti costi produttivi e contributivi per le aziende, l’onere dell’Imu fabbricato strumentale agricolo, la burocrazia, gli accordi comunitari con i Paesi Mediterranei, rappresenta solo una parte delle problematiche che soffocano il settore.  Un pieno sostegno agli agricoltori  - scrive l’ex consigliere comunale - doveva giungere da parte dell’Amministrazione comunale con una rimodulazione dell’imu per alleggerirne le spese. Ultimo appuntamento dell’anno con le tasse sulla casa il prossimo 16 dicembre prossimo, la scadenza per il versamento del saldo della nuova IMU, disciplinata dalla Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di bilancio 2020) ha abrogato le disposizioni che disciplinavano IMU e TASI. Per i fabbricati rurali strumentali che non erano soggetti all'Imu nel 2019, si applica, in seguito all'abolizione della Tasi, l'aliquota di base pari allo 0,1%. In assenza di delibera azzeramento di detta aliquota da parte del comune. Quest’altro tributo mette seriamente in crisi le imprese agricole che già stanno attraversando momenti di grande difficoltà. I singoli comuni, però, hanno ampia facoltà di modulare questa tassa che è pari allo 0,1 per cento e ridurla fino all’azzeramento come riportato al comma 750 della legge sul bilancio 2020 n. 160/2019. Quest’occasione per fare qualcosa di concreto, sfidando il momento di crisi e dando così un chiaro segnale di sostegno al settore agricolo a Sezze è stata disattesa nella seduta del consiglio comunale n.19 del 10/07/2020. La mancata possibilità di porre al minimo o azzerare l’aliquota IMU riducendo l’imposizione sui fabbricati strumentali alle attività agricole significa in termini economici che per gli agricoltori di Sezze un aggravio d’imposta imu in base all’imponibile dell’immobile che va da circa 70 a 300 euro. Tutto questo rischia di provocare una situazione insostenibile per i nostri agricoltori che rischiano di trovarsi nell’impossibilità di pagare un aggravio impositivo non discolpato di un azzeramento.  La mancata sensibilità verso la specificità del settore agricolo e della composizione del patrimonio immobiliare produttivo, non escludendo dall’assoggettamento a tributo i fabbricati rurali strumentali porteranno un peso intollerabile che si ripercuoterà inevitabilmente sul reddito degli agricoltori e sulla produttività dell’intero settore”.

 

Il Natale che ci apprestiamo a vivere non sarà come i precedenti, per nessuno di noi.

Cinquantamila morti italiani, una decina a Sezze, non ci consentono di viverlo come sempre.

Non sarà il solito Natale per chi non potrà trascorrerlo con i propri cari, quei genitori o nonni che sono stati portati via da un virus venuto da lontano e che è ancora tra di noi.

Non lo sarà per chi è ricoverato in ospedale, alle prese con una fame d’ossigeno che medici ed infermieri cercano di combattere e curare con ogni mezzo a disposizione.

Non lo sarà neanche per le famiglie costrette in quarantena a casa, con uno o più dei componenti ad aspettare la negativizzazione del tampone.

Non lo sarà per chi non potrà raggiungere la propria famiglia di origine che vive altrove, come da tradizione di fine anno.

Non lo sarà per coloro che, a causa degli effetti del distanziamento sociale della pandemia, hanno perso il lavoro e molto di quello che avevano ed ora stanno vivendo sulla propria pelle una negatività che rischia di sfociare nella disperazione.

Non lo sarà neanche per i pazienti cronici sofferenti di altre patologie e che non riusciranno a svolgere i previsti controlli in ospedale, che adesso sono quasi tutti ora trasformati in bunker dedicati al Covid19.

Inutile negarlo, nessuno si sarebbe aspettato all’inizio del 2020 di vivere un Natale così strano, con tanto pessimismo nell’aria.

Come avviene per altri giorni-memoria dell’anno, le ricorrenze di avvenimenti più o meno importanti o evocativi, anche di respiro più laico e istituzionale (per es. il 25 Aprile ed il 2 Giugno), il significato di una festa assume le più diverse coloriture e percezioni soggettive, a seconda di molteplici fattori in gioco.

Per Natale è più o meno lo stesso.

C’è infatti chi aspetta la ricorrenza del Natale, chi il cenone della vigilia di N., chi il regalo di N., chi il presepe e chi l’albero di N., chi gli auguri di N., chi il messaggino di buon N., chi il faccione di Babbo N., chi la recita di N. e chi le vacanze di N e chi, infine, non vede l’ora di assaporare la liturgia di Natale.

Nel pieno del vortice di questo autunno da seconda ondata pandemica che ci sta cambiando le vite tra normative nazionali, regionali e comunali che a fatica cerchiamo di rispettare, pazientemente segnati da mascherine sempre indossate e igienizzanti a portata di mano, ora si sta parlando di anticipare la Messa di Mezzanotte.

Nel primo duro periodo di lockdown, la Chiesa italiana, venendo incontro alle esigenze sanitarie imposte dal Governo al Paese, ha chiuso le chiese per due mesi, non consentendo la presenza dei fedeli alle celebrazioni delle liturgie presiedute solo dai sacerdoti. Anche i funerali sono stati vietati…

Le chiese sono state riaperte poi a maggio con la prima discesa del numero dei contagiati, a patto di introdurre rigide regole di comportamento tra i banchi, sulla base di programmi condivisi tra Governo e CEI.

Allora ci furono voci stonate di veterocattolici e presunti liberi pensatori laici che parlarono addirittura di attentato mortifero alla libertà di culto, quella sancita dalla Costituzione. Si alzò poi alta e chiara la voce di Papa Francesco per mettere a tacere le polemiche e ricordare a tutti come la Chiesa è parte integrante della Comunità, non altra e privilegiata rispetto alle esigenze cautelative sociali, e che il buio del periodo Coronavirus sarebbe stata un’occasione di meditazione e di prova anche per la Chiesa e i cattolici.

Anche si sentono voci sguaiate scandalizzarsi alla sola ipotesi di dover anticipare la tradizionale liturgia della Messa di mezzanotte al tardo pomeriggio o alle prime ore della sera. Le stesse chiese che sono sempre meno frequentate in Italia nelle domeniche normali, quelle che riempiono di persone solo per festività, liturgie funebri o di Prima Comunione, diventano nuovamente occasione irrinunciabile per le voci sguaiate dei paladini delle tradizioni non riempite di sostanza e si torna a parlare di attentato alla libertà religiosa.

Fortunatamente, anche in questi giorni si alzano chiare e nette le parole di qualche illuminato comunicatore che prova a rimettere i puntini sulle i. Padre Antonio Spadaro, teologo gesuita attuale direttore di Civiltà Cattolica, con un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano lo scorso 1 dicembre, ci aiuta a fare un po’ di discernimento nei difficili tempi che stiamo vivendo, in cui le voci che urlano sembrano aver sempre ragione.

Ne ripropongo di seguito qualche passaggio, sperando possa essere d’aiuto a quanti vogliono andare alla sostanza del Natale, magari per prepararsi a viverlo nel migliore dei modi.

<I Vangeli di Matteo e Luca non forniscono indicazioni cronologiche precise. L’affermarsi della festa nel giorno del 25 dicembre la si deve molto all’opera del Papa San Leone Magno (440-461). In nessun modo la Chiesa ha mai definito questo punto, lasciando che il giorno del Natale di Gesù si consolidasse come semplice tradizione. Nel 1993 San Giovanni Paolo II, durante l’udienza di preparazione del natale disse, ad esempio: “La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale”>.

<Un documento attesta che già nel 354 si celebrava a Roma la festa cristiana del natale celebrata il 25 dicembre. Essa corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno Natalis solis invicti cioè la nascita del nuovo sole dopo la notte più lunga dell’anno. Questa è la data nella quale viene celebrata la nascita di Colui che è il Sole vero che sorge dalla notte del paganesimo>.

<Nella notte di Natale ci invita a fare l’esperienza spirituale dell’entrare nell’oscurità per ammirare e adorare il manifestarsi della vera Luce, quella del verbo di Dio che incarnandosi ha illuminato la Storia>

<Il dato simbolicamente importante per la celebrazione della notte non è dunque l’orario esatto – che sia mezzanotte o altri orari – ma il fatto che si celebri quando è buio e non c’è luce>.

<Veniamo a noi: certamente la politica non deve parlare di come si celebra la liturgia di Natale. E certamente la Chiesa deve evitare che le celebrazioni diventino luoghi di contagio. Le indicazioni circa il modo in cui le celebrazioni debbono svolgersi nel luoghi di culto sono solo un esempio di delle restrizioni di vasta portata all’esercizio di molti diritti umani e libertà civili in tutto il mondo, causate dallo sforzo per far sì che la distanza fisica prevenga efficacemente le infezioni>.

<Non c’è da sollevare da parte alcuna polemiche pretestuose su temi così delicati che toccano sia il bene comune e la salute dei cittadini sia alcuni valori spirituali che fondano la coesione sociale>.

Un’ultima mia riflessione, partendo dalla lettura di queste parole chiare di Padre Spadaro: se potessimo approfittare di questo periodo di Avvento, buio e oscuro come mai prima a causa del Covid, per provare a guardarci dentro - io per primo - e a chiederci che posto occupa nelle nostre vite il Cristo bambino che si appresta a ri-nascere (lo stesso che poi ri-morirà in croce per poi ri-risorgere tre giorni dopo), a prescindere dall’orario della Messa in cui decideremo di partecipare, saremmo già in cammino.

Magari, più compiutamente, ri-avvicinandoci ai Sacramenti il nostro Natale sarebbe davvero “diverso” perché più intimo e sentito così da poter diventare occasione di “bene” verso gli altri, i più sofferenti e poveri delle nostre società, rinunciando a qualche regalo sfarzoso ma spesso inutile e destinare a questi sfortunati fratelli/concittadini/stranieri le nostre doverose opere di carità natalizie.

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